Letteratura/Legge/00
Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony |
Capitoli: Prefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 |
Introduzione: L’importanza della Legge
Quando Wyclif scrisse della sua Bibbia Inglese che “La Bibbia è per il governo del popolo, da parte del popolo, e per il popolo”, la sua affermazione non attirò attenzione alla misura in cui l’enfasi riguardava la centralità della legge Biblica. Che la legge dovesse essere la legge di Dio era sostenuto da tutti; l’allontanamento di Wyclif dall’opinione accettata era che la gente stessa dovesse non solo leggere e conoscere quella legge ma che in qualche senso avrebbe anche dovuto governare ed essere da essa governata. A questo punto, Heer ha ragione nel dire che “Wyclif e Hus furono i primi a dimostrare all’Europa la possibilità d’una alleanza tra l’università e il desiderio di salvezza della gente. Fu la libertà di Oxford a sostenere Wyclif”<ref>Friedrich Heer, The Intellectual History of Europe; Cleveland: The World Puublishing Co., 1966, p. 184.</ref>. L’interesse non era tanto per la chiesa o per lo stato ma per il governo mediante la parola legge di Dio.
Brin ha detto, dell’ordinamento sociale ebraico, che differiva da tutti gli altri ordinamenti nel fatto che era creduto essere fondato su, e governato da: la legge di Dio il quale l’aveva data specificamente per il governo dell’uomo<ref>Joseph G. Brin: The Social Order Under Hebrew Law; The Law society Journal, Vol. VII, n° 3; Agosto 1936, pp. 383-387.</ref>. Non meno dell’antico Israele, la cristianità ha creduto di essere il reame di Dio perché era governata dalla legge di Dio com’è presentata nelle Scritture. C’erano allontanamenti da quella legge, variazioni d’essa, e lassismo nella fedeltà ad essa, ma la cristianità si vide come il nuovo Israele di Dio e non meno soggetta alla sua legge. Quando la Nuova Inghilterra cominciò la propria esistenza come ordinamento giuridico, la sua adozione della legge Biblica fu tanto un ritorno alle Scritture quanto un ritorno al passato dell’Europa. Fu un nuovo inizio nei termini di un vecchio fondamento. Non fu un inizio facile, nel fatto che molti servi che erano venuti insieme ai Puritani si trovarono più tardi in piena rivolta contro qualsiasi fede e ordinamento biblico<ref>Henry Bamford Parkes: Morals and Law Enforcement in Colonial England. The New Quarterly, Vol. 5; Luglio 1932, pp. 431-452.</ref>. Ciononostante, fu un risoluto ritorno ai fondamentali della cristianità. Così, i registri della Colonia di New Haven mostrano che la legge di Dio, senza alcun senso d’innovazione, fu fatta la legge della Colonia:
2 Marzo, 1641/2: E secondo l’accordo fondamentale, fatto e pubblicato con consenso pieno e generale, quando la piantagione ebbe inizio e il governo fu deciso, che la legge giudiziale di Dio data tramite Mosè e spiegata in altre parti delle scritture, fintanto che sia una copertura e uno steccato alla legge di Dio, e non sia cerimoniale o concerna figure né abbia riferimento alcuno con Canaan, ha in essa normatività eterna, e dovrebbe essere la regola dei loro procedimenti<ref>Charles Hoadly, editore, Records of the Colony and Plantation of New Haven from 1638 to 1649; Hartford: for the editor, 1857, p. 69.</ref>.
3 Aprile, 1644: È stato ordinato che le leggi giudiziali di Dio come furono date a Mosè … siano una regola a tutte le corti in questa giurisdizione nei loro procedimenti contro i criminali …. <ref>Ibid., p. 130.</ref>
Thomas Shepard scrisse, nel 1649: “Poiché tutte le leggi, che siano cerimoniali o giudiziali, possono essere fatte riferire al decalogo, come appendici d’esso o sue applicazioni, in modo che comprende tutte le altre leggi come loro compendio”<ref>John A. Albro, ed. The Works of Thomas Shepard, III, Theses Sabbatical , 1649, Boston: Doctrinal Tract and Book Society, 1853; New York: AMS Press, 1967, p. 49.</ref>.
È illusorio pensare che tali opinioni fossero semplicemente aberrazioni puritane piuttosto che una pratica veramente biblica e un aspetto del persistere della vita della cristianità. Dire che la legge di Dio non ha significato né alcuna forza vincolante per l’uomo oggi è una moderna eresia. È un aspetto dell’influenza sulla chiesa del pensiero umanista ed evoluzionista, e suppone un dio in evoluzione, in sviluppo. Questo dio “dispensazionale” si è espresso nella legge in tempi più lontani, poi più tardi si è espresso come sola grazia, ed ora, magari si sta esprimendo in un modo ancora diverso. Ma questo non è il Dio delle Scritture, la cui legge e grazia rimangono le stesse in ogni età, perché egli, quale sovrano e assoluto signore, non cambia, né ha bisogno di cambiare. La forza dell’uomo è nell’assolutezza del suo Dio. Le Istituzioni della Legge Biblica si propone di rovesciare l’andamento presente. È chiamato “Istituzioni” nel significato più vecchio di quella parola, cioè: principi fondamentali, qui di legge, perché è inteso come un inizio, come una considerazione istitutiva di quella legge che deve governare la società sotto Dio.
1. La validità della legge biblica
Una caratteristica centrale delle chiese, della predicazione e dell’insegnamento biblico moderno è l’antinomismo, una posizione contro la legge. L’antinomista crede che la fede liberi il cristiano dalla legge talché egli non è fuori dalla legge ma piuttosto è morto alla legge. Nelle Scritture non c’è alcuna legittimazione per l’antinomismo. L’espressione “morto alla legge” è certamente nelle Scritture (Galati 2:9; Romani 7:4), ma ha riferimento al credente in relazione con l’opera espiatrice di Cristo come suo rappresentante e sostituto; il credente è morto alla legge come impianto accusatorio, una legale sentenza di morte contro di lui, essendo Cristo morto per lui, ma il credente è vivo alla legge in quanto espressione della giustizia di Dio. Lo scopo dell’opera espiatrice di Cristo fu di restaurare l’uomo ad una condizione di osservante del Patto al posto di trasgressore dello stesso, per abilitare l’uomo ad osservare la legge liberandolo “dalla legge del peccato e della morte” (Romani 8:2) “Affinché la giustizia della legge si adempia in noi” (Romani 8:4).
L’uomo è restituito ad una condizione di osservante della legge. La legge ha dunque una posizione di centralità nel condannare l’uomo (come sentenza di morte contro l’uomo il peccatore), nella redenzione di Cristo (nel fatto che Cristo, benché in quanto nuovo Adamo abbia osservato perfettamente la legge, è morto come sostituto dell’uomo), e nella santificazione dell’uomo (nel fatto che l’uomo cresce nella grazia a mano a mano che cresce nell’osservanza della legge poiché la legge è la via della santificazione).
L’uomo da trasgressore del Patto è in “inimicizia con Dio” (Romani 8:7) ed è sottoposto alla “legge del peccato e della morte (Romani 8:2), mentre il credente è sotto “la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù” (Romani 8:2). La legge è una legge, la Legge di Dio. Per l’uomo nel braccio della morte in una prigione, la legge è morte; all’uomo pio, la stessa legge che pone uno nel braccio della morte è vita poiché protegge lui e la sua proprietà dai criminali. Senza legge, la società collasserebbe nell’anarchia e cadrebbe nelle mani di malviventi. La fedele e piena esecuzione della legge è morte per l’assassino ma vita al pio. Similmente, la legge nel suo giudizio sui nemici di Dio è morte, la legge nella sua cura e benedizione per i ligi alla legge è un principio di sostegno alla vita.
Dio, nel creare l’uomo, gli ordinò di sottomettersi la terra e di esercitare il dominio su si essa (Genesi 1:28). L’uomo, nel cercare di stabilire un dominio separato e una giurisdizione autonoma sulla terra (Genesi 3:5), cadde nel peccato e nella morte. Dio, per ristabilire il Regno di Dio, chiamò Abrahamo e poi Israele, ad essere il suo popolo, a sottomettersi la terra e ad esercitare il dominio sotto Dio. La legge, come fu data a Mosè, stabilì la legge di una società pia, del vero sviluppo dell’uomo sotto Dio, e i profeti richiamarono ripetutamente Israele a questa finalità.
Lo scopo della venuta di Cristo fu nei termini di questo stesso mandato creazionale. Cristo, in qualità di nuovo Adamo (1 Corinzi 15:45) osservò la legge perfettamente. In qualità di portatore dei peccati degli eletti, Cristo morì per fare espiazione per i loro peccati, per per riportarli allo loro posizione come giusti sotto Dio. I redenti sono richiamati al proposito originale dell’uomo, a esercitare il dominio sotto Dio, ad essere adempienti del Patto, e di compiere “la giustizia della legge” (Romani 8:4). La legge rimane centrale nel proposito di Dio. L’uomo è stato ristabilito nell’originale proposito e vocazione di Dio. La giustificazione dell’uomo è per grazia di Dio in Gesù Cristo, la santificazione dell’uomo è per mezzo della legge di Dio.
In quanto nuovo popolo scelto da Dio, i cristiani hanno l’ordine di fare ciò che Adamo nel giardino, e Israele in Canaan, non riuscirono a fare. Uno e lo stesso Patto, sotto amministrazioni diverse, prevale ancora. L’uomo è chiamato a creare la società che Dio richiede. La determinazione dell’uomo e della storia proviene da Dio, ma il riferimento della legge di Dio è a questo mondo. “La mente (controllata) dallo spirito è vita e pace” (Romani 8:6), ed avere una mente spirituale non significa essere distaccati dal mondo terreno ma applicare a questo mondo i mandati della parola scritta sotto la guida dello Spirito.
Una cristianità antinomista è una contraddizione di termini: è anti-cristiana. Lo scopo della grazia non è mettere da parte la legge ma compiere la legge ed abilitare l’uomo ad osservarla. Se la legge fu così seria al cospetto di Dio da richiedere la morte di Gesù Cristo, sembra strano che poi Dio abbia proceduto al suo abbandono! Lo scopo della legge non è l’anarchia pratica, né lo scopo della grazia è un antinomico disprezzo del datore della grazia.
Il crescente sfacelo di legge e ordine dev’essere attribuito prima di tutto alle chiese e al loro persistente antinomismo. Se le chiese sono lassiste nei confronti della legge, la gente non ne seguirà l’esempio? E la legge civile non può essere separata dalla legge biblica, poiché la dottrina biblica della legge include tutte le leggi, civili, ecclesiastiche, e di società e famiglia, e ogni altra forma di legge. L’ordinamento sociale che disprezza la legge di Dio pone se stesso nel braccio della morte. È marchiato per il giudizio.
2. La legge come rivelazione e trattato
In ogni cultura la legge è religiosa in origine. Poiché la legge governa l’uomo e la società, perché stabilisce e dichiara il significato di giustizia e di rettitudine, la legge è inevitabilmente religiosa nel fatto che stabilisce in forma pratica gli interessi ultimi di una cultura. Di conseguenza, una fondamentale e necessaria premessa in qualsiasi studio della legge dev’essere, primo, un riconoscimento di questa natura religiosa della legge.
Secondo, deve essere riconosciuto che in qualsiasi cultura la fonte della legge è il dio di quella società. Se la legge ha la sua scaturigine nella ragione umana, allora la ragione è il dio di quella società. Sa la scaturigine è in un oligarchia, o in una corte, un senato, o governante, allora quella scaturigine è il dio di quel sistema. Perciò, nella cultura greca la legge era essenzialmente un concetto religiosamente umanistico.
In contrasto con qualsiasi legge derivata dalla rivelazione, nomos per i greci aveva origine nella mente (nous). Perciò la genuina nomos non è mera legge coatta, ma qualcosa in cui un’entità valida in sé stessa è scoperta e resa propria ….È “l’ordine che esiste (da tempo immemore), è valida ed è messa in atto” <ref>Hermann Kleinknecht and W. Gutbrod: Law; Londra , Adam and Charles Black, 1962, p. 21.</ref>.
Poiché per i Greci la mente era un unico Essere con l’ordine ultimo delle cose, la mente umana era perciò capace di scoprire la legge ultima (nomos) con le proprie risorse, penetrando il labirinto di caso e materia fino all’idea fondamentale dell’Essere. Come risultato la cultura greca divenne sia umanista, perché la mente dell’uomo era una con l’Essere ultimo, sia neoplatonica, ascetica ed ostile al mondo della materia, perché la mente, per essere realmente sé stessa, doveva separarsi dalla non-mente.
L’umanismo moderno, la religione dello stato, individua la legge nello stato ed in questo modo fa dello stato, o del popolo che nello stato trova espressione, il dio del sistema. Come ha detto Mao Tse-Tung: “Il nostro dio non è altro che le masse del popolo cinese”<ref>Mao Tse-Tung The Foolosh Old Man Who Removed Mountains; Pekino, Foreign Languages Press, 1966, p. 3.</ref>. Nella cultura occidentale la legge si è continuamente traslata da Dio al popolo (o lo stato) quale sua fonte, benché la potenza storica e la vitalità dell’occidente sia stata nella fede e nella legge biblica.
Terzo, in qualsiasi società, ogni cambio di legge è esplicitamente o implicitamente un cambio di religione. Niente, di fatto, rivela più chiaramente il cambiamento religioso in una società che una rivoluzione giuridica. Quando i fondamenti giuridici passano dalla legge biblica all’umanismo, significa che tale società ora trae la propria vitalità e il proprio potere dall’umanismo, non dal teismo cristiano.
Quarto, la religione in quanto tale non può essere abolita in nessuna società. Una chiesa può essere abolita, e una particolare religione può essere soppiantata da un’altra, ma il cambiamento è semplicemente ad un altra religione. Poiché i fondamenti della legge sono inevitabilmente religiosi, nessuna società può esistere senza un fondamento religioso o senza un sistema giuridico che codifica la moralità della sua religione.
Quinto, in un sistema giuridico non ci può essere tolleranza per un’altra religione. La tolleranza è un espediente usato per introdurre un nuovo sistema giuridico come preludio a una nuova intolleranza. Il positivismo giuridico, una fede umanistica, è stato brutale nella sua ostilità al sistema giuridico biblico ed ha dichiarato d’essere un sistema “aperto”. Ma Cohen, niente affatto un cristiano, ha appropriatamente descritto i positivisti logici come “nichilisti” e la loro fede come “assolutismo nichilista”<ref>Morris Raphael Cohen. Reason and Law; New York: Collier Books, 1961, p. 84s.</ref>. Ogni sistema giuridico deve mantenersi in esistenza per mezzo dell’ostilità verso tutti gli altri sistemi giuridici e verso fondamenti religiosi alieni, o altrimenti commetterà suicidio.
Nell’analizzare la natura della legge biblica, è importante notare, primo, che per la bibbia, la legge è rivelazione. La parola ebraica per legge è torah, che significa istruzione, indicazione autoritativa<ref>Ernest F. Kevan: The Moral Law; Jenkintown, Penna.: Sovereign Grace Publisher, 1963; p. 5s. S.R. Driver: Law (in Old Testament), in James hastings ed. A Dictionary of the Bible, Vol. III; New York: Charles Scribner’s Sons, 1919, p. 64.</ref>. Il concetto biblico di legge è più ampio dei codici giuridici della formulazione Mosaica. Si applica alla parola e all’istruzione divina nella sua totalità:
… i primi profeti usarono torah anche per la parola divina proclamata per mezzo loro (Isaia 8:16, cfr, anche 5:20; Isaia 30: 9 s., forse anche Isaia 1:10). Inoltre, certi passi nei primi profeti usano la parola torah anche per il comandamento di Yahweh che fu messo per iscritto: così Osea 8:12. In più ci sono chiari esempi non solo in materia rituale manche di etica.
Per cui ne consegue che in ogni caso in quel periodo torah aveva il significato di istruzione divina, sia che fosse stata messa per iscritto molto tempo prima come legge e fosse stata preservata e pronunciata da un sacerdote, sia che il sacerdote la stesse enunciando in quel momento (Lamentazioni 2:9; Ezechiele 7:26; Malachia2:4 s.), sia che il profeta fosse stato commissionato da Dio a pronunciarla per una definita situazione (così forse Isaia 30: 9).
In questo modo ciò che è oggettivamente essenziale in torah non è la forma ma l’autorità divina<ref>Kleinknecht and Gutbrod: Law, p. 44.</ref>.
La legge è la rivelazione di Dio e della sua giustizia. Non c’è nelle Scritture motivo per disprezzare la legge. Neppure si può relegare la legge all’Antico Testamento e la grazia al Nuovo:
La distinzione onorata nel passato tra il VT come libro di legge e il NT come libro di divina grazia è senza fondamento o giustificazione. La grazia e misericordia divine sono la presupposizione della legge nel VT; e la grazia e l’amore di Dio esibiti negli eventi del NT scaturiscono negli obblighi giuridici del Nuovo Patto. Inoltre, Il VT contiene evidenze di una lunga storia di sviluppi giuridici che devono essere considerati prima che il ruolo della legge sia compreso adeguatamente. Le polemiche di Paolo contro la legge in Galati e Romani sono dirette contro una comprensione della legge che non è in nessun modo caratteristica del VT nel suo insieme<ref>W. J. Harrelson: Law in the OT; nel The Interpreter’s Dictionary of the Bible, New York: Abingdon Press, 1962, III, p. 77.</ref>.
Non c’è contraddizione tra legge e grazia. La questione nell’epistola di Giacomo è fede e opere, non fede e legge<ref>Kleinknecht and Gutbrod, Law, p. 125.</ref>. Il Giudaismo aveva fatto della legge il mediatore tra Dio e l’uomo, e tra Dio e il mondo. Era questa prospettiva che Gesù attaccò, e non la legge stessa. In quanto egli stesso il mediatore, Gesù rigettò la legge come mediatore in modo da ristabilire la legge nel suo ruolo indicato per essa da Dio: la via della santità. Egli stabilì la legge dispensando perdono da datore della legge in pieno sostegno alla legge come parola di condanna che rende gli uomini peccatori.<ref>Ibid., pp. 74, 81-91.</ref> La legge fu rigettata solo come mediatore e come fonte della giustificazione<ref>Ibid., p. 95.</ref>. Gesù riconobbe la legge pienamente e la obbedì. Di essa rigettò solamente le interpretazioni assurde. Inoltre:
Noi non abbiamo il diritto di desumere dall’insegnamento di Gesù nei Vangeli che egli abbia fatto alcuna distinzione formale tra la Legge di Mosè e la Legge di Dio. Essendo la sua missione non di distruggere ma di compiere la Legge e i Profeti (Matteo 5:17), lungi dal dire cosa alcuna in disprezzo della Legge di Mosè o dall’incoraggiare i suoi discepoli ad assumere un atteggiamento d’indipendenza nei confronti della stessa, egli riconobbe espressamente l’autorità della Legge di Mosè come tale, e dei farisei come suoi principali interpreti (Matteo 23:1-3)<ref>Hugh H. Currie: Law of God, in James Hastings ed. A Dictionary of Christ and the Gospels, New York, Charles Scribner’s Sons, 1908, II, 15.</ref>.
Col completamento dell’opera di Cristo il ruolo di interpreti dei Farisei terminò, ma non l’autorità della legge. Nell’epoca del Nuovo Testamento, solo la rivelazione ricevuta dagli apostoli fu motivo per qualsiasi alterazione nella legge. L’autorità della legge rimase immutata:
San Pietro, per esempio, richiese una rivelazione speciale prima di entrare nella casa dell’incirconciso Cornelio e ammettere il primo convertito Gentile nella chiesa per mezzo del battesimo (Atti 10:1-48), un passo che non mancò di sollevare opposizione da parte di quelli che “erano della circoncisione” (Cfr. 11: 1-18)<ref>Olaf Moe: Law, in James Hastings ed. Dictionary of the Apostolic Church; New York: Charles Scribner’s Sons, 1919, I, 685.</ref>.
La seconda caratteristica della legge biblica è che è un trattato o patto. Kline ha dimostrato che la forma della promulgazione della legge, il linguaggio del testo, il prologo storico, la richiesta di dedicazione esclusiva al Dio del Patto, il pronunciamento di maledizioni e di benedizioni, e molto altro ancora, tutti indicano il fatto che la legge è un trattato stabilito da Dio col suo popolo. Di fatto, “La rivelazione affidata alle due tavole era piuttosto un trattato sovrano che un codice giuridico”<ref>Meredith G. Kline: Treaty of the Great King, The Covenant Structure of Deuteronomy. Studies and Commentary Grand Rapids. William B. Eerdmans, 1963, p. 16. Vedasi inoltre J.A. Thompson: The Ancient Near East Treaties and the Old Testament; Londra, The Tyndale Press, 1964.</ref>. Il sommario completo del Patto, i Dieci Comandamenti, fu inciso su ciascuna delle due tavole di pietra, una tavola o copia del trattato per ciascuna parte nel Patto, Dio e Israele<ref>Kline, op. cit., p. 19</ref>.
Le due tavole di pietra, perciò, non possono essere paragonate a una stele contenente uno dei circa mezza dozzina di conosciuti codici giuridici datati poco prima o contemporanei di Mosè come se Dio avesse inciso su quelle tavole un corpo giuridico. La rivelazione che contengono non è niente di meno che un’epitome del Patto elargito da Yahweh, il sovrano Signore di cielo e terra, al suo servo eletto e redento: Israele.
Non legge, ma Patto. Ciò dev’essere affermato quando stiamo cercando una categoria sufficientemente comprensiva da fare giustizia a questa rivelazione nella sua totalità. Allo stesso tempo, la prominenza delle stipulazioni, riflessa nel fatto che “le dieci parole” sono l’elemento usato come pars pro toto, segnala la centralità della legge in questo tipo di patto. Non c’è, probabilmente, una direzione più chiara concessa al teologo biblico, per definire con enfasi biblica il tipo di patto che Dio adottò per formalizzare la sua relazione col suo popolo, di quella data nel Patto che diede ad Israele affinché lo compisse, proprio “i dieci comandamenti”. Un Patto così è una dichiarazione della signoria di Dio, che consacra a sé un popolo in un ordinamento di vita dettato sovranamente<ref>Ibid., p. 17.</ref>.
Quest’ultima frase ha bisogno d’essere enfatizzata di nuovo: Il Patto è “un ordinamento di vita dettato sovranamente”. Dio in qualità di sovrano Signore e Creatore dà la sua legge all’uomo come atto di sovrana grazia. È un atto d’elezione, di grazia elettiva (Deuteronomio 7:7 s; 8:17; 9: 4-6, ecc.).
Il Dio al quale appartiene la terra avrà Israele per sua proprietà (Esodo 19:5). È solo sul fondamento dell’elezione per grazia e della guida di Dio che i comandi divini sono dati al popolo, e perciò il Decalogo (Esodo 20:2) pone subito davanti il fatto dell’elezione<ref>Gustave Friedrich Oehler: Theology of the Old Testament; Grand rapids: Zondervan, 1883, p. 177.</ref>.
Nella legge è ordinata la vita totale dell’uomo: “Non c’è una distinzione primaria tra la vita interiore e quella esteriore; la santa vocazione del popolo deve essere realizzata in entrambe”<ref>Ibid., p. 17.</ref>.
La terza caratteristica della legge biblica o Patto è che costituisce un piano per il dominio sotto Dio. Dio chiamò Adamo ad avere dominio nei termini della rivelazione di Dio, la legge di Dio (Genesi 1:26 s; 2: 15-17). Questo stesso impegno, dopo la caduta, fu richiesto dalla linea di discendenza pia e con Noè fu formalmente rinnovata (Genesi 9:1-17). Fu di nuovo rinnovata con Abrahamo, con Giacobbe, con Israele nella persona di Mosè, con Giosuè, Davide, Salomone (i cui proverbi echeggiano la legge), con Ezechia e Giosia ed infine con Gesù Cristo. Il sacramento della cena del Signore è il rinnovamento del patto: “Questo è il mio sangue, il sangue del nuovo patto”, cosicché il sacramento stesso ristabilisce la legge, questa volta con un nuovo gruppo eletto. (Matteo 26:28; Marco 14:24; Luca 22:20; 1 Corinzi 11:25). Il popolo della legge è ora il popolo di Cristo, i credenti redenti dal suo sangue espiatorio e chiamati dalla sua grazia sovrana. Kline, nell’analizzare Ebrei 9: 16,17 in relazione all’amministrazione del patto, osserva:
…la figura suggerita sarebbe quella dei figli di Cristo (cfr. 2:13) che ereditano il suo dominio universale quale loro eterna porzione (si noti anche 9:15b; cfr. anche 1:14; 2:5 s; 6:17; 11:7 s). E questa è la meraviglia del messianico Mediatore-Testatore, che l’eredità regale dei suoi figli, che prende forza solo mediante la sua morte, è ciò nonostante un’eredità di co-reggenza col testatore vivente! Poiché, (per seguire la direzione tipologica provvista da Ebrei 9: 16, 17 secondo la presente interpretazione) Gesù è ambedue il Mosè morente e il suo successore Giosuè. Non meramente secondo una figura ma nella realtà un regale Mediatore redivivus, egli continua la dinastia divina succedendo a sé stesso nella potenza della resurrezione e nella gloria dell’ascensione<ref>Kline: Treaty of the Great King; p. 41.</ref>.
Lo scopo di Dio nel richiedere ad Adamo l’esercizio del dominio sulla terra rimane la sua continua parola pattizia: l’uomo, creato ad immagine di Dio e comandato di sottomettere la terra e di esercitare su di essa il dominio nel nome di Dio, è richiamato a questo compito e privilegio con la sua redenzione e rigenerazione.
La legge è perciò la legge per l’uomo cristiano e per la società cristiana. Niente è più mortale o più derelitto della nozione che il cristiano sia libero riguardo a che tipo di legge possa avere. Calvino, il cui umanesimo classico prese il sopravvento su questo punto, disse delle leggi degli stati, del governo civile:
Menzionerò solo, quasi per inciso, quali siano le leggi di cui questo Stato può far santamente uso davanti a Dio e da cui possa essere rettamente governato nel consenso umano. Avrei tralasciato questo problema non vedessi pericolosi errori commettersi a riguardo. Alcuni infatti negano che uno Stato possa essere retto in modo conveniente qualora, abbandonando la legislazione mosaica, sia governato sulla base di leggi comuni alle altre nazioni. Lascio ad altri il compito di valutare quanto sia perniciosa questa opinione e pericolosa. Mi basterà mostrare ora il suo carattere di assoluta falsità e assurdità<ref>Giovanni Calvino: Istituzione della religione Cristiana; libro IV, capitolo XX, paragrafo 14. Utet, 1971.</ref>.
Tali idee, comuni nei circoli calvinisti e luterani, e in virtualmente tutte le chiese, sono comunque assurdità eretiche<ref>Si veda H, de Jongste and J.M. van Krimpen: The Bible and the Life of the Christian, per simili opinioni (Filadelfia. Presbiterian and Reformed Publishing Co., 1968, p. 66 ss.</ref>. Calvino era favorevole alle “leggi comuni alle altre nazioni”. Ma la legge comune delle nazioni ai suoi giorni era la legge biblica, benché ampiamente snaturata dalla legge romana. E queste “leggi comuni alle nazioni” stavano evidenziando sempre più una nuova religione: l’umanesimo. Calvino voleva stabilire la religione cristiana; non avrebbe potuto averla, né sarebbe durata a lungo a Ginevra, senza la legge biblica.
Due studiosi riformati, nello scrivere dello stato, dichiarano: “Dev’essere il servo di Dio per il nostro bene. Deve esercitare la giustizia, ed ha il potere della spada”<ref>Ibid., p. 73.</ref>. Eppure questi uomini seguono Calvino nel rigettare la legge biblica in favore della “legge comune delle nazioni”. Ma può lo stato essere servo di Dio e by-passare la legge di Dio? E se lo stato deve “esercitare la giustizia” com’è definita la giustizia, dalle nazioni o da Dio? Ci sono tante idee di giustizia quante sono le religioni.
La domanda dunque è: che legge per lo stato? sarà la legge positiva, la legge delle nazioni, una legge relativista? De Jongste e van Krimpen, dopo aver invocato la “giustizia” nello stato, dichiarano: “una legislazione statica valida per tutti i tempi è un’impossibilità”<ref>Ibid., p. 75.</ref>. Sicuro! Allora, se permettete, che ne è del comandamento di legislazione biblica: “Tu non ucciderai” e “Tu non ruberai”? Non sono intesi per essere validi per tutti i tempi ed in ogni ordinamento civile? Con l’abbandono della legge biblica questi teologi protestanti finiscono nel relativismo morale e giuridico.
Gli studiosi cattolici-romani offrono la legge naturale. Le origini di questo concetto sono nella legge e nella religione romana. Per la bibbia non c’è legge nella natura perché la natura è decaduta e non può essere normativa. Oltretutto, la fonte della legge non è la natura ma Dio. Non c’è legge nella natura ma una legge sulla natura, la legge di Dio<ref>Lo stesso termine “natura” è mitico. Si veda R.J. Rushdoony: The Myth of Nature, in: The Mythology of Science; Nutley, N.J. The Craig Press, 1967, pp. 96-98.</ref>.
Né la legge positiva, né quella naturale possono riflettere più che il peccato e l’apostasia dell’uomo: la legge rivelata è il bisogno e il privilegio della società cristiana. È il solo mezzo con cui l’uomo possa compiere il suo mandato creazionale di esercitare il dominio sotto Dio. Senza la legge rivelata, l’uomo non può affermare d’essere sotto Dio ma solo in ribellione contro Dio.
3. La direzione della legge
Per poter comprendere la legge biblica è necessario comprendere anche certe caratteristiche basilari di quella legge. Primo, sono dichiarate certe ampie premesse o principi. Queste sono dichiarazioni basilari di legge. I Dieci Comandamenti ci danno tale dichiarazione. I Dieci Comandamenti non sono perciò leggi in mezzo a leggi, ma sono le leggi basilari delle quali, le varie leggi sono esempi specifici. Un esempio di una tale legge basilare è Esodo 20:15 (Deuteronomio 5.19): “Tu non ruberai”
Nell’analizzare questo comandamento: “Tu non ruberai” è importante notare, a) che questa è l’istituzione, positivamente, della proprietà privata, proprio perché, negativamente, punisce il crimine contro la proprietà. Il comandamento in questo modo stabilisce e protegge un’area di vita basilare. Ma, b), ancora più importante, questa istituzione della proprietà proviene, non dallo stato o dall’uomo ma dal Dio sovrano e onnipotente. I comandamenti hanno tutti la loro origine in Dio, il quale, in quanto Signore sovrano, promulga la legge che governa il suo reame. Ulteriormente, ne consegue che, c), poiché Dio promulga la legge, qualsiasi trasgressione della legge è trasgressione contro Dio. Che la legge faccia riferimento a proprietà, persona, famiglia, lavoro, capitale, chiesa, stato, o a qualsiasi altra cosa, la sua prima cornice di riferimento è Dio. In essenza, la trasgressione della legge è interamente contro Dio, poiché ogni cosa e ogni persona è sua creazione. ma, Davide dichiarò, riferendosi al suo atto di adulterio e d’omicidio: “Ho peccato contro di te, contro di te solo, e ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi” (Salmi 51:4). Questo significa allora, d), che un atto illegale è anche peccato; vale a dire che qualsiasi atto sociale di disobbedienza, civile, famigliare, ecclesiale, ecc., è anche una trasgressione religiosa a meno che la disobbedienza non sia richiesta da una prioritaria obbedienza a Dio.
Con questo in mente, che la legge, primo, espone principi ampi e basilari, passiamo ad esaminare una seconda caratteristica della legge biblica, e cioè che la porzione maggiore della legge è casuistica, vale a dire l’illustrazione del principio basilare nei termini di casi specifici. Questi casi specifici sono spesso illustrazioni dell’ampiezza dell’applicazione della legge; ovvero, citando un tipo minimo di caso, sono rivelate le necessarie giurisdizioni della legge. Per prevenirci dall’avere qualche scusa per mancare di comprendere ed utilizzare questo concetto, la bibbia ci dà la sua propria interpretazione di tale legge, e l’illustrazione, data da san Paolo rende chiaro che il Nuovo Testamento rafforza la legge. Citeremo perciò, prima il principio base, secondo l’illustrazione del caso specifico e, terzo, la dichiarazione paolina dell’applicazione della legge:
- 1. Tu non ruberai (Esodo 20. 15). La legge base, la dichiarazione del principio.
- 2. Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano (Deuteronomio 25:4). Illustrazione della legge base, il caso specifico.
- 3. Nella legge di Mosè infatti sta scritto: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”. Si da forse Dio pensiero dei buoi? O non dice così proprio per noi? Certo, queste cose sono scritte per noi, perché chi ara deve arare con speranza, e chi trebbia deve trebbiare con la speranza di avere ciò che spera. …Così pure il Signore ha ordinato che coloro che annunziano l’evangelo, vivano dell’evangelo (1 Corinzi 9:9-10, 14; l’intero passo, 9:1-14, è un’interpretazione della legge) La Scrittura infatti dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia” ed ancora “L’operaio è degno del suo salario (1 Timoteo 5:18; cfr. vs. 17; l’illustrazione è per rafforzare le richieste di “onore” e “doppio onore per vescovi o anziani, cioè i pastori della chiesa). Questi due passi illustrano il requisito: “Tu non ruberai” nei termini di uno specifico caso giuridico, rivelando l’estensione di quel caso nelle sue implicazioni. Nella sua epistola a Timoteo, Paolo fa riferimento anche alla legge che in effetti dichiara, mostrando il caso giuridico, che “l’operaio è degno del suo salario”. il riferimento è a Levitico 19:13 “Non opprimerai il tuo prossimo e non lo deruberai, il salario dell’operaio non rimanga presso di te fino al mattino seguente”. E Deuteronomio 24:14 “Non defrauderai il bracciante povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno degli stranieri che stanno nel tuo paese, entro le tue porte” (Cfr. v. 15). Questo è citato da Gesù in Luca 10:7 “L’operaio è degno della sua ricompensa”.
Se è un peccato defraudare un bue del suo sostentamento, allora è un peccato anche defraudare un uomo del suo salario: è furto in entrambi i casi. Se furto è la classificazione di Dio di un crimine contro un animale, quanto più sarà un crimine contro uno degli apostoli e ministri di Dio? L’implicazione a questo punto è: quanto più mortale è rubare a Dio. Malachia lo rende molto chiaro:
"Un uomo deruberà DIO? Eppure voi mi derubate e poi dite: "In che cosa ti abbiamo derubato?" Nelle decime e nelle offerte. Voi siete colpiti di maledizione perché mi derubate, sì, tutta quanta la nazione. Portate tutte le decime alla casa del tesoro, perché vi sia cibo nella mia casa, e poi mettetemi alla prova in questo dice l'Eterno degli eserciti, se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi tanta benedizione che non avrete spazio sufficiente ove riporla. Inoltre sgriderò per voi il divoratore, perché non distrugga più il frutto del vostro suolo, e la vostra vite non mancherà di portar frutto per voi nella campagna, dice l'Eterno degli eserciti. Tutte le nazioni vi proclameranno beati perché sarete un paese di delizie, dice l'Eterno degli eserciti" (Malachia 3:8-12).
Questo esempio di casuistica illustra non solo il significato di diritto giurisprudenziale nelle Scritture, ma anche la sua necessità. Senza di esso la legge di Dio sarebbe presto ridotta ad un’area di significato estremamente limitata. Questo, naturalmente, è esattamente ciò che è accaduto. Quelli che negano l’attuale validità della legge fatta eccezione per i Dieci Comandamenti, hanno una definizione di furto molto limitata. La loro definizione segue generalmente la legge civile della loro nazione, è umanistica, e non è diversa radicalmente dalla definizione data da Mussulmani, Buddisti e umanisti. Ma, nell’analizzare più avanti la casuistica illustrativa della legge: “Tu non ruberai” vedremo quanto sia esteso il suo significato.
La legge, dunque, primo, afferma dei principi, secondo, cita casi per sviluppare le implicazioni di quei principi, e, terzo, ha per scopo e direzione la restituzione dell’ordine di Dio.
Questo terzo aspetto è basilare per la legge biblica, ed illustra ancora una volta la differenza tra la legge biblica e la legge umanistica. Secondo uno studioso: “La giustizia nel suo senso vero e proprio è un principio di co-ordinazione tra due esseri soggettivi”<ref>Giorgio Del Vecchio: Justice, An Historical and Philosophical Essay; ed. con note addizionali di A.H. Campbell; Edimburgo: Edimburgh University Press, 1956 [edizione italiana 1924, 1952], p. 2.</ref>. Un simile concetto di giustizia è non solo umanistico ma anche soggettivo. Al posto di un basilare ordine oggettivo di giustizia, c’è invece un mera condizione emotiva chiamata giustizia.
In un sistema giuridico umanistico, le restituzione è possibile e spesso esiste, ma non è ancora la restituzione dell’ordine fondamentale di Dio ma delle condizioni dell’uomo. La restituzione in quel caso è interamente all’uomo<ref>Giorgio Del Vecchio: Justice, An Historical and Philosophical Essay; ed. con note addizionali di A.H. Campbell; Edimburgo: Edimburgh University Press, 1956 [edizione italiana 1924, 1952], p. 2.</ref> 30. La legge biblica richiede la restituzione alla persona offesa, ma ancor più basilare alla legge è la richiesta della restaurazione dell’ordine di Dio. Non sono meramente le corti di giustizia ad essere operative nei termini della restituzione. Per la legge biblica, la restituzione infatti, a), deve essere richiesta dalle corti di giustizia a tutti i trasgressori della legge, ma ancor di più, b), è lo scopo e la direzione della legge nella sua interezza, la restaurazione dell’ordine di Dio, una creazione buona e gloriosa che serve e glorifica il suo Creatore. Inoltre, c), la corte e la legge sovrana di Dio opera tutto il tempo nei termini della restituzione, a maledire la disobbedienza per ostacolare così la sua sfida all’ordinamento di Dio e la devastazione che ne provoca, e per benedire e far prosperare l’obbediente restaurazione dell’ordine di Dio. L’affermazione di Malachia concernente la decima, per tornare alla nostra illustrazione, implica questo, e di fatto, lo dichiara esplicitamente: essi “sono colpiti di maledizione” per aver derubato Dio delle sue decime. Per questo i loro campi non sono produttivi, visto che lavorano contro il proposito restitutivo di Dio. L’obbedienza alla legge di Dio riguardo alla sua decima, onorare Dio anziché derubarlo, farebbe diluviare benedizioni sul suo popolo. La parola “diluvio” è appropriata: l’espressione “se io non vi aprirò le cateratte del cielo” richiama il Diluvio (Genesi 7:11) che fu un esempio centrale di una maledizione. Ma lo scopo delle maledizione è anche la restituzione: la maledizione previene il malvagio dal rovesciare l’ordine di Dio. Gli uomini della generazione di Noè furono distrutti nelle loro malvagie immaginazioni, mentre cospiravano contro l’ordinamento di Dio (Genesi 6:5), in modo da istituire il procedimento di restaurazione per mezzo di Noè.
Ma per tornare alla nostra illustrazione originale della legge biblica: “Tu non ruberai”, il Nuovo Testamento illustra la restituzione dopo l’estorsione nella forma di ingiusta tassazione nella persona di Zaccheo (Luca 19: 2-9), che fu pronunciato un uomo salvato dopo aver dichiarato la sua intenzione di fare piena restituzione. La restituzione è chiaramente in prospettiva nel Sermone sul Monte (Matteo 5: 23-26). Secondo uno studioso:
In Efesini 4: 28, san Paolo mostra come dovesse essere esteso il principio della restituzione. Chi rubava, non solo deve cessare dal rubare, ma deve lavorare con le proprie mani in modo da poter restituire ciò che aveva maltolto, ma nel caso in cui le vittime non si trovassero, la restituzione doveva essere fatta ai poveri<ref>John Henry Blunt, editore: Dictionary of Doctrinal and Historical Theology, Londra. Longmans, Green, 1891, p. 645.</ref>.
Questo fatto della restituzione o ripristino è descritto nella sua relazione a Dio in tre modi. Primo, c’è la restituzione o restaurazione della sovrana parola-legge di Dio per proclamazione. San Giovanni Battista, con la sua predicazione restituì la parola-legge alla vita del popolo di Dio. Gesù lo dichiarò in questo modo: “E Gesù rispose loro. dicendo. ‘Elia veramente deve venire prima e ristabilire ogni cosa. Ma io vi dico che Elia è già venuto ed essi non l’hanno riconosciuto’” (Matteo 17:11-12). C’è poi, secondo, la restituzione che viene sottomettendo tutte le cose a Cristo e stabilendo un ordinamento pio sul mondo (Matteo 28:18-20; 2 Corinzi 10:5; Apocalisse 11:15, ecc.). Terzo, con la seconda venuta c’è la totale, finale restituzione che viene con la seconda venuta, e verso la quale si muove la storia; la seconda venuta è l’atto totale e culminante piuttosto che il solo atto dei “tempi della restaurazione” (Atti 3:21 “restituzione” per la KJV).
Il patto di Dio con Adamo richiedeva che egli esercitasse il dominio sulla terra e se la rendesse soggetta (Genesi 1:26 s.) sotto Dio e in accordo con la parola-legge di Dio. Questa relazione dell’uomo con Dio era un patto (come si deduce da Osea 6:7).
Ma tutte le Scritture procedono dalla verità che l’uomo è sempre posto in relazione pattizia con Dio. Tutti i rapporti di Dio con Adamo in paradiso presuppongono questa relazione: poiché Dio parlava con Adamo e si rivelava a lui, ed Adamo (ri)conosceva Dio nella brezza del giorno. Inoltre, la salvezza è sempre presentata come l’istituzione e la realizzazione del patto di Dio … … Questa relazione pattizia non deve essere concepita come qualcosa di accidentale, come un mezzo per un fine, come una relazione che fosse stata stabilita per via d’un accordo, ma come una relazione fondamentale nella quale Adamo stava a Dio in virtù della sua creazione<ref>Herman Hoeksema, Reformed Dogmatics, Grand Rapids. Reformed Free Publishing Association, 1966, p. 221s.</ref>.
Il ristabilimento di quella relazione pattizia fu opera di Cristo, la sua grazia al suo popolo eletto. Il compimento di quel patto è il loro Grande Mandato: sottomettere tutte le cose e tutte le nazioni a Cristo e alla sua parola-legge. Il mandato creazionale fu precisamente la richiesta che l’uomo si assoggettasse la terra ed esercitasse su di essa il dominio. Non c’è una parola delle Scritture che indichi o implichi che questo mandato sia mai stato revocato. C’è ogni parola nelle Scritture che dichiara che questo mandato deve essere e sarà compiuto, e “la Scritture non può essere annullata” secondo Gesù (Giovanni 10:35). Quelli che cercano d’annullarla saranno essi stessi annullati<ref>H. de Jongste e J.M. van Krimpen: The Bible and the Life of the Christian, p. 27 lo riconosce: “Quel mandato non è mai stato revocato” e poi procedono a revocarlo con le loro supposizioni amillennialiste prevedendo la revoca del mandato col trionfo dell’anti-Cristo: “non c’è spazio per l’ottimismo: verso la fine, negli accampamenti del satanico e dell’anti-Cristo, la cultura s’ammalerà, e la chiesa anelerà ad essere liberata dalle sue sofferenze” (p. 85). Ma questa è una definizione dell’anti-Cristo mitica e non biblica, che, secondo san Giovanni, è semplicemente chiunque, presente fin dal principio, che nega il Padre e il Figlio (1 Giovanni 2:22; 4:3; 2 Giovanni 7). Ascrivere a questi negatori il ruolo di dominio e potere finale è senza sostegno nella bibbia.</ref>.