Letteratura/Istituzione/4-10

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca


Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

0:01 - 0:02 - 1:01 - 1:02 - 1:03 - 1:04 - 1:05 - 1:06 - 1:07 - 1:08 - 1:09 - 1:10 - 1:11 - 1:12 - 1:13 - 1:14 - 1:15 - 1:16 - 1:17 - 1:182:01 - 2:02 - 2:03 - 2:04 - 2:05 - 2:062:07 - 2:08 - 2:09 - 2:10 - 2:11 - 2:12 - 2:13 - 2:14 - 2:15 - 2:16 - 2:17 - 3:01 - 3:02 - 3:03 - 3:04 - 3:053:063:07- 3:08 - 3:09 - 3:10 - 3:113:12 - 3:133:14 - 3:15 - 3:16 - 3:17 - 3:18 - 3:19 - 3:20 - 3:21 - 3:22 - 3:23 - 3:24 - 3:25 - 4:01 - 4:02 - 4:03 - 4:04 - 4:05 - 4:06 - 4:07 - 4:08 - 4:09 - 4:10 - 4:11 - 4:12 - 4:13 - 4:14 - 4:15 - 4:16 - 4:17 - 4:184:19 - 4:20

 

CAPITOLO 10

LA POTESTÀ DELLA CHIESA NEL FARE E STABILIRE LEGGI: IN CHE MODO IL PAPA E I SUOI HANNO ESERCITATO UNA CRUDELE E INFERNALE TIRANNIA SULLE ANIME

1. Esaminiamo ora il secondo elemento dell'autorità ecclesiastica che i Papisti vogliono far consistere nell'imporre leggi a loro piacimento. Da questa fonte hanno tratto origine infinite tradizioni che sono diventate altrettanti lacci per strangolare le povere anime. Poiché, come già i Farisei, non si fanno scrupolo di porre sulle spalle del popolo pesi insopportabili che non vorrebbero neppure toccare Cl. Dito (Mt. 24.4). Ho già illustrato altrove quanto profonda e crudele sia la tortura rappresentata dalla prassi, imposta a tutti, di confessare i propri peccati all'orecchio del prete. Una forma di violenza così grave non si riscontra, è vero, in tutte le loro leggi; anche quelle, però, che sembrano più tollerabili non mancano di opprimere tirannicamente le coscienze; tralascio dal far notare come tali leggi imbastardiscano la fede cristiana e sottraggano a Dio stesso il diritto che gli spetta di essere unico legislatore.

Questo è il problema che abbiamo ora a considerare: se sia lecito alla Chiesa vincolare le coscienze a leggi che stabilisce a suo piacimento. In questo dibattito non prendiamo in considerazione le norme che costituiscono il governo ecclesiastico, il problema consiste solo in questo: che Dio sia servito con purezza e fedelmente secondo gli ordini che ha dato egli stesso, e la libertà spirituale permanga garantita. Nel linguaggio comune ogni norma legislativa concernente il servizio di Dio, quando sia emanata dagli uomini, è detta tradizione umana. Quelle sono le leggi contro cui dobbiamo combattere, non le norme sante e utili che servono a garantire umiltà e rettitudine e a mantenere la pace.

Lo scopo di questa battaglia è porre un freno al dominio eccessivo e inumano imposto alle povere anime da questa gente che si pretende pastore ed è diventata boia crudele. Pretendono infatti che leggi da essi emanate siano spirituali e concernano l'anima, affermando che sono necessarie alla vita eterna. Viene, in tal modo, assalito e violentato il regno di Cristo e la libertà da lui concessa alle coscienze dei credenti risulta soffocata ed annientata.

Tralascio per ora l'esame dell'empio principio su cui fondano l'osservanza delle loro leggi, affermando che in virtù di queste si acquista redenzione dei peccati e giustizia, e facendo consistere in queste la religione intera. Mi limiterò ora ad esaminare questo solo punto: non si devono imporre alle coscienze obblighi riguardo alle cose da cui le ha liberate Gesù Cristo e violare quella libertà, senza la quale, come abbiamo sopra dimostrato, non possono avere pace con Dio. Devono riconoscere quale unico re e liberatore il Cristo, essendo governate dalla sola legge della libertà, rappresentata dalla sacra parola dell'evangelo, per poter mantenere la grazia che fu ottenuta una volta in Gesù Cristo, e non devono essere sottoposte ad alcuna schiavitù né esser vincolate da alcun legame.

2. Questi legislatori vogliono far credere che le loro costituzioni siano leggi di libertà, giogo facile, peso leggero . Chi non si accorge, però, che sono semplicemente menzogne? Per conto loro non avvertono il peso delle loro leggi, visto che avendo respinto ogni timor di Dio, disprezzano con egual libertà le proprie leggi e quelle di Dio. Coloro però che si preoccupano della propria salvezza sono lungi dal considerarsi liberi, finché si vedono vincolati dai loro legami.

Constatiamo invece che san Paolo ha evitato, con cura estrema, di opprimere le coscienze, al punto di non osar vincolarle neppure in una sola questione (1 Co. 7.35). Non senza ragione. Egli sapeva che l'imporre obblighi alle coscienze, riguardo alle cose che Dio ha lasciate alla loro libertà, equivale a ferirle mortalmente. Saremmo invece in grave imbarazzo se volessimo enumerare le leggi vincolanti emanate da costoro sotto pena di dannazione eterna e la cui osservanza viene richiesta come rigorosamente necessaria alla salvezza. Non poche sono, in se stesse, difficili da osservare, quando però si assommano, la pratica risulta impossibile, tanta ne è la mole. Come potranno, quelli che sono caricati da così gravi e pesanti pesi, non essere tormentati da terribili angosce e perplessità?

Riaffermo dunque la mia intenzione di polemizzare, qui, contro le leggi create e fabbricate per vincolare le anime riguardo a Dio e caricarle di scrupoli, quasi la pratica ne fosse indispensabile.

3. Molti si trovano imbarazzati, nell'affrontare questo problema, non distinguendo in modo sufficientemente chiaro, tra il giudizio di Dio, spirituale, e la giustizia terrena degli uomini. La difficoltà risulta ancora accresciuta, per loro, dal fatto che san Paolo ordina di ubbidire ai magistrati, non solo per paura di punizione, ma per motivo di coscienza (Ro 13.1). Da cui consegue che le coscienze sono anche sottoposte alle leggi civili. Se le cose stanno così, quello che abbiamo già detto nel capitolo precedente e quello che ci resta da dire, circa il regime spirituale, sarebbe annullato.

È necessario sapere in primo luogo, per sciogliere questo nodo, che cosa si debba intendere per coscienza. Una comprensione generale può ricavarsi dal termine stesso: "scienza "è l'apprendimento o la conoscenza di ciò che gli uomini conoscono secondo lo spirito che è dato loro. Quando dunque essi provano una reazione o un rimorso di fronte al giudizio di Dio, quasi fossero in presenza di un testimone posto loro accanto che non lascia loro nascondere i peccati ma anzi li sollecita a sottomettersi al giudizio divino, questo si definisce "coscienza ". Si tratta infatti di una "conoscenza "posta tra Dio e l'uomo che non permette a colui che vorrebbe cancellare le sue colpe, di dimenticare, ma lo segue per fargli sentire che è colpevole. È quanto pensa san Paolo, affermando che la coscienza rende testimonianza agli uomini, in quanto i loro pensieri li condannano o assolvono davanti a Dio (Ro 2.15). Una pura e semplice conoscenza rischierebbe di essere soffocata in un uomo. Perciò questo sentimento che cita l'uomo e lo conduce dinanzi al tribunale di Dio è come un custode che gli vien dato per mantenerlo vigile, e sorvegliarlo, e svelare tutto quello che egli sarebbe lieto di nascondere, qualora ne avesse la possibilità. Ecco donde è venuto il proverbio antico che la coscienza è come mille testimoni.

Per la stessa ragione san Pietro considera che la voce di una buona coscienza è riposo e tranquillità di spirito (1 Pi. 3.21) , per un credente, quando, fondandosi sulla grazia di Cristo, si presenta liberamente davanti a Dio. E l'Apostolo nella epistola agli Ebrei, dicendo che i credenti non hanno più coscienza di peccato, intende significare che ne sono liberati e assolti non conoscendo più i rimproveri del rimorso (Eb. 10.2).

4. Gli uomini sono oggetto delle nostre opere, così la coscienza ha in Dio la sua meta. Una buona coscienza non è perciò altro che l'integrità interiore del cuore. È a questo riguardo che san Paolo dice che il compimento della Legge è amore procedente da una buona coscienza e fede non finta (1 Ti. 1.5). In un altro testo dimostra in che cosa essa differisca da una semplice conoscenza, affermando che alcuni sono scaduti dalla fede perché si erano allontanati dalla retta coscienza. Con queste parole Egli intende dire che la coscienza è un vivo sentimento di onore verso Dio e un impegno cosciente a vivere in modo santo e puro.

Il termine "coscienza "si riferisce, a volte, ad una realtà nell'ambito umano, come nel testo degli Atti dove san Paolo dice che si è esercitato a camminare del continuo dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini con una coscienza pura (At. 24.16). Questo si deve intendere nel senso che le manifestazioni esteriori, che procedono dalla coscienza, si prolungano sul piano umano.

In senso proprio, però, la coscienza, come ho detto sopra, ha in Dio il suo metro e il suo orientamento. Diciamo perciò che una legge vincola le coscienze, nel senso che impegna l'uomo in un modo assoluto e definitivo, senza riguardo al suo prossimo, come se avesse a che fare con Dio soltanto. Per esempio: Dio ci ordina di avere il cuore puro da ogni impudicizia, ma anche di guardarci da ogni parola impura e da ogni atto dissoluto che conduca all'incontinenza. Quand'anche non vi fosse in terra anima viva sono tenuto, in coscienza, ad osservare tale legge. Perciò se mi lascio andare a commettere qualche atto di impudicizia, non pecco solo in quanto reco scandalo ai miei fratelli, ma mi rendo colpevole davanti a Dio, in quanto ho trasgredito tutto ciò che egli mi aveva proibito nel rapporto tra lui e me.

Altra considerazione si può fare riguardo alle cose indifferenti, di cui ci dobbiamo astenere, in quanto potremmo offendere i nostri fratelli pur mantenendo una coscienza libera e franca. Come dimostra san Paolo, parlando delle carni sacrificate agli idoli: "Se qualcuno "dice "se ne fa scrupolo, non ne mangiare per motivo di coscienza: riguardo a quella del tuo prossimo, non alla tua " (1 Co. 10.28-29). Il credente avvertito commetterebbe peccato, scandalizzando il prossimo in una questione di cibo; quantunque Dio gli ordini di astenersi dal mangiare tale carne, per amore del suo prossimo, ed egli sia tenuto a sottostare, tuttavia la sua coscienza non cessa per questo di essere sempre libera. Questo ordinamento non impone dunque vincoli se non riguardo all'atto esteriore e lascia libera la coscienza.

5. Torniamo ora alle leggi umane. Qualora pretendano di sottometterci in modo assoluto, in questo caso le coscienze sono gravate oltre il dovuto perché debbono essere rette e giudicate dalla sola parola di Dio dovendo render conto a lui e non agli uomini. E, in realtà, tale è stato il significato della distinzione popolare, avutasi in tutte le scuole: una cosa essere la giurisdizione umana e civile, altra quella che concerne la coscienza. Quantunque il mondo sia stato immerso nelle tenebre di una terribile ignoranza, pure questa tenue luce si è mantenuta: che cioè la coscienza si muove nel campo di una giurisdizione particolare, superiore al giudizio degli uomini. È vero che, pur confessando questo a parole, lo si negava nella pratica; Dio però ha voluto che sussistesse sempre una qualche testimonianza della libertà cristiana per liberare dalla tirannia degli uomini le coscienze.

La difficoltà che abbiamo notato più sopra, riguardo alle parole di san Paolo, non è però risolta; bisogna infatti ubbidire ai prìncipi, non solo per timore del castigo ma per motivo di coscienza, sembra derivare, come conseguenza, che le leggi dei prìncipi reggono le coscienze per tenerle vincolate. Se questo è vero, altrettanto deve dirsi delle leggi ecclesiastiche.

In primo luogo conviene effettuare una distinzione fra il genere e la specie. Poiché quantunque ogni singola legge non impegni la coscienza, siamo tuttavia, tenuti, ad osservarle per una motivazione generale, a causa del comandamento di Dio che ha approvato e stabilito l'autorità dei magistrati. È questo un punto su cui san Paolo insiste in tutta la sua trattazione: occorre onorare il magistrato in quanto è stabilito da Dio (Ro 13.1).

Nondimeno egli non insegna che le leggi o gli statuti da essi emanati appartengano al governo spirituale delle anime, perché in ogni caso, egli mantiene fermo il principio che il solo servizio di Dio costituisce la norma di vivere bene e santamente. In quanto la realtà spirituale, come la si definisce, è da porsi al di sopra di ogni decreto e di ogni statuto umano.

Un secondo punto è da prendersi in considerazione, che deriva dal primo: tutte le leggi umane (intendo quelle rette e giuste ) non vincolano affatto la coscienza in quanto l'obbligo di osservarle non si deve ricercare nelle cose comandate, quasi fosse peccato in se fare questo o quello, ma nel fatto che ogni cosa deve essere orientata al fine generale di far sussistere tra noi ordine e buon governo. Ogni legge perciò che, in qualche modo, imponga di servire Dio oltre alle affermazioni della sua parola o imponga obblighi normativi riguardo alle cose libere o indifferenti è lungi da quel fine.

6. Ora tutte le leggi dette oggi, nel papismo, ecclesiastiche, che si pretendono necessarie per onorare e servire Dio rettamente, sono di tale natura. Dato il loro numero immenso rappresentano altrettanti vincoli per tenere le anime prigioniere. Quantunque già se ne sia fatto cenno nell'esposizione della Legge tuttavia, dato che questa sede risulta più adatta per una ampia trattazione, cercherò di raccogliere in breve i dati del problema presentandolo nel miglior ordine possibile. Avendo anche, in precedenza, parlato ampiamente della licenza che i falsi vescovi si attribuiscono di insegnare dottrine e inventare articoli di fede a loro piacimento, tralascio questo problema e mi limiterò a parlare dell'autorità, che essi si vantano possedere per emanare leggi e decreti.

La scusa cui ricorrono il Papa e i suoi vescovi mitrati, per opprimere le coscienze con nuove leggi è questa: essi sono stabiliti, dal Signore, legislatori spirituali in quanto è ]oro affidato il governo della Chiesa. Tutto quello che comandano e ordinano deve essere perciò osservato, necessariamente, essi dicono, da tutto il popolo cristiano, e colui che avrà disubbidito è colpevole di una doppia disobbedienza in quanto si ribella a Dio ed alla Chiesa . Qualora fossero vescovi veri sarei disposto a conceder loro qualche autorità, non nella misura da essi richiesta, ma quanto basta per mantenere il governo della Chiesa. Dato però che sono tutto, fuorché quello che pretendono essere, per quanto minime siano le loro richieste risultano già eccessive.

Tuttavia, avendo già dimostrato che razza di gente sia e in quale considerazione li si debba tenere, concediamo loro, per il momento, che si possa attribuire loro tutta quell'autorità che spetta ai veri vescovi. Anche ammettendo questo, contesto, tuttavia, che si possano considerare stabiliti quali legislatori sui credenti per decretare a loro piacimento norme di vita o costringere il popolo a mantenere i loro statuti e i loro decreti. Intendo dire che non hanno affatto il diritto di imporre alla Chiesa l'osservanza di ciò che essi hanno stabilito, da se, senza la parola di Dio, e renderlo vincolante. Considerando il fatto che tale autorità è sconosciuta agli apostoli e che Dio l'ha così spesso ed esplicitamente negata ai ministri della sua Chiesa, mi stupisco che abbiano potuto usurparla contravvenendo al divieto di Dio, così manifesto, e ancor più che osino oggi rivendicarla.

7. Il Signore ha incluso nella sua legge tutto ciò che concerne una retta norma di vita in modo da non lasciare agli uomini nulla da aggiungere. Ha agito in questo modo per due motivi. Il primo è questo: dato che ogni santità e ogni giustizia consiste nel fatto che la nostra vita sia conforme alla sua volontà, come all'unica norma di ogni retto agire, è giusto che lui solo abbia autorità e governo su di noi.

Il secondo motivo è questo: egli ha voluto dimostrare che nulla ci richiede più dell'obbedienza.

Per questo motivo san Giacomo dice: "Chi giudica suo fratello, giudica la Legge; chi giudica la Legge non è osservatore ma giudice. Uno solo è il legislatore che può salvare e perdere " (Gm. 4.2). Vediamo in questo testo che Dio si attribuisce queste cose in privilegio particolare: governarci con la sua autorità e le sue leggi. Questa affermazione era stata fatta in precedenza da Isaia: "Il Signore è il nostro giudice, il Signore e il nostro legislatore, il Signore è il nostro re, egli è colui che ci salva " (Is. 33.22). Nei due testi viene chiaramente mostrato che Dio solo tiene nelle sue mani la vita e la morte in quanto ha autorità sull'anima. Anche san Giacomo lo dichiara apertamente. Nessun uomo ha dunque il potere di usurpare questo diritto. Si deve, in conseguenza, considerare quale Signore dell'anima nostra soltanto Dio che ha solo autorità di salvare o condannare, ovvero, secondo le parole d'Isaia, bisogna riconoscerlo quale re, giudice, legislatore, e salvatore. Perciò san Pietro, ricordando ai pastori il loro compito, li esorta a pascere il gregge in modo da non esercitare dominio sulle eredità (1 Pi. 5.2).

Con questo termine "eredità "indica il popolo che Dio si è acquistato per suo possesso. Se consideriamo attentamente il fatto che non è lecito trasferire all'uomo mortale ciò che Dio attribuisce a se, comprenderemo che deve essere eliminata quell'autorità che vogliono attribuirsi coloro che pretendono innalzare se stessi per sottomettere la Chiesa ai propri statuti.

8. Tutto il problema si deve ricollegare al fatto che, essendo Dio solo nostro legislatore, non è lecito all'uomo mortale usurpare questa dignità; dobbiamo dunque porre mente ai due motivi addotti, in base ai quali Dio attribuisce a se stesso questa autorità.

Il primo è che la sua volontà deve essere considerata norma perfetta di ogni giustizia e santità, e pertanto la scienza del vivere rettamente consiste nel conoscere ciò che a lui piace.

Il secondo è che, riguardo al modo di servirlo bene e rettamente, egli deve essere riconosciuto quale unica autorità delle anime nostre, avendo l'autorità di comandare e il nostro dovere consiste nell'obbedirgli.

Quando queste due motivazioni siano chiaramente impresse nella mente, ci sarà facile discernere qual siano le costituzioni umane estranee alla parola di Dio. Tutte quelle cioè che si pretende concernino il vero culto di Dio ed alle quali si vuol sottomettere le coscienze, dando loro carattere di necessità. Ci si ricordi dunque di pesare con questa bilancia ogni decreto e statuto umano se vogliamo effettuare un esame sicuro e infallibile della questione.

San Paolo, nella lettera ai Colossesi, si vale della prima motivazione combattendo contro i falsi profeti che volevano imporre nuovi pesi alla Chiesa (Cl. 2.8). Nella lettera ai G alati, pur dovendo risolvere una questione analoga, insiste maggiormente sul secondo punto. Nella lettera ai Colossesi sostiene dunque che non bisogna ricevere dagli uomini la dottrina dell'autentico culto di Dio, visto che egli ci ha fedelmente e sufficientemente istruiti circa il modo di servirlo. Per dimostrare questo, esamina nel capitolo primo come tutta la sapienza, che conduce l'uomo alla perfezione davanti a Dio, sia contenuta nell'evangelo. All'inizio del secondo capitolo dichiara che tutti i tesori della sapienza e dell'intelligenza sono nascosti in Cristo. Conclude che i credenti debbono evitare attentamente di allontanarsi dal gregge di Cristo seguendo una filosofia vana, fondata su leggi umane. Poi, alla fine del capitolo va oltre, condannando ogni "culto volontario ", come egli lo chiama, culto cioè che gli uomini abbiano inventato da se o preso da altri, e in genere ogni comandamento inventato dagli uomini in vista di servire Dio. Abbiamo dunque qui un punto fermo; ogni legislazione nella cui osservanza si vuol far consistere il servizio di Dio, è nociva.

Gli argomenti cui ricorre nell'epistola ai G alati per dimostrare che non è lecito sottomettere le coscienze, che debbono invece esser governate da Dio solo, sono comprensibili a tutti e rinvio perciò i lettori al capitolo quinto.

9. Questo problema sarà risolto più facilmente sulla base di esempi, è perciò opportuno, prima di procedere oltre, porre in riferimento questa dottrina con i tempi nostri.

Noi affermiamo che le costituzioni con cui il Papa e la sua banda gravano la Chiesa sono cattive e perniciose, i papisti le considerano invece sante ed utili. Si tratta di costituzioni di due tipi. Le une sono cerimonie, le altre concernono più direttamente la disciplina. Abbiamo motivi validi per riprovare sia le une che le altre? Sono più numerose di quanto vorrei.

In primo luogo coloro che le emanano non pretendono forse, in modo chiaro ed esplicito, che il vero culto vi è incluso? Che scopo attribuiscono alle loro cerimonie se non il servizio di Dio? Questo non accade solo nel caso di persone ignoranti o del popolino, ma con l'approvazione dei responsabili e dei prelati. Non faccio ancora menzione delle enormi abominazioni con cui hanno cercato di annullare ogni autentica pietà. È certo però che non considererebbero peccato mortale e senza remissione la violazione delle minime tradizioni, frutto della loro inventiva, qualora non avessero la pretesa di sottoporre ad esse il culto di Dio.

In che consiste la nostra colpa? Non poter oggi tollerare ciò che san Paolo afferma non dover essere tollerato: l'adeguare il culto di Dio alla libertà degli uomini. Soprattutto quanto ordinano di servire Dio in cose puerili, cioè esteriorità, che egli dichiara contrarie a Cristo. È notorio invece che vincolano le coscienze ad una osservanza riverenziale dei loro ordinamenti. Nel contraddire a questa prassi, ci troviamo, nella stessa battaglia, in compagnia di san Paolo; egli infatti non permette che le coscienze dei credenti siano in alcun modo sottoposte alla schiavitù degli uomini.

10. C'è però di peggio, da quando si cominciò a far consistere la religione in queste vane tradizioni fece immediatamente seguito a questa perversità un'altra deplorevole maledizione, che già Cristo rimproverava ai Farisei: il comandamento di Dio è disprezzato e annullato per l'osservanza dei precetti umani (Mt. 15.3). Non intendo polemizzare con i nostri attuali legislatori, ricorrendo ad argomenti miei. Do loro partita vinta se possono giustificare che quest'accusa di Cristo non si riferisca proprio a loro. Come potranno fare? Non è per loro peccato mille volte più grave il non essersi confessati una volta all'anno nelle orecchie di un prete, che l'aver vissuto tutto l'anno una vita dissoluta? L'aver toccato con la punta della lingua carne di venerdì più che l'aver insozzato le proprie membra ogni giorno con atti immorali? L'aver messo mano a qualche opera utile e in se legittima, in un giorno festivo dedicato a qualcuno dei loro santi canonizzati, più che l'aver impegnato il proprio corpo in cattive azioni, nel corso di una intera settimana? Per un prete l'esser unito in legittimo matrimonio più che esser colpevoli di mille adulteri? Il non aver adempiuto un voto in un pellegrinaggio più che il tradire la parola data in ogni occasione? Il non aver offerto il proprio denaro per gli inutili addobbi delle Chiese, più che l'aver lasciato un povero nel bisogno? L'esser passati davanti a un idolo senza togliersi il berretto più che l'aver offeso tutti gli uomini della terra? Il non aver borbottato a ore fisse del giorno lunghe litanie prive di senso più che non aver pregato con leale sentimento? Che cosa si deve intendere, per "annullare il comandamento di Dio a motivo delle tradizioni proprie "se non questo? Questo presentare con distacco l'osservanza dei comandamenti di Dio, dandola per scontata e richiedere invece la obbedienza assoluta alle proprie leggi, con tanta cura, quasi ogni fonte di pietà vi fosse inclusa? Il punire con ammende irrilevanti la trasgressione della legge di Dio ma con carcere, fuoco, spada la trasgressione di uno solo dei loro decreti? Questa facilità a perdonare agli spregiatori di Dio, unita al perseguitare i propri con odio inesorabile fino alla morte? L'educare coloro che tengono prigionieri nell'ignoranza in modo tale che preferirebbero vedere rovesciata tutta la legge di Dio piuttosto che un solo punto del cosiddetto comandamento della Chiesa?

È anzitutto evidente che si è fuor della retta via quando per cose leggere e (considerate dal punto di vista di Dio ) indifferenti, uno condanna, critica e respinge un'altro. Ora (quasi non ci fosse abbastanza male in questo ) tali elementi formali del mondo (come li chiama san Paolo ) (Ga 4.9) sono valutati più che gli ordini celesti di Dio. Colui che è assolto dal peccato di adulterio viene condannato a causa di un cibo. Una donna legittima è vietata ad uno, cui è invece concesso una prostituta. Questo è il frutto di quella obbedienza, piena di prevaricazioni, che tanto si allontana da Dio quanto si adegua agli uomini.

2. Ci sono in queste leggi due altri difetti da notare, e non di poco conto. Il primo: ci inducono a trastullarci con pratiche in gran parte inutili e a volte anche sciocche ed irragionevoli.

Il secondo: tale ne è la moltitudine che le coscienze dei credenti ne sono oppresse e, riducendosi a vivere una sorta di Giudaismo, a tal punto si soffermano alle ombre, da non poter giungere a Cristo.

Definendole inutili e sciocche so ben di non trovar credito presso una mentalità carnale; poiché i sensi naturali dell'uomo vi trovano sommo piacere e quando le si sopprimono si ha l'impressione che la Chiesa tutta sia distrutta. Questo è però quanto dice san Paolo affermando che sono apparenza di sapienza in quanto sembrano servire Dio ed esercitare all'umiltà e alla disciplina (Cl. 2.23). Egli ci rivolge con questo un utile ammonimento, che deve essere impresso chiaramente nella nostra memoria.

Le costituzioni umane, dice, hanno apparenza di sapienza per ingannarci. In che senso, chiediamo? In quanto sono foggiate dall'uomo, risponde; l'intendimento umano, ritrova in esse ciò che è suo, e perciò le accoglie molto più volentieri di quanto farebbe con altre cose, molto più opportune, ma che non concordano con la sua follia e la sua vanità. In secondo luogo risponde che l'accoglienza è determinata dal fatto che pensiamo avere in esse un buon esercizio ad umiltà. Infine perché sembrano atte a porre freno ai piaceri della carne in quanto hanno una apparenza di ascesi. Avendone enumerati gli aspetti, le accetta ovvero ne maschera la falsa apparenza? Al contrario, considerando che a condannarle era sufficiente il fatto che si tratta di invenzioni umane, non le degna di più ampia critica sapendo che ogni culto inventato in base ai desideri dell'uomo, è nella Chiesa da respingersi e deve essere tanto più sospetto ai credenti che, solitamente, piace agli uomini; sapendo anche che la differenza tra la vera umiltà e la falsa imitazione è tale da rendere facile il discernere l'una dall'altra, ed infine sapendo che la disciplina di cui parla deve essere considerata puro esercizio corporale. Ha elencato queste cose per negare il valore di ogni tradizione umana fra i credenti quand'anche goda, in quanto tale, di somma dignità fra gli uomini.

12. Così oggi, non solo il popolino, ma anche coloro che si considerano savi secondo il mondo, prendono sommo piacere a far uso di una gran pompa nelle cerimonie. Agli ipocriti e alle donne sciocche, bigotte per natura, nulla sembra essere più bello o da preferirsi.

Coloro però che esaminano più da vicino e valutano rettamente il valore di tutti questi riti, comprendono che si tratta di roba inutile in quanto non ne deriva alcun vantaggio. Si tratta, in secondo luogo, di abusi e di inganni in quanto si accecano così gli occhi per condurre l'uomo nell'errore. Mi riferisco alle cerimonie in cui i Romanisti vogliono far credere vi siano nascosti sommi misteri. Constatiamo invece trattarsi di cose ridicole, e non stupisce che quelli che le hanno inventate siano caduti in questa follia al punto da prendervi piacere e trascinare gli altri in queste sciocchezze. Vengono così imitate in parte le folli fantasticherie dei pagani, in parte le prescrizioni della legge mosaica, che non ci concernono più di quanto ci concernino i sacrifici di animali e cose simili; e tutto questo hanno imitato, senza discernimento come scimmie. Quand'anche non ci fossero altri argomenti è evidente che da una accozzaglia del genere non ci si può aspettare nulla di valido. Ed è assolutamente evidente che la maggior parte delle cerimonie papiste non hanno altro scopo che di instupidire il popolo anziché educarlo.

Gli ipocriti tengono in grande stima questi nuovi canoni e li considerano di somma importanza, quantunque siano più atti a rovesciare la disciplina che a mantenerla. Se infatti li si esamina da vicino, si constata che non sono altro che apparenze prive di verità.

13. Esaminando l'altro punto da me menzionato, chi non si rende conto che le tradizioni accumulate le une sulle altre sono tante che il numero è cresciuto a dismisura, al punto da diventare intollerabile nella Chiesa cristiana? Poiché nelle cerimonie si manifesta uno spirito di vero Giudaismo, ma le altre pratiche sono un autentico inferno per tormentare crudelmente le povere coscienze.

Sant'Agostino si lamentava, al tempo suo, che il disprezzo per i comandamenti di Dio fosse tale che se uno avesse camminato scalzo nell'ottava del suo battesimo, veniva rimproverato più severamente che chi si fosse ubriacato. Si lamentava altresì che la Chiesa, voluta da Dio libera, fosse a tal punto oppressa e gravata da regolamenti e statuti da rendere la condizione dei Giudei preferibile. Tornasse a vivere al giorno d'oggi, che dovrebbe dire questo sant'uomo della condizione di sciagurata servitù in cui ci troviamo? Poiché il numero delle cerimonie è decuplicato da allora. E si insiste cento volte più severamente su tutti i punti di quanto si facesse allora. Di fatto accade sempre così: quando gli uomini si sono impadroniti del dominio delle anime, non desistono dal creare comandamenti nuovi, e nuovi divieti, finché abbiano esteso a dismisura la loro tirannia; san Paolo definisce molto bene questo fatto quando dice: "se siete morti agli elementi del mondo, perché vi lasciate imporre dei precetti, come se viveste nel mondo? Non toccare, non assaggiare, non mangiare! " (Cl. 2.20-21). Molto acutamente individua in queste parole la procedura dei seduttori che iniziano con la superstizione proibendo di mangiare un determinato cibo, anche in quantità minima. Dopo aver ottenuto questo punto ne proibiscono anche l'assaggio; si concede loro questo? Fanno credere che non è lecito neppure toccarlo.

14. Rifiutiamo dunque, oggi, con pieno diritto, questa tirannia delle tradizioni umane: il fatto cioè che misere coscienze siano incredibilmente tormentate da infinite norme, alla osservanza delle quali la gente è rigorosamente tenuta.

Riguardo ai canoni disciplinari si è detto più sopra.

Che dire riguardo alle cerimonie? Non ci sono di alcun vantaggio, se non per farci regredire alle forme giudaiche seppellendo nostro Signore Gesù. "Il Signore "dice sant'Agostino "ha ordinato pochi sacramenti, eccellenti in quanto al significato e facili da osservare ". Quale contrasto si trova ora tra questa semplicità e la varietà delle pratiche sotto cui è sepolta la Chiesa! Conosco gli argomenti con cui alcuni pretendono giustificare questa corruzione. Affermano che vi sono fra noi persone altrettanto ignoranti quanto vi erano in Israele, ed è per costoro che sono state introdotte queste forme puerili, di cui i sapienti e i forti possono fare a meno, ma che non debbono disprezzare, riconoscendone la utilità per i loro fratelli.

Siamo ben consci delle implicazioni che ha per la vita di ogni credente la debolezza dei suoi prossimi, ma non è certo il modo di venire incontro alla debolezza degli ignoranti quello di imporre loro una quantità di cerimonie tale da opprimerli. Non senza ragione Dio ha posto questa differenza tra l'antico popolo e noi, scegliendo di educare quello con segni e figure, come si fa con i piccoli bambini, e usando con noi mezzi più semplici nell'abolire queste forme esteriori. "Come un bambino "dice san Paolo "è educato e mantenuto in condizione di disciplina dal suo pedagogo, secondo la capacità della sua età, così i Giudei sono stati condotti sotto la Legge " (Ga 4.1-3). Noi però siamo simili a uomini, che, usciti dall'infanzia, non hanno più bisogno di essere sotto tutela e sotto disciplina. Certo il Signore prevedeva quale sarebbe stata la media del popolo cristiano e come sarebbe stato necessario giudicarlo, tenendo conto della sua ignoranza. Tuttavia ha posto tra noi e i Giudei quella differenza che abbiamo detto. È perciò assurdo, nel caso nostro, voler restaurare, per venire incontro ai semplici, forme giudaiche che sono state abolite e annullate da Cristo.

Questa diversità fra noi ed il popolo antico risulta anche evidente nel dialogo fra il Signore Gesù e la samaritana quando egli dice: "il tempo è venuto in cui i veri adoratori di Dio lo adoreranno in Spirito e verità " (Gv. 4.23). Questo era certo sempre accaduto, ma i credenti del nuovo Patto differiscono dagli antichi padri in questo: l'adorazione spirituale di Dio era nel tempo della Legge espressa da cerimonie e quasi nascosta in esse; ora adoriamo Dio con semplicità in quanto il velo del Tempio è stato squarciato con tutte le implicazioni. Coloro, pertanto, che annullano queste differenze, capovolgono l'ordine istituito da Gesù Cristo. Qualcuno domanderà: non esiste dunque per gli ignoranti nessuna cerimonia che venga in aiuto alla loro semplicità? Ammetto che cercare di aiutarli in questo caso non è che opera buona e utile, occorre però, ripeto, usare discrezione, affinché il tutto serva a chiarire la conoscenza di Gesù Cristo e non a oscurarla.

Dio dunque ci ha dato poche e comprensibili cerimonie per raffigurarci Gesù Cristo da quando egli ci è stato offerto. In maggior numero ne hanno avuto gli Ebrei, per raffigurarlo nel tempo della sua assenza. Sottolineo il fatto che egli risultava assente da loro non riguardo alla potenza ma alla sola rappresentazione.

Vogliamo pertanto attenerci in questa materia ad un sano criterio? Dobbiamo evitare di moltiplicare le cerimonie che debbono invece essere poche, secondo l'ordine di Dio. Bisogna vigilare che quelle che abbiamo siano facili per non opprimere le coscienze, risultino evidenti nel loro significato e rivestite di maestà, come già abbiam detto. È necessario dimostrare più ampiamente che questo non è stato fatto? Tutti possono rendersene conto.

15. Passo sotto silenzio le perniciose fantasticherie con cui hanno nutrito la povera gente, facendo credere che le cerimonie inventate dagli uomini sono sacrifici graditi a Dio, che cancellano i peccati, procurano giustizia e salvezza. Qualcuno obietterà che, trattandosi di cose buone in se stesse, non possono essere corrotte da errori sopravvenuti in seguito, visto che altrettanto accade per le opere ordinate da Dio. Conferire tale onore alle opere inventate dagli uomini a loro piacimento, è più intollerabile che reputarle meritorie della vita eterna. Poiché, nel caso delle opere ordinate da Dio, il fondamento della loro remunerazione deriva dal fatto che Dio le gradisce in virtù della obbedienza. Non sono dunque valutate in base alla loro dignità o al loro merito intrinseco, ma in quanto Dio gradisce l'obbedienza che gli offriamo. Nel caso, intendo, che si possa compiere in modo perfetto ciò che Dio ordina. Le opere che facciamo, infatti, piacciono a Dio unicamente in virtù della sua bontà gratuita perché l'obbedienza non è presente che a metà. Lasciamo stare però questa questione in sospeso, in quanto non stiamo qui discutendo dell'origine della nostra giustizia.

Ritornando alla questione ripeto che tutto il merito e il valore presente nelle opere deriva dall'obbedienza che rendiamo a Dio, solo elemento, come dice il suo profeta, che egli prenda in considerazione: "Non vi ho dato "dice "nessun comandamento riguardo ad olocausti e sacrifici, ma questo ho comandato: ascoltare la mia voce " (Gr. 7.22-23). Riguardo alle opere che gli uomini fanno per spirito di devozione, così si esprime in un altro testo: "Perché spendete per ciò che non è pane? " (Is. 55.2) , affermando così che si tratta di fatica sprecata. "Invano mi onorano con un comandamento imparato dagli uomini " (Is. 29.13; Mt. 15.9).

I nostri avversari, pertanto, non potranno mai giustificare il fatto che lasciano il popolo cercare in questo cumulo di tradizioni umane a sua giustizia, per poter sussistere in presenza di Dio e ottener salvezza.

Anzi, non si tratta forse di un errore degno di esser grandemente deplorato, il fatto che ricorrano a molte cerimonie di cui non si afferra il senso, per divertire la gente come gli incantatori e i giocolieri alla fiera? È chiaro infatti che ogni cerimonia deve considerarsi nociva e perversa se non conduce gli uomini a Cristo. Ora tutte le cerimonie in uso nel papismo non hanno né contenuto dottrinale, né significato alcuno, ma sono esclusivamente poiché l'uomo è abile nell'inventare cose che tornano a suo vantaggio, la maggior parte di queste cerimonie sono state create dai preti per pura cupidigia, allo scopo di tirar acqua al loro mulino. Qualunque ne sia l'origine, se si vuol purificare la Chiesa da una turpitudine evidente ed impedire che vi eserciti commercio o traffico indegno, non si potrà fare altrimenti che eliminarne la maggior parte in quanto si tratta di trucchi per spillar soldi alla gente.

16. Quantunque sembri che quanto abbiam detto sin qui circa le tradizioni umane valga solo per il nostro tempo, al solo fine di rifiutare le superstizioni papiste, tuttavia se ne può ricavare una dottrina valida per ogni tempo. Ogni volta che si diffonde la follia di voler servire Dio con invenzioni umane, tutti i provvedimenti che si prendono a questo fine, culminano negli abusi che abbiamo menzionati. Non è infatti valida solo per un tempo, ma per sempre la maledizione che Dio ha annunziata: colpire di cecità e di stoltezza tutti coloro che lo serviranno mediante dottrine umane (Is. 29.13). Questo accecamento conduce tutti coloro che si dipartono dalla retta via, disprezzando gli ammonimenti divini, a cadere da una assurdità all'altra.

Tuttavia per chi desideri, senza riferimento al papato, avere una dottrina generale circa le tradizioni umane che in ogni tempo debbono essere ripudiate nella Chiesa, avrà in ciò che abbiamo detto più sopra premesse chiare e sicure: si debbono valutare nel modo suddetto tutte le leggi fatte dagli uomini senza la parola di Dio, al fine ovvero di stabilire una qualche forma di servire Dio o di vincolare le coscienze. Qualora ne derivino altri abusi: che la moltitudine delle cerimonie oscuri la limpidità dell'evangelo, o si tratti di pratiche assurde e inutili che non possono edificare o siano mezzi per scroccar denaro o il po' polo risulti oltremodo aggravato o si favorisca il sorgere di altre gravi superstizioni, tutto questo ci dovrà aiutare a discernere facilmente il male e il danno che ne deriva.

17. Conosco la loro risposta: le loro tradizioni non sono frutto di loro iniziative, ma provengono da Dio in quanto la Chiesa è retta dallo Spirito Santo affinché non commetta errori. Che l'autorità della Chiesa stia dalla loro parte, è per loro un presupposto. Acquisita questa premessa, ne deriva che tutte le loro tradizioni sono rivelazione dello Spirito Santo e non si possono disprezzare senza disprezzare Dio. Perché non sembri che di loro iniziativa abbiano follemente inventato qualcosa, fanno credere che la maggior parte delle loro leggi è di origine apostolica. Anzi, dicono, possono illustrare la prassi seguita dagli apostoli; un solo esempio lo dimostra: quando cioè raccolti insieme hanno deciso nel loro concilio che i Gentili dovessero astenersi dal mangiare sangue, carne di bestie soffocate o sacrificare agli idoli (At. 15.20).

Abbiamo dimostrato ampiamente, in altra sede, quanto falsamente si servano del titolo di Chiesa per difendere la loro autorità . Per quanto concerne il presente argomento se, evitando ogni falsità e ipocrisia, consideriamo quale sia la Chiesa che Cristo richiede per sottostare alla sua norma, risulterà evidente che non è affatto Chiesa quella che, oltrepassando i limiti della parola di Dio, prende l'iniziativa di fare nuove leggi ed inventare nuove forme di culto. Non è forse perenne quella legge imposta alla Chiesa: "avrai cura di mettere in pratica tutte le cose che ti comando, non vi aggiungerai nulla, né vi toglierai nulla " (De 12.32) ? E quella: "non aggiunger nulla alla parola del Signore ch'egli non t'abbia a riprendere e tu non sia trovato bugiardo " (Pr 30.6) ? Non si può negare che queste cose siano state dette alla Chiesa; chi perciò afferma che, nonostante questi divieti, ha osato prendere l'iniziativa di aggiungere del suo alla parola di Dio, non fa altro che accusarla di ribellione contro Dio. Non prestiamo fede alle loro menzogne con cui viene recata così grande offesa alla Chiesa. Riconosciamo piuttosto che il nome della Chiesa è rivendicato a torto quando si vuole giustificare la temerarietà degli uomini, che oltrepassa i limiti della parola di Dio per produrre le sue invenzioni. Le espressioni con cui è proibito alla Chiesa universale di aggiungere o togliere alla parola di Dio, non sono né difficili, né ambigue, né incerte quando si tratti del servizio di Dio.

Diranno che questo fu detto della sola Legge, dopo la quale sono venute le profezie; lo ammetto, purché si intenda che il loro scopo fu quello di portare a compimento la Legge più che aggiungere o togliere qualcosa. Or dunque se il Signore non permette che al ministero di Mosè, quantunque pieno di lacune, si aggiunga o tolga alcunché, finché egli non dia, per mezzo dei profeti suoi servi, infine per mezzo del figlio suo amato, più chiari insegnamenti, come non ritenere che sia proibito in modo ancora più rigoroso aggiungere qualcosa alla Legge, ai Profeti, ai Sl. , all'evangelo? Il Signore non ha certo mutato l'opinione che aveva anticamente manifestata: non esservi nei suoi riguardi offesa più grave che la pretesa degli uomini di servirlo con le proprie invenzioni.

Valide testimonianze si hanno nei Profeti, che dovrebbero essere assiduamente davanti agli occhi. In Geremia: "quando trassi i vostri padri fuori della terra d'Egitto non diedi loro alcun comandamento intorno ad olocausti ed a sacrifizi, ma questo comandai loro dicendo: "ascoltate la mia voce e sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo; camminate in tutte le vie che io vi prescrivo " " (Gv. 7.22). E ancora: "Ho scongiurato i vostri padri dicendo: ascoltate la mia voce " (Gr. 11.7). Se ne leggono parecchie altre simili ma questa è particolarmente eloquente e si trova in Samuele: L'Eterno gradisce i sacrifici e gli olocausti come l'ubbidienza alla sua voce? Ecco l'ubbidienza val meglio che il sacrificio, e dare ascolto val meglio che il grasso dei montoni; perché la ribellione è come il peccato di stregoneria e l'ostinatezza è come l'adorazione degli idoli " (1 Re 15.22-23).

18. Non potendosi tutte le invenzioni, che si giustificano sotto veste dell'autorità ecclesiastica, lavare dall'accusa di empietà, è facile dedurre che falsamente sono state attribuite alla Chiesa. È questa la ragione per cui combattiamo coraggiosamente la tirannia delle tradizioni umane che sono mantenute sotto il titolo di Chiesa. Non disprezziamo infatti la Chiesa, come i nostri avversari, per renderci odiosi, ci accusano di fare; anzi le attribuiamo la lode di essere obbedita, la maggior lode che si possa desiderare. Sono loro che recano offesa alla Chiesa in modo oltraggioso, facendola ribelle al suo Signore, in quanto essa, secondo il loro dire, ha trasgredito il comandamento di Dio. E non sottolineo il fatto che è mancanza assoluta di pudore e malizia, nel caso loro, riferirsi costantemente all'autorità della Chiesa e non di meno lasciar da parte, e passare sotto silenzio, l'ordine che ha ricevuto da Dio e l'obbedienza che gli deve. Se desideriamo invece, come è il caso, essere in accordo con la Chiesa, occorre piuttosto considerare ciò che Dio ordina a noi, e a tutta la Chiesa similmente, per obbedirgli di comune accordo. Non dobbiamo infatti avere il minimo dubbio di essere in pieno accordo con la Chiesa, se in ogni cosa siamo obbedienti a Dio.

Riguardo all'origine apostolica delle loro tradizioni, si tratta di un puro inganno; visto che tutto l'insegnamento degli apostoli mira a questo scopo: che le coscienze non siano gravate da nuove tradizioni e la religione cristiana non sia contaminata da nuove invenzioni. Se bisogna prestar fede alla storia antica, gli apostoli non hanno neppur sentito parlare delle cose che vengono loro attribuite da costoro.

Non ci vengano a raccontare che molti decreti apostolici, che non furono mai scritti, sono stati accolti nell'uso; quelle cose cioè che essi non potevano intendere prima della morte di Gesù Cristo ma hanno ricevuto dopo la sua ascensione per rivelazione dello Spirito Santo. Abbiamo già esaminato più sopra questa tesi.

Mi sembrano poi assolutamente ridicoli quando vogliono elencare questi misteri così a lungo sconosciuti agli apostoli, e citano, da un lato cerimonie ricavate da quelle che erano precedentemente in uso fra Ebrei o pagani, dall'altra folli scimmiottagini e cerimonie assurde che gli asini di preti (incapaci di camminare e parlare ) sanno a memoria, e che gli sciocchi e i bambini imitano così bene che ne sembrano avere la conoscenza innata. Quand'anche non possedessimo documenti, non c'è persona di buon senso che non veda che tale moltitudine di cerimonie non è venuta nella Chiesa improvvisamente, ma vi è stata introdotta a poco a poco. Quantunque i buoni vescovi, che predicavano ai tempi degli apostoli, avessero infatti emanate alcune sante ordinanze riguardo all'ordine e al governo della Chiesa, i loro successori, gente sconsiderata e bramosa di novità, hanno voluto aggiungervi ognuno il suo pezzetto, gli ultimi, desiderando sempre superare i predecessori. Anzi, essendoci il pericolo che quelle invenzioni, mediante cui volevano procacciarsi fama e celebrità, se ne andassero subito a ramengo, hanno fatto ricorso ad una severità maggiore di quella usata dai loro predecessori, per costringere il popolo all'obbedienza.

Questa folle e perversa emulazione, con cui ognuno ha voluto mostrarsi abile quanto il compagno nell'inventar novità, ci ha procurata la maggior parte di quelle cerimonie che i papisti del giorno d'oggi vogliono farci considerare decreti apostolici. Come ho già detto, però, la storia ci fornisce sufficienti testimonianze al riguardo.

19. Per non dilungarci nel fare un lungo esame, accontentiamoci di un esempio. Gli apostoli nell'amministrare la Cena di nostro Signore hanno fatto uso di una grande semplicità. I successori immediati, per mettere in evidenza la dignità di quel mistero, hanno aggiunto alcuni elementi alla celebrazione, non condannabili in assoluto. Da allora però si son fatte avanti altre scimmie che hanno avuto la folle pretesa di aggiungere sempre nuovi elementi e hanno così composto sia i paramenti dei preti, che quelli dell'altare, quella sciocca commedia che vediamo oggi nella messa con tutto il suo ciarpame.

I papisti hanno ancora un'obiezione: da sempre si è considerato stabilito che tutto ciò che di comune accordo si accettava nella Chiesa universale provenisse dagli apostoli, come attesta sant'Agostino. Non darò altra risposta che questa, per bocca di sant'Agostino stesso: "tutte le cose "dice "che si accettano universalmente, si devono ritenere ordinate dagli apostoli o dai concili universali, la cui autorità è assai utile nella Chiesa; il fatto per esempio che si celebri annualmente il ricordo della Passione e della risurrezione di nostro Signore, la sua ascensione al cielo, la Pentecoste, e altre cose analoghe che si accettano nella Chiesa tutta, ovunque essa è presente nel mondo ".

Il fatto che egli menzioni così pochi esempi, non indica forse chiaramente che fra le molte pratiche, allora in uso, non ha voluto considerare legittime se non quelle che risultavano di qualche utilità per mantenere l'ordine nella Chiesa con semplicità? Siamo però ben lungi dalla pretesa dei Romanisti secondo cui la più insignificante quisquilia delle loro cerimonie è stata stabilita dalla autorità degli apostoli.

10. Per brevità farò solo un esempio. Se qualcuno domanda loro donde abbiano tratto la loro acqua benedetta, immediatamente risponderanno: dagli apostoli, quasi non sapessimo dalla storia, che ad inventarla è stato un papa, il quale, se avesse interrogato gli apostoli prima di prendere quella decisione, mai avrebbe insozzato il battesimo con questa immondizia avendo la pretesa di far un memoriale del sacramento che, non senza ragione, è stato stabilito per essere ricevuto una volta soltanto. Non mi sembra neppur verosimile che l'origine sia così antica come lo dice la storia. Sant'Agostino afferma che alcune Chiese del tempo suo rifiutavano la cerimonia della lavanda dei piedi il giorno della Cena per tema che questo potesse sembrare un riferimento al battesimo . Egli attesta così che non esisteva allora alcuna forma di lavacro, che avesse qualche somiglianza Cl. Battesimo. Rifiuto comunque di ammettere che possa mai essere proceduto dallo spirito degli apostoli l'uso di abluzioni quotidiane, in ricordo del battesimo in quanto equivarrebbe a ripeterlo.

È senza rilievo il fatto che sant'Agostino, in un altro testo, attribuisca agli apostoli altre considerazioni, infatti non fa che una congettura; quale opinione si potrebbe fondare su queste asserzioni riguardo ad una materia di tale importanza?

Infine, quand'anche accettassi che le cose dette da lui discendano dall'età apostolica, una differenza sostanziale permane tra lo stabilire alcune pratiche di cui i credenti possano usare liberamente ed emanare norme vincolanti per le coscienze. Tuttavia poiché hanno dato luogo a sì gravi abusi non rechiamo alcun disonore all'autore loro, chiunque esso sia, nel rifiutarle a causa della corruzione sopravvenuta, tanto più che non furono istituite con la pretesa di essere perpetue.

21. L'esempio degli apostoli, che costoro citano per conferire autorità alla loro tirannide, non aggiunge nulla di più. Gli apostoli, dicono, e gli anziani della Chiesa primitiva hanno stabilito una legge che andava oltre gli ordini di Cristo, con la quale proibirono ai pagani di mangiar carni immolate agli idoli, carne di animali soffocati, sangue (At. 15.20); se hanno avuto la ragione in questo, perché i loro successori non potrebbero imitarli ogni qual volta se ne presenti la necessità?

Vorrei che li imitassero in questo e in altro! Contesto infatti che nell'agire così gli apostoli abbiano istituito o stabilito qualcosa di nuovo, ed è facile dimostrarlo. Dato che in questa stessa occasione san Pietro afferma che equivale a tentare Dio l'imporre qualche carico ai discepoli rinnegherebbe in seguito il suo pensiero, accettando che qualcosa venga loro imposto. Si sarebbe trattato indubbiamente di un peso se gli apostoli avessero decretato, in base alla loro autorità, che fosse proibito ai pagani di mangiar carne sacrificata agli idoli, carne di animali soffocati, o sangue.

Nondimeno il dubbio permane che essi realmente l'abbiano proibito. Quando si consideri più da vicino il senso della loro decisione la soluzione risulta facile. Il primo punto e il punto fondamentale, è che bisogna lasciare ai pagani la loro libertà, senza fare loro violenza, né turbarli con l'osservanza della Legge. In questo il testo è in nostro favore. L'eccezione che segue, riguardo i sacrifici, la carne soffocata, e il sangue, non è una nuova legge fatta dagli apostoli ma è l'ordine eterno di Dio di mantenere la carità. La libertà dei pagani non è sminuita in nulla, ma essi sono soltanto ammoniti ad accomodarsi ai loro fratelli, per non scandalizzarli con l'uso della loro libertà. Notiamo dunque che il secondo punto consiste in questo: la libertà dei pagani non deve risultare nociva né scandalosa per i loro fratelli.

Se qualcuno persiste ancora dicendo che essi ordinano alcune cose, risponderò che essi vogliono soltanto mostrare, in che cosa i Gentili potevano scandalizzare i loro fratelli, affinché lo evitassero: tuttavia non aggiungono nulla di nuovo alla legge eterna di Dio che proibisce gli scandali.

22. Se oggi, ad esempio, nei paesi in cui le Chiese non sono ancora saldamente costituite, i buoni pastori vietassero a coloro che sono già dovutamente istruiti di mangiar carne il venerdì o di lavorare nei giorni festivi, fintantoché i più deboli nella fede siano diventati santi con buoni insegnamenti, avremmo una situazione analoga. Quantunque infatti queste cose siano, in se stesse, indifferenti, quando non abbiano carattere di superstizione, se, facendole, si procura scandalo ai fratelli più deboli, non sono immuni da peccato. Oggi, i tempi sono tali, che i credenti non possono far questo in presenza dei loro fratelli più deboli, senza ferire gravemente le loro coscienze. Chi potrebbe affermare, senza calunniare, che così facendo questi buoni pastori stabiliscono leggi nuove mentre è chiaro che pongono soltanto rimedio agli scandali che sono proibiti da Dio in modo sufficientemente chiaro.

Altrettanto può dirsi degli apostoli, la cui intenzione è stata solo il mantenimento della legge di Dio che ordina di evitare gli scandali, quasi ci avessero detto: il comandamento di Dio è che non rechiate offesa ai vostri fratelli infermi, non potete perciò mangiare carne offerta agli idoli, né carni soffocate, né sangue senza offenderli; vi abbiamo dunque ordinato, in base alla parola di Dio, di non mangiare per non causare scandalo. Che tale fosse l'intenzione degli apostoli, lo attesta san Paolo; concordando con questa loro ordinanza egli scrive infatti: "riguardo alle carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che l'idolo non è nulla nel mondo, ma alcuni mangiano di queste carni come essendo sacrificate agli idoli, e allora la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata. E badate che questo vostro diritto non diventi un intoppo per i deboli " (1 Co. 8.1). Chi consideri questo fatto non sarà più oltre ingannato da questi bugiardi che voglion far credere che gli apostoli hanno cominciato a porre un limite alla libertà della Chiesa con questa ordinanza. Anzi, per impedire loro di sottrarsi negando che quanto ho detto sia la pura verità, mi rispondano in base a quale autorità hanno annullato questo decreto apostolico. Possono soltanto rispondere che non sussiste più il pericolo di scandali e di divisioni a cui gli apostoli vollero porre rimedio, perciò, essendo caduta la sua motivazione, la legge non ha ragion di durare più a lungo o avere valore. Questa norma è stata dunque emanata per motivo di amor fraterno, e non è violata se non in quanto si agisce contro l'amore fraterno; ammettono essi stessi che non si tratta di una norma aggiunta alla legge di Dio, su iniziativa degli apostoli, ma che questi hanno semplicemente adattato al loro tempo ciò che nostro Signore aveva ordinato a tutti nella sua parola.

23. Replicano che quand'anche le leggi ecclesiastiche risultassero mille volte inique ed ingiuste, devono essere osservate, perché, in questo caso, non si tratta di consentire ad errori, ma soltanto di obbedire come sudditi, a ciò che i nostri superiori ci ordinano e che non ci è lecito rifiutare.

Nostro Signore però, mediante la verità della sua parola, ci libera da questa falsa obiezione, e dalla servitù per mantenerci nella libertà che ci ha procurato mediante il suo sangue prezioso. Non è affatto vero, come perfidamente vogliono farci intendere, che in questo caso si tratta solo di accettare una costrizione, sia pure penosa, nel nostro corpo; lo scopo loro è privare le nostre coscienze della libertà, cioè del frutto che ricevono dal sangue di Cristo, di tormentarle in una condizione servile e misera. Tralasciamo questo punto di scarsa importanza.

Possiamo però giudicare di scarso rilievo il fatto di sottrarre a Dio il regno che egli vuole sia mantenuto sopra ogni cosa? Questa autorità gli è negata ogni volta che si pretende servirlo con leggi frutto di invenzioni umane, visto che egli vuole essere l'unico legislatore per quanto concerne il suo nome e il suo servizio. Affinché non le si giudichi cose di poco conto, si presti attenzione a come le considera nostro Signore: "Giacché il timore che questo popolo ha di me, non è altro che un comandamento imparato dagli uomini, ecco io continuerò a fare delle meraviglie, meraviglie su meraviglie; e la saviezza dei suoi savi perirà e l'intelligenza degli intelligenti sparirà " (Is. 29.13). E ancora in un altro testo: "invano mi rendono il loro culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini.

In realtà la ragione, per cui i figli di Israele si sono contaminati in molte idolatrie, si deve ricercare in questa confusione in base alla quale, trasgredendo i comandamenti di Dio, hanno inventato culti estranei. A questo riguardo la storia sacra narra che i nuovi abitanti di Samaria, inviati quivi dal re di Babilonia, venivano quotidianamente aggrediti dagli animali selvatici in quanto ignoravano gli statuti del dio del paese. Dio quantunque non avessero violato in alcun modo le leggi cultuali, non approvò i loro riti vani ma volle punire questa specifica profanazione del suo culto: gli increduli e i pagani lo volevano servire a loro modo. È pertanto aggiunto poco dopo che imparavano ad osservare, riguardo alle forme esteriori, ciò che Dio aveva ordinato nella sua legge. Ma non adoravano ancora Dio con purezza, viene ripetuto per ben due volte, in quanto lo temevano e non lo temevano (4 Re 17.24 ; 32 ; 41). Dobbiamo dunque trarre la deduzione che un aspetto dell'onore che gli dobbiamo, si esprime nel non mischiare il culto che ha ordinato nella sua parola, con le nostre invenzioni. Perciò i re buoni e fedeli sono spesso lodati nella Scrittura per aver osservato, riguardo alla religione, ciò che era stato ordinato nella Legge, senza sviarsi né a destra, né a sinistra (4 Re 22. ealtri passi ).

Vado ancora oltre: quand'anche in una forma particolare di culto, non risultasse evidente l'empietà, al primo esame, pure non manca di essere aspramente condannata in quanto rappresenta sempre un allontanamento dal comandamento di Dio. L'altare di cui Acaz aveva fatto portare il modello da Samaria, poteva considerarsi un elemento decorativo adeguato ad accrescere la dignità del Tempio, visto che l'intenzione di quel re malvagio, era semplicemente di fare sacrifici all'iddio vivente su questo altare, in modo più degno di quanto potesse fare sull'antico. Tuttavia lo Spirito Santo dis.pprova tale libertà per il solo fatto che ogni invenzione umana, malgrado le sue apparenze, non fa che corrompere e avvelenare il culto di Dio. Quanto più la volontà di Dio ci è chiaramente esplicitata, tanto meno si giustifica la temerarietà di aggiungervi altre cose. Il delitto di Manasse viene così fortemente aggravato dal fatto di aver edificato un altare in Gerusalemme là dove Dio aveva dichiarato che vi avrebbe posto il suo nome (4 Re 21.3). Non attenersi infatti a ciò che egli approva, equivale a rigettare deliberatamente la sua autorità.

24. Molti giudicano strano il fatto che nostro Signore minacci, con tanta violenza, di compiere cose straordinarie contro il popolo che lo adorava con dottrine e ordinamenti umani e dichiari vani tali onori. Se considerassero però che cosa significhi dipendere unicamente dalla bocca di Dio in materia di religione, cioè in materia di sapienza celeste, comprenderebbero la ragione per cui nostro Signore ha in tale abominio i culti sregolati che gli vengono fatti, secondo la stolta cupidigia degli uomini. Infatti, pur manifestandosi in coloro che lo servono una qualche forma di umiltà in quanto per lui si sottomettono alle leggi degli uomini, tuttavia costoro non sono affatto umili davanti a lui, anzi gli impongono quelle stesse leggi che osservano. Per questa ragione san Paolo chiede con tanta insistenza di non lasciarci ingannare dalle tradizioni umane (Cl. 2.4) , adoperando un termine greco appropriato che significa "servizio volontario ", cioè frutto dell'invenzione degli uomini senza la parola di Dio.

Risulta chiaro così che la sapienza di tutti gli uomini, e la nostra, devono essere rese pazze affinché Dio solo possa essere savio. Atteggiamento dal quale sono ben lungi coloro che pensano compiacergli con riti inventati dagli uomini a loro piacimento e quasi gettandogli in faccia, per forza, e suo malgrado, un'obbedienza perversa che ha per oggetto gli uomini, non lui. Come è stato il caso sin qui, per lungo tempo, e ancora di nostra memoria, e tuttora continua ad essere nei paesi dove la creatura ha maggiore autorità del Creatore. Paesi che hanno una religione, se si può considerare degna di questo nome, mista a superstizioni e follie idolatriche più di quanto fosse l'antica idolatria pagana. Che cosa è in grado di produrre la sensibilità dell'uomo se non cose carnali e folli che dimostrano chiaramente chi ne è l'autore?

25. Il caso che questi avvocati della superstizione citano, del sacrificio di Samuele a Ramot (1 Re 7.17) , che piacque a Dio pur essendo compiuto contro la Legge, non è difficile da interpretare egli non edificò un secondo altare da contrapporre al primo fondato per ordine di Dio, ma semplicemente, in quanto non vi era alcuna sede stabile per il tabernacolo, prescelse la sua residenza quale luogo più comodo. L'intenzione del santo profeta non fu certo quella di mutare in qualche modo la forma del culto cui Dio aveva così rigorosamente proibito di nulla aggiungere o togliere.

Il caso di Manoa, padre di Sansone, è particolare ed eccezionale (Gd. 13.19); trattandosi di una persona privata non gli sarebbe stato lecito sacrificare senza ispirazione divina. Questo fatto si riferisce a lui solo e altri non sarebbero stati egualmente approvati.

Al contrario Dio ha dato nella persona di Gedeone un insegnamento degno di nota e valido per sempre per mostrare quanto gli ripugni il culto che gli uomini, secondo la propria iniziativa, gli rendono: l'efod che Gedeone venerò con superstizione assurda, fu causa di rovina non solo per lui e la sua famiglia, ma per il popolo intero (Gd. 8.27). Ogni invenzione, insomma, con cui gli uomini pretendono adorare Dio, altro non è che corruzione della santità autentica.

26. Perché, dunque, replicano costoro, Cristo ci avrebbe invitato a portare i pesi insopportabili che gli scribi e i Farisei impongono? Per parte mia chiedo loro perché lui stesso, in un'altra occasione, volle che ci si guardi dal lievito dei Farisei definendo "lievito ", secondo l'interpretazione dell'evangelista san Matteo, tutte le dottrine che essi mischiavano con la parola di Dio (Mt. 16.6; 23.3) ? Che chiediamo di più? Ci viene ordinato di fuggire e di evitare ogni loro dottrina. È evidente che nostro Signore in quell'altro testo non ha voluto che le coscienze dei suoi fossero gravate dalle tradizioni dei Farisei.

Le parole stesse sono lungi dall'aver un significato del genere, quando non siano oggetto di esegesi cavillose. Nostro Signore, volendo redarguire aspramente la cattiva condotta dei Farisei, intende precisare, anzitutto ai suoi uditori, che pur non riscontrando nelle abitudini dei Farisei nulla che fosse degno di limitazione, non dovevano tuttavia trascurare il loro insegnamento orale, quando si trovavano seduti sulla cattedra di Mosè, quando cioè esponevano la Legge. Ha dunque voluto semplicemente prevenire il pericolo che il popolo fosse indotto dal cattivo esempio dei suoi capi a disprezzare la dottrina di Dio.

Dato però che alcuni non si lasciano convincere da nessun argomento, e vanno sempre in cerca dell'autorità, citerò le parole di sant'Agostino in cui egli fornisce un'interpretazione analoga alla nostra: "il gregge del Signore ha dei pastori, alcuni figli suol, altri mercenari. I pastori che sono figli di Dio sono veri pastori. Tuttavia considera in che cosa anche i mercenari risultino utili. Molti ministri nella Chiesa predicano Gesù Cristo cercando il loro profitto personale, la voce di Gesù Cristo viene udita in bocca a loro, e le pecore seguono non il mercenario, ma il pastore nei mercenari. Ascoltate come il Signore ci ha illustrato la figura del mercenario: "gli scribi "dice, "e i Farisei sono seduti sulla cattedra di Mosè; fate ciò che vi dicono, ma non fate ciò che fanno ". Li come se dicesse: "ascoltate la voce del pastore nella voce dei mercenari, poiché seduti in quella cattedra insegnano la legge di Dio ". Dio insegna dunque per bocca loro; ma se vogliono recare alcunché di loro non ascoltateli, e non fate quello che vi dicono ".

27. Alcuni semplici, però, udendo che le coscienze dei credenti non debbono essere vincolate da tradizioni umane e che Dio non è affatto servito da queste, pensano che lo stesso debba dirsi riguardo alle norme stabilite per mantenere ordine nella Chiesa; è necessario a questo punto chiarire l'equivoco. È facile ingannarsi in questa materia; non risulta infatti evidente la differenza fra queste due categorie di leggi: illustreremo però la questione in modo così piano, che nessuno potrà essere ingannato dalla somiglianza.

Facciamo anzitutto questa riflessione: se ammettiamo che debba esistere in ogni comunità umana un governo per mantenere fra gli uomini pace e concordia e un ordine per garantire decoro e umanità, queste cose devono in primo luogo essere osservate nelle Chiese, che sono mantenute, laddove esiste un ordine e sono invece interamente disperse dalla discordia. Se vogliamo perciò prendere adeguati provvedimenti per la conservazione della Chiesa bisogna impegnarsi affinché ogni cosa sia fatta con decoro ed ordine come dice san Paolo (1 Co. 14.40).

Ora, riscontrandosi fra gli uomini così grandi contrasti di idee e di opinioni, nessun governo potrebbe sussistere tra loro se non garantito da leggi precise, e nessun ordine potrebbe essere mantenuto senza delle norme sicure. Lungi dal riprovare le leggi che tendono a questo fine, affermiamo, anzi, che senza di loro le Chiese sarebbero immediatamente distrutte e non si può fare si che ogni cosa sia attuata con decoro e con ordine, come san Paolo ritiene, senza che l'ordine ed il decoro siano tutelati da norme precise.

Bisogna nondimeno sempre vigilare onde queste regole non vengano considerate necessarie alla salvezza, con il risultato di conculcare le coscienze o si faccia consistere in esse l'ordine e l'onore e il culto di Dio, quasi costituissero la vera pietà.

20. Siamo dunque in presenza di una norma valida e sicura per distinguere fra le costituzioni maledette da cui, come abbiam detto, la vera religione è distrutta, e le coscienze sono oppresse, e le sante norme della Chiesa che hanno lo scopo di mantenere un retto atteggiamento nella comunità dei credenti e garantire fra loro pace e concordia.

Quando si sia riconosciuto che una norma è data in vista di un comportamento viene ad essere già eliminata ogni superstizione, in cui incappano coloro che fanno consistere il culto divino in invenzioni umane. Anzi, quando si sia chiarito che essa ha semplicemente lo scopo di garantire tra gli uomini l'amore fraterno è eliminata quell'opinione errata della obbligatorietà e della necessità intrinseca che opprime orribilmente le coscienze quando le tradizioni si considerano necessarie a salvezza. Per avere quella conoscenza di cui abbiamo detto, si tratta semplicemente di mantenere fra noi l'amor fraterno servendo gli uni agli altri.

È però necessario esporre più chiaramente ciò che implica questo decoro e ordine di cui parla san Paolo. È scopo del decoro far si che quando si istituiscono cerimonie per dare maestà e onore ai sacramenti, il popolo sia guidato e quasi aiutato a onorare Dio. In secondo luogo vi si manifesti serietà e modestia. Riguardo all'ordine il primo elemento consiste nel fatto che i prelati e i pastori sappiano qual sono le norme di un buon governo e il popolo sia esercitato all'obbedienza a alla disciplina. Il secondo scopo è di far sì che la Chiesa sia mantenuta in buona concordia essendo organizzata in forma dovuta.

29. Non parleremo dunque di "decoro "laddove non c'è che spettacolo frivolo per far piacere agli uomini, come si riscontra nelle cerimonie di cui fanno uso i papisti nel loro culto. Poiché in questo caso non vi è che maschera di bella apparenza, ma inutile, ed esteriorità senza frutto. Considereremo "decoro "invece tutto ciò che, stabilito per dar onore ai santi misteri di Dio, guida il popolo ad una devozione autenticamente cristiana, tutto ciò che serve a conferire decoro all'atto che si compie e ogni cosa che abbia di mira l'edificazione affinché i credenti siano guidati a comprendere, con questo mezzo, la modestia, il timore, la riverenza, con cui si devono disporre per adorare il Signore. Ora le cerimonie non sono esercizi di pietà se non in quanto conducono, quasi per mano, il popolo a Cristo. Similmente non dobbiamo far consistere "l'ordine "in quelle cerimonie inutili ridotte a vana apparenza, ma in saggio governo che elimini la confusione, le dispute, e ogni contrasto.

Del primo tipo abbiamo esempi in san Paolo, quando proibisce di confondere banchetti profani e la santa Cena di nostro Signore, e ordina alle donne di non presentarsi in pubblico a capo scoperto (1 Co. 11.21.5). E abbiamo esempi ancor più semplici fra noi: il pregare in ginocchio in pubblico, non trattare i sacramenti di nostro Signore in modo irriverente e indecoroso, non buttare il corpo degli uomini morti come carogne di animali, ma seppellirli con decoro dopo averli avvolti in un lenzuolo.

Esempi della seconda categoria sono: avere ore fisse per la predicazione e per le preghiere pubbliche e per i sacramenti, avere luoghi a ciò destinati, cantici e salmi, osservare il silenzio durante la predicazione della Parola, che le donne, secondo l'ordine di san Paolo non presumano di insegnare (1 Co. 14.34); e altre norme analoghe. Dobbiamo includere in questa categoria come essenziali le ordinanze che concernono la disciplina come ad esempio: il catechismo, le ammonizioni, la scomunica, i digiuni pubblici e altre simili.

In tal modo tutte le costituzioni della Chiesa, che si debbono considerare buone e sante, si possono ricondurre a queste due serie di problemi: lo stabilire cerimonie da un lato e dall'altro il mantenere la disciplina e la concordia.

30. Poiché sorge a questo punto il pericolo che quei vescovi mitrati prendano occasione di giustificare le loro leggi pestifere e tiranniche, quasi ricavando qualche giustificazione da quanto abbiamo detto e chi vi siano, d'altra parte, alcuni che per timore di ricadere nella deplorevole schiavitù in cui abbiamo vissuto, respingano esplicitamente ogni regolamento ecclesiastico, per quanto buono e santo esso sia, devo chiarire che non ho inteso approvare altre costituzioni se non quelle che risultano fondate sull'autorità di Dio e tratte dalla Scrittura, e si possono perciò ritenere autenticamente divine.

Ad esempio l'abitudine di inginocchiarci nel caso di preghiere solenni; dobbiamo considerare questa prassi tradizione umana che sia lecito ad ognuno accettare o respingere? La considero umana ma nello stesso tempo divina. È: da Dio in quanto fa parte di quel decoro che l'Apostolo ci raccomanda (1 Co. 14.40); è umana in quanto ci esplicita ed esemplifica quello che dall'apostolo era stato espresso in modo generale.

Da questo esempio siamo in grado di dedurre ciò che dobbiamo pensare di tutto il resto. In sostanza la questione è da porre in questi termini: poiché Dio ci ha esplicitamente dichiarato, nella sua parola, qual sia l'autentica norma di giustizia, il modo di servirlo rettamente e tutto quanto è necessario alla nostra salvezza, dobbiamo accogliere lui quale unico maestro in questa materia.

In materia di disciplina esteriore e di cerimonie, non ha voluto dare indicazioni dettagliate riguardo al modo di governarci, in quanto ciò dipende dalla diversità dei tempi e una forma unica non risulterebbe né utile né adeguata a tutte le età. È dunque necessario ricorrere alle norme generali di cui si è parlato: che cioè ogni cosa si faccia, nella Chiesa, con decoro e ordine. Infine poiché Dio non ha dato indicazioni esplicite, non trattandosi di realtà necessarie alla nostra salvezza, poiché è necessario usare di queste cose in modo diverso a seconda delle necessità, avendo in vista l'edificazione, dobbiamo trarre la conclusione che si possono istituire nuove norme e abolire quelle tradizionali, secondo l'utilità della Chiesa. Ammetto che non sia bene innovare tutti i momenti e per futili motivi, ma l'amor fraterno ci mostrerà molto chiaramente ciò che è in grado di edificare o di nuocere. Tutto andrà per il meglio, se accettiamo di essere guidati dalla carità.

31. È compito del popolo cristiano serbare le ordinanze, emanate a questo scopo, e adeguate a questa norma, e non per spirito di superstizione, ma in libertà di coscienza, sottoponendosi tuttavia di buon grado ad esse. Ora se è cosa Ma.fatta disprezzarle per pigrizia, molto peggio sarebbe violarle per spirito di contesa o di ribellione.

Che libertà di coscienza si può avere, dirà qualcuno, quando si sia tenuti ad osservarle in questo modo? Penso che la coscienza non cesserà di esser libera e spontanea, quando si tenga presente che le leggi a cui a si sottomette, non hanno carattere assoluto ma sono ausili esteriori per la debolezza umana, ausili di cui, quantunque non tutti abbiano necessità, è d'uopo tutti facciano uso in quanto siamo impegnati a mantenere carità reciproca gli uni con gli altri, come risulta chiaramente dagli esempi citati.

Vi è forse un sì grande mistero nell'acconciatura femminile, che si debba considerare delitto una donna in strada a capo scoperto? È forse stato imposto il silenzio in modo tale che non possa parlare senza commettere un grande peccato? Fanno forse parte della religione il pregare in ginocchio, seppellire i morti al punto che non si possa trascurare queste cose senza commettere delitto? No di certo, poiché se per l'urgenza di un aiuto da recare al vicino una donna fosse impedita di pettinarsi non commette affatto peccato se accorre a capo scoperto; e vi son circostante in cui è meglio parlare che tacere.

Non c'è nessun impedimento a che un malato preghi in piedi se non può inginocchiarsi. Infine in mancanza di un lenzuolo per avvolgere un morto, è meglio metterlo in terra nudo che lasciarlo senza sepoltura.

Nondimeno, per ben comportarci in questa materia, dobbiamo conformarci all'uso e alle leggi del paese dove viviamo e adottare una certa modestia che ci mostri ciò che bisogna seguire o evitare. Se alcuno pecca in queste cose, per dimenticanza o inavvertenza, non c'è nessun peccato; se è per spirito di opposizionel suo rifiuto è invece da condannare. Analogamente sono privi di importanza i giorni, le ore o l'edificio del culto, quali salmi si canti un giorno o l'altro; è però opportuno, se si vuol aver riguardo a mantenere la pace e la concordia, che siano stabiliti i giorni e le ore del culto, il luogo sia ampio per raccogliere tutti i fedeli. Quali sarebbero le conseguenze del disordine in questa materia qualora fosse lecito ad ognuno inventare, a suo piacimento, le cose che concernono l'ordine pubblico! È chiaro infatti che uno stesso provvedimento non avrebbe l'adesione di tutti, qualora le cose fossero lasciate nell'incertezza e alla decisione di ognuno. Chi vuol essere più saggio di quanto occorre consideri se ha buone motivazioni davanti a Dio. Per conto nostro ci basta la parola di san Paolo: "non abbiamo l'abitudine di essere contenziosi, e neppure le Chiese di Dio " (1 Co. 11.16).

32. Bisogna dunque vegliare con diligenza a che nessun errore sopravvenga ad oscurare e macchiare la purezza di questa prassi. Questo si verificherà se tutte le cerimonie di cui si fa uso avranno utilità evidente, se non saranno accolte in numero eccessivo, se specialmente il pastore veglierà con opportuni insegnamenti a sbarrare la strada ad ogni falsa opinione. Questa conoscenza farà sì che ognuno di noi avrà piena libertà in questa materia e non di meno ognuno liberamente imporrà un limite alla sua libertà laddove lo richiedono il decoro di cui abbiamo parlato, o la carità.

Anzi farà sì che osserveremo le cose suddette senza superstizione e non costringeremo gli altri ad osservarle, in quanto non faremo consistere il culto di Dio in moltitudine di cerimonie; una Chiesa non criticherà l'altra per la diversità delle forme esteriori, e infine, evitando di dare alle nostre leggi un carattere definitivo, riferiremo all'edificazione della Chiesa l'uso e il fine delle cerimonie, e in base alle esigenze di questa edificazione, saremo disposti a tollerare non solo il cambiamento di qualche cerimonia ma anche la soppressione e l'abolizione di tutte quelle che sono state in uso nel passato. Il tempo presente ci insegna che è bene, secondo l'opportunità dei tempi, sopprimere alcune pratiche che di per se non erano né sconvenienti né cattive. Ha regnato infatti nel passato una tale ignoranza che le Chiese si sono impegnate nell'osservanza delle cerimonie con intendimenti così corrotti e zelo così ostinato che a fatica si potrà purificarle dalle orribili superstizioni, sotto le quali sono state sepolte, senza ricorrere all'eliminazione di molte cerimonie, le quali erano state istituite nel passato, a ragione, e non sarebbero di per se da condannare.