Letteratura/Istituzione/2-12
Istituzioni della religione cristiana (Calvino) |
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CAPITOLO XIIPER COMPIERE L'UFFICIO DI MEDIATORE GESÙ CRISTO HA DOVUTO DIVENTARE UOMO
1. Colui che doveva essere il nostro mediatore doveva necessariamente essere vero Dio e vero uomo. Questa necessità non è implicita e assoluta, come si dice: se ne deve cercare la causa nel decreto eterno di Dio, dal quale dipende la salvezza umana.
Il Padre clemente e buono ha stabilito quanto sapeva esserci più utile. Le nostre iniquità avevano gettato una nube tra lui e noi impedendoci di giungere a lui, allontanandoci completamente dal regno dei cieli, non poteva esserci, di conseguenza, alcun modo di riconciliarci che non venisse da lui stesso. Chi avrebbe potuto avvicinarsi? Qualcuno dei figli di Adamo forse? Tutti avevano orrore della sua alta maestà, come il loro progenitore. Qualche angelo? Ma anch'essi avevano bisogno di un Capo per mezzo del quale potessero essere confermati nell'alleanza eterna con Dio. Non vi era dunque alcun rimedio alla situazione disperata, se la maestà stessa di Dio non fosse discesa a noi: non essendo in nostro potere salire a lui.
Per questo è stato necessario che il figlio di Dio divenisse Emanuele, vale a dire: "Dio con noi "; a condizione che la sua divinità e la natura umana fossero unite insieme, altrimenti non vi sarebbe stata unità sufficiente né affinità bastante per farci sperare che Dio abitasse con noi. La distanza era troppo grande tra il nostro peccato e la sua purezza. Quand'anche l'uomo fosse rimasto integro, la sua condizione era troppo inferiore per potersi innalzare fino a Dio; tanto meno poteva farlo dopo essersi immerso nella rovina mortale dell'inferno! Dopo essersi macchiato di tante colpe, avvelenato nella propria corruzione e sprofondato nell'abisso della maledizione!
Non è dunque senza motivo che san Paolo, volendo additare Gesù Cristo quale mediatore, lo definisce "uomo ": "Vi è un mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, che è uomo ", (1 Ti. 2.5). Poteva chiamarlo Dio oppure omettere l'una e l'altra definizione. Ma lo Spirito Santo che parla per bocca sua, conoscendo la nostra debolezza, adopera questa definizione per porvi rimedio: ci presenta il figlio di Dio nella nostra stessa condizione per farci sentire familiari con lui. Affinché nessuno si tormenti nella ricerca di questo mediatore e si preoccupi di dove possa trovarlo, lo chiama uomo al fine di avvertirci della sua vicinanza: non potrebbe essere maggiormente vicino a noi, dato che è nostra carne.
In sostanza, l'Apostolo fa riferimento a quanto è spiegato più diffusamente altrove: abbiamo un sacerdote che può aver compassione delle nostre infermità dato che è stato tentato come gli uomini lo sono; ma non ha alcuna macchia di peccato (Eb. 4.15).
2. Questo risulterà ancor più chiaro se consideriamo l'importanza della funzione del Mediatore: egli ci riconduce alla grazia di Dio di sorta che diventiamo suoi figli ed eredi del suo regno: mentre dovremmo essere eredi del fuoco infernale come discendenti maledetti di Adamo. Chi avrebbe potuto realizzare questo, se il figlio di Dio stesso non fosse diventato uomo e non avesse accettato ciò che è nostro per poterci dare ciò che è suo, facendo nostro per grazia quanto era suo per natura?
Con questo pegno, colui che è figlio di Dio per natura ha assunto un corpo simile al nostro ed è stato fatto carne della nostra carne ed ossa delle nostre ossa, abbiamo la sicura certezza di essere figli di Dio suo padre: egli non ha disdegnato di assumere quanto ci era proprio e in questo modo di essere insieme con noi figlio di Dio e figlio dell'uomo. Qui sta l'origine della santa fraternità che egli ci annunzia dicendo: "Io salgo al padre mio e padre vostro, all'Iddio mio e all'Iddio vostro " (Gv. 20.17). Da questo pensiero riceviamo assicurazione dell'eredità celeste: il figlio unigenito di Dio, cui appartiene l'eredità universale, ci ha adottati quali fratelli e di conseguenza ci ha fatti eredi con lui (Ro 8.17).
Inoltre era massimamente utile che il nostro futuro redentore fosse vero Dio e vero uomo, dovendo sconfiggere la morte; e chi avrebbe potuto riuscirci, se non colui che è la vita stessa? Doveva vincere il peccato; e chi avrebbe potuto farlo, se non colui che è la giustizia? Toccava a lui distruggere le potenze del mondo e dell'aria; e chi avrebbe potuto ottenere questa vittoria se non colui che è potenza superiore ad ogni autorità? Dove risiedono la vita, la giustizia e l'imperio del cielo se non in Dio? È: lui dunque che per la sua infinita clemenza si è fatto nostro redentore nella persona del suo figlio unigenito, per poterci riscattare.
3. L'altro aspetto della nostra riconciliazione con Dio è questo: l'uomo rovinato e perduto a motivo della propria disobbedienza, avrebbe dovuto, come rimedio, realizzare un'obbedienza tale da soddisfare il giudizio di Dio, pagando il dovuto per il suo peccato. Così il Signore Gesù è apparso in veste di Adamo, ne ha preso il nome mettendosi al suo posto al fine di obbedire al Padre, presentare il proprio corpo quale prezzo di soddisfazione del suo giusto giudizio e sopportare la pena che noi avevamo meritata nella carne in cui la colpa era stata commessa.
Insomma, dato che solo Dio non poteva subire la morte in se stesso e l'uomo non la poteva vincere, ha unito la natura umana a quella divina per sottomettere la debolezza della prima alla morte e così purificarci e liberarci dai nostri misfatti; e per acquistarci vittoria in virtù della seconda, sostenendo per noi la lotta con la morte.
Per questo motivo chi sottrae a Gesù Cristo la sua divinità o la sua umanità, ne sminuisce la maestà e la gloria, ne oscura la bontà e la grazia; e d'altra parte ferisce ugualmente l'uomo, distruggendone la fede, che non può mantenersi se non poggia su questo fondamento.
C'è di più: è stato necessario che i credenti aspettassero come loro redentore questo figlio di Abramo e di Davide, che Dio aveva loro promesso nella Legge e nei Profeti. Le anime fedeli ne traggono ancora un frutto: risalendo all'origine, condotti fino a Davide ed Abramo, essi hanno modo di conoscere meglio e più chiaramente che il nostro Signore Gesù è quel Cristo di cui tanto avevano parlato i profeti.
Teniamo a mente soprattutto quanto ho detto dinanzi, vale a dire che il figlio di Dio ci ha dato un pegno valido del legame che abbiamo con lui attraverso la natura che ha in comune con noi; e che, vestito della nostra carne, ha sconfitto la morte e il peccato affinché la vittoria ed il trionfo fossero nostri; ed ha offerto in sacrificio questa carne che aveva presa da noi affinché, avendo purificato i peccati, cancellasse la nostra condanna e placasse l'ira di Dio suo padre.
4. Chi esaminerà tutto questo con la dovuta attenzione non darà peso alcuno alle stravaganti speculazioni da cui si lasciano trasportare alcuni spiriti incostanti ed assetati di novità. Alcuni di essi sollevano la seguente questione: anche se il genere umano non avesse avuto alcun bisogno di essere riscattato, Gesù Cristo sarebbe egualmente divenuto uomo.
Riconosco che nella condizione originaria della creazione, nell'integrità della natura, egli già era stabilito quale capo sugli uomini e sugli angeli; per questo motivo san Paolo lo definisce primogenito di tutte le creature (Cl. 1.15). Ma la Scrittura dichiara con ogni chiarezza che è stato rivestito della nostra carne per divenire redentore: è dunque una supposizione temeraria immaginare altra causa o altro scopo della sua incarnazione.
La ragione per cui è stato promesso fin dal principio è chiara: per restaurare il mondo che era caduto in rovina e soccorrere gli uomini che erano perduti. Per questo motivo nei sacrifici sotto la Legge era raffigurata la sua immagine affinché i credenti sperassero nella misericordia di Dio e fossero riconciliati con lui mediante l'espiazione dei peccati.
Certo in tutti i secoli, anche prima della promulgazione della Legge, la promessa del mediatore è stata associata sempre al sangue: dobbiamo dedurne che era destinato dalla volontà eterna di Dio a purificare le colpe umane, dato che spargere il sangue è un segno di riparazione dell'offesa. Nello stesso modo i profeti hanno parlato di lui, promettendo che verrebbe a riconciliare Dio e gli uomini. Per ora ci basti la testimonianza di Isaia particolarmente solenne: dice che sarà colpito dalla mano di Dio per i delitti del popolo, che il castigo per cui abbiamo pace sarà su lui, che sarà sacerdote per offrirsi quale vittima, che ci guarirà con le sue piaghe, che tutti si sono smarriti come pecore erranti, che è piaciuto a Dio di affliggerlo perché portasse le iniquità di tutti (Is. 53.4-5). Ci vien detto che Gesù Cristo è stato stabilito dal decreto inviolabile del cielo per soccorrere i peccatori; ne dobbiamo concludere che chi va al di là di queste affermazioni, toglie ogni freno alla propria folle curiosità.
Egli stesso, apparso nel mondo, ha dichiarato che lo scopo della sua venuta era di trarci dalla morte alla vita riconciliandoci con Dio. Gli apostoli si sono espressi nello stesso senso. San Giovanni, prima di dire che la Parola è stata fatta carne, parla della rivolta e della caduta dell'uomo (Gv. 1.9.10.14). Ma la cosa migliore e ascoltare Gesù Cristo stesso che descrive il proprio ufficio "Dio ha tanto amato il mondo che non ha risparmiato il proprio figlio unigenito ma l'ha dato alla morte onde tutti quelli che credono in lui non periscano ma abbiano vita eterna " (Gv. 3.16; "L'ora è venuta e i morti udranno la voce del figlio di Dio e quelli che l'avranno udita vivranno " (Gv. 5.25); "Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me anche se muoia vivrà " (Gv. 11.25); "Il figlio dell'Uomo è venuto per salvare quel che era perito " (Mt. 18.2); "I sani non hanno bisogno del medico " (Mt. 9.12). Non finiremmo mai se volessimo raccogliere tutti i passi che si esprimono in questo senso. Gli apostoli sostengono unanimemente questa tesi.
Infatti, se non fosse venuto per riconciliarci con Dio, la sua dignità sacerdotale cadrebbe, dato che il sacerdote è interposto tra Dio e gli uomini per ottenere il perdono dei peccati (Eb. 5.1); non rappresenterebbe la nostra giustizia, dato che è stato fatto vittima al posto nostro onde Dio non ci imputasse i nostri errori (2 Co. 5.19); in breve, sarebbe spogliato di tutti i titoli con cui la Scrittura lo onora. Sarebbe anche contraddetta l'affermazione di san Paolo che Dio ha mandato suo figlio per compiere quanto era impossibile alla Legge, portare cioè i nostri peccati in carne simile a peccato (Ro 8.3). Né sussisterebbe quanto dice in un altro passo: la grande bontà di Dio ed il suo amore verso gli uomini sono diventati noti quando ci ha dato suo figlio quale redentore (Tt. 2.14).
Insomma la Scrittura attribuisce all'incarnazione di Cristo e alla sua venuta quale inviato di Dio, il solo fine di essere sacrificio di soddisfazione per placare la giustizia divina. Così è stato scritto e così Gesù Cristo ha dovuto soffrire perché si potesse predicare il pentimento in suo nome, dice san Luca (Lu 24.26-46). Lo stesso in san Giovanni: "Il padre mi ama perché metto la mia vita per le mie pecore. Il Padre me l'ha ordinato " (Gv. 10.17); "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il figlio dell'Uomo sia innalzato " (Gv. 3.14); "Padre, salvami da quest'ora! Ma è per questo che sono venuto. Padre glorifica tuo figlio " (Gv. 12.27-28). In questi passi mette in rilievo specialmente il fine per cui ha rivestito la carne umana: essere fatto sacrificio e soddisfazione per abolire i peccati. Per lo stesso motivo Zaccaria dice, nel suo cantico, che egli è venuto secondo la promessa data ai padri per illuminare quelli che si trovano nelle tenebre della morte (Lu 1.79).
Ricordiamoci che tutte queste cose sono insegnate dal figlio di Dio, nel quale, dice san Paolo, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e dell'intelligenza (Cl. 2.3) : e l'Apostolo si vanta di non conoscere nulla all'infuori di lui (1 Co. 2.2).
5. Qualcuno può obiettare che questo non impedisce che Gesù Cristo, il quale ha riscattato i dannati, avrebbe potuto anche dimostrare il suo amore verso quanti erano rimasti sani ed integri rivestendone la natura; la risposta è semplice. Lo Spirito Santo dichiara che per volontà di Dio queste due cose sono collegate insieme: egli doveva essere nostro redentore e partecipare alla nostra natura. Non è lecito domandarsi di più. Se qualcuno, insoddisfatto dal decreto immutabile di Dio, è mosso dal desiderio di saperne di più, dimostra così facendo di non accontentarsi di Gesù Cristo, datoci quale prezzo di redenzione.
San Paolo non dice solo perché Cristo ci è stato inviato: ma trattando il grande mistero della predestinazione, mette la briglia ai desideri folli e alla tracotanza dello spirito umano affermando che il Padre ci ha eletti prima della creazione del mondo per adottarci quali suoi figli, secondo il proposito della sua volontà; e ci ha accettati nel nome del suo figlio prediletto, nel cui sangue abbiamo la redenzione (Ef. 1.4-5). Non presuppone qui che la caduta di Adamo sia stata anteriore nel tempo ma espone la determinazione presa da Dio prima di tutti i secoli per rimediare all'infermità del genere umano.
Qualcuno ancora obbietta che questa decisione di Dio è stata originata dalla caduta dell'uomo che egli prevedeva. Quanti si concedono il lusso di cercare in Cristo più di quanto Dio vi abbia predestinato nel suo segreto proposito, si arrischiano a inventare un nuovo Cristo seguendo la propria sfrenata pazzia! San Paolo, dopo aver parlato del vero ufficio di Gesù Cristo, prega giustamente perché sia dato spirito d'intelligenza ai credenti per comprendere la lunghezza, l'altezza, la larghezza e la profondità della carità di Cristo, che supera ogni conoscenza (Ef. 3.16-18) : Egli sembra, di proposito, imbrigliare la nostra mente con delle remore per impedirle di allontanarsi da una parte o dall'altra quando si fa menzione del Cristo, e per invitarla ad attenersi alla grazia della riconciliazione che egli ci ha portato. Avendo lo stesso Apostolo detto altrove essere certo e indubitabile che Gesù Cristo è venuto per salvare i peccatori (1 Ti. 1.15) , accolgo volentieri questa parola. Insegna anche che la grazia manifestataci nell'Evangelo ci è stata data in Gesù Cristo prima di tutti i tempi e di tutti i secoli (2Ti 1.9) : ne concludo che dobbiamo attenerci ad essa fino alla fine.
Osiandro non si attiene a questi limiti. Il problema era stato sollevato da alcuni nel passato ma egli ha infelicemente ripreso la questione fino a sconvolgere la Chiesa.
Egli accusa di presunzione quanti dichiarano che se Adamo non fosse caduto, il figlio di Dio non sarebbe apparso incarnato, perché, a suo giudizio, non vi sarebbero affermazioni certe della Scrittura al riguardo. E invece san Paolo ha posto un freno a questa perversa curiosità allorché, dopo aver parlato della redenzione operata da Gesù Cristo, ordina di fuggire ogni questione assurda (Tt. 3.9).
La frenesia di alcuni è giunta al punto da porsi l'interrogativo se il figlio di Dio avrebbe potuto prendere la natura di un asino, spinti com'erano dall'ossessione di essere considerati sottili ragionatori! Osiandro giustifica la domanda (che ogni persona che abbia timor di Dio sente con orrore) e la giustifica Cl. pretesto che essa non è esplicitamente condannata; io gli obbietto che san Paolo, non desiderando conoscere altro che Gesù Cristo crocifisso (1 Co. 2.2) , Si guarderebbe bene dall'accettare un asino quale autore della salvezza. Altrove l'Apostolo insegna che Gesù Cristo è stato stabilito dalla volontà eterna di Dio quale capo per raccogliere tutte le cose (Ef. 1.22) : per lo stesso motivo non riconoscerà mai un Cristo che non abbia avuto il compito di riscattare.
6. Il principio su cui Osiandro fonda la sua sicurezza è frivolo: l'uomo è stato creato ad immagine di Dio, egli dice, perché è stato formato sul modello del Cristo onde egli fosse raffigurato in quella natura umana di cui il Padre aveva decretato rivestirlo. Egli ne deduce che anche qualora Adamo non fosse mai decaduto dalla sua situazione originale, Cristo non avrebbe per questo mancato di diventar uomo. Ogni persona di buon senso vede quanto l'affermazione sia futile, contorta, tirata per i capelli, come si dice.
Quest'uomo pieno d'orgoglio crede di essere il primo ad aver capito cosa sia l'immagine di Dio ed afferma che non solo la gloria di Dio risplendeva in Adamo, nei doni eccellenti di cui era ornato, ma anche che Dio abitava sostanzialmente in lui. Riconosco che Adamo portava l'immagine di Dio in quanto era congiunto con lui, questo costituisce la vera e sovrana perfezione della sua dignità, ma affermo che l'immagine di Dio deve essere cercata nei segni della eccellenza che nobilitavano Adamo a differenza di tutti gli animali. immagine di Dio e che di conseguenza da lui proveniva quanto di eccellente vi era in Adamo, egli si avvicinava alla gloria del suo Creatore per mezzo del Figlio unigenito. L'uomo è stato creato ad immagine di colui che l'ha formato (Ge 1.27); di conseguenza è come uno specchio in cui splende la gloria di Dio. {i stato innalzato dalla gloria del Figlio a questo alto onore.
Ma bisogna aggiungere nel contempo che questo Figlio è stato capo sia degli angeli che degli uomini, tanto che la dignità data all'uomo era la stessa che apparteneva anche agli angeli. Se la scrittura li chiama "figli di Dio ", non si può negare che abbiano impressi dei segni che fan sì che rappresentano il padre loro.
Se dunque Dio ha voluto mostrare la sua gloria negli angeli come negli uomini ed ha voluto renderla evidente in ambedue le nature, Osiandro sbaglia scioccamente dimenticando gli angeli come se non portassero l'immagine di Gesù Cristo. Se non gli fossero simili non godrebbero in continuità della sua presenza e del suo sguardo. San Paolo insegna che gli uomini sono rinnovati ad immagine di Dio per essere simili agli angeli e uniti a loro sotto lo stesso capo. Insomma, se prestiamo fede a Gesù Cristo, la nostra suprema felicità consisterà nell'essere uguali agli angeli, dopo essere stati accolti in cielo. Se si accetta la tesi di Osiandro, secondo cui il primo e principale modello dell'immagine di Dio è stato rappresentato da quella natura umana che Gesù Cristo doveva assumere, se ne potrà anche dedurre, al contrario, che egli doveva prendere anche la forma angelica, dato che anch'essa contiene impressa l'immagine di Dio.
7. Osiandro non tema dunque che Dio venga accusato di menzogna qualora non abbia avuto in mente l'immutabile e definitivo proposito di dare al figlio suo corpo umano. Anche se la condizione umana non fosse stata distrutta, Cristo non avrebbe per questo mancato di essere simile a Dio insieme agli angeli; senza che tuttavia fosse necessario per il figlio di Dio divenire uomo oppure angelo.
Ingiustificato è anche il suo timore che qualora la volontà immutabile di Dio non avesse deliberato, prima della creazione di Adamo, che Gesù Cristo doveva nascere uomo, non come redentore ma come primo uomo, il suo onore ne sarebbe stato sminuito, dato che solo per accidente sarebbe nato in vista di restaurare il genere umano perduto, e sarebbe stato così creato ad immagine di Adamo. Perché dovrebbe temere quello che la Scrittura insegna apertamente, vale a dire che Cristo è stato fatto del tutto simile a noi salvo nel peccato (Eb. 4.15) ? San Luca non ha nessuna difficoltà a chiamarlo nella sua genealogia figlio di Adamo (Lu 3.38).
Vorrei anche sapere perché san Paolo lo chiamerebbe il secondo Adamo (1 Co. 15.45) se non perché il Padre lo ha assoggettato alla situazione umana per salvare i successori di Adamo dalla rovina in cui erano precipitati. Se la volontà divina di dargli forma umana avesse preceduto la creazione, dovrebbe essere chiamato il primo Adamo. Osiandro afferma che siccome Gesù Cristo era predestinato dalla mente di Dio a divenire uomo, tutti sono stati formati su quel modello. San Paolo al contrario chiamando Gesù Cristo secondo Adamo pone, tra l'origine e la restaurazione ottenutaci da Cristo, la rovina e la confusione che sono intervenute, fondando la venuta di Gesù Cristo sulla necessità di ricostituirci nella nostra situazione. Ne deduco che questa è stata la causa dell'incarnazione del figlio di Dio.
Osiandro afferma anche scioccamente che se Adamo si fosse mantenuto nella sua integrità sarebbe stato immagine di se stesso e non di Gesù Cristo. Anche se il figlio di Dio non fosse mai divenuto carne, l'immagine di Dio non avrebbe cessato di splendere nei nostri corpi e nelle nostre anime e attraverso i raggi di questa immagine sarebbe sempre apparso che Gesù Cristo è veramente il capo, avendo la preminenza su tutti gli uomini.
In questo modo è risolto anche un altro futile cavillo: gli angeli, egli dice, sarebbero rimasti privi di questo capo se Dio non avesse determinato in se stesso di far uomo suo figlio, senza che il peccato di Adamo lo richiedesse. Egli considera evidente ciò che nessuna persona di buon senso gli concede: vale a dire che Gesù Cristo ha preminenza sugli angeli solo in quanto è uomo.
Al contrario è facile dedurre dalle parole di san Paolo che, in quanto è Parola eterna di Dio, egli è anche il primogenito di ogni creatura (Cl. 1.15); non che sia stato creato o che debba essere considerato tra le creature, ma in quanto il mondo, nella sua perfezione iniziale, non ha avuto altro principio. In quanto è stato fatto uomo, è chiamato "primogenito dai morti " (Cl. 1.18). L'Apostolo riassume l'una e l'altra affermazione quando dice che tutte le cose sono state create mediante il figlio, affinché dominasse sugli angeli, ed è stato fatto uomo onde poter svolgere la funzione di redentore.
Un'altra sciocchezza di Osiandro consiste nell'affermare che gli uomini non avrebbero avuto Gesù Cristo quale re se non fosse stato uomo. Forse non si potrebbe parlare di un regno e un dominio di Dio qualora il Figlio unico, anche senza aver rivestito la carne umana, avesse raccolto sotto di se gli uomini e gli angeli, dominandoli con la propria gloria? Si fuorvia sempre di nuovo o meglio rimane incantato nella fantasticheria che la Chiesa sarebbe stata priva di testa se Gesù Cristo non fosse apparso in carne. Come se non avesse potuto avere la preminenza sugli uomini grazie alla propria potenza divina, dando loro vigore con la forza invisibile del suo Spirito, così come si dimostra capo degli angeli!
Osiandro considera le sciocchezze sin qui refutate come oracoli infallibili, essendosi abituato a costruire i suoi trionfi inebrianti sul nulla. Alla fine si vanta di avere un argomento invincibile e definitivo nella profezia di Adamo il quale, vedendo Eva sua moglie, dice: "Ecco finalmente le ossa delle mie ossa, la carne della mia carne " (Ge 2.23). Ma come può provare trattarsi di una profezia? Risponderà forse che in san Matteo Gesù Cristo attribuisce la frase a Dio. Come se tutto quello che Dio dichiara attraverso gli uomini contenesse una profezia relativa al futuro. In questo modo ogni precetto della Legge dovrebbe contenere una profezia, dato che sono stati tutti dati da Dio! Vi sarebbe di peggio, se volessimo credere a queste fantasticherie: Gesù Cristo sarebbe stato un commentatore umano soddisfatto del senso letterale, infatti non fa riferimento all'unione mistica che lo lega alla Chiesa ma menziona il passo per mostrare quale fede e quale lealtà il marito debba alla propria moglie, dato che Dio ha dichiarato che uomo e donna sarebbero una sola creatura; e in questo modo dimostra non essere lecito rompere questo legame indissolubile con il divorzio. Se Osiandro disprezza questo significato semplice, rimproveri anche a Gesù Cristo di non aver nutrito i discepoli con questa bella allegoria, che egli propone, e di non aver quindi interpretato con sufficiente acume le parole del Padre!
Né le citazioni di san Paolo giovano alla sua tesi. San Paolo dopo aver detto che siamo carne di Cristo, esclama: "questo è un grande mistero " (Ef. 5.30). Non vuol spiegare in qual senso Adamo abbia pronunciato la frase: ma con il paragone del matrimonio vuole spingerci a considerare l'unione sacra che ci congiunge a Gesù Cristo. Anche le parole lo dimostrano: dichiarando di parlare di Cristo e della Chiesa l'Apostolo pone un avvertimento perché si distingua il matrimonio dall'unione spirituale di Gesù Cristo con la Chiesa. E così il ciarlare di Osiandro svanisce da solo.
Né sarà necessario valutare tutti questi argomenti, dato che questa breve refutazione ne ha sufficientemente sottolineato la futilità. Comunque sia, i figli di Dio si accontenteranno della sobria affermazione che quando la pienezza dei tempi è venuta, egli ha mandato il suo figliuolo, nato di donna, sottoposto alla Legge, per riscattare quanti erano sotto la Legge (Ga 4.4).