Letteratura/Elezione/05
La dottrina dell'Elezione (A. W. Pink) |
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5. L'elezione: la sua natura
E' stato ben detto che, "La ragione per la quale noi crediamo nell'elezione è perché la troviamo nella Bibbia. Nessuno potrebbe, infatti, mai anche solo immaginare una tale dottrina, contraria com'è dal pensiero e dai desideri del cuore umano. Tutti, infatti, all'inizio, fanno opposizione a questa dottrina, ed è solo dopo molte lotte, sotto l'opera dello Spirito di Dio, che ci viene dato di accoglierla. Una perfetta acquiescenza a questa dottrina - un assoluto silenzio in noi stessi, in adorante contemplazione, ai piedi della sovranità di Dio, è l'ultima acquisizione in questa vita dell'anima santificata, così come si trova alla soglia del Cielo. La ragione per la quale si crede nell'Elezione è questa e solo questa: che Dio ce l'ha fatta conoscere. Se la Bibbia fosse stata una contraffazione, non avrebbe mai potuto contenere la dottrina dell'elezione, perché gli uomini sarebbero troppo avversi ad un tale pensiero per darne espressione, ed ancor meno prominenza" (George Sayles Bishop) [vedi nota 1].
Fin ora, nell'esposizione che abbiamo fatto di questa verità benedetta, abbiamo mostrato come la fonte dell'elezione sia la volontà di Dio, perché nulla esiste o può esistere a parte da essa. Abbiamo poi visto come il grandioso Originale dell'elezione sia l'uomo Gesù Cristo, destinato ad essere unito con la seconda Persona della Trinità. Poi, per sgombrare la strada davanti a noi in vista di un più dettagliato esame di questa dottrina, abbiamo dimostrato la sua verità come pure la sua giustizia, cercando di rimuovere dalla mente dei lettori cristiani gli effetti di disturbo e contaminazione della principale obiezione che viene addotta contro la divina elezione da parte dei suoi avversari. Cercheremo ora di rilevare quale siano gli elementi principali che la caratterizzano.
Un atto di Dio. L'elezione, in primo luogo è un atto di Dio. E' vero, viene il giorno in cui ciascuno degli eletti sceglie Dio come assoluto suo Sovrano e Bene supremo, ma questo è l'effetto e in nessun senso la causa della prima. La scelta che noi facciamo di Lui avviene nel tempo; la Sua scelta è avvenuta prima che il tempo iniziasse. E' certo che se Lui non ci avesse prima scelto, noi non avremmo affatto scelto Lui. Dio, che è un Essere sovrano, fa tutto ciò che Gli piace sia in cielo che in terra. Egli ha il diritto assoluto di fare con le Sue creature tutto ciò che vuole, e quindi Egli ha scelto un certo numero di esseri umani affinché diventassero il Suo popolo, i Suoi figli e figlie, il Suo tesoro particolare. E' per questo che l'elezione è chiamata "elezione di Dio" ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. 1 Tessalonicesi 1:4]), perché Egli ne è la causa efficiente, e le persone scelte sono chiamate "i Suoi eletti" ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Luca 18:7]; cfr. [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Romani 8:33]).
Una scelta assoluta. Questa scelta da parte di Dio è una scelta assoluta, interamente fondata sulla grazia e non dipendente da alcunché di esterno a Lui. Dio elegge chi elegge semplicemente perché sceglie di farlo, non perché abbia visto un qualche bene o merito nella creatura che Lo abbia attratto, e neanche sulla base di meriti o caratteri attraenti che abbia visto anticipatamente che si sarebbero sviluppati nella creatura. Dio è assolutamente autosufficiente e quindi non va mai al di fuori di Sé stesso per trovare una ragione per le cose che fa. Egli non è in alcun modo condizionato dalle opere delle Sue mani. Al contrario, è Lui che condiziona, perché Egli solo è Colui che ha dato loro esistenza. Infatti, noi "in lui viviamo, ci muoviamo, e siamo" (Atti1 7:28). E' stato quindi semplicemente per la spontanea bontà della Sua volizione che Dio ha estratto dalla massa di coloro che si era proposto di creare, un popolo che manifestasse le Sue lodi per tutta l'eternità, alla gloria della Sua sovrana grazia nei secoli dei secoli.
Una scelta immutabile. Questa scelta da parte di Dio è immutabile. E' necessariamente così perché non è fondata su alcunché si trovi nella creatura mutevole, o basato su alcunché si trovi fuori da Lui. Egli viene prima di ogni cosa, persino prima della Sua "precognizione". Dio non decreta qualcosa perché Egli conosca in anticipo quel che succederà (come se avvenisse per cause spontanee, impreviste ed incontrollabili), ma Egli lo conosce in anticipo proprio perché Egli lo ha infallibilmente ed irrevocabilmente fissato, determinato - altrimenti Egli semplicemente "indovinerebbe". Proprio perché Egli conosce in anticipo quel che avverrà (avendolo prestabilito) Egli non "indovina". E' certo, e se è certo, allora Egli deve averlo prefissato. Dato che l'elezione è un atto di Dio, essa è per sempre, perché tutto ciò che Egli compie come speciale grazia è irreversibile ed inalterabile. Gli esseri umani possono per un po' scegliersi i propri favoriti ed amici e poi cambiare idea e sceglierne altri al posto loro. Dio, però, non agisce in questo modo. Egli è di un'unica mente e nessuno può fargli "cambiare idea" (dopo che siano sopravvenuti "fatti imprevedibili"). Il Suo proponimento secondo elezione è fermo, sicuro ed inalterabile. "...poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione" (Romani 9:11); "il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: 'Il Signore conosce quelli che sono suoi'" (2 Timoteo 2:19).
Una scelta in Cristo. In secondo luogo, l'atto di elezione in Cristo è fatto in Cristo. "In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo" (Efesini 1:4). L'elezione di una persona non avviene perché Dio l'abbia trovata in Cristo (come se vi fosse andata di propria iniziativa), ma è essa che ve lo pone. E' l'elezione che dà agli eletti il loro essere in Cristo e la loro unione con Lui. La loro conversione manifesta il fatto che essi sono in Lui. Nell'infinita mente di Dio, Egli vuole amare una compagnia della progenie di Adamo con amore immutabile ed Egli li sceglie in Cristo per l'amore con il quale Egli li ama. Con questo atto della Sua mente infinita, dall'eternità Dio ha dato loro l'essere e la beatitudine in Cristo. Sebbene tutti siano decaduti in Adamo, non tutti sono caduti allo stesso modo. I non eletti cadono per essere dannati. Essi sono lasciati perire nei loro peccati perché non hanno rapporto con Cristo - perché Egli non era relazionato con loro come il Mediatore della loro unione con Dio.
I non eletti avevano il loro tutto in Adamo, il loro capo naturale. Gli eletti, però, si vedono impartite loro ogni benedizione spirituale perché sono in Cristo, il loro capo glorioso e pieno di grazia ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Efesini 1:3]). Essi non possono perdere queste benedizioni perché sono state loro assicurate in Cristo. Dio li ha scelti come Suoi, essi Suo popolo e Lui loro Dio; Egli loro Padre ed essi Suoi figli. Egli li ha affidati a Cristo per essere i Suoi fratelli, i Suoi compagni, la Sua sposa, i Suoi partner in tutta la Sua incomunicabile grazia e gloria. Vedendo in anticipo la loro caduta in Adamo e quali sarebbero stati i suoi effetti, il Padre si è proposto di farli risalire dalle rovine della caduta in considerazione dell'impegno di Suo Figlio di conseguire per loro ogni giustizia, e come loro Garante portare tutti i loro peccati nel Suo proprio corpo sulla croce, rendendo Sé stesso sacrificio per il peccato. L'amato Figlio di Dio è diventato uomo in Gesù Cristo per realizzare tutto questo.
E' a questo che il Signore Gesù si riferisce nella Sua preghiera sacerdotale quando dice al Padre: "Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola" (Giovanni 17:6). Qui Egli allude all'intera elezione di grazia. Essi sono l'oggetto del compiacimento del Padre; i Suoi gioielli; la Sua porzione. Agli occhi di Cristo essi sono ciò che il Padre ha contemplato che essi fossero fin dall'inizio. Quale alta considerazione il Padre deve avere per il Mediatore: se non fosse così Egli non avrebbe mai affidato i Suoi eletti alle Sue cure e gestione! Quanto grande è pure l'apprezzamento, in Cristo, del dono d'amore che Gli ha fatto il Padre, altrimenti non avrebbe intrapreso la loro salvezza ad un tale alto costo! Ora, l'affidamento degli eletti a Cristo è un atto differente e distinto dalla loro elezione. Prima gli eletti vengono dichiarati appartenere al Padre per elezione, avendo Egli sceltone le persone, e poi Egli li ha affidati a Cristo come dono del Suo amore: "Erano tuoi [attraverso l'elezione] e tu me li hai dati" allo stesso modo in cui è detto che la grazia ci è stata data in Cristo Gesù prima ancora che il mondo iniziasse: "Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità" (1 Timoteo 1:9).
Un'elezione avvenuta prima della Caduta. In terzo luogo, quest'atto di Dio è da considerarsi anteriore o comunque non dipendente dal sopraggiungere del peccato. Abbiamo già anticipato quest'aspetto del nostro tema, eppure si tratta di qualcosa circa il quale oggi ben pochi hanno chiarezza. E' necessario trattarlo separatamente a causa della sua importanza. Il punto particolare sul quale stiamo per riflettere è se Dio, nell'atto di eleggere il Suo popolo, lo abbia considerato nella sua condizione di decadimento oppure quella di innocenza; se parte della massa corrotta per la loro defezione in Adamo, oppure parte della massa, ancora da creare, di creature pure. Quelli che propendono per la prima concezione sono chiamati sublapsariani [da "sub", sotto, o dopo, e "lapso", caduta], postlapsariani o infralapsariani. Quelli che propendono per la seconda concezione sono chiamati supralapsariani o prelapsariani ("sopra" o "prima" della caduta). Nel passato questa questione è stata dibattuta a lungo nel Calvinismo e si è fatta la distinzione rispettivamente fra un Calvinismo "basso" e Calvinismo "alto". Lo scrittore di questo saggio, dopo uno studio prolungato, propende senza esitazione verso la posizione supralapsariana, consapevole che eventualmente pochi siano disposti a seguirlo su questa strada.
Il peccato ha indubbiamente coperto come un velo il più grande dei misteri della grazia (eccetto solo quello della divina incarnazione) e questo rende il nostro presente compito più difficile. Per noi è molto più facile comprendere la nostra miseria - e la redenzione da essa attraverso l'incarnazione, ubbidienza e sacrificio del Figlio di Dio, che concepire la gloria originale, eccellenza, purezza e dignità della Chiesa di Cristo, come l'eterno oggetto dei pensieri, consigli e propositi di Dio. Ciononostante, se noi ci atteniamo strettamente alle Sacre Scritture, è evidente (almeno per lo scrittore di questo saggio) che il popolo di Dio godeva di un'unione super-creaturale e spirituale con Cristo prima di poter mai avere un'unione creaturale e naturale con Adamo; come esso fosse benedetto con ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo (Efesini 1:3) prima che Adamo fosse decaduto e soggetto di tutti i mali della maledizione. Riassumiamo prima le ragioni addotte da John Gill in appoggio a questo.
Il divino decreto di elezione può essere suddiviso in due parti o gradi, cioè: (1) il Suo proposito al riguardo del fine che con esso Egli si prefigge e (2) il Suo proposito al riguardo dei mezzi da usarsi per raggiungere quel fine. La prima parte ha a che fare con il proposito di Dio in Sé stesso, per il quale Egli determina di riservarsi un popolo eletto e per la propria gloria. La seconda parte ha a che fare con l'effettiva esecuzione della prima, fissando i mezzi che dovranno essere usati affinché quel fine sia realizzato. Queste due parti del decreto divino non devono essere né separate né confuse, ma devono essere considerate distintamente. Il proposito di Dio al riguardo del fine che Egli si propone significa che Dio stabilisce che vi debba essere un certo popolo da rendere oggetto dei Suoi speciali favori per la glorificazione della Sua bontà e grazia sovrane. Il Suo proposito al riguardo dei mezzi da usarsi significa che Egli determina di creare quel popolo, di permettere la sua caduta e di risollevarli da essa attraverso la redenzione ad opera di Cristo e la santificazione ad opera dello Spirito. Essi non devono essere considerati decreti separati, ma parti componenti e gradi di un unico proposito. Nei divini consigli c'è ordine altrettanto definito e reale di quello mostrato in [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Genesi 1] in connessione della sequenza dei giorni della creazione.
Dato che il proposito al riguardo del fine che Dio si prefigge è il primo che si veda (nell'ordine della natura) prima di determinare i mezzi dei quali Egli intende avvalersi, ciò che è primo nelle intenzioni viene necessariamente ultimo nella sua esecuzione (in quanto ne è il risultato finale). Ora, dato che la gloria di Dio è l'ultima nell'esecuzione (essendone il risultato finale), ne consegue necessariamente che essa fosse la prima nelle divine intenzioni. Gli esseri umani, dunque, nel divino proposito al riguardo del fine, Egli li ha considerati come né ancora creati né decaduti, dato che sia la loro creazione che la permissione del peccato appartengono al consiglio di Dio al riguardo dei mezzi. Non è ovvio allora che se Dio prima avesse decretato di creare gli esseri umani e poi permesso loro di cadere, e poi dalla massa decaduta ne avesse scelto alcuni in vista della grazia e della gloria, si sarebbe forse Egli proposto di creare gli esseri umani senza alcun fine in vista? Non significherebbe forse questo accusare Dio di ciò che una persona saggia non farebbe mai, cioè di non avere un fine (un motivo) per le proprie azioni? Quando un uomo si propone di realizzare qualcosa (per esempio, costruire una casa) ne fissa poi i modi ed i mezzi per portarla a termine. Si potrebbe forse per un solo momento supporre che l'Onnisciente agirebbe altrimenti?
La distinzione or ora delineata fra il divino proposito al riguardo del fine e Dio che determina i mezzi per giungere a quel fine, è chiaramente evidenziata dalle Scritture. Per esempio: "Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di sofferenze, l'autore della loro salvezza" (Ebrei 2:10). Abbiamo qui prima il decreto al riguardo del fine da raggiungere: Dio si propone di condurre molti Suoi figli "alla gloria"; per quanto poi riguarda il mezzo per raggiungere questo fine, Dio decreta che il capitano della loro salvezza sia reso perfetto "per via di sofferenze". Nella stessa maniera, in connessione con Cristo stesso: "Il SIGNORE ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi»" (Salmo 110:1). Dio decreta che il Mediatore abbia questo alto onore conferitogli, ma a questo fine Egli pure ordina che: "Si disseta al torrente lungo il cammino, e perciò terrà alta la testa" (V. 7). Dio, cioè, decreta che il Redentore beva alla pienezza di quei piaceri che sono alla Sua destra per sempre: "...ci sono gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi sono delizie in eterno" (Salmo 16:11). Per poter raggiungere quel fine Egli dovrà bere fino in fondo dall'amaro calice di afflizione. Così pure è per il Suo popolo: Canaan è la porzione loro destinata, ma viene stabilito che per raggiungerla essi passino attraverso il deserto dell'Esodo.
La predestinazione del Suo popolo a santità e gloria antecedente alla Sue previsione della loro caduta in Adamo è molto più coerente con l'esempio dato da Romani 9:11-12 del caso di Giacobbe ed Esaù che la concezione infralapsariana che il Suo decreto li abbia contemplati come creature peccaminose. Vi leggiamo infatti: "...poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama), le fu detto: «'Il maggiore servirà il minore»'". L'Apostolo mostra come la preferenza sia stata data a Giacobbe indipendentemente da ogni suo possibile merito, perché si tratta di un decreto emanato prima che i gemelli fossero nati. Se si considera ciò che Dio fa nel tempo sia solo rendere manifesto ciò che Egli ha segretamente decretato dall'eternità, il punto che intendiamo dimostrare sarà ancora più convincente. Gli atti di Dio, sia di elezione che di preterizione - scegliere e passare oltre - sono stati compiuti senza tenere in alcun conto alcun previsto "bene o male". Notate pure come l'espressione qui associata, "il proponimento di Dio secondo elezione" appoggi la tesi che nel decreto di Dio vi siano due parti.
E' necessario pure rilevare come la predestinazione da parte di Dio del Suo popolo a beatitudine eterna prima ancora di contemplarli come creature decadute, si accorda molto meglio di quanto fa l'idea infralapsariana con l'esempio del vasaio: "Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile?" (Romani 9:21). Su di questo Beza (collaboratore di Calvino nella chiesa di Ginevra) rileva che: "Se l'Apostolo avesse prima considerato l'umanità come corrotta, egli non avrebbe detto che alcuni vasi erano destinati ad onore ed altri a disonore, ma, al contrario, avrebbe detto che, visto che tutti i vasi sono destinati a disonore, alcuni sono stati lasciati in quel disonore mentre altri sono stati traslati da disonore ad onore".
Lasciando ora inferenze e deduzioni, volgiamoci ora a qualcosa di più espresso e definito. In Efesini 1:11 ci vien detto: "In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà". Ora, un esame attento di ciò che precede questo versetto rivela una chiara distinzione nel "ogni cosa" che Dio compie "secondo la decisione della propria volontà" o, per dirlo diversamente, le benedizioni spirituali che Dio impartisce al Suo popolo sono divise in due classi distinte, secondo che Egli li contempla prima nella condizione di non-decaduti e poi come decaduti. La prima e più alta classe di benedizioni è enumerata nei versetti da 4 a 6 ed hanno a che fare con il decreto di Dio al riguardo del fine; la seconda e subordinata classe di benedizioni è descritta nei versetti da 7 a 9, ed ha a che fare con il decreto di Dio al riguardo dei mezzi che Egli ha stabilito per raggiungere quel fine.
Queste due parti nel mistero della volontà di Dio verso il Suo popolo dall'eternità, sono chiaramente espresse dal cambiamento del tempo dei verbi usati in questo testo. Il tempo passato. "ci ha eletto" (v. 4), "avendoci predestinati come suoi figli" (v. 5) e "grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (v. 6). Tutto questo diventa tempo presente nel v. 7 "In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue". I benefici di cui si parla nei versetti 4-6 non dipendono in alcun modo dalla considerazione della Caduta, ma conseguono dal fatto d'essere stati scelti in Cristo. Sono benefici più alti e distinti dall'essere Lui il nostro Redentore. La scelta che Dio ha fatto di noi in Cristo, nostro Capo, affinché noi si sia "santi" non significa l'imperfetta santità alla quale possiamo giungere in questa vita, ma una santità perfetta ed immutabile che nemmeno gli angeli non decaduti avevano per natura, e la nostra predestinazione all'adozione denota un'immediata comunione con Dio stesso - benedizioni che sarebbero state nostre anche se il peccato non fosse mai entrato nel mondo.
Come rileva Thomas Goodwin nell'impareggiabile sua esposizione di Efesini 1, "La prima fonte di benedizioni - perfetta santità, adozione, ecc. - ci è stata aperta senza considerare la Caduta, sebbene qui non si tratti d'un ordine di tempo, dato che tutte le cose che Dio decreta sono contemporaneamente nella Sua mente; queste benedizioni, sia le une che le altre, sono state destinate alla nostra persona. Dio, però, nei decreti che riguardano questa prima sorta di benedizioni, ci ha considerato come creature che Egli poteva ed avrebbe fatto così gloriose... La seconda fonte di benedizioni, però, ci è sta aperta semplicemente in considerazione della Caduta, benedizioni destinate a noi in quanto peccatori ed increduli. Del primo tipo sono quelle 'a lode della sua gloria' (v. 12), comprendendo per grazia la liberalità del Suo amore, mentre del secondo tipo sono quelle definite: 'a lode della gloria della sua grazia' (v. 6), comprendendo per grazia la Sua libera misericordia".
Le prime e più alte benedizioni avranno pieno compimento in Cielo, in quanto conformi a quella condizione nella quale saremo installati. Esse, nelle intenzioni primarie di Dio, precedono le altre e di esse si parla come ordinate "prima della creazione del mondo" (Efesini 1:4). Per questo esse saranno realizzate dopo la fine di questo mondo [noi, infatti, ancora attendiamo (Romani 8:23) "l'adozione" alla quale siamo predestinati (Efesini 1:5)]. Il secondo tipo di benedizioni, però, ci sono impartite nel mondo quaggiù, perché è qui ed ora che noi riceviamo "il perdono dei peccati" attraverso il sangue di Cristo. Ancora, il primo tipo di benedizioni è fondato solo sul rapporto che abbiamo con la Persona di Cristo, com'è evidente dall'espressione "In lui ci ha eletti ... accolti nel suo amato Figlio", ma il secondo tipo di benedizioni è radicato nella Sua opera di redenzione che scaturisce dal sacrificio di Cristo. E' così che il secondo tipo di benedizioni possono essere considerate la rimozione di quegli ostacoli causati dal peccato che si mettono in mezzo fra noi e la gloria alla quale siamo destinati.
Il duplice ufficio di Cristo. Questa distinzione fra le benedizioni che riceviamo in Cristo come creature ed attraverso Cristo come peccatori, è ulteriormente confermata dal duplice ufficio o funzione che Egli svolge nei nostri riguardi. Questo è chiaramente espresso nel testo che dice: "il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo" (Efesini 5:23). Notate attentamente l'ordine di quei titoli: in primo luogo per noi Cristo è capo (questo pone il fondamento del nostro rapporto con Dio come figli adottivi) nei termini di un matrimonio con Suo Figlio. In secondo luogo, Egli è il nostro "Salvatore", cosa che necessariamente sottintende il peccato dal quale Egli ci salva. Con Efesini 5:23 dovrebbe essere confrontato [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Colossesi 1:18-20] dov'è evidente lo stesso ordine: nei versetti 18 e 19 apprendiamo ciò al quale Cristo (e la Sua Chiesa con Lui) è assolutamente destinato. Egli è, in questo modo, il fondatore della condizione nella quale entreremo dopo la risurrezione; poi, nel versetto 20 Lo vediamo come Redentore e Pacificatore: prima Egli è "capo" della Sua Chiesa, poi il suo "salvatore". E' da questa duplice relazione di Cristo con i Suoi eletti che sorge la duplice gloria alla quale Egli è destinato: la prima intrinseca, che a Lui appartiene come il Figlio di Dio che dimora nella natura umana (in questo Egli è capo di una Chiesa gloriosa, cfr. Giovanni 17:5); la seconda più estrinseca, conseguita dalla Sua opera di redenzione e acquistata attraverso l'agonia della Sua anima (vedi [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Filippesi 2:8-10])!
Abbiamo richiamato l'attenzione al fatto che l'unica ragione per la quale l'anima timorata di Dio crede nella dottrina dell'elezione è perché la trova chiaramente evidenziata nella Parola di Dio: ne consegue che la nostra sola fonte di informazione al riguardo non può che essere la Parola stessa. Eppure, quel che abbiamo appena detto è ancora troppo generale per essere d'aiuto specifico a chi vuole esplorare questo argomento. Quando ci rivolgiamo alle Scritture per aver luce sul mistero dell'elezione, è essenziale rammentarci che è Cristo la chiave di ogni loro parte. Egli dichiara: "Nel rotolo del libro è scritto di me" (Ebrei 10:7), e quindi quando cerchiamo di studiare questo argomento indipendentemente da Lui, possiamo essere sicuri di incorrere in errori. Nei capitoli precedenti abbiamo messo in evidenza come Cristo sia il grandioso Prototipo dell'elezione ed è proprio da questo punto che dobbiamo procedere se vogliamo fare significativi progressi nella nostra trattazione.
Ciò che abbiamo or ora affermato vale non solo in generale, ma anche in particolare. Per esempio, in connessione con lo speciale aspetto del nostro tema che abbiamo discusso fin ora, ne trarremo le logiche conseguenze. Il punto di partenza di tutta la questione è chiaro: Dio si è compiaciuto (ed ha fatto specifica risoluzione) di stabilire una comunione fra Sé e la creatura, vale a dire, di chiamare all'esistenza creature che possano godere di comunione con Lui. Di questa Sua determinazione è la Sua gloria il fine che si è proposto, perché "L'Eterno ha fatto ogni cosa per sé stesso'" (Proverbi 16:4 ND). Ripetiamo questo concetto fondamentale: è la gloria di Dio stesso il motivo unico e sufficiente che Lo ha indotto a creare ogni cosa: "O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio? Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen" (Romani 11:35-36).
La gloria principale che Dio ha designato di dare a Sé stesso nell'elezione è la manifestazione della gloria della Sua grazia. Questo è inconfutabilmente stabilito da: "...avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio" (Efesini 1:5-6). La grazia è una di quelle illustri perfezioni del carattere di Dio. Egli e glorioso in Sé stesso e la Sua gloria sarebbe sempre stata tale anche non fosse stata mai formata alcuna creatura. Dio, però, ha manifestato in tal modo questo Suo attributo nell'elezione, che il Suo popolo loderà e renderà gloria ad esso per tutta l'eternità. Dio mostra la Sua santità nello stabilire la Legge, la Sua potenza nella creazione del mondo, la Sua giustizia nel condannare il malvagio all'inferno. La Sua grazia, però, rifulge specialmente nella predestinazione e ciò per il quale i Suoi eletti sono predestinati. Ecco così come, quando si dice: "...ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria" (Romani 9:23), il riferimento primo è alla Sua grazia, così come mostra [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Efesini 1:7].
La seconda Persona della Trinità era destinata ad essere il Dio-uomo. Questo è stato il primo decreto, perché noi siamo stati "eletti in Lui" (Efesini 1:4). Questo presuppone che Egli sia stato scelto per primo come il suolo in cui siamo piantati. Siamo stati predestinati ad essere adottati come Suoi figli, eppure questo è "per mezzo di Gesù Cristo" (Efesini 1:5). Allo stesso modo leggiamo: "Già designato [come Cristo] prima della creazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi" (1 Pietro 1:20). Come vedremo più avanti, l'espressione "prima della creazione del mondo" non è semplicemente un'indicazione temporale, ma soprattutto di eminenza o preferenza, il fatto cioè che Dio avesse in mente Cristo prima ancora di formulare la Sua intenzione di creare per Lui il mondo ed un popolo. Abbiamo così ora mostrato come Cristo fosse destinato ad essere il Dio-uomo per fini molto più alti che la nostra salvezza, cioè per compiacersene, per contemplare l'immagine perfetta di Sé stesso in una creatura, ed attraverso quell'unione, comunicare Sé stesso a quell'uomo a tale modo e grado che non è possibile ad una semplice creatura in quanto tale.
Insieme alla predestinazione del Figlio ad essere il Dio-uomo vi è pure il fatto che la Sua gloriosa Persona sia destinata, come proprio retaggio, ad essere il fine sovrano di ogni altra cosa che Dio faccia e il fine delle creature intelligenti che Egli si compiace di scegliere per la Sua gloria. Questo è chiaro da questo testo: "Tutto vi appartiene. ... E voi siete di Cristo; e Cristo è di Dio" (1 Corinzi 3:21-23). Questo è detto a proposito della finalità delle cose. Come voi, i santi, siete il fine per cui ogni cosa è destinata, così Cristo è il fine per il quale voi esistete, e Cristo è il fine o disegno di Dio in azione. Diciamo che Cristo è "il fine sovrano", e non "il fine supremo", perché Dio stesso è al di sopra di tutti. Cristo, però, è il fine sovrano di tutta la creazione, avendo Egli autorità insieme a Dio e sotto Dio. E' così che viene dichiarato che "attraverso di Lui" e "per Lui" ogni cosa è stata creata (Colossesi 1:16), così com'è detto di Dio in [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Romani 11:36]. Questo fine sovrano nella creazione è caduto su di Lui come retaggio del Mediatore: "Il Padre ama il Figlio, e gli ha dato ogni cosa in mano" (Giovanni 3:35).
Nella predestinazione del Figlio dell'uomo all'unione con il Figlio di Dio e nel costituirlo, attraverso quell'unione, ad essere il sovrano fine nostro e di tutte le cose, è stato conferito all'uomo Cristo Gesù, così esaltato, il favore più alto, incommensurabilmente maggiore della grazia conferita agli eletti, in qualunque modo essa sia considerata, tanto che, se la nostra elezione è alla lode della gloria della grazia di Dio, la Sua lo è molto di più. E' stato così conferito più onore a quella "cosa santa" nata dalla vergine che su tutti i membri del Suo corpo mistico messi insieme. A conferirglielo è stata pura e semplice grazia, grazia sovrana. Che cosa c'era, infatti, nella Sua umanità, considerata in sé stessa, che le avesse dato titolo a tale esaltazione? Nemmeno si trattava d'alcuna previsione di meriti, perché dovesse essere detto dell'uomo Cristo Gesù, come d'ogni altra creatura: "Infatti, chi ti distingue dagli altri? E che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se tu non l'avessi ricevuto?" (1 Corinzi 4:7).
Non dimentichiamo che nel decretare l'unione del Figlio dell'uomo con la seconda Persona della Trinità, con tutto l'onore e la gloria che gli compete, che Dio era perfettamente libero, così come in ogni altra cosa, di decretare o di non decretare la Sua esistenza. Se si fosse, infatti, compiaciuto di farlo, Egli avrebbe nominato un arcangelo, e non un figlio di donna, a quell'inestimabile privilegio. Era dunque in Dio una libera grazia ad emanare quel decreto. Per quanto elevata fosse la dignità conferita su Cristo in rapporto a quella dei Suoi compagni, quanto più grande era la grazia. La predestinazione dell'uomo Gesù Cristo, quindi, è il più alto esempio possibile di grazia. Per questo il maggiore fine di Dio nella predestinazione (da cui l'elezione prende titolo tanto da potersi definire "l'elezione della grazia, Romani 11:5), era stato realizzato in Lui al di sopra dei Suoi fratelli, affinché Egli dovesse essere alla lode della gloria della grazia di Dio, molto superiore a ciò che noi siamo.
Dato che nel caso di Cristo noi possiamo trovare sia il modello che l'esempio dell'elezione - il suo grandioso Prototipo - è evidente che la grazia non possa essere limitata o compresa solo come il divino favore verso creature decadute per liberarle dalla rovina e dalla miseria. Per coloro ai quali essa è rivolta, la grazia non presuppone necessariamente il peccato, perché l'esempio più alto di tutti è la grazia manifestata all'uomo Cristo Gesù. Essa, infatti, è stata conferita su Colui che non aveva peccato e ne era incapace. Grazia è favore manifestato a chi non la merita, perché la natura umana nel Dio-uomo non meritava la distinzione conferitale. Quando essa viene estesa a creature decadute, si tratta di una favore conferito a coloro che meritano solo il male e l'inferno, eppure il termine stesso di grazia non lo implica, come può essere ulteriormente notato nel caso della grazia divina estesa agli angeli non decaduti. E' così che Cristo, come modello rispetto al quale Dio ha predestinato il Suo popolo per esserne conforme, il fatto di averli eletti a gloria eterna è stato decretato tenendo conto della loro condizione non decaduta, e non come creature corrotte.
Avendo dunque Dio scelto in modo assoluto il Figlio dell'uomo e avendolo dotato di tale dignità regale tanto da diventare il fine di tutti coloro che Egli avrebbe creato o eletto alla gloria, ne consegue che coloro che sono stati eletti fra di noi umani, erano intesi, in virtù di ciò per cui Dio li aveva destinati, sia per la gloria di Cristo come fine della loro elezione, che per la gloria di Dio stesso. Noi non siamo stati eletti in maniera assoluta - come Cristo lo è nella Sua predestinazione unica nel suo genere secondo il disegno originale - ma sin dall'inizio, intenzione di Dio per noi era che appartenessimo a Cristo e ricevessimo la nostra gloria da Lui, "il Signore della gloria" (1 Corinzi 2:8). Qui, come dovunque, Cristo ha la preminenza, perché la Persona di Cristo, Dio-uomo, era predestinata alla dignità di per Sé stesso, ma noi lo siamo in funzione della gloria di Dio e di Cristo. Sebbene Dio Padre, primo e solo, abbia stabilito chi dovevano essere i favoriti, tale elezione era per amore di Cristo e di Sé stesso.
La nostra elezione è stata fatta da Dio in vista di Suo Figlio come Dio-uomo e, quanto al disegno, avendo Lui come nostro fine. Egli ci ha scelti per amor Suo affinché noi fossimo Suoi "compagni" ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Salmo 45:7]) ed a che, come Dio si compiace di Lui ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Isaia 42:1]) così noi diventassimo la Sua gioia ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Proverbi 8:31]). Siamo stati dunque prima donati a Cristo, non in quanto peccatori per essere da Lui salvati, ma come membra privi di peccato del corpo del quale Egli è capo privo di peccato. Noi siamo il dono sovrano fatto alla Sua persona, per il Suo onore e piacere, per condividere la gloria soprannaturale che Gli appartiene e che da Lui deriva. "Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me" (Giovanni 17:22-23).
Che cosa immediatamente, poi, segue a Giovanni 17? Questo: "Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo" (v. 24). Nella Sua elezione Cristo era amato dall'eternità, e dall'amore che Dio ha per Lui il Suo popolo Gli viene donato. Con quale intenzione? Per poterlo vedere, contemplare, ammirare, ed adorare nella Sua persona e gloria così come era destinato ad essere; quindi qualcosa di maggiore che la loro personale gloria: la gloria che sorge dal contemplare la Sua ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. 2 Corinzi 3:18]). E qual è questa gloria alla quale Cristo è stato destinato? La gloria della Sua Persona prima decretata in modo assoluto, al culmine della Sua gloria celeste, quella che noi siamo chiamati a contemplare. Osservate poi come Egli qui ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Giovanni 17:24]) riveli quale sia il motivo di Dio in tutto questo: "poiché mi hai amato". Essendo Cristo scelto per primo nelle intenzioni di Dio, i membri sono stati poi scelti e donati a Lui affinché questo possa ridondare a Sua gloria.
Noi siamo stati eletti per la gloria di Cristo (il nostro fine) e per amor Suo, come pure per la gloria della grazia di Dio verso di noi. Dio, per la Sua gloria, ha stabilito che Cristo avesse con noi un duplice rapporto, il quale promuove ulteriormente la gloria assoluta della Sua Persona. Il primo è quello di "Capo", rispetto al quale noi siamo stati donati a Lui sia come membra del Suo corpo, sia come "sposa" (il "matrimonio" di cui Egli, come "marito" è, appunto "capo"). In secondo luogo, oltre a quello di "capo" Egli si rapporta a noi come "Salvatore" e Redentore. Entrambe queste funzioni (o uffici) sono intese a promuovere ulteriormente la gloria di Cristo e ad essere dimostrazione della grazia di Dio verso di noi. Questi due tipi di rapporto sono distinti e non devono essere confusi. "Il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo" (Efesini 5:23). Ciascuna di queste funzioni Gli è stata data dal beneplacito della volontà di Dio. Lo stesso duplice rapporto di Cristo con il Suo popolo è presentato pure in [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Colossesi 1:18-20]: questo doppio onore ufficiale che Gli è conferito è aggiunto al di sopra della dignità regale della Sua Persona come Dio-uomo.
Ora, questo duplice rapporto che Cristo ha con il Suo popolo comporta, per quanto riguarda la nostra elezione in Cristo (che non è assoluta ma relativa ai Suoi due uffici principali) due aspetti distinti. Il primo riguarda le nostre persone senza considerare la nostra caduta in Adamo. Questo significa che Egli ci ha contemplato nella pura sostanza creaturale che doveva essere creata e, in considerazione di questo, Dio ci ha destinati alla gloria ultima in quanto in rapporto con Cristo come nostro "Capo" (membra del Suo corpo o Sua sposa, o piuttosto entrambi, dato che Egli è il Capo della Chiesa). Di questo eravamo pienamente capaci prima o senza considerare la nostra Caduta. In secondo luogo, le nostre persone sono state considerate come decadute, corrotte e peccatrici, e quindi come oggetto da salvare e da redimere: in questo Egli si rapporta a noi come Salvatore.
Ciascuno di questi rapporti era stato inteso per la gloria della grazia di Dio. Prima di tutto, nel Suo disegno di farci avanzare (considerandoci semplicemente creature) ad una gloria più alta in Cristo, condizione di maggior gloria di quanto fosse raggiungibile per la legge della creazione. Destinarci a gloria era pura grazia, tanto quanto lo è redimerci dal peccato e dalla miseria dopo essere decaduti, perché era del tutto indipendente da opere o meriti, esattamente come l'elezione di Cristo (nostro modello) era stata fatta senza considerare opere d'alcun tipo, come Egli dichiara: "Ho detto a Dio: «Tu sei il mio Signore; non ho bene alcuno all'infuori di te»" (Salmo 16:2). "Sebbene l'opera della vita di Cristo e la Sua agonia mortale abbiano dato lustro senza paralleli ad ogni attributo di Dio, il beato ed infinitamente felice Dio non aveva alcun bisogno dell'ubbidienza e della morte di Suo Figlio. E' per amor nostro che è stata intrapresa l'opera di redenzione" (C. H. Spurgeon). E' a questa grazia originale ciò a cui si riferisce [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. 2 Timoteo 1:9]: la sola grazia che spinge Dio a redimerci ed a chiamarci, indipendentemente dalle opere, "secondo" quella madre di tutte le grazie per la quale sin dall'inizio siamo stati destinati alla gloria.
Il grandioso disegno ultimo di Dio soggiace proprio in quell'originale grazia, perché essa avrà compimento solo alla fine come la perfezione di ogni altra. Dio avrebbe potuto, di fatto, non appena creati, portarci immediatamente in quella gloria. Però, per magnificare ulteriormente Cristo e per la più ampia dimostrazione della Sua grazia (affinché si estendesse al massimo, secondo ch'è scritto "Prolunga la tua benignità verso quelli che ti conoscono" Salmo 36:10 ND), Egli si non si è compiaciuto di portarci al pieno possesso della nostra eredità contemplando la personale gloria di Cristo, nostro capo; ma ha stabilito permissivamente che noi cadessimo in peccato, e quindi, ha decretato di crearci in condizione di mutabilità (come richiede la legge della creazione). Tutto questo ha aperto la strada all'abbondanza della Sua grazia ([=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Romani 5:15]), com'è confermato da: "Dio, che è ricco in misericordia [termine che presuppone la nostra condizione di peccatori], per il grande amore con cui ci ha amati..." (Efesini 2:4). Prima Dio ci ha amati, considerati come creature prive di peccato; e questo è diventato il fondamento della "misericordia" verso di noi considerati come peccatori.
E' sulla base di questa divina determinazione che gli eletti non sono stati portati, immediatamente dopo la loro creazione, ad entrare nella gloria alla quale sono stati destinati, ma Dio ha permesso che cadessero in peccato e miseria e poi ne fossero liberati. Ed è pure per questo che Cristo, per l'ulteriore Sua grande gloria, ha assunto il ruolo di Redentore e Salvatore, oltre a quello che aveva nella Sua elezione, come Capo. Oggi, è vero, la nostra attenzione è soprattutto rivolta alla nostra miserevole condizione di peccatori, ed è pure per questo che le Scritture principalmente presentano Cristo come Redentore e Salvatore. Diciamo "principalmente" perché, come abbiamo visto, esse non rimangono affatto in silenzio sulla più alta gloria del Suo essere Capo. Esse, tuttavia, dicono abbastanza al riguardo per attirarci a contemplarlo nella Sua più grande gloria ed occupare così i nostri pensieri, affetti e speranze.
Giungendo così al termine di questa nostra esposizione sommaria del divino ordine dell'elezione di Cristo, così com'è rappresentata nelle Scritture, rammentiamoci pure come noi non si debba supporre che vi sia stato un intervallo di tempo fra la predestinazione di Cristo come Capo e di Cristo come Salvatore, perché nella mente di Dio tutto è simultaneo. Questa distinzione, però, è nell'ordine della natura, e per la migliore comprensione che dobbiamo averne. Cristo non poteva essere "capo" senza il correlato del Suo "corpo" mistico, così come Egli non poteva essere il nostro "Salvatore" se non essendo noi decaduti. "Ecco il mio servo, io lo sosterrò;
il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni" (Isaia 42:1). Cristo è stato il primo eletto di Dio, in Lui Egli si è rallegrato, e poi è stato il Suo servo, funzione da Lui sostenuta nell'opera della redenzione. Cristo, come Dio-uomo, in senso assoluto e primario, è stato eletto per Sé stesso, per la Sua propria gloria; e poi, in senso relativo e secondario, Egli è stato eletto per noi e la nostra salvezza.
La gloria della Persona del Dio-uomo, considerata in senso assoluto, era il disegno primo e primordiale di Dio, quello su quale ha posto il Suo cuore. Poi, accanto a questo, c'è la destinazione di Cristo ad essere Capo e noi il Suo corpo attraverso la nostra unione con Lui. Egli è stato l'autore sufficiente ed efficiente delle benedizioni che comporta il diventare immutabilmente santi della nostra figliolanza adottiva che sorge dalla Sua figliolanza, come pure dall'accoglienza di grazia delle nostre persone in Lui ed eredi della stessa gloria con Lui. Di tutto questo noi eravamo capaci nell'atto di Dio di considerarci creature pure attraverso la nostra unione con Cristo. In questo non avevamo bisogno che esse venissero acquistate dalla Sua morte, essendo queste benedizioni molto distinte dalle benedizioni della redenzione descritte chiaramente in [=Nuova+Riveduta&versioni[]=C.E.I. Efesini 1:7] (seguendo ai vv. 3-6). Così come questo è venuto prima nei disegni di Dio, esso sarà l'ultimo ad essere eseguito, essendo più grande di ogni benedizione di "salvezza", corona fra tutte, quando noi saremo "per sempre con il Signore".
Scendendo ora ad un livello ancora inferiore (nella profondità di questi misteri), rileviamo come in modo assolutamente certo, gli angeli santi non potevano essere considerati parte della massa corrotta quando sono stati scelti, perché essi non sono mai decaduti. E' dunque ragionevole supporre, allo stesso modo, che Dio ci abbia considerati parte della stessa pura sostanza di creaturalità quando ci ha eletti. Così è stato per la natura umana di Cristo, che è l'oggetto dell'elezione, perché Egli non è mai caduto in Adamo, né mai è giunto ad uno stato di corruzione, eppure Egli è stato eletto "di fra il popolo" (Salmo 89:19). Per questo il popolo dal quale è stato scelto deve essere stato necessariamente considerato come ancora non decaduto. Questo solo si accorda con la tipologia di Eva (la Chiesa) quando essa viene donata ad Adamo (Cristo) prima che subentrasse il peccato. E' così che la doppia destinazione degli eletti prima alla gloria e poi alla salvezza (a causa della caduta) concorda perfettamente con la doppia destinazione dei non eletti: preterizione in quanto creature e condanna come peccatori.
N:B: Per la maggior parte del discorso fatto in questo capitolo sono debitore alle opere di Thomas Goodwin. In alcuni luoghi qui ci siamo deliberatamente ripetuti in quanto gran parte di queste argomentazioni sono del tutto nuove per la maggior parte dei nostri lettori.
[1] Da: Dr. Geo. S. Bishop, The Doctrines of Grace, Chap. 11, "The Doctrine of Election True," p. 167, del 1910 (Baker Book House, 1977). Dott. George Sayles Bishop (1836-1914), è stato pastore dal 1866 della prima chiesa presbiteriana olandese (PCUSA) di Orange, New Jersey. Scrive pure nei famosi trattati: "I fondamentali". "George%20Sayles%20Bishop"&hl=it&rview=0 Opere.