Evangelo/Il metodo biblico per rivolgersi agli inconvertiti
IL METODO BIBLICO PER RIVOLGERSI
AGLI INCONVERTITI
Come ministri di Gesù Cristo, noi desideriamo adempiere al nostro mandato in modo giusto e fedele: un giorno, infatti, dovremo rendere conto della fiducia accordataci dal nostro Signore e Maestro. Siamo ansiosi di poter essere in grado di dire a coloro che ci ascoltano, con le parole stesse dell'Apostolo: "Perciò io dichiaro quest'oggi di essere puro del sangue di tutti; perché non mi sono tirato indietro dall'annunciarvi tutto il consiglio di Dio" (Atti 10:26-27). Dobbiamo pascere il gregge di Dio, quello che Egli ha acquistato con il Suo sangue; dobbiamo portare a conoscere Cristo per la loro salvezza altre pecore; dobbiamo andare alla ricerca delle pecore erranti che appartengono a Lui e che Gli sono lontane nella loro cecità, alienazione e ribellione e riportarle così all'ovile.
Come ci rivolgeremo, però, a coloro che non sono spiritualmente rigenerati? Questa è la questione di cui oggi ci vogliamo occupare. Diremo forse dire indiscriminatamente a tutti che Cristo è morto per loro e che ora Egli solo aspetta che essi accolgano la misericordia che Egli offre loro e "si decidano" per Lui? No, questo significherebbe negare chiare affermazioni ed esempi che troviamo nelle Sacre Scritture e contraddire le distintive dottrine della grazia che essa presenta, dottrine chiare come il sole a mezzogiorno per chi ha occhi spiritualmente illuminati. Comanderemo forse a uomini e donne morti nei loro peccati di compiere atti che solo persone spiritualmente viventi potrebbero fare, come ravvedersi dai loro peccati (cosa che proviene dal contemplare il Cristo crocifisso e comprenderne quanto ne siamo implicati) o che essi esercitino quella fede evangelica che è il dono che Dio liberamente concede ai Suoi eletti? "Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio" (Efesini 2:8). Diremo forse a uomini e donne irrigenerati, in ogni sermone che odono, che se essi non si ravvedono e non credono all'Evangelo, ogni giorno che passa accumulano ulteriori colpe e una maggior misura di dannazione? Affermazioni come queste fanno dell'Evangelo, invece che un messaggio di buone notizie, una legge di terrore. L'Evangelo è qualcosa che rimedia, non che punisce. L'Evangelo è la misericordia di Dio che salva, non vendetta di giustizia violata. Forse che dobbiamo scongiurare, implorare, esortare, e cercare di persuadere peccatori morti nei loro peccati di volgersi a Dio e dire loro che se non lo faranno saranno dannati? Non manchiamo certo di compassione verso i nostri compagni peccatori e siamo in profonda ansia per la loro salvezza, ma non oseremo certo dire loro di fare ciò che sappiamo ne sono incapaci, e per il quale non abbiamo giustificazione biblica di dire. Fra opinioni in conflitto e contraddizione fra di loro, cerchiamo allora la via più eccellente. Volgiamoci alle Scritture e cerchiamo in esse non solo la materia, ma anche la fonte del nostro metodo.
I. Noi insistiamo sull'autorità di quella Parola. Essa mostra chiaramente e senza esitazione la condizione perduta e rovinata dell'essere umano come peccatore agli occhi di Dio. Essa mostra la santità e maestà di Dio e quanto esso gli sia ribelle e meriti la Sua condanna. Quella Parola lo accusa, dimostra la sua colpevolezza e lo dichiara un criminale passibile di condanna. Essa è come una scura posta alla radice di un albero pronta inesorabilmente a tagliarlo, e denuncia il peccato in tutte le sue forme. La Parola di Dio non condona, mitiga o minimizza in alcun modo la colpevolezza umana e questo nemmeno deve fare il ministro di Dio. E' nostro dovere, quindi, mostrare alla persona non convertita la condizione in cui si trova, parlando specificatamente contro quei crimini di cui sappiamo sono colpevoli le persone alle quali ci rivolgiamo. Questo è ciò che fa l'apostolo Pietro nel giorno di Pentecoste: "...quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste" (Atti 2:23). Questo è ciò che fa Paolo di fronte all'adultero Felice: "Siccome Paolo parlava di giustizia, di temperanza e del giudizio futuro" (Atti 24:25) ed egli ne è spaventato.
II. Noi dobbiamo spiegare loro e far valere la santità e l'inflessibilità della legge di Dio; che sebbene l'essere umano sia decaduto diventando una creatura rovinata ed impotente, la legge non è cambiata e non ha minimamente attenuato ciò che esige da noi. Essa continua a richiedere perfetta ubbidienza e sentenzia ad ogni suo trasgressore il dovuto castigo, senza alcuno sconto. Essa maledice e condanna anche per la minima trasgressione. Noi dobbiamo far presente ad ogni uomo o donna inconvertito, sia che vanti moralità o che viva in aperto e flagrante peccato, che non potrà essere salvato per le sue opere, che già si trova sotto la maledizione di una legge che ha infranto. Dobbiamo mostrargli la spiritualità di quella legge, come essa rilevi i pensieri e le intenzioni del cuore. Dobbiamo seguire il nostro Maestro e spiegare la legge alla luce del Sermone sul monte. Tutte le persone empie tendono a considerare il peccato cosa trascurabile e che quanto Dio minaccia non sia veramente quel che Egli intende. Il diavolo ancora insinua alle orecchie degli infedeli dubbi contro l'oggettività della Parola di Dio: "No, non morirete affatto" (Genesi 3:4), "Non preoccuparti, non è vero quel che Dio dice sulle conseguenze del peccato". Dobbiamo così denunciare le menzogne di Satana al riguardo e costantemente insistere come Dio non scherzi, che quando Egli dice qualcosa, intende dire e fare esattamente quel che dice, che la Sua legge è pura ed immutabile.
III. Noi dobbiamo dichiarare esplicitamente al peccatore quali siano le conseguenze del suo peccato, la pena che esso comporta; che il castigo che Dio commina al peccatore è giusto e che la sua durata non avrà fine; che un inferno senza fine non è una teoria umana, ma che è basato sulle Scritture, rivelato chiaramente in esse tanto quanto la salvezza dal peccato; che il Signore Gesù parlava della realtà dell'inferno più di ogni altro argomento ed esso esortava a temere più di ogni altra cosa: "E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna" (Matteo 10:28). Parleremo di questo argomento serio senza esitazione alcuna, non in modo frivolo e irriverente. Parleremo come persone che conoscono quanto l'ira di Dio sia terrificante, come dei peccatori noi stessi che sono stati strappati dal fuoco come tizzoni, salvati come peccatori che giustamente meritavano l'inferno, peccatori che sanno per esperienza come ci si sente cadere nelle mani di un Dio di ben giustificata ira. L'inferno per noi è reale perché l'abbiamo sentito nella nostra stessa coscienza ed abbiamo temuto che questo sarebbe stato irreparabilmente il nostro destino. Parleremo di queste cose con intensità e grande persuasione. L'orribile consapevolezza del pericolo in cui si trova il nostro compagno peccatore nella sua condizione di condanna dovrà essere assolutamente palese ogni qual volta trattiamo di questo serio tema. Questo argomento, per quanto terribile. non dovrà essere sottovalutato, nascosto o peggio ignorato, temendo che sia inopportuno, temendo di sollevare delle critiche alle quali potremmo non saper rispondere o di essere dileggiati. Dobbiamo fedelmente assolvere al nostro mandato e ministero: proclamare sempre la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità , senza riserve o vergogna alcuna, proclamando senza mezzi termini che "il salario del peccato è la morte" (Romani 6:23).
IV. Dobbiamo continuamente insistere che tramite i propri sforzi a questa situazione il peccatore non può rimediare in alcun modo; che egli è stretto mani e piedi dalle catene della disubbidienza e che non ha potere alcuno per venire a capo di questa sua condizione. Nessuna preghiera o possibile penitenza potrà essergli d'alcuna utilità per pagare il prezzo dei suoi peccati passati, oppure rimuovere anche una soltanto delle sue trasgressioni; che tutte le sue opere non hanno alcun valore per salvarlo dal suo destino. Anche la migliore ubbidienza di cui è capace non sarà accettata, perché essa è macchiata, contaminata dal peccato e dall'orgoglio e, in ogni caso, essa sarà sempre molto al di sotto di ciò che Dio esige. "Tutti quanti siamo diventati come l'uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco. Tutti quanti siamo diventati come l'uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco" (Isaia 64:6). Il peccatore è un debitore in bancarotta che deve 10.000 talenti e non ha modo alcuno di pagarli (Matteo 18:24). È come se una rete lo avviluppasse strettamente e non avesse alcun modo per districarsene. Certamente questo è molto scoraggiante per il peccatore colpevole, ma è esattamente la lezione che deve apprendere, l'insegnamento che deve ricevere, perché egli non fa che coprirsi degli stracci sporchi della propria giustizia che sono assolutamente inadeguati a ripararlo. Egli promette magari di ravvedersi e di tornare a Dio un giorno o l'altro; pensa di avere la capacità di poterlo fare. Dobbiamo così mostrargli il suo errore, strappargli di dosso gli abiti della sua presunta autosufficienza, togliergli da sotto i piedi il terreno delle opere od illusioni nelle quali confida o nelle sue presunte capacità. Dobbiamo lasciarlo senza alcun proprio riparo in cui possa rifugiarsi, nudo, impotente, legato, condannato, esposto alle intemperie, con solo una via di fuga. Quella, però non si troverà in alcun modo in lui stesso.
V. Dobbiamo sempre mostrare al peccatore che l'unica sua speranza sta in Cristo: che non esiste altro modo per essere liberati dalla sua colpevolezza e dalla condanna che merita se non che gli venga accreditata la perfetta giustizia di Cristo e che gli venga applicato il sangue del sacrificio di Cristo. Dobbiamo predicargli Cristo, così come Egli è nella Sua Persona; mostrargli che cosa Egli sia nel Suo potere di salvare in quanto Dio. Dobbiamo dichiarare la perfezione della Sua opera; che mentre il peccatore manca di tutto, "Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono" (Romani 10:4). Dobbiamo soffermarci sull'eterna e completa sufficienza del sacrificio espiatorio di Cristo per peccatori colpevoli, impotenti e disperati; che il Suo sangue purifica da ogni peccato e che, mentre il peccato danna e contamina, l'espiazione operata da Cristo rimuove ogni macchia ed ogni accusa. Qualcuno ha detto: "Il miglior modo per portare i peccatori a Cristo è di portare Cristo ai peccatori". È così che dobbiamo presentare loro il fatto che Egli doveva soffrire, spiegare il significato della Sua opera, la necessità che ne abbiamo, per chi è intesa; mostrare come essa sia l'unica sicurezza che abbiamo, le grandi questioni di cui essa si occupa, la sua grandezza e gloria. Dobbiamo mostrare come solo Cristo sia ammirevolmente adatto a venire incontro ad ogni necessità del peccatore. Egli viene incontro alla sua colpevole impotenza e miseria come povero, perduto e spregevole malfattore. L'intero messaggio evangelico considera l'essere umano come un peccatore. È come tale che gli viene provveduto in Cristo. Non si attende che egli faccia proprio nulla (perchè non gli servirebbe comunque a nulla essendo inadeguato) perché tutto è già stato fatto per lui e gratuitamente gli viene impartito, senza meriti, senza che debba pagarne un prezzo, senza che lo debba meritare. Questa predicazione non accorda alcuna lode o riconoscimento al peccatore per ciò che si suppone debba fare, ma accorda ogni lode, riconoscimento e merito alla grazia che liberamente Dio impartisce in Cristo ed ai degni meriti di Cristo. "Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode" (Apocalisse 5:12).
VI. Dobbiamo spiegare al peccatore come queste benedizioni possano essere godute, che esse, cioè, sono per grazia mediante la fede. Dovremo così spiegare la natura della fede: Quale ne è l'oggetto? Chi ne è l'autore? La sua necessità, la sua esperienza così com'è sentita ed esercitata nell'anima. Non grideremo o vocifereremo: Credi! Credi! senza mostrare che cosa voglia dire credere. Faremo bene attenzione a mostrare la differenza che c'è fra credere alla Bibbia come rivelazione storica della verità di Dio e quella fede di cui parla l'Apostolo quando scrive: "con il cuore si crede per ottenere la giustizia" (Romani 10:10), vale a dire la fede come dono di Dio; non il semplice assenso dell'intelletto a certe verità, ma una fede attraverso la quale ci si affida completamente a Cristo, ci si tiene stretti a Lui con ogni affetto del nostro cuore. È la fede di colui o colei che getta su di Lui ogni sua sollecitudine dipendendo senza riserve dai Suoi meriti e sangue. Avremo cura di mostrare al peccatore come la fede non sia in alcun modo una nostra "opera", che il suo credere non è come mettere noi stessi il tetto all'edificio che Cristo ha costruito e così completarlo; che dato che il peccatore non può osservare la legge perfetta, Dio avrebbe fatto un'altra legge, quella della fede, alla quale egli deve ubbidire e così per essa essere salvato. Dobbiamo sempre insistere come la fede sia venire a mani vuote, come essa semplicemente sia ricevere la grazia, non come si riceve un oggetto, ma come la dichiarazione dell'amore di Dio. La fede si attende ogni cosa da Cristo e non pretende di avere alcun merito. Ci impegneremo a mostrare il modo libero e misericordioso attraverso il quale queste benedizioni ci sono dispensate; che Dio è disposto, attraverso Cristo, a perdonare anche il più miserabile fra i trasgressori che si accosti a Lui per implorare il Suo perdono e così essere completamente giustificato sulla base dei meriti di Lui; che il venire a Lui è il risultato della Sua grazia che opera nel cuore e nella coscienza traendolo per la potenza dello Spirito Santo che lo vivifica e lo chiama.
VII. Racconteremo con gioia di quanto sia beato trovare in Cristo ogni nostro bene, mettendo questo in contrasto con coloro che da Lui non si attendono nulla o eventualmente solo un qualche "beneficio aggiuntivo"; la sicurezza di chi, così è passato dalla morte alla vita, la cui colpevolezza è stata eliminata dal sacrificio del suo grande Garante; che godiamo nel nostro cuore per fede la certezza dell'efficacia della Sua opera per noi; che il nostro cuore trova in Dio la sua pace; che la nostra coscienza è stata liberata da tutto ciò che spaventa ed allarma l'empio; la gioia che ora riempie la nostra anima, una gioia della quale mai aveva fatto esperienza nei giorni in cui non era stato rigenerato e che nessun inconvertito potrebbe anche solo immaginare. L'empio riveste la religione di malinconia e tristezza, ma gli dobbiamo dimostrare come sia tutto l'opposto. Ciò che possiede un uomo o una donna in pace con Dio attraverso l'opera di Cristo è molto più soddisfacente, infatti, di qualsiasi cosa peritura si possa possedere sulla terra. La felicità che si trova sui sentieri della santità e della comunione con Dio dispensa molte più gioie di tutti i piaceri che il peccato può dare per breve tempo. Inoltre, dobbiamo mostrare come il cristiano goda del sorriso e dell'approvazione di Dio, mentre l'empio verso di lui ha solo lo sguardo indignato dell'ira di Dio. Infine, dobbiamo mostrare quanto diverse fra le due siano le prospettive future: la gloria del Cielo, le tenebre spaventose dell'inferno; il giubilo dell'essere accolti a casa, l'eterna beatitudine con Cristo! La temuta dipartita, la compagnia dei demoni, il tormento senza fine per l'eternità.
Se tutto questo non è ciò che il ministro di Dio farà, quando dovrà presentarsi alla grande assise, per rendere conto, insieme a tutto il popolo, di ciò che gli è stato affidato, che vergogna sarà per lui l'ombra che verrà gettata sul suo ministero! Non dovrebbe tutto questo forse stimolarci alla fedeltà nel trattare con le anime di uomini e donne? Quale grande e solenne responsabilità abbiamo in vista di quell'eternità verso la quale ci stiamo muovendo a grandi passi!
Paolo E. Castellina, 22 giugno 2010. Adattamento di: "The Scriptural Method of Addressing the Unconverted" di E. White, dalla rivista cristiana: "The Earthen Vessel" discorso letto alla conferenza pastorale di Little Alie-street, 29 settembre 1893. L'originale si trova a questo indirizzo.