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Umiltà teologica
Credobattismo o pedobattismo? Pre-, post- o amillenialismo? Carismi o cessazionismo? Liturgia oppure culto informale? Uso di strumenti musicali nel culto oppure solo del canto? Su questi e su altri argomenti ho le mie persuasioni, ma apprezzo ciò che ci rammentava il puritano William Perkins che, nella sua opera: "Il combattimento fra la carne e lo Spirito", nel suo "Due trattati" del 1593 scrive:
"Nella mente c'è un doppio combattimento. Il primo è fra la conoscenza della Parola di Dio e l'ignoranza o la cecità naturale. Dato che in questa vita noi conosciamo solo in parte, è inevitabile che la conoscenza della verità sia frammista, in tutto ciò nel quale siamo illuminati, con l'ignoranza. Essendo l'una contraria all'altra, esse lottano per adombrare e prevalere l'una sull'altra.
Da questo possiamo apprendere il motivo per il quale pure eccellenti teologi differiscano su diversi punti della religione. Questo avviene perché, in questo combattimento, la cecità naturale residua prevale in maggiore o in minore misura. Coloro che sono miopi, chiamati a descrivere una cosa lontana, senza occhiali non possono discernere chiaramente e quindi giungono ad opinioni diverse su ciò che vedono. In questa vita anche gli uomini illuminati e rigenerati non possono che vedere le cose che in modo oscuro, come in un antico specchio.
Questo dovrebbe insegnare a tutti coloro che studiano la teologia ad avere una certa prudenza al riguardo delle loro opinioni e nel modo i cui le difendono, dato che anche in coloro che hanno il giudizio più sano rimane una certa qual mescolanza di oscurità ed ignoranza. Certo possono vedere molti punti correttamente, ma come quell'uomo nel vangelo che, quando il Salvatore Gesù Cristo gli aveva in parte aperto gli occhi, vedeva gli uomini camminare non come uomini ma nella forma di alberi (Marco 8:22-26). Questo deve pure insegnare a tutti coloro che leggono le Scritture ad invocare il nome di Dio, e ad implorarlo a che Egli li illumini con il Suo Spirito, e diradi la nebbia della loro ignoranza naturale".
Fra tutte le forme di erudizione, la teologia è quella che maggiormente dipende dall'umiltà. In teologia, infatti, cerchiamo di trovare il modo più pieno, articolato e responsabile di parlare su Dio. Se supponiamo, però, di poter conseguire questo da soli, siamo gravemente in errore, e qui è dove subentra l'umiltà. Un filosofo di grandi capacità intellettuali potrà anche articolare profonde parole su Dio e difenderle di fronte ad altre concezioni. Questo, però, non sarà sufficiente se vogliamo accostarci all'Iddio vivente. Non possiamo presumere che le nostre idee su Dio siano vere fintanto che noi non le portiamo prima di fronte a Dio e poi, in seconda istanza, di fronte alla comunità cristiana ed al mondo. Non dobbiamo scordarci che Dio non è un concetto astratto o una figura distante con la barba... Dio è personale ed è presente qui ed ora. Sarebbe folle parlare di Lui come se Egli fosse in qualche altro luogo o sconnesso dalla nostra conversazione. Dobbiamo ascoltarlo allorché Egli ci parla di Sé attraverso le Scritture e nella nostra vita. Ecco perché dobbiamo "pregare la nostra teologia". Se possiamo dire a Dio che Egli sia ciò che stiamo suggerendo che Egli sia, allora siamo un passo più vicino all'umiltà. Se non possiamo "pregare" la nostra teologia con rispetto ed amore per Dio, senza offendere o ignorare Dio, allora abbiamo un problema.
In secondo luogo, dobbiamo rapportare la nostra teologia con la comunità cristiana presente, ma anche quella del passato, il popolo di Dio. La nostra memoria spesso è corta. Molti altri nel corso dei secoli sono entrati in questo dialogo con Dio e su Dio. Noi siamo gli ultimi arrivati. Non possiamo pretendere di avere capito ciò che nessun altro mai aveva capito prima. Noi ci rapportiamo con la rivelazione giammai in modo immediato, ma sempre nell'ambito della comunità dei credenti, presenti e passati. Siamo inseriti in una tradizione, riflettiamo sulle riflessioni e sull'esperienza di molti altri cristiani, anzi, le apprezziamo e ce ne avvaliamo con riconoscenza.
Esprimerci su Dio, quindi, presume l'umiltà di rapportarci con Lui in preghiera come pure la consapevolezza che non siamo e non siamo stati i soli a farlo. Per questo dobbiamo prendere molto seriamente i consigli che ci provengono dalla nostra famiglia, i nostri fratelli e sorelle nella fede, presenti e passati. Siamo poi così sicuri di poterci distanziare da coloro che, nel corso dei secoli, si sono fatti le stesse domande?