Letteratura/Vindicia contra tyrannos/Introduzione

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Introduzione

La “Vindicia contra tyrannos” (Una difesa della libertà contro i tiranni”, 1579) è un breve trattato politico scritto per giustificare la resistenza ugonotta[1] contro i tentativi del re di Francia per eliminare il Protestantesimo. Nonostante la sua brevità, l’acuta difesa che la Vindicia fa del diritto dei sudditi di resistere governanti ingiusti ed empi fino al punto della ribellione armata ha contribuito a dar forma alle teorie politiche di John Locke[2] in Inghilterra e i padri fondatori della nazione americana. Le sue argomentazioni sui diritti e sulle responsabilità dei governanti e dei cittadini continua ad essere rilevante oggi nel considerare i limiti dei poteri del governo e dei diritti dei cittadini di opporsi all’indebita estensione dei poteri dei governi.

Per comprendere la vindicia contra tyrannos è necessario guardare alla storia religiosa della Francia nel XVI secolo. La Francia è stata per secoli una nazione molto cattolica, sebbene i rapporti con il papato fossero frequentemente tesi. Il re francese era una figura quasi religiosa e, fra le altre cose, era obbligato sin dalla sua incoronazione a combattere l’eresia. Detto questo, Francesco I[3] (155-1547) era stato sostenitore di riforme ecclesiastiche come una necessità per riformare la società francese, il che aveva permesso il sorgere di vari programmi di riforme sia cattolici che protestanti in competizione con il Cattolicesimo tradizionale. Il fermento religioso che ne era risultato ha condotto lo storico Lucien Febvre[4] a descriverlo come un periodo “di spettacolare anarchia religiosa”[5].

La Sorbona[6] - la facoltà teologica dell’Università di Parigi - era stata coinvolta in questi avvenimenti ed aveva fatto del suo meglio per condurre processi per eresia, sebbene Francesco periodicamente li chiudesse quando ne erano stati coinvolte persone del suo entourage. La situazione, però, cambia nel 1534, quando era stata contestata duramente per tutta la Francia la Messa cattolica e la Transustanziazione[7] con manifesti attaccati persino alla porta della camera da letto del re a Amboise. La Chiesa cattolica romana insegna che nella Messa il pane ed il vino usati nella comunione siano transustanziati nel corpo fisico e sangue di Cristo. Questo vuol dire che mentre essi conservano le apparenze e la sostanza originale, ciò che si consuma non sarebbe più veramente pane e vino ma il corpo ed il sangue di Gesù. I protestanti consideravano tale dottrina una superstizione priva di senso e deridevano “il dio di pasta” cattolico come un idolo.

Francesco si era infuriato per tali manifesti, in parte a causa dell’infrazione della sicurezza nel suo castello, ma anche perché la transustanziazione giocava un ruolo insolitamente importante in Francia, andando ben oltre la teologia sacramentale. In questo periodo, infatti, in Francia, l’ostia transustanziata era una figura del modo in cui il potere fluiva nella società. Attaccare la transustanziazione, quindi, era nulla di meno che un attacco all’autorità del re, sovvertendo la struttura sociale e promuovendo l’anarchia[8]. Il cosiddetto “Affare dei Manifestini” aveva così suscitato uno scoppio severo di persecuzioni che, fra le altre cose, aveva fatto fuggire Giovanni Calvino dalla Francia e condotto alla sua conversione al Protestantesimo.

Gli anni 1540 vedono due sviluppi importanti nel Protestantesimo francese. In primo luogo, Calvino comincia a produrre saggi teologici di alta qualità in francese, i primi disponibili in quella lingua. Il Cattolicesimo popolare in Francia era in quel periodo ossessionato della questione dell’Anticristo, lasciando il popolo in uno stato di “ansia profetica”. Calvino offriva un’alternativa religiosa molto più razionale, e così il Protestantesimo francese si sposta sempre di più verso la teologia di Calvino.

In secondo luogo, il Protestantesimo comincia a diffondersi fra la nobiltà, inclusi fra i “Principi di sangue” (cioè i membri della famiglia reale). Questo era pericoloso: la nobiltà aveva a disposizione forze militari che, se sufficientemente provocate, potevano opporsi al re.

La persecuzione era continuata sotto il figlio di Francesco I, Enrico II[9], e poi sotto i figli di Enrico: Francesco II[10] e Carlo IX[11], ma altrettanto aveva fatto la diffusione del Protestantesimo fra la nobiltà. La vedova di Enrico, Caterina de Medici[12] era preoccupata: voleva stabilità in Francia per amore dei suoi due figli, ma l’espansione del Protestantesimo stava eccitando una guerra civile. Per prevenire questo, il suo cancelliere Michel de l’Hospital[13] aveva negoziato l’Editto di Saint-Germain[14] (1562) che permetteva ai protestanti di celebrare il culto fuori dalle città ed ai nobili di parteciparvi nelle loro proprie abitazioni. I tribunali si erano opposti a questo editto, e quando il duca di Guisa, un nobile fortemente cattolico aveva incontrato un gruppo di ugonotti che celebravano il culto in un fienile fuori da Vassy, egli li aveva attaccati, uccidendo 60 delle 600-700 persone presenti.

Quando si diffuse la notizia del massacro, i nobili protestanti si erano mobilitati a Orléans e si erano impadroniti di altre città nella valle della Loira; l’esercito reale si era mobilitato contro di loro, e questo aveva dato inizio alla prima di un’interminabile serie di guerre di religione in Francia. Esse tendevano a seguire un modello: vi era una provocazione, una guerra scoppiava; entrambe le parti combattevano fino a che fosse negoziata una tregua in cui ai protestanti venivano concessi minori diritti di culto in dipendenza di quanto bene si fossero comportati sul terreno di battaglia; quindi una tregua si stabiliva per un po’ fino al tempo che un’ulteriore provocazione (spesso da parte dei Guisa) provocava nuovi scontri.

Questo era ciò che aveva temuto e cercato di evitare Caterina de Medici. Per porre fine a queste guerre, lei propose un matrimonio dinastico fra sua figlia Margherita e Henry Bourbon, il re di Navarra, un principe di sangue di Francia e il più eminente ugonotto. Gli ugonotti concordarono e ai protestanti venne concesso un salvacondotto per partecipare a Parigi al matrimonio nel 1572.

Carlo IX era un re indeciso come l’altro figlio di Enrico II. Gaspard de Coligny[15], Ammiraglio di Francia ed un altro principe di sangue ugonotto, cominciano ad avere sempre più influenza su Carlo. I Guisa erano vecchi rivali dei Coligny, e decidono di assassinarlo durante il salvacondotto per terminare la sua influenza a corte. L’assassinio fallisce; Coligny viene gravemente ferito, ma sopravvive. I protestanti erano comprensibilmente furiosi, e Caterina, Carlo IX e il consiglio reale vanno in panico; pensano che i protestanti a Parigi vogliano ammazzare l’intera famiglia reale come vendetta per l’attacco a Coligny. Il Consiglio reale decide di liberarsi definitivamente del Coligny affermando che egli stesse cospirando contro il re. Il resto degli ugonotti dovevano essere assicurati che il re non aveva alcuna animosità contro di loro. Enrico Guida viene mandato per uccidere Coligny, ma qualcosa va male; Guisa sembra aver detto che uccidere Coligny era la volontà del re, ma la guardia della città lo interpreta come un appello a massacrare tutti i protestanti della città. Risultato ne fu la Strage del Giorno di San Bartolomeo[16] (18 agosto 1572). A Parigi vengono uccisi migliaia, e quando la notizia si diffonde, massacri simili vengono replicati in tutta la Francia. Si ritiene che muoiano così dalle 5000 alle 30.000 persone.

Va da sé che questo massacro inneschi un’altra guerra di religione. Esso pure trasforma in maniera sostanziale il Protestantesimo francese.  Molti ugonotti ritornano al Cattolicesimo, persuasi che il massacro mostrasse come Dio non stesse dalla loro parte. Di quelli rimasti, deceduta la generazione più anziana di leader esperti, emerge una generazione giovane più combattiva. Questo pure significava che la vecchia insistenza ugonotta di dover rimanere fedeli al re era ora insostenibile; era duro mantenere la fedeltà al re quando presumibilmente questi era responsabile del massacro di migliaia dei tuoi correligionari durante un tempo di pace.

Risultato ne fu il sorgere dei cosiddetti Monarcomachi[17], teorici politici che sostenevano il diritto di deporre governanti ingiusti. Scrittori come Teodoro di Beza[18], François Hotman[19], Simon Goulart[20], Hubert Languet[21], e Philippe de Mournay[22], tutti scrivono sulla questione di quando un governante legittimo si trasformi in un tiranno illegittimo. Per gli ugonotti, la risposta più ovvia a questa domanda era quando questi massacri migliaia dei propri sudditi. I Monarcomachi sostenevano che un tale re dovesse essere deposto, ed alcuni si spingono fino a legittimare il regicidio.

La Vindiciae Contra Tyrannos è il più influente dei trattati monarcomachi. E’ stato scritto sotto lo pseudonimo Stephen Junius Brutus. Gli studiosi differiscono su chi ne sia stato l’autore, molto probabilmente Hubert Languet o Philippe de Mournay (o una collaborazione fra i due).

Questo trattato si suddivide in quattro sezioni che rispondono a quattro domande che vanno al cuore del rapporto fra autorità del re, legge di Dio, e le responsabilità dei sudditi. Sebbene oggi le circostanze siano molto diverse da quelle della Francia di 450 anni fa, lo stesso tipo di questioni sono sempre più rilevanti nelle nostre nazioni in cui le forze politiche ancora tentano di centralizzare, estendere e rafforzare il loro potere alle spese della libertà personale e specialmente la libertà religiosa.

La prima questione nelle Vindiciae è se i sudditi siano obbligati ad ubbidire ai principi quando essi comandano cose contrarie alla legge di Dio. Questo colpisce direttamente la teoria emergente del Diritto divino dei Re[23], che sosteneva essere dovere del suddito davanti a Dio di ubbidire al re anche se ordinasse cose contrarie alla legge di Dio. Quand’anche lo facesse, si sosteneva, il giudizio apparterrebbe solo a Dio e il suddito sarebbe obbligato comunque ad ubbidire a tali leggi. Questa argomentazione emerge in risposta al problema delle guerre di religione: se Dio si aspetta che il popolo ubbidisca al re in ogni circostanza, non c’è alcuna giustificazione per una guerra di religione. L’autore della Vindiciae ovviamente dissente da questo, insistendo che dobbiamo disubbidire ai re che ordinano di disubbidire alla legge di Dio.

La seconda questione è se i sudditi siano obbligati ad opporre resistenza ai principi quando essi comandano cose contrarie alla legge di Dio. La risposta del trattato è sì, che questo è loro obbligo davanti a Dio.

La terza questione, e la più estesa, si chiede se e in quali circostanze i sudditi possano opporre resistenza ad un principe che si opponga alla Parola di Dio. Ancora una volta la risposta è sì, ma che deve essere fatta correttamente. Questa questione si pone al cuore del trattato ed include il contributo più importante alla teoria politica.

La quarta ed ultima questione è se dei principi possano venire in soccorso ai sudditi di un altro principe quando essi siano perseguitati a causa della loro fede o oppressi tirannicamente. L’autore risponde di sì a venire in soccorso ai perseguitati e da un sì più articolato sull’aiuto da darsi ai sudditi di un altro re.

In queste risposte, la Vindiciae contra tyrannos porta insieme due importanti temi del pensiero politico protestante. Il primo deriva dalla teologia politica di Calvino. Per tutto il Medievo i teologi avevano sostenuto che i re derivassero il loro potere dal popolo, ma che una volta che il popolo avesse investito potere nel re, esso fosse effettivamente inalienabile: il popolo non aveva il diritto di ribellarsi. Calvino porta quest’idea in una direzione diversa. Nel libro di Esodo, Dio chiede al popolo d'Israele per tre volte se essi accettano di vivere nei termnini del Patto che stava stipulando con loro, e per tre volte dicono si sì prima che il Patto venga in vigore. Calvino vede in questo racconto due elementi critici per il governo civile. In primo luogo se Dio stesso chiede il consenso del popolo, allora tutti i governi devono essere basati sul consenso dei governati. In secondo luogo, se Dio stabilisce il Suo governo su Israele attraverso un Patto, allora tutti i governi devono fondarsi su un patto fra governante e governati.

Seguendo il pensiero di Calvino, la Vindiciae contra tyrannos sostiene che i governi legittimi sono fondati su un duplice patto, primo fra Dio da una parte e il re ed il popolo dall’altra, in cui il re ed il popolo concordano di ubbidire a Dio, e il secondo fra il re ed il popolo, in cui il popolo consente di ubbidire al re nella misura in cui il re governi con giustizia. In questa seconda parte del patto, il giuramento d'incoronazione del re corrisponde ad un contratto con il popolo. Critiche sono entrambe le parti del contratto: se il re dovesse disubbidire alla legge di Dio o infrangere il giuramento d'incoronazione, il Patto viene infranto ed il re diventerebbe “nullo e non avvenuto” proprio come ogni altro contratto. In questo caso, è legittimo opporre resistenza al re senza commettere un atto di sedizione.

Sebbene questa argomentazione sembrerebbe permettere al popolo il diritto alla rivolta, la Vindiciae si ferma a questo punto e non lo sostiene. Assegna, però, la responsabilità di resistere al re attraverso “ufficiali” del regno o, per usare una terminologia diversa, ai magistrati minori o “inferiori”.

Questa idea è tratta da Martin Lutero ed è il secondo filo conduttore del pensiero politico protestante nella Vindiciae. Quando si formò la Lega di Smacalda[24] dei principi luterani nel Sacro Romano Impero per difendersi contro l’imperatore Carlo V[25] di Spagna, essi ne chiedono la benedizione a Lutero. Inizialmente egli si rifiuta sulla base che Romani 13 non permette loro di opporre resistenza attivamente all’imperatore; solo la resistenza passiva era legittima, ed essi avrebbero dovuto in ogni caso accettare le conseguenze delle loro azioni. Questa non era la risposta che i principi di aspettavano, e così mandano da Lutero dei giuristi per discutere la questione. Essi sostenevano che ciò che aveva detto Lutero era generalmente vero, ma che la costituzione del Sacro Romano Impero aveva dato ai principi di diritto di sovrintendere all’operato dell’imperatore. Se questi avesse violato la sua parola o fatto qualcosa d'illegale, i principi sono obbligati ad opporgli resistenza in forza della stessa legge dell’impero. Dopo aver udito queste argomentazioni, Lutero scrive il Torgau Memorandum (o Articoli di Turgau)[26] (1530-31) in cui dice che se la resistenza era legale, era pure teologicamente legittima. La gente comune aveva il diritto di ribellarsi, ma gli ufficiali inferiori - i magistrati minori o “inferiori” - potevano condurre la resistenza contro i magistrati superiori, anche se fosse l’imperatore stesso.

Quest’idea fu poi generalizzata ad ogni tipo di governo, non solo il sacro Romano Impero, e diventa un concetto chiave della Teoria Protestante di Resistenza, inclusa nella Vindiciae. Dato che la resistenza degli ugonotti era condotta da principi di sangue, questa posizione acquista senso. Giustificava la resistenza continua alla monarchia e salvaguardava dalle accuse di anarchia.

Implicito in tutto questo è l’idea fondamentale sul governo che risale ad Agostino d'Ippona: a causa del peccato originale, a nessuno può essere accordato potere illimitato, inclusi i re. Tutti i governi devono quindi necessariamente essere limitati, con sistemi di pesi e contrappesi che prevengono chiunque ad andare oltre i suoi poteri legittimi[27]. La Teoria Protestante di Resistenza sosteneva, in effetti, che il magistrato inferiore è parte necessaria del sistema di pesi e contrappesi richiesto da ogni buon governo.

Sebbene il Vindiciae sostenesse il diritto alla resistenza da parte del magistrato inferiore, la logica della sua posizione appoggiava l’idea che il popolo stesso avesse il diritto di opporsi a governanti ingiusti fondato sul rapporto pattizio che lega ciascuno a Dio. Il De Jure Regni apud Scotus (1579) di George Buchanan[28] è stato il primo trattato protestante a sostenere che il popolo stesso avesse il diritto di resistenza e che esso possa resistere e quindi ribellarsi contro il governo anche senza il sostegno del magistrato minore. Ne risultò che la Vindicia fu tradotta in inglese nel 1648 dirante la Guerra Civile Inglese ed esercitò un’influenza importante sul pensiero politico inglese. I Puritani poi porteranno questo pensiero in America, dove si radicò profondamente nella filosofia politica della Nuova Inghilterra. Notevole come la “Difesa della Costituzione degli Stati Uniti d’America” di John Adams[29] elenca la Vindiciae fra le opere chiave “prodotte in Inghilterra” che trattano dei problemi di tirannia e di governo limitato. Questo è un segno della sua influenza non solo sul pensiero politico inglese, ma pure su Adams stesso.

Le discussioni sui padri fondatori dell’America spesso ignorano la profonda influenza delle teorie politiche calviniste sulla rivoluzione americana. Le idee pattizie di governo, la definizione di tirannia come violazione del contratto sociale, e soprattutto il diritto di resistenza ai tiranni - tutte idee che si trovano nella Vindiciae erano il fondamento della vita politica nella Nuova Inghilterra, culla della rivoluzione americana. La maggior parte delle discussioni sulle idee dei Fondatori si sono piuttosto concentrate sui più astratti diritti naturali di Thomas Jefferson e della Dichiarazione d'Indipendenza, eppure anche questa era stata plasmata dalla Vindiciae com’è stata mediata da Locke. Se vogliamo comprendere la teoria politica che soggiace ai Fondatori dell’America, dovremmo studiare non solo Locke, ma anche la Vindiciae contra Tyrannos come rappresentativa della Teoria Protestante di Resistenza e alla tradizione politica calvinista.

Più importante ancora, dati i tempi in cui viviamo, la Vindiciae ci fornisce una prospettiva di valore sui poteri dello stato e i diritti dei cittadini. Dato che essa è stata scritta in circostanze storiche molto diverse dalle nostre, essa non è soggetta ai paraocchi e pregiudizi del nostro tempo e così può aiutarci a sorpassarli. Anche se potremmo non essere d’accordo con tutte le conclusioni della Vindiciae, possiamo trarre molti benefici dalla sua chiarezza di pensiero e dalle sue sfide per vivere fedelmente e senza compromessi affrontando noi le sfide della nostra propria era.

Note

[da: Glenn Sunshine, introduzione a “Vindiciae Contra tyrannos: A defense of liberty against tyrants”, Christian Heritage series, Canon press, Moscow, Idaho, 2020].