Storia/Umanesimo o umanesimi
Umanesimo o Umanesimi?
di Domenico Iannone
L'umanesimo fu un elemento importante nella vita e nel pensiero tardo medievali, particolarmente influente tra l'élite intellettuale e quindi inevitabilmente capace di avere un impatto significativo sulla pietà, la religione e la teologia.
Gli umanisti si consideravano paladini di una sorta di“nuovo ordine”, con il potenziale intellettuale per trasformare la cultura europea. Costoro avevano consapevolezza, che per consolidare tale obiettivo, fosse importante mettere a punto specifiche strategie, allo scopo di accrescere la coesione sociale e intellettuale del movimento.
Numerose furono le strategie messe in essere, tra queste: la coltivazione di nomi latini o greci, l'enfasi sul latino come lingua franca della nuova repubblica di sapienti (Erasmo, notoriamente si considerava un cittadino del mondo di lingua latina e trattava le lingue diverse dal latino con marcato disprezzo, considerando i confini e le lingue nazionali come ostacoli nel percorso degli ideali umanistici in generale, e nel progresso della civiltà in particolare), la fondazione di sodalizi intellettuali, la coltivazione dell'amicizia e la critica spietata di coloro che erano visti come oppositori del movimento, emarginandoli attraverso una retorica di disprezzo.
Ma quali furono le caratteristiche comuni di questo movimento? Cosa unisce i singoli umanisti in un movimento più grande, che trascende gli individui ed i confini nazionali? Almeno quattro punti di vista sulla natura e sugli scopi dell'umanesimo del Rinascimento italiano, hanno ottenuto consensotra gli studiosi, durante il ventesimo secolo.
In primo luogo, c'è il punto di vista “classico” di Jacob Burckhardt (1818-1897), che considerava il Rinascimento come il momento fondamentale della nascita della coscienza moderna: gli umanisti furono gli inventori dell'individualismo moderno, del secolarismo e dell'autonomia morale,in breve della visione illuministica del mondo<ref>Jacob Burckhardt, The Civilization of the Renaissance in Italy, The New American Library of World Literature, Inc. 1961</ref>.
In secondo luogo, la visione di Giuseppe Toffannin (1891-1980), cherifiutando la lettura “laicista” o “ateista” del movimento, vede gli umanisti italiani come esponenti di un'autentica cultura cristiana, di fronte alle sfide, dell'eterodossia e del paganesimo<ref>Giuseppe Tofannin, Che cosa fu l'Umanesimo, G. C. Sansoni, Firenze 1929.</ref>.
In terzo luogo, l’interpretazione di Hans Baron (1900-1988), secondo cui gli umanisti fiorentini furono essenzialmente esponenti del repubblicanesimo, che studiavano i classici per trarre vantaggio dalleintuizioni politichee morali dei loro autori. Secondo Baron, l'umanesimo prima del 1400, si configurava come un movimento essenzialmente medievale. L'emancipazione dell'umanesimo dal contesto medievale, avvenne a Firenze, per influenza di Leonardo Bruni (1370-1444), tra l’altro il primo ad utilizzare la divisione della storia in tre periodi: antichità, medioevo, età moderna.
A Firenze si sviluppò un nuovo senso della storia antica, in quanto la città repubblicana,si considerava l'erede della tradizione romana classica. Più o meno contemporaneamente, si sviluppa un nuovo apprezzamento di Cicerone, riflettendo il nuovo interesse per le idee politiche della repubblica romana. In realtà, l'umanesimo fiorentino del periodo, sembrerebbe caratterizzato più dalla sua preoccupazione per la retorica, che per la difesa positiva degli ideali civili repubblicani. Cicerone sarebbe stato studiato dagli umanisti del Quattrocento, soprattutto come oratore, più che come pensatore politico<ref>Hans Baron, The Crisis of the Early Italian Renaissance: civic humanism and republican liberty in an age of classicism and tyranny, Princeton: 1955; 1966.</ref>.
In quarto luogo, Paul Oskar Kristeller (1905-1999), che vede il movimento come essenzialmente culturale ed educativo, interessato all'eloquenza scritta e parlata, e solo in secondo luogo interessato a questioni di filosofia e politica<ref>Oskar Kristeller, Il Pensiero e le Arti nel Rinascimento, Donzelli Editore, 1990.</ref>.
Kristeller considera l'umanesimo come un movimento sufficientemente coerente, pur riconoscendo che la sua complessa rete di interessi intellettuali, sfida le riduzioni in termini di una sottostante omogeneità filosofica.
Senza il riconoscimento del polimorfismo del movimento, è del tutto possibile che il termine “umanesimo”,non possa funzionare come designazione storiograficamente significativa. Secondo Kristeller, un umanista era un insegnante professionista degli “studia humanitatis”. Tali “studia” erano essenzialmente un programma culturale ed educativo, basato sull'eloquenza scritta e parlata, al quale persone di qualsiasi persuasione filosofica,potevano aderire senza compromettere le proprie convinzioni pregresse. Il fatto che l'umanesimo non abbia abbracciato opinioni specifiche su nessuno argomento, limitandosi invece alla ricerca dell'eloquenza, potrebbe essere il motivo per cui il movimento riuscì a fare breccia in tutti i settori della società italiana ed europea, del periodo rinascimentale.
Gli umanisti non erano interessati ad adottare una posizione coerente su specifiche questioni filosofiche, e sebbene sia indiscutibilmente vero che il periodo fu testimone di un'ampia e significativa rinascita di varie forme di platonismo, resta il fatto che un numero significativo di umanisti adottò consapevolmente anche varie forme di aristotelismo, principalmente connesseal campo dell'etica e della logica (la Logica aristotelica, era insegnata in particolare, all’Università di Parigi).
In effetti, l'ascesa della scolastica all'interno della teologia negli anni Sessanta del XV secolo, sembrerebbe essere dovuta all'influenza dell'aristotelismo rinascimentale padovano. Le lezioni di Ermolao Barbaro (1454-1493), sull'Etica Nicomachea, tenute durante l'anno accademico 1474-5 a Padova, illustrano l'attrazione che l'etica di Aristotele esercitò su molti pensatori del tardo Rinascimento.
Forse la cosa più significativa, è il numero relativamente piccolo di trattati dedicati a discussioni di filosofia teoretica o politica, spesso caratterizzati dal loro dilettantismo, di gran lunga inferiori a quelli dedicati alla “ricerca dell'eloquenza”. Sembra che gli umanisti si considerassero principalmente uomini di lettere, preoccupati di modellare e perseguire l'eloquenza scritta e parlata.
Questo punto può essere illustrato dalle orazioni inaugurali di Bartolomeo della Fonte (1446-1513), un umanista professore di poesia e oratoria, all'università di Firenze. Nella sua “Oratio in laudem oratoriae facultatis”, (Firenze il 7 novembre 1481), una introduzione allo studio delle “Orationes” di Cicerone, il della Fonte sostiene che il segno caratteristico dell'umanità, quello che la distingue dagli animali, è il capacità di esprimere pensieri in parole.
La retorica è dunque la disciplina, che fa emergere ciò che è distintivo e fondamentale dell'umanità, sia esaltando la distinzione tra l'uomo e le altre creature da un lato, sia consentendo di distinguere le persone colte, dalle incolte.
Che questa visione dell'umanesimo abbracci sia il pagano che il cristiano, è evidente dall'affermazione della Fonte, che l'apostolo Paolo, Crisostomo, Girolamo e Agostino non fossero solo uomini di eccezionale pietà, ma anche individui che eccellevano nell'eleganza dei loro discorsi e nella scrittura.
Un ulteriore punto da segnalare è la presunta tensione tra umanesimo nord-europeo e italiano. La storiografia del passato, contrapponeva all’umanesimo cristiano a nord delle Alpi, un umanesimo essenzialmente profano e laico in Italia. La storiografia moderna ha messo in discussione questo modello. In realtà tanto lo studioso non-cristiano, che quello cristiano,procedettero fianco a fianco, entrambi rivendicando il titolo di“umanisti”.
Molti studiosi moderni, tendono ad affrontare la questione del rapporto tra umanesimo e Riforma, sulla base del presupposto che gli umanisti fossero avversi al cristianesimo in generale, ed alla chiesa cattolica in particolare. Sebbene sia chiaro che l'umanesimo rinascimentale non fosse caratterizzato da alcuna posizione filosofica o ideologica distintiva, resta il fatto che, praticamente quasi senza eccezioni, gli umanisti fossero cristiani e che si considerassero operanti nel contesto della vita e del pensiero della chiesa.
C'è una crescente reazione, contro la tendenza illuminista, a considerare gli umanisti come precursori della critica alla religione. Gli umanisti vennero considerati dall'Illuminismo settecentesco, come anticipatori della libertà di coscienza moderna, impegnati ad emancipare l’individuo dagli angusti confini della religione medievale.
In realtà l'umanesimo, era ossessivamente legato a pratiche e superstizioni medievali, quali la magia e la cabala; molti umanisti avevano più in comune con lo spirito del Romanticismo, che con il razionalismo dell'Illuminismo. Pico della Mirandola, Lorenzo Valla, Marsilio Ficino e Desiderio Erasmo, sottolinearono la continuità dell'umanesimo con la tradizione spirituale cattolica medievale.
L’umanesimo ebbe un carattere cosmopolita, e sebbene nel nord Europa quattrocentesco, possano essere individuati vari movimenti che si potrebbero designare come “proto-umanisti”,sembra che lo sviluppo dell'umanesimo nordeuropeo sia stato stimolato dalla diffusione degli ideali del Rinascimento italiano.
I primi contatti con l'umanesimo italiano alla metà del XIV secolo, si ebbero alla corte praghese di Carlo IV, anche se per la maggior parte degli studiosi, le origini dell'umanesimo tedesco sono da far risalire al 1452, con la pubblicazione del “Tractatus de speciositate puellulae” di Albrecht von Eyb.
Sono stati individuati tre principali canali di diffusione delle idee umanistiche, nel nord Europa.
Il primo fu attraverso la circolazione di persone tra il nord Europa e l’Italia rinascimentale, con studenti del nord Europa, che frequentavanole università italiane, prima di tornare ad assumere posizioni di insegnamento nelle università del nord.
Il secondo fu attraverso l'ampia corrispondenza straniera, degli umanisti italiani. Il terzo, attraverso la diffusione di manoscritti, e in particolare attraverso opere a stampa. Sebbene la stampa fosse un'invenzione tedesca, molte delle più importanti stamperie della fine del XV secolo, erano situate nell'Italia settentrionale, in modo particolare a Venezia e Padova.
L'interesse dei primi umanisti per il testo del Nuovo Testamento, è espressione della persuasione che questo testo potesse, attraverso un'analisi letteraria e storica appropriate, fornire intuizioni morali e dottrinali importanti per la situazione storica dell’interprete.
Sebbene molti umanisti abbiano lodato la “eloquentia” del Nuovo Testamento, in particolare quella degli scritti paolini, questo testo è stato generalmente riconosciuto come una fonte intellettualmente modesta, incapace di sopportare il peso dialettico, della speculazione teologica degli scolastici.
L'appello al Nuovo Testamento ed ai Padri della Chiesa, fu considerato un ritorno “ad fontes”. In realtà, il Nuovo Testamento, e scrittori quali Tacito, Virgilio e Galeno, erano già conosciuti da secoli, pertanto la novità non erano tanto le fonti medesime, quanto piuttosto il metodo e lo spirito con cui venivano rilette.
I commenti e le glosse medievali, dovevano essere ignorati e messi da parte, considerandoli una sorta di “contaminazione”, alla retta comprensione del testo autentico originario.
Tacito fu riletto, allo scopo di comprendere come avesse superato l’impedimento alla libertà di parola, durante il regime imperiale del proprio tempo; Virgilio fu riletto con l'idea di imitare Enea che salvava la propria famiglia dalla distruzione di Troia, e che solcava imari, raggiungendo terre lontane (la scoperta delle Americhe nell'ultimo decennio del XV secolo,era pertanto destinata a fare una profonda impressione sulla coscienza europea); Galeno fu riletto con l'idea di condurre esperimenti, attraverso i quali la conoscenza medica e scientifica potessero essere confermate e ampliate.
Il Nuovo Testamento, furiletto con l'idea di incontrare il vivente Cristo risorto (Christus renascens), recuperando in tal modo la vitalità dell'esperienza della chiesa primitiva. Il ritorno alle “fonti”, era pertanto da intendere come un richiamo a tornare alle realtà essenziali dell'esistenza umana, così come riportate in quegli antichi testi.
Le nuove tecniche letterarie e filologiche, permisero ai lettori di reinterpretare la propria esperienza, e dunque lungi dall'essere un mero programma letterario o culturale, il richiamo “ad fontes”, era anche il richiamo ad una ricerca del significato autentico dell’esperienza, che riconosceva nelle fonti classiche i mezzi per raggiungere questo fine.
Per i Riformatori protestanti, le nuove tecniche di recupero filologico del testo originario del Nuovo Testamento, permettevano di sentire ancora risuonare in esso,la vivente Parola di Dio. Riformatori e umanisti allo stesso modo, volevano che la dottrina e la pratica cristiana si fondassero sul Nuovo Testamento e suiPadridella Chiesa, piuttosto che sulleglosse,i commenti biblici medievali, o sui presupposti alla base della teologia scolastica.
In particolare nella prima fase della Riforma, sembra esserci stato un proficuo “malinteso”,trariformatori ed umanisti, con i primi che presumevano che i secondi fossero impegnati nel medesimo programma di rivalutazione della Parola di Dio.
Sia gli umanisti che i riformatori, avevano dubbi riguardo alla “ortodossia” della teologia scolastica; entrambi volevano tornare alla Bibbia, in particolare al Nuovo Testamento, come “fonte” della dottrina cristiana; entrambi apprezzavano gli scritti dei Padri della Chiesa, quali testimoni della vitalità e del carattere del cristianesimo dei primi secoli.
Furono gli umanisti che, con il loro sostegno a Lutero nel periodo 1518-1521, trasformarono una piccola controversia sulla pratica delle indulgenze,sorta all'interno della facoltà teologica dell'Università di Wittenberg, in una grande controversia con implicazioni epocali, sia per la chiesa che per la società.
Tuttavia, tali superficiali somiglianze, tra i programmi di riforma degli umanisti e dei primi protestanti,servirono solo a nascondere profonde differenze.
Ad esempio, sia gli umanisti che i riformatori erano ostili alla teologia scolastica.
Gli umanisti si opponevano all'enfasi scolastica sulle idee astratte, separate dai loro palpitanti e concreti contesti, cosa che sembrava rappresentare una malsana ossessione per le verità universali e religiose. Gli umanisti preferivano occuparsi di specifiche situazioni storiche e cose “concrete”. Inoltre, la terminologia latina e arcana impiegata dagli scolastici, nelle dispute dialettiche,furono oggetto di sarcasmo all'interno del movimento umanista. Per gli umanisti, non c'era alcuna ragione per cui questioni di etica o teologia, non potessero essere espresse in modo semplice.
Al contrario, per i Riformatori, ed in particolare per Lutero, i filosofi e teologi scolastici non erano tanto da criticare per il loro stile letterario o per il loro vocabolario, ma per la teologia che il loro vocabolario veicolava. Ciò che Lutero, aveva a cuore, era una riforma della dottrina, più che dello stile o del vocabolario.
Allo stesso modo, gli umanisti consideravano la Scrittura, e in particolare il Nuovo Testamento, come la “fons et origo” del cristianesimo, valorizzandola sia per la sua antichità, che per il suo significato letterario.
Per Erasmo, l'importanza del Nuovo Testamento riguardava l'insegnamento di Gesù come “lex Christi”, per cui il Nuovo Testamento era da considerarsi lo strumento primario di un processo educativo e formativo religioso.Tuttavia, costituiva solo una delle tante fonti di questo tipo, e non piuttosto l'unica fonte autorevole di dottrina ed etica, non siamo in breve al “Sola Scriptura” dei riformatori.
Infine, gli umanisti valutavano i Padri della Chiesa, come rappresentanti ed esponenti di una forma di cristianesimo semplice e comprensibile, più autentica della fede degradata che si spacciava per cristianesimo,del tardo medioevo. L'autorità dei Padri, era connessa sia alla loro antichità che alla loro eloquenza, piuttosto che alle loro opinioni teologiche.
Mentre per i riformatori, i Padri dovevano essere valutati positivamente, solo se fedeli espositori della Scrittura, e dunque testimoni di forme di cristianesimo, che erano state deformate dalla scolastica medievale.
Per Lutero, Agostino doveva essere considerato preminente tra i Padri, a causa delle sue opinioni teologiche ortodosse. Per gli umanisti, Agostino non poteva avere tale preminenza, essendo Ambrogio o Girolamo, più sofisticati nel modo di argomentare, anche se meno precisi teologicamente.