Corsi/Essere cristiani/43

Da Tempo di Riforma Wiki.
Versione del 3 lug 2020 alle 15:27 di Pcastellina (discussione | contributi) (Creata pagina con "{{Essere}} '''Cuore a cuore''' = 43. Perdonaci = Il cristiano vive di perdono. Questa è la sostanza della dottrina biblica della giustificazione per fede. Noi, infatti, non...")
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Indice generale

Essere cristiani (J. I. Packer)

00 - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12 - 13 14 -15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 4748 49

Il Credo, o Simbolo apostolico. Credo in Dio padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, suo figlio unigenito, Signor nostro, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto. Discese nel soggiorno dei morti, il terzo giorno risuscitò, salì al cielo, siede alla destra di Dio, padre onnipotente.  Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa chiesa universale, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione dei corpi e la vita eterna. Amen.

Cuore a cuore

43. Perdonaci

Il cristiano vive di perdono. Questa è la sostanza della dottrina biblica della giustificazione per fede. Noi, infatti, non potremmo avere alcuna speranza presso Dio o persino vita, se il Figlio di Dio non avesse pagato Lui per noi il prezzo della nostra salvezza e della nostra libertà. I cristiani, però, ancora vivono una vita così piena di contraddizioni da aver bisogno ogni giorno di perdono. Ecco perché Gesù, in questa seconda parte del Padre nostro, il modello per eccellenza di preghiera, include una richiesta di perdono. Questa richiesta si pone fra la richiesta di provvigioni spirituali e quella di provvigioni materiali. Essa non riflette un bisogno personale di Gesù, perché Egli era privo di peccato (cfr. Gv. 8:46): è qui per noi.

Debiti

In che modo i cristiani dovrebbero considerare i loro peccati? La Scrittura presenta il peccato come un’infrazione della Legge di Dio, come una deviazione dalla retta via, come un venir meno a ciò che noi dovremmo essere, una ribellione, una contaminazione, un bersaglio mancato, e tutto questo in rapporto a Dio. L’angolatura speciale secondo la quale il Padre nostro considera il peccato, però, è quella di debiti non pagati. Non si tratta tanto di “offese” dalle quali dobbiamo essere perdonati, come traduce la versione interconfessionale di Matteo 6:12, ma di veri e propri debiti. Si confronti anche la parabola dei due debitori in Matteo 18:23. Ciò a cui Gesù qui pensa è che noi dobbiamo a Dio una totale ed instancabile ubbidienza – un amore zelante per Dio e per il prossimo, tutto il giorno e tutti i giorni, sul modello stesso della vita di Gesù. Ecco quindi come il peccato diventi fondamentalmente un debito non pagato. I peccati d’omissione, nella Bibbia, sono altrettanto importanti come quelli di commissione. Quando pensiamo al peccato, ai nostri peccati, dobbiamo considerare non solo ciò che abbiamo fatto, ma anche ciò che non abbiamo fatto, ciò di cui siamo stati negligenti. Quando, infatti, i cristiani esaminano sé stessi, essi dovrebbero prima di tutto cercare le omissioni. Infatti, così facendo, subito si rivela come i peccati più tristi di cui essi sono responsabili, abbiano a che fare proprio con ciò che non hanno fatto e che avrebbero dovuto fare. Si racconta che il famoso arcivescovo Usher, sul suo letto di morte, abbia così pregato: “Signore, perdona soprattutto i miei peccati d’omissione”. Dicendo così, infatti, mostrava di avere un profondo senso di realismo spirituale.

Figli che peccano

A questo punto, però, sorge un problema. Se la morte di Cristo di fatto paga il prezzo di tutti i nostri peccati, passati, presenti, e futuri (ed è così), e se il verdetto mediante il quale Iddio giustifica il credente (“Io ti accolgo come giusto sulla base dell’opera di Cristo”) è eternamente valido (ed è così), perché mai il cristiano dovrebbe far menzione a Dio dei suoi peccati quotidiani? La risposta a questa domanda risiede nel distinguere fra Dio come Giudice e Dio come Padre, e fra l’essere un peccatore giustificato ed un figlio adottato. La preghiera del Signore è una preghiera “di famiglia”, la preghiera che i figli adottati di Dio rivolgono al loro Padre. Le mancanze in cui essi incorrono ogni giorno non annullano la loro giustificazione, ma le cose non potranno andare bene fra loro ed il Padre loro celeste fintanto che essi non Gli diranno: “Mi dispiace” e Gli chiederanno di non guardare ciò in cui L’hanno deluso. Fintanto che i cristiani non andranno a Dio ogni volta come il figlio prodigo, la loro preghiera sarà altrettanto incongruente quanto quella del Fariseo nella parabola di Gesù.

Intollerabile

Emerge qui un’importante lezione da apprendere. I cristiani devono essere disposti ad esaminare sé stessi ed a lasciare altri che li esaminino proprio per verificare quotidianamente dove essi abbiano fallito nei loro doveri. I puritani apprezzavano molto quei predicatori che mettessero realmente in crisi la loro coscienza, e questo è certamente qualcosa di cui noi oggi abbiamo particolarmente bisogno. La disciplina dell’esame di noi stessi, sebbene sgradita al nostro orgoglio, è quanto mai necessaria, perché il nostro santo Padre celeste non chiuderà un occhio sulle inadempienze dei Suoi figli, cosa che spesso i genitori terreni fanno, dimostrando così poca saggezza. Ciò che Dio sa sui nostri peccati, dobbiamo pure noi conoscerlo, per potercene ravvedere e chiederne perdono.

Da un certo punto di vista, le inadempienze dei cristiani sono particolarmente offensive perché sono un affronto all’amore che Dio ha per noi in Cristo come pure alle stesse risorse che noi abbiamo a disposizione (lo Spirito che dimora in noi) e che ci permetterebbero di evitare il problema. Chi pensa che proprio perché in Cristo i suoi peccati siano coperti e ritiene così di non aver bisogno di osservare la Legge di Dio, è disperatamente confuso (si veda, ad esempio, Romani 6). Un uomo sarà molto più sconcertato dallo scoprire che sua moglie vada a letto con tutti che dall’apprendere che la sua vicina di casa lo faccia… Allo stesso modo Iddio è molto più rattristato nel vedere l’infedeltà del Suo popolo che quella degli altri. Si veda, per esempio, la profezia d’Osea, capitoli da 1 a 3. La Scrittura dice: “Questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate” (1 Ts. 4:3), e nulla meno che questo sarà accettato.

La liturgia anglicana del 1662 per la Cena del Signore, insegna ai cristiani a considerare “intollerabile” il fardello dei propri peccati. Questa forte espressione non rivela forse la gran tristezza che Dio ha nell’osservare i peccati commessi dalla Sua stessa famiglia? Siamo noi sensibili a tutto questo? C’importa che, come figli di Dio, la nostra vita debba essere, per quanto possibile, libera dal peccato? Il vero cristiano non solo cercherà di identificare i suoi peccati attraverso una rigorosa analisi di sé stesso, ma farà in modo che, “mediante lo Spirito”, le sue “opere del corpo” siano messe a morte ogni giorno della sua vita (Ro. 8:13), cioè a smettere gli abiti della sua vecchia natura peccatrice.

Solo chi perdona è perdonato

Coloro che sperano che Dio li perdoni, dice Gesù, devono essere in grado, altresì, che essi pure abbiano perdonato i debiti che altri hanno verso di loro. Non si tratta qui di guadagnarsi il perdono di Dio attraverso le nostre opere, ma di qualificarci per esso attraverso il ravvedimento. Il ravvedimento – “cambiamento di mente” – rende centrale, nel proprio stile di vita il perdono e la tolleranza. Coloro che vivono del perdono di Dio, pure debbono imitarlo. Chi ha la speranza che Dio non gli addebiti le sue trasgressioni si pregiudica il suo diritto se non fa altrettanto con gli altri. Fa’ agli altri quello che tu vorresti che gli altri ti facessero, è qui una regola centrale. Il cristiano che non perdona è una contraddizione in termini. E’ vero che il perdono lo si ottiene soltanto attraverso la fede in Cristo, indipendentemente dalle opere, ma il ravvedimento è il frutto della fede. Se la vita di colui che Dio ha perdonato in Cristo non manifesta pure spirito di perdono, si deve molto dubitare della autenticità della sua fede, come di una fede senza ravvedimento. Gesù stesso fa fortemente notare che solo coloro che sono disposti a perdonare otterranno perdono per sé stessi (vedi Matteo 6:14ss; 18:35).

La questione, così, è sempre: posso veramente dire il Padre nostro a ragion di causa? Lo puoi tu veramente pronunciare? Faremmo bene fare nostre le seguenti espressioni: “Signore, Tu ci hai chiesto di pregare: Rimettici i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, ma solo Tu puoi concederci la grazia di vivere in reale coerenza con queste parole. Come potrebbe il Tuo perdono raggiungere e benedire il cuore che non sa perdonare, il cuore che coltiva odio e risentimento, amarezza e contrarietà? La Tua croce rivela luminosa la verità che noi conosciamo in modo così incerto: quanto piccoli sono i debiti che altri hanno verso di noi in confronto ai grandi debiti che noi abbiamo verso di Te! Signore, purifica profondamente la nostra anima e fa che cessi in noi ogni risentimento. Così, riconciliati a Dio ed all’uomo, la nostra vita diffonderà la Tua pace”.

Per lo studio biblico ulteriore

Chiedere perdono: Salmo 51. Qualificati per essere perdonati: Matteo 18:23-35.

Domande per la riflessione e la discussione

  • In che modo la preghiera del Padre nostro definisce il peccato?
  • In che modo questo è rilevabile nella nostra vita di ogni giorno?
  • Perché è necessario che un cristiano confessi ogni giorno i suoi peccati?
  • Perché dei cristiani privi dello spirito di perdono possono essere considerati degli ipocriti?

(10, continua).