Corsi/Essere cristiani/36
Essere cristiani (J. I. Packer) |
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Il Credo, o Simbolo apostolico. Credo in Dio padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, suo figlio unigenito, Signor nostro, il quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto. Discese nel soggiorno dei morti, il terzo giorno risuscitò, salì al cielo, siede alla destra di Dio, padre onnipotente. Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, la santa chiesa universale, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione dei corpi e la vita eterna. Amen.
Cuore a cuore
36. Padre nostro
La preghiera del Signore si esprime in termini familiari: Gesù ci insegna a invocare Dio come nostro Padre, proprio come faceva Lui – considerate, per esempio, la Sua preghiera nel Getsemani, o la Sua preghiera sacerdotale in Giovanni 17, dove “Padre” ricorre sei volte. Sorge però una questione: Gesù è Figlio di Dio per natura, la seconda Persona della Santa Trinità. Noi, però, siamo creature di Dio. Con quale diritto, allora, potremmo chiamare Dio Padre? Quando Gesù insegnava questo modo di rivolgersi a Dio, forse che intendeva dire che l’essere creature di Dio equivale ad essere figli di Dio, o che altro?
Adottati
La chiarezza qui è di fondamentale importanza. Il punto che qui Gesù intende fare, come abbiamo visto in uno studio precedente, non è che tutti gli uomini siano figli di Dio per natura, ma che i discepoli di Gesù, impegnati a seguirlo, sono stati adottati nella famiglia di Dio per grazia. “A tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato l'autorità di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Gv. 1:12). Paolo afferma che proprio questo è lo scopo dell’incarnazione: “quando è venuto il compimento del tempo, Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione” (Ga. 4:4,5). La preghiera rivolta a Dio come Padre è quindi riservata solo ai cristiani.
Questo risolve molti problemi. Altrove Gesù pone l’accento su come i Suoi discepoli debbano pregare nel Suo nome e con la Sua mediazione, cioè guardando a Lui come l’unica via d’accesso al Padre (vedi Gv. 14:6,13; 15:16; 16:23-26). Perché in questa preghiera modello non si accenna minimamente a questo fatto? Perché, quando usa l’espressione “Padre”, esso è ad essa implicito, sottinteso. Soltanto coloro che guardano a Gesù come loro Mediatore ed espiazione dei loro peccati, e si accostano a Dio attraverso di Lui, hanno il diritto di invocare Dio come Suoi figli.
Figli ed eredi
Se preghiamo e viviamo come dovremmo, noi dovremmo bene cogliere le implicazioni del diritto, acquisito per grazia, di chiamare Dio nostro Padre.
In primo luogo, come figli adottivi di Dio, noi siamo amati da Lui non meno di quanto Egli ami Colui che chiama “il mio amato Figlio” (Mt. 3:17; 17:5). In alcune famiglie che contengono figli naturali ed adottivi, quelli naturali sono preferiti a quelli adottivi, ma questi difetti non sfigurano la paternità di Dio.
Si tratta della migliore notizia che mai chiunque abbia udito. Significa che, come trionfalmente dichiara Paolo che “né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Ro. 8:39). Significa che Dio giammai ci dimenticherà, o cesserà di occuparsi di noi, e che Egli rimarrà paziente nostro Padre anche quando ci dovessimo comportare come il figliol prodigo (e, ahimè, spesso noi ci comportiamo in questo modo!).
Significa pure che Egli, di fatto, è più pronto ad esaudire che noi a pregare, anzi, a darci molto più di quanto noi si possa desiderare o chiedere. Gesù, infatti, dice: “Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a coloro che gliele chiedono” (Mt. 7:11). Il brano parallelo in Luca 11:13, invece di “cose buone” riporta “lo Spirito Santo”, e certamente il ministero incessante dello Spirito Santo è certamente una delle buone cose che Egli dona a coloro che si accostano a Lui in preghiera). Conoscere la verità dell’amore paterno di Dio ci può dare l’incrollabile fiducia, non solo che questa preghiera verrà esaudita, ma pure la consapevolezza costante che Egli sarà sempre accanto a noi.
In secondo luogo, noi diventiamo eredi di Dio. Nel mondo antico adottare un figlio era il modo in cui ci si assicurava quell’erede che non era stato possibile avere per via naturale. La Scrittura afferma che i cristiani sono coeredi (“eredi assieme”) di Cristo della gloria di Dio (Ro. 8:17). “Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è” (1 Gv. 3:2). Già “tutte le cose sono nostre” nel senso che esse promuovono il vostro bene quaggiù e la vostra gloria lassù, perché “voi siete di Cristo” (1 Co. 3:21-23; Ro. 8:28-30). Riuscire a cogliere questo significa vedersi giustamente ricchi e privilegiati più di un qualsiasi re o milionario.
In terzo luogo, lo Spirito Santo dimora in noi. Insieme a questo rinnovato rapporto con Dio (l’adozione) si accompagna un cambiamento di direzione e di desideri, di prospettiva e di atteggiamenti, che la Scrittura chiama rigenerazione e nuova nascita. Coloro che credono “nel nome” di Gesù, infatti, “sono nati da Dio” (Gv. 1:12ss), o, più precisamente, “nati dallo Spirito” (3:6, cfr. 3-8). Paolo dice: “Ora perché voi siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori che grida: «Abba, Padre»” (Ga. 4:6). Lo Spirito di Dio, cioè, ci spinge a chiamare spontaneamente Dio nostro Padre, rendendo questo un nostro nuovo istinto spirituale. Quando ci troviamo (e succede a tutti) confusi, aridi, e incapaci di pregare, tanto da non sapere pregare più come si conviene, allora è lo stesso nostro desiderio di pregare come dovremmo e la nostra afflizione di non saperlo fare, testimonia che lo Spirito stesso intercede per noi nel nostro cuore (Ro. 8:26ss). E’ qualcosa di misterioso, ma rassicurante, di eccitante e di stupefacente.
In quarto luogo, dobbiamo onorare nostro Padre servendo i Suoi interessi. Il centro del nostro interesse deve essere “il nome di Dio”, “il regno di Dio”, “la volontà di Dio”, e dobbiamo essere come buoni figli di famiglie umane, pronti ad ubbidire ai Suoi comandi.
In quinto luogo, noi dobbiamo amare i nostri fratelli prendendoci costantemente cura di loro e pregando per loro. La preghiera del Signore ci ammaestra ad intercedere per la famiglia del Signore: “Padre nostro… dacci… perdonaci… indurci… liberaci…”. Quel “nostro”, “noi” significa più che “io… me”! Per il figlio di Dio la preghiera non è “un volo solitario nella solitudine”, ma un interesse per il bene della famiglia nella quale siamo stati inseriti.
Dovremmo quindi, quando chiamiamo Iddio nostro Padre, esprimere fede in Cristo, fiducia in Dio, gioia nello Spirito Santo, desiderio di ubbidire, ed interesse per i nostri compagni nella fede. Solo così noi risponderemo alle intenzioni di Gesù quando Egli ci insegna questa forma di rivolgersi a Dio.
Lode e ringraziamento
Ogni volta che usiamo, in questa preghiera modello, l’invocazione a Dio come nostro Padre, dovremmo acquisire rinnovata consapevolezza di questo rapporto famigliare – il Suo ruolo di genitore, e la nostra figliolanza per grazia. Ogni preghiera onesta e sincera inizia contemplando lungamente Iddio ed elevando il nostro cuore a Lui per ringraziarlo ed adorarlo. Ecco che cosa implica chiamarlo “Padre”. Riconoscenza per la grazia ricevuta, lode per la paternità di Dio, e gioia nella nostra figliolanza e eredità, dovrebbe occupare un grande spazio della nostra preghiera, e se anche non andassimo oltre a questo, ancora pregheremmo come si conviene. Le cose più importanti devono venire prima!
Vi chiedo, così: preghiamo sempre Dio come Padre? Inoltre: sempre Lo lodiamo quando preghiamo?
Per lo studio biblico ulteriore
La paternità di Dio (Ro. 8:12-25; Mt. 6:1-16).
Domande per la riflessione e la discussione
- (1) Che cos’è che ci dà il diritto di chiamare Dio nostro Padre?
- (2) Perché solo dei veri cristiani lo potrebbero fare?
- (3) Qual è l’importanza, quando preghiamo, di avere piena coscienza di essere figli di Dio?
- (4) Perché l’autore dice: “La preghiera del Signore ci ammaestra ad intercedere per i bisogni della famiglia?”.