Letteratura/Istituzione/4-18

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO 18

LA MESSA PAPALE, SACRILEGIO CHE NON SOLO HA PROFANATA MA INTERAMENTE ABOLITA LA CENA DI GESÙ CRISTO

1. Con queste e altre consimili invenzioni Satana si è sforzato di ottenebrare la santa Cena di Gesù Cristo, per corromperla, oscurarla, intaccarla perché non si mantenesse e durasse nella sua purezza. Il colmo della abominazione, è stato però raggiunto quando egli ha instaurato un segno mediante il quale questa santa Cena, fosse non solo oscurata e pervertita, ma interamente cancellata, abolita e annullata nel ricordo degli uomini; quando cioè ha accecato il mondo intero con quel pestilenziale errore che fa ritenere la messa sacrificio e oblazione per ottenere la remissione dei peccati.

Poco mi importa sapere qual sia stato il senso originario di questa opinione, e come sia stata trattata dai dottori scolastici, che ne hanno parlato in modo più accettevole di quanto abbiano fatto i loro successori. Tralascio perciò tutte le loro soluzioni perché si tratta solo di frivole sottigliezze che non servono ad altro che ad oscurare la verità del Vangelo.

Sappiano i lettori che ho intenzione di combattere contro questa teoria maledetta con cui l'anticristo di Roma e i suoi accoliti hanno stordito la gente, facendo credere che la messa sia opera meritoria per il prete che offre Gesù Cristo e per coloro che assistono all'offerta da lui fatta; ovvero si tratti di un sacrificio di soddisfazione per ottenere il favore di Dio.

Non è solo questa l'opinione del popolino, l'atto stesso che essi compiono è fatto in modo tale da diventare una sorta di espiazione per dare a Dio soddisfazione per i peccati dei vivi e dei morti. Di fatto i termini cui ricorrono hanno questo significato e l'uso quotidiano dimostra che le cose stanno così. So bene quanto questa peste si è da tempo radicata, sotto quali apparenze di bene si nasconda, come si ammanti del nome di Gesù Cristo, come per molti la somma della fede sia espressa nel solo termine "messa "; ma quando sia stato chiaramente dimostrato, mediante la parola di Dio, che questa messa, quantunque abbellita e rivestita, reca sommo disonore a Gesù Cristo, calpesta e seppellisce la sua croce, fa dimenticare la sua morte, ci sottrae il frutto che ce ne viene, distrugge e vanifica il sacramento al quale era affidato il ricordo di quella morte, saranno le sue radici così profonde che la scure potente della parola di Dio non le possa recidere, troncare, abbattere? Potranno i bei rivestimenti nascondere il male sì che non venga svelato da questa luce?

2. Esaminiamo dunque la prima affermazione: quivi viene commessa intollerabile bestemmia e disonore a Gesù Cristo. Egli, infatti, e stato istituito e consacrato sacerdote e pontefice del Padre suo non per un tempo, come coloro che sono istituiti nell'antico patto, il cui sacerdozio e la cui prelatura non poteva essere immortale, poiché la vita loro era mortale e dovevano perciò avere successori che li sostituissero dopo la morte. Gesù Cristo non è mortale, non ha bisogno di vicari. Egli è stato dunque designato dal Padre quale sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec per adempiere l'ufficio di sacerdote eternamente e in modo permanente (Eb. 5.5-10; 7.7-21; 9.2; 10.21; Sl. 110.4; Ge 14.18).

Questo mistero era stato molto tempo innanzi figurato in Melchisedec di cui, dopo esser stato una volta ricordato dalla Scrittura quale sacerdote dell'iddio vivente, non viene fatto in seguito più menzione quasi avesse vissuto in eterno, senza fine. In virtù di questa similitudine, Gesù Cristo è stato detto sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec. Coloro che quotidianamente offrono sacrifici necessitano di sacerdoti per fare le loro oblazioni, sacerdoti che si collochino al posto di Gesù Cristo quali successori e vicari. Con questa sostituzione non spogliano solo Gesù Cristo del suo onore sottraendogli la sua prerogativa di sacerdote eterno, ma si sforzano di deporlo dalla destra del Padre suo dove non può essere seduto, immortale, senza fungere, nel contempo, da sacerdote eterno per intercedere per noi.

Non ci vengano a dire che i loro sacerdoti non sono vicari di Gesù Cristo nel senso che lo sostituiscono, ma fungono solo da suffraganei del suo eterno sacerdozio, che non cessa per questo di esistere nella sua pienezza; le parole dell'apostolo sono infatti troppo precise perché le possano eludere. Egli afferma che venivano fatti sacerdoti in gran numero perché non potevano durare in eterno a causa della morte (Eb. 7.23). Gesù Cristo, dunque, che non può essere impedito dalla morte, è solo e non ha bisogno di compagni.

Nella loro arroganza osano valersi dell'esempio di Melchisedec per sostenere la loro empietà. È detto infatti che egli offerse del pane e del vino e vedono in questo la prefigurazione della loro messa; come se la similitudine fra lui e Gesù Cristo fosse da cercarsi nell'offerta del pane e del vino. Si tratta di sciocchezze così inconsistenti che neppure meritano confutazione. Melchisedec ha dato del pane e del vino ad Abramo e alla sua scorta perché avevano bisogno di nutrimento come la gente stanca, reduce da una battaglia; che c'entra il sacrificio? Mosè loda per questo l'umanità e la liberalità di questo santo monarca. Costoro invece, in quattro e quattro otto, inventano un mistero di cui non è fatta menzione alcuna.

Giustificano però il loro errore con un altro argomento: il testo dice, poco dopo, che egli era sacerdote del Dio altissimo.

Rispondo a questo che il voler riferire al pane e al vino ciò che l'Apostolo dice della benedizione, è grave errore; egli voleva semplicemente dire che, in qualità di sacerdote di Dio, ha benedetto Abramo. Lo stesso Apostolo, la cui esegesi deve ritenersi la migliore, mostra che la dignità di Melchisedec consiste nel fatto che è superiore ad Abramo per poterlo benedire (Eb. 7.7). Se l'offerta di Melchisedec fosse stata figura del sacrificio della messa, perché, mi chiedo, l'Apostolo avrebbe tralasciato un elemento così importante e così prezioso, visto che ha analizzato i più piccoli dettagli, che avrebbero anche potuto essere tralasciati. Tutte le loro chiacchiere e i lori sforzi non otterranno il risultato di rovesciare il fatto costantemente citato: il diritto e l'onore del sacerdozio non appartengono più a uomini mortali visto che sono stati trasferiti a Gesù Cristo che è eterno.

3. La seconda caratteristica della messa, abbiamo detto, consiste nel fatto che essa annulla e distrugge la croce e la passione di Gesù Cristo. Il indubbio che innalzando un altare si abbatte la croce di Cristo. Poiché offrendo se stesso sulla croce in sacrificio per santificarci a perpetuità, e procurarci redenzione eterna (Eb. 9.12) , non c'è dubbio che egli ha compiuto un sacrificio, il cui effetto e la cui efficacia durano in eterno. In caso contrario non dovremmo tenerlo in maggior conto dei buoi e dei vitelli immolati sotto la Legge, il cui sacrificio è risultato privo di effetto e di valore, in quanto doveva essere costantemente ripetuto. Si deve perciò riconoscere ovvero che il sacrificio di Gesù Cristo in croce non ha avuto valore di purificazione e santificazione eterna, ovvero che Gesù Cristo ha compiuto un sacrificio unico, valido una volta per tutte.

È quanto afferma l'Apostolo che quel gran sommo sacerdote, o pontefice, Gesù Cristo mediante il sacrificio di se stesso, è apparso una volta, alla fine dei tempi, per cancellare, distruggere, abolire il peccato (Eb. 9.26). E ancora: la volontà di Dio è stata di santificarci mediante l'offerta di Gesù Cristo una volta per tutte (Eb. 10.10); ed oltre: che mediante una sola offerta ha resi perfetti quelli che sono santificati (Eb. 10.14). Egli aggiunge una significativa considerazione: essendoci stata procurata la remissione dei peccati una volta per tutte, non ha più motivo di essere alcun sacrificio per i peccati (Eb. 10.20.

Questo è stato espresso da Gesù Cristo stesso nelle ultime parole che pronunciò rendendo lo spirito quando disse: "È compiuto " (Gv. 19.30). Siamo soliti dare alle ultime parole di un morente valore normativo, quasi di ordine divino; ecco che Gesù Cristo, morendo, ci dice che, mediante il suo unico sacrificio, è adempiuta, in modo perfetto, la nostra salvezza. Come potrebbe dunque esser lecito aggiungere ogni giorno innumerevoli altri sacrifici come se il suo non fosse perfetto, quantunque egli ce ne abbia in modo così evidente dichiarato e illustrato la perfezione? La santissima Parola di Dio, infatti, non solo ci dichiara ma ci grida e attesta che quel sacrificio è stato adempiuto una volta e la sua efficacia, e il suo valore, sono eterni; coloro pertanto che ne cercano e ne desiderano altri, non lo accusano forse di essere imperfetto e inefficiente? E la messa creata e diffusa al punto che tutti i giorni si fanno centomila sacrifici, a che scopo tende, quali risultati raggiunge, se non seppellire e annullare la passione di Gesù Cristo con cui egli si è offerto quale unico sacrificio al Padre? Chi, se non una persona accecata, non si accorge che è stata una somma astuzia di Satana, per ostacolare e combattere la verità di Dio così chiara e manifesta? Non ignoro certo le argomentazioni illusorie con cui quel padre di menzogna è solito mascherare questa diavoleria, facendo credere che non si tratta di sacrifici molteplici e diversi, ma di uno solo, ripetuto molte volte. Senza difficoltà sono però dissipate queste sue tenebrose fumisterie. L'Apostolo, infatti, in tutta la sua argomentazione, non afferma soltanto che non vi sono altri sacrifici, ma che quello solo è stato offerto una volta e non si deve ripetere.

Coloro che si danno a ragionamenti più sottili pensano trovare una scappatoia affermando che non si tratta di ripetere il sacrificio ma semplicemente di applicazione. Questo sofisma si può però refutare senza difficoltà. Perché Gesù Cristo non si è offerto una volta a condizione che il suo sacrificio fosse quotidianamente ratificato mediante offerte, ma affinché il frutto ci fosse dato nella predicazione dell'evangelo, e nell'uso della Cena. Perciò san Paolo, avendo detto che Gesù Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato, ci ordina di mangiare (1 Co. 5, 7). Ecco dunque in che modo il sacrificio della croce di nostro Signore Gesù è applicato. Quando si dà a noi, e noi lo riceviamo con fede sincera.

4. Occorre però esaminare su quali basi i messaioli fondino il loro concetto di sacrificio. Citano la profezia di Malachia in cui nostro Signore dichiara che si offrirà profumo al suo nome per ogni luogo e oblazione pura (Ma.1.2). Non si tratta però di una cosa nuova o insolita nei profeti; dovendo parlare della vocazione dei pagani e indicare il culto spirituale di Dio, essi ricorrono all'esempio delle cerimonie della Legge, per dimostrare più facilmente ai contemporanei in che modo i pagani dovessero esser condotti ad una autentica partecipazione al patto di Dio; hanno così l'abitudine di descrivere le cose adempiute nell'evangelo sotto figure del loro tempo.

Si comprenderà questo fatto facendo alcuni esempi. Volendo dire che tutti i popoli si convertiranno a Dio, affermano che saliranno a Gerusalemme. Volendo dire che i popoli del Mezzogiorno e dell'oriente adoreranno Dio, affermano che offriranno in dono le ricchezze dei loro paesi. Volendo indicare la vasta e profonda conoscenza che sarebbe stata data ai credenti nel regno di Cristo, dicono che le ragazze profetizzeranno, i giovani avranno visioni e i vecchi dei sogni (Gl. 3.1). Queste citazioni si devono accostare ad un'altra profezia di Isaia ove è detto che vi saranno in Assiria e in Egitto altari eretti al Signore come in Giudea (Is. 19.19-21).

Domando ai papisti, in primo luogo: queste promesse non si sono adempiute nella fede cristiana? In secondo luogo: dove sono questi altari e quando sono stati edificati? Desidererei infine sapere, se a loro giudizio, quei due regni, menzionati con Giuda, dovessero avere ognuno il suo tempio come quello di Gerusalemme. Riflettendo attentamente a questi interrogativi saranno costretti a riconoscere che, in quel caso, il profeta descrive verità spirituali sotto immagini e figure del tempo suo. Ora e proprio questa l'interpretazione che noi proponiamo.

Espressioni di questo genere sono molto frequenti, non intendo perciò dilungarmi in citazioni. Questi sciocchi però si ingannano grossolanamente non riconoscendo altro sacrificio che quello della loro messa, i credenti invece compiono ora reali sacrifici a Dio, e offrono oblazioni pure, come vedremo appresso.

5. La terza funzione della messa consiste nel cancellare dalla memoria degli uomini la vera e unica morte di Gesù Cristo. Come fra gli uomini la validità di un testamento dipende dalla morte del testatario, nello stesso modo anche nostro Signore ha confermato con la sua morte il testamento Cl. Quale ci ha garantito la remissione dei nostri peccati e la giustizia eterna. Coloro che hanno l'ardire di recar modifiche o innovazioni in questo testamento smentiscono la sua morte e la reputano di nessun valore. Che è infatti la messa se non un nuovo testamento interamente diverso? Non promette forse ogni messa nuova remissione dei peccati e acquisizione di giustizia, cosicché vi sono altrettanti testamenti quante sono le messe? Torni dunque Gesù Cristo, e confermi con una nuova morte questo nuovo testamento, anzi, confermi con morti infinite gli infiniti testamenti delle messe! Non è senza motivo, pertanto, che ho detto all'inizio che la morte unica e autentica di Gesù Cristo è cancellata e dimenticata a causa delle messe.

Anzi la messa non tende forse direttamente a far sì che se fosse possibile Gesù Cristo venisse da capo ucciso e messo a morte? Poiché, come dice l'Apostolo, dove c'è testamento è necessario vi sia la morte del testatario (Eb. 9.16). La messa reca con se un nuovo testamento di Gesù Cristo, richiede dunque la sua morte. Anzi, è necessario che la vittima offerta in sacrificio sia uccis. E immolata. In ogni messa Gesù Cristo viene offerto in sacrificio; questo significa che in ogni momento, in mille luoghi, e crudelmente messo a morte. E non è questo argomento mio ma dell'apostolo, che dice: se Gesù Cristo avesse dovuto offrire se stesso molte volte, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo.

Conosco la loro replica, con cui, anzi, ci accusano di calunnia; dicono infatti che attribuiamo loro quello che non hanno mai pensato perché è in realtà impossibile. Sono pronto a riconoscere che ne la vita né la morte di Gesù Cristo sono in loro potere, e non discuto se abbiano proposito deliberato o meno di uccidere Cristo. Voglio solo illustrare quale assurdità sia nascosta nella loro mala dottrina quando venga accolta e lo dimostro solo per bocca dell'apostolo. Replichino finché vogliono che questo sacrificio e incruento; attesto, per conto mio, che i sacrifici non possono mutare natura a seconda del piacere degli uomini, o ricevono qualifiche diverse a loro piacimento.

Verrebbe a cadere così la sacra e inviolabile istituzione di Dio. Ne consegue dunque che questa affermazione dell'apostolo, non può essere annullata, che cioè lo spargimento di sangue è richiesto in ogni sacrificio perché vi possa essere purificazione.

6. Bisogna ora esaminare la quarta funzione della messa: essa ci sottrae il frutto che proviene dalla morte di Gesù Cristo, in quanto ci impedisce di conoscerlo o prenderlo in considerazione. Chi infatti si considera riscattato dalla morte di Gesù Cristo, vedendo nella messa una nuova redenzione? Chi crederà che i suoi peccati gli sono perdonati vedendo un'altra remissione? Né ci si sottrae a questa critica affermando che non otteniamo la remissione dei peccati nella messa, se non per il fatto che essa ci è già stata procurata dalla morte di Cristo. Questo equivarrebbe a dire che siamo riscattati da Cristo a condizione però di riscattarci noi stessi. Questa è la dottrina diffusa dai ministri di Satana, e da essi rivendicata oggi con proteste, spade, fuoco: quando offrono Gesù Cristo al Padre nella messa, in virtù di questa offerta, acquistiamo remissione dei peccati e siamo resi partecipi della passione di Gesù Cristo. Che valore può ancora avere la passione di Gesù Cristo? Non è forse ridotta a semplice esempio di redenzione da cui impariamo ad essere redentori di noi stessi? Lui stesso volendo garantirci nella Cena, che le nostre colpe ci sono perdonate, non limita la nostra attenzione al sacramento ma ci rimanda al sacrificio della sua morte, dichiarando che la Cena è un memoriale stabilito per insegnarci che la vittima per cui Dio fu placato doveva essere offerta una volta soltanto. Non basta affermare che Gesù Cristo è unica vittima per riconciliarci con Dio, se non si aggiunge subito che è stata una offerta unica, cosicché la nostra fede sia vincolata alla croce.

7. Vediamo ora l'ultimo beneficio della messa: la santa Cena in cui nostro Signore aveva lasciato stampato e inciso in ricordo della sua passione, è eliminata dalla messa, risulta anzi perduto e cancellato. La Cena è un dono di Dio che deve essere preso e ricevuto con azioni di grazia, al contrario si finge che il sacrificio della messa sia un tributo offerto a Dio che lo riceve da noi come una soddisfazione. Tanto è diverso il prendere dal dare tanta è la differenza tra il sacramento della Cena e un sacrificio.

Si tratta indubbiamente in questo caso di una sciagurata ingratitudine da parte dell'uomo: laddove egli doveva riconoscere un'azione di grazia, l'ampiezza della bontà divina e la sua liberalità, vuol far credere a Dio che lo vincola a sé.

Il sacramento ci promette non solo che siamo restituiti alla vita mediante la morte di Gesù Cristo ma siamo vivificati costantemente poiché allora è stato compiuto tutto ciò che concerne la nostra salvezza. Il sacrificio della messa dice una cosa ben diversa: bisogna che Gesù Cristo sia sacrificato ogni giorno perché possiamo avere qualche profitto.

La Cena doveva essere offerta e distribuita nelle pubbliche assemblee della Chiesa per educarci alla comunione mediante cui siamo tutti congiunti insieme a Gesù Cristo. Il sacrificio della messa spezza e distrugge questa comunione. Da quando si è introdotto quell'errore che occorrono sacerdoti per compiere sacrifici per il popolo, quasi la Cena fosse stata riservata a loro, non è più stata data alla comunità dei credenti come invece imponeva il comandamento di nostro Signore. Si è così aperta la via alle messe private, espressioni di un pensiero di scomunica più che della comunione quale è stata istituita da nostro Signore; poiché il prete sacerdote infatti nel trangugiare il suo sacrificio, si isola dall'insieme del popolo dei fedeli. Onde evitare equivoci, definisco messe private tutte quelle in cui non si verifica alcuna partecipazione alla Cena di nostro Signore da parte dei fedeli, qualsiasi sia il numero di coloro che assistono.

8. Riguardo al termine di messa, non ho mai capito donde sia venuto; verosimilmente, a mio avviso, è stato derivato dalle offerte che si facevano durante la Cena. Per questa ragione gli antichi dottori non usano comunemente il termine al singolare. Ma lasciamo stare la questione terminologica.

Le messe private contrastano, a mio avviso, con l'istituzione di Gesù Cristo, e pertanto si tratta di una profanazione della Chiesa. Che cosa ci ha infatti ordinato il Signore? Di prendere il pane e distribuirlo fra noi. Quale interpretazione di questo fatto dà san Paolo? Che la frazione del pane rappresenta la comunione del corpo di Cristo (1 Co. 10.16). Quando dunque un uomo mangia da solo, senza rendere gli altri partecipi, che analogia c'è con quell'ordine?

Essi replicano che egli lo fa nel nome della Chiesa tutta. Con quale autorità? Non significa forse beffarsi apertamente di Dio il compiere per proprio conto ciò che doveva farsi in comune nella comunità dei credenti? Data la chiarezza delle parole di Gesù Cristo e di san Paolo possiamo concludere in breve che ovunque il pane non sia rotto per essere distribuito ai credenti non c'è alcuna Cena, ma una falsa e perversa per contraffazione. Una finzione di questo genere è corruzione, e la corruzione di un così grande mistero non si compie senza empietà. Nel caso delle messe private siamo dunque in presenza di un grave e deplorevole abuso. Anzi, poiché un errore ne genera sempre un altro, quando ci si allontana dalla retta via, da quando si è introdotto l'uso di offrire messa senza comunione si è a poco a poco presa l'abitudine di cantar messe infinite in tutti gli angolini dei templi. Così si distrae la gente di qua e di là mentre dovrebbe essere raccolta in un luogo unico per essere il sacramento della sua unità.

I papisti contestino, se lo possono, il fatto che non sia idolatria il mostrare nelle loro messe il pane, per farlo oggetto di adorazione. Invano pretendono che questo pane sia testimonianza della presenza del corpo di Cristo. Comunque si interpretino le parole: "Ecco il mio corpo ", non sono state pronunciate perché un sacrilego, senza Dio né legge, né fede né coscienza, muti e tramuti ogni qual volta gli sembra bene, il pane in corpo di Cristo per abusarne a suo piacimento, ma perché i credenti, in obbedienza al comandamento del loro maestro Gesù Cristo, abbiano con lui autentica partecipazione nella Cena.

9. Questa perversione risulta infatti sconosciuta a tutta la Chiesa antica. Quantunque i più spudorati papisti si facciano scudo degli antichi dottori, ricorrendo falsamente alla loro testimonianza, è in realtà chiaro come il sole a mezzogiorno che la loro prassi è del tutto contraria all'uso antico e si tratta di un abuso che è sorto nei tempi in cui ogni cosa, nella Chiesa, era corrotta e depravata.

Prima di terminare domando però ai nostri dottori specialisti in messe: sapendo che Dio preferisce l'obbedienza a tutti i sacrifici e che egli chiede si ottemperi alla sua voce più che offrirgli sacrifici (1 Re 15.22) come si può pensare gli sia gradito questo tipo di sacrificio, di cui non esiste alcuna indicazione né conferma in una sola sillaba della Scrittura? Inoltre, conoscendo la dichiarazione dell'apostolo secondo cui nessuno deve attribuirsi o usurpare per se il titolo e l'onore del sacerdozio, se non coloro che sono chiamati da Dio, come Aronne (Eb. 5.4) , e che Gesù Cristo stesso non ha preso questo incarico da se, ma ha obbedito alla vocazione del Padre, devono dimostrare ovvero che Dio ha creato e istituito il loro sacerdozio, ovvero confessare che il loro ordine e la loro confessione non sono da Dio; visto che, senza essere chiamati, vi si sono insediati da se con temerarietà. Non sono però in grado di citare un solo testo scritto che giustifichi il loro sacerdozio. Che ne sarà dunque dei sacrifici visto che un sacrificio non può essere offerto senza prete?

10. A chi voglia contestare, valendosi dell'autorità degli antichi, che si debba dare del sacrificio della Cena una interpretazione diversa da quella che abbiamo dato e a questo scopo ricorra a citazioni frammentarie e staccate dal contesto, risponderò che gli antichi non si possono citare a difesa, per giustificare quella fantasticheria del sacrificio della messa creata dai papisti.

Gli antichi usano bensì il termine "sacrificio ", ma precisando sempre che intendono solo il ricordo di quel vero e unico sacrificio compiuto sulla croce da Gesù Cristo, il quale chiamano sempre nostro unico Salvatore. "Gli Ebrei "dice sant'Agostino "sacrificando animali si preparavano profeticamente al sacrificio che Gesù Cristo ha offerto; i credenti, nella offerta e nella comunione del corpo di Gesù Cristo, celebrano il ricordo del sacrificio già compiuto ". Questo pensiero è espresso più ampiamente nell'opera intitolata della fede, a Pietro Diacono attribuita anch'essa a sant'Agostino; ecco il testo: "Tieni per certo, e non dubitare in alcun modo, che il figlio di Dio, essendosi fatto uomo per noi, si sia offerto in sacrificio di onore soave a Dio suo Padre a cui si offrivano, nei tempi dell'antico Patto, animali, ma a cui si offrono ora i sacrifici di pane e di vino. In queste vittime animali, vi era una figura della carne di Cristo ch'egli doveva offrire per noi, e del suo sangue che doveva spargere per la remissione dei peccati; nei sacrifici cui ricorriamo vi sono azioni di grazia e ricordo della carne che Cristo ha offerto per noi e del sangue che ha sparso ". Ne consegue che questo dottore, dico sant'Agostino, chiama spesso la Cena: "sacrificio di lode ". Risulta così che nei suoi libri è detta "sacrificio "per la sola ragione che è ricordo, immagine, attestato del sacrificio unico, vero, autentico, singolare, con cui Gesù Cristo ci ha riscattati.

Un testo interessante si trova altresì nel quarto libro della Trinità. Dove conclude, dopo aver parlato di un unico sacrificio, che vi sono quattro cose da considerare: la persona di colui che offre, di colui a cui si offre, che cosa si offre e per chi. Ora il nostro mediatore stesso e lui solo ha offerto se stesso al Padre suo per rendercelo propizio. Ci ha fatto essere uno con se, offrendosi per noi; ha offerto l'oblazione ed è stata nello stesso tempo l'offerta. Con questa interpretazione concorda anche san Crisostomo.

Il. Riguardo al sacerdozio di Gesù Cristo gli antichi Padri l'hanno avuto in tanta considerazione che sant'Agostino dichiara che sarebbe un'azione degna dell'anticristo il voler istituire un vescovo o un pastore quale intercessore tra Dio e gli uomini R. Per parte nostra affermiamo che il sacrificio di Gesù Cristo ci è presentato in modo tale che quasi lo si può contemplare, ad occhio nudo, sulla croce; come si esprime l'Apostolo dicendo che Gesù Cristo era stato crocifisso fra i Galati quando l'annunzio della sua morte era stata annunziata loro (Ga 3.1).

Considerando però che gli antichi stessi hanno fuorviato questo ricordo in una direzione diversa da quella che richiedeva l'istituzione del Signore, vedendo nella loro cena non so qual spettacolo d'immolazione reiterata, o per lo meno rinnovata, l'atteggiamento più sicuro per i credenti è di attenersi all'ordine del Signore, puro e semplice, che la chiama cena, affinché la sola autorità di lui costituisca la norma. È vero che avendo essi avuto retta intelligenza di questo mistero, e non essendo mai stata loro intenzione l'allontanarsi dal sacrificio unico di Gesù Cristo, non mi sentirei di tacciarli di empietà; non penso però si possa giustificare il fatto di aver, in qualche modo, errato nella forma esteriore. Hanno prestato attenzione alle forme giudaiche più di quanto richiedesse l'ordine di Gesù Cristo. Questo è dunque il punto su cui meritano di essere redarguiti: si sono conformati eccessivamente all'antico Patto, e non accontentandosi della semplice istituzione di Cristo, hanno accondisceso alle ombre della Legge in modo eccessivo.

12. Esiste è vero, una somiglianza, tra i sacrifici della legge mosaica e il sacramento dell'eucaristia, nel senso che quelli hanno rappresentato l'efficacia della morte di Cristo quale ci è oggi palesata nell'eucaristia. Ma una diversità sussiste riguardo al modo di rappresentazione. Poiché nell'antico Patto i preti raffiguravano il sacrificio che Gesù Cristo doveva compiere, la vittima, in quel caso, sostituiva Gesù Cristo, vi era l'altare per compiere il sacrificio; ogni cosa insomma avveniva in modo tale che si vedeva visibilmente attuata una forma di sacrificio per l'ottenimento del perdono dei peccati.

Ma da quando Gesù Cristo ha attuato la realtà di quelle cose il Padre celeste ha stabilito per noi una forma diversa: egli ci presenta il frutto del sacrificio che gli è stato offerto dal figlio suo, ci ha dunque dato un tavolo su cui mangiare e non l'altare per offrire sacrifici. Non ha consacrato dei sacerdoti per immolare vittime, ma ha istituito dei ministri per distribuire al popolo il sacro nutrimento. Ed essendo il mistero grande ed eccellente, maggiore ha da essere il rispetto di cui è circondato. Perciò il metodo più sicuro consiste nel rinunciare alla temerarietà dei sensi umani, per attenersi esclusivamente a quanto ci insegna la Scrittura. Se poniamo mente al fatto che si tratta della cena del Signore e non della Cena degli uomini, nulla ci deve distrarre o allontanare dalla volontà di lui; né autorità vane, né distanza di tempo, né altri elementi esteriori.

L'Apostolo perciò, volendo ripristinare nella sua pienezza, fra i Corinzi, la Cena che era stata corrotta da alcuni errori, considera che l'argomento migliore e più diretto consiste nel richiamarli a quella unica istituzione che si deve considerare, secondo quanto egli afferma, norma perpetua (1 Co. 11.20).

13. Ad evitare che qualche litigioso, per polemizzare più oltre, tragga spunto dai termini "sacrificio "e "sacerdote ", preciserò brevemente in quale accezione li ho adoperati nel corso di questa discussione.

Dichiaro anzitutto non comprendere in base a quali motivazioni si debba estendere il termine "sacrificio "a tutte le cerimonie pratiche concernenti il culto. Constatiamo che, secondo l'uso costante della Scrittura, il termine "sacrificio "è riferito a quell'atto che i Greci chiamano ora tsusia ora prosfora ora telete, che indicano in forma generale ogni cosa offerta a Dio; si richiede perciò una distinzione, distinzione che si deve ricavare dai sacrifici della legge mosaica, sotto l'ombra dei quali, il Signore ha voluto rappresentare al suo popolo tutta la realtà dei sacrifici spirituali.

Ora, quantunque i tipi di questi sacrifici siano stati molti, tuttavia si possono ricondurre a due categorie. Poiché ovvero l'offerta era fatta a mo' di soddisfazione per il peccato, la cui colpa veniva riscattata davanti a Dio, ovvero si faceva come atto cultuale, a testimoniare dell'onore che si rendeva a Dio. In questa seconda categoria si distinguono tre tipi di sacrifici. Infatti sia che, con suppliche, si chiedesse favore e grazia, sia che si tributasse lode a Dio per i suoi benefici, sia che si intendesse semplicemente rinnovare il ricordo del suo patto, in ogni caso si trattava sempre di manifestare una riverenza per il suo nome; si deve perciò includere in questa seconda categoria ciò che nella Legge è chiamato "olocausto ", "libazione ", "oblazione ", "primizie ", "sacrifici incruenti ".

Per questa ragione noi pure distingueremo due tipi di sacrifici e definiremo il primo così: quelli destinati a garantire l'onore e il rispetto di Dio con cui i credenti lo riconoscono come colui da cui deriva e proviene ogni bene e gli rendono, per questo motivo, la grazia che gli è dovuta. L'altra categoria: sacrifici di propiziazione e di espiazione. Il sacrificio di espiazione è quello che viene fatto per placare l'ira di Dio, dare soddisfacimento alla sua giustizia, e così facendo, cancellare i peccati e purificare il peccatore affinché, essendo lavato dalle macchie sue ed essendo reintegrato nella condizione di purezza della giustizia, sia nuovamente posto in rapporto di grazia con Dio. I sacrifici che venivano offerti al tempo della Legge per cancellare i peccati erano così detti (Es. 29.36) , non in quanto fossero sufficienti a cancellare l'iniquità e riconciliare gli uomini con Dio, ma in quanto raffiguravano il vero sacrificio che è stato infine compiuto in perfetta aderenza alla verità, da Gesù Cristo, e da lui solo, perché nessun altro lo poteva fare. Ed è stato compiuto una volta sola perché soltanto di quello si possono dire eterne sia l'efficacia che la forza. Come ha attestato lui stesso dicendo che ogni cosa era stata adempiuta (Gv. 19.30) , che cioè quanto era necessario a riconciliarci con la grazia del Padre, per ottenere la remissione dei peccati, giustizia e salvezza, era con la sua sola offerta compiuto, consumato, perfettamente adempiuto, e mancante di nulla; in modo tale che dopo di lui nessun altro sacrificio poteva più aver luogo.

14. Dobbiamo pertanto concludere che si bestemmia in modo obbrobrioso e intollerabile Gesù Cristo, il suo sacrificio, compiuto per noi, e la sua morte in croce, quando si fa una offerta con l'intenzione di ottenere la remissione dei peccati, la riconciliazione con Dio, la giustizia. A che altro tende la messa, se non renderci partecipi della passione di Cristo con una nuova offerta? Non avendo infine la loro presunzione alcun limite, hanno giudicato insuffficiente la pretesa che il loro sacrificio sia comune a tutta la Chiesa, in modo generico, ed aggiungono perciò che è in loro potere riferirlo in modo specifico a questo o a quello, a loro piacimento; o piuttosto a chiunque voglia, pagando bene,

Acquistare la loro merce. Non potendo mantenere le tariffe di Giuda, ma volendo, in qualche modo, seguirne l'esempio, hanno mantenuto la similitudine della cifra: quello vendette Gesù Cristo per trenta monete d'argento, essi, per quanto sia loro possibile, lo vendono per trenta denari di rame. Egli però lo vendette una volta sola, costoro ogni volta che trovano un compratore. Contesto perciò che i sacerdoti del Papa lo siano di diritto: abbiano cioè il potere d'intercedere presso Dio mediante questa offerta e placare l'ira sua cancellando i peccati. Poiché Gesù Cristo è il solo sacerdote del nuovo Patto, cui sono stati trasferiti tutti i sacrifici antichi, in quanto hanno il loro termine in lui. Quantunque la Scrittura non faccia alcun accenno del sacerdozio eterno di Gesù Cristo, tuttavia, poiché Dio, abolendo quello stabilito al tempo della Legge, non ne ha stabilito altri, l'argomento degli apostoli risulta decisivo: nessuno si deve attribuire da se quell'onore qualora non vi sia chiamato (Eb. 5.4).

Come ardiscono dunque questi sacrileghi dirsi sacerdoti del Dio vivente da cui non hanno avuto riconoscimento del loro ufficio? Come osano usurpare questo titolo per farsi boia di Cristo?

15. Si legge in Platone, al capitolo secondo della Repubblica, un testo interessante da cui risulta che questa stessa perversa opinione regnava tra i pagani. Egli afferma, infatti, che usurai, adulteri, spergiuri e ingannatori, dopo aver effettuato molte crudeltà, rapine, frodi, estorsione e altre male azioni, si ritenevano a posto avendo stabilito una cerimonia annuale per cancellare il ricordo di tutti i loro peccati. Il filosofo pagano prende in giro questa assurda illusione di pensare poter soddisfare Dio così facendo, quasi bendargli gli occhi perché non veda tracce del peccato e potersi dedicare, d'altra parte a fare il male con maggior lena. Sembra quasi che egli alluda in questo testo al rito della messa quale è oggi nel mondo. Tutti sanno che è cosa condannabile frodare il prossimo. Tutti considerano delitto grave opprimere vedove, ingannare orfani, sfruttare i poveri, procacciarsi con traffico illecito beni altrui, arraffare qua e là quanto più possibile con frodi e spergiuri e usurpare con la violenza e l'oppressione tutto ciò che non è nostro. Come mai tanta gente osa farlo quasi senza paura di punizione? Considerando attentamente tutto il problema, comprendiamo che il loro ardire deriva dal fatto che hanno la certezza di poter soddisfare Dio con il sacrificio della messa, pagandogli ciò che gli devono, o utilizzando questo mezzo di riconciliarsi con Dio.

 

Platone, continuando il suo discorso, si fa beffe della sciocca opinione che si illude di riscattare le colpe che si dovrebbero scontare nell'altro mondo. A che scopo mi chiedo, mirano la celebrazione di tanti anniversari e la maggior parte delle messe se non a permettere a coloro che sono stati in vita crudeli tiranni, ladri o predoni, o dediti ad ogni sorta di male, di riscattarsi nel Purgatorio?

16. Nell'altra categoria di sacrifici, detti sacrifici di ringraziamento e di lode, sono da annoverarsi tutti gli atti di carità compiuti nei riguardi del nostro prossimo, atti che, in un certo modo, son fatti a Dio stesso che viene così onorato nella persona dei suoi membri; sono altresì da includersi le nostre preghiere, lodi, azioni di grazie e tutto quanto facciamo per onorare e servire Dio. Queste offerte derivano tutte dal sacrificio fondamentale con cui siamo dedicati e consacrati, corpo e anima, per essere templi di Dio. Non è infatti sufficiente che le nostre azioni esteriori siano volte al suo servizio, ma è necessario che anzitutto noi stessi, con tutte le nostre opere siamo a lui consacrati affinché tutto ciò che è in noi, serva alla gloria sua ed esalti la sua magnificenza. Questo tipo di sacrifici non ha la funzione di placare l'ira di Dio e ottenere la remissione dei peccati, né di procurar giustizia ma ha solo lo scopo di magnificare e glorificare Dio. Questo tipo di sacrifici non gli può infatti essere gradito se non procede da coloro che, avendo ottenuto remissione dei peccati, sono già riconciliati con lui e altrimenti giustificati. Anzi questo sacrificio è così necessario alla Chiesa che non può essere tralasciato. Sarà pertanto eterno, finché durerà il popolo di Dio come ha scritto il Profeta. In questo senso bisogna intendere la testimonianza di Malachia: "Poiché dal sol levante fino al ponente grande è il mio nome fra le nazioni, e in ogni luogo s'offrono al mio nome profumi ed oblazioni pure; poiché grande è il mio nome fra le nazioni, dice il Signore " (Mach 1.2); come potremmo noi eliminarlo! Nello stesso modo san Paolo ci ordina di offrire a Dio i nostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, qual culto logico (Ro 12.1). In questo testo egli si esprime in modo molto appropriato aggiungendo che questo e il nostro culto razionale, reso a Dio. Si intende con questo un modo spirituale di servire e onorare Dio che è implicitamente contrapposto ai sacrifici carnali della legge mosaica. Analogamente le elemosine e le buone azioni sono definite "vittime cui Dio prende piacere " (Eb. 13.10, ed è detta "sacrificio di odor soave " (Fl. 4.18) la liberalità con cui i Filippesi avevano aiutato san Paolo nella sua indigenza, son dette "sacrifici spirituali "tutte le opere dei credenti.

17. È forse necessario prolungare la nostra ricerca, visto che questo modo di parlare si riscontra così spesso nella Scrittura? Anche quando il popolo si trovava ancora guidato dall'insegnamento generico della Legge, i profeti dichiaravano abbastanza chiaramente che i sacrifici di animali avevano qual contenuto una sostanza e una verità che permane anche oggi nella Chiesa cristiana. Per questa ragione Davide chiedeva che la sua preghiera salisse al Signore come fumo di incenso (Sl. 141.2); Osea definisce le azioni di grazia sacrifici delle labbra (Os 14.2) e Davide, in un altro testo, sacrifici di lode (Sl. 50.23); affermazione che l'Apostolo ha imitato, ordinando di offrire sacrifici di lode a Dio, che egli interpreta come il frutto di labbra confessanti il suo nome (Eb. 13.15). Questo tipo di sacrifici non potrebbe non essere presente nella Cena di nostro Signore, nella quale annunciando e commemorando la sua morte e formulando azione di grazia, non facciamo altro che offrire sacrifici di lode. A motivo di questo incarico di sacrificio, tutti noi credenti, siamo detti un sacerdozio reale (1 Pi. 2.9) , poiché in Gesù Cristo offriamo a Dio sacrifici di lode, cioè il frutto di labbra confessanti il suo nome, come abbiamo udito dall'apostolo. Non potremmo comparire davanti a Dio con i nostri doni e le nostre offerte senza un intercessore, e questo mediatore è Gesù Cristo che intercede per noi, in virtù del quale offriamo noi stessi e tutto quanto ci appartiene al Padre. Egli è nostro pontefice essendo entrato nel santuario celeste, e ce ne apre la porta. Egli è il nostro altare su cui poniamo le nostre oblazioni; in lui osiamo tutto quello che osiamo. Insomma è colui che ci ha fatto essere re e sacerdoti per il Padre (Re 1.6).

18. Non ci resta da desiderare se non che i ciechi vedano, i sordi odano, e i bambini capiscano che questa abominazione della messa, essendo presentata in recipienti d'oro (sotto il nome cioè di parola di Dio ) ha così ubriacato, stordito e instupidito tutti i re e i popoli della terra, dal più grande al più piccolo, cosicché resi più stupidi degli animali, fanno consistere il principio e la fine della loro salvezza in questo baratro mortale. Certo Satana non inventò giammai strumento più efficace per combattere e abbattere la pace del regno di Gesù Cristo. Questa messa è una Elena per la quale i nemici della verità combattono oggi con tanta crudeltà, furore, e rabbia. E realmente si tratta di una Elena con cui si prostituiscono di prostituzione spirituale, fra tutte la più esecrabile. Non tocco neppure Cl. Mignolo i gravi e deplorevoli abusi con cui potrebbe esser stata contaminata o corrotta, secondo la loro giustificazione, la purezza della loro sacra messa: quanto sia cioè deplorevole il mercato che esercitano, quanti e quali illeciti guadagni realizzino i sacerdoti con il loro recitar messe, con quanta rapina soddisfino la loro ingordigia. Intendo soltanto mostrare, con poche e semplici parole, in che consista la santissima santità della messa per cui è stata così a lungo tanto ammirata e fatta oggetto di tanta venerazione. Occorrerebbe redigere un trattato molto più ampio per illustrare, secondo loro, chiaramente e degnamente così grandi misteri. Ma non ho l'intenzione di rinvangare qui immondizie, che si palesano agli occhi di tutti. Deve essere chiaro agli occhi di tutti che la messa, considerata nei suoi aspetti più elevati, e in base ai quali potrebbe esser maggiormente stimata, è, dalla radice alla sommità, piena di ogni sorta di empietà, di bestemmie, di idolatrie, di sacrilegi, anche senza considerare le sue conseguenze e le supplicazioni.

19. I lettori hanno qui in sunto tutto quanto ho considerato necessario conoscere riguardo a questi due sacramenti, il cui uso è stato affidato alla Chiesa cristiana sin dall'inizio del nuovo Patto e fino alla consumazione del secolo. Il battesimo rappresenta l'ingresso in questa Chiesa e una prima professione di fede; la Cena è un nutrimento costante, mediante cui Gesù Cristo nutre spiritualmente i suoi credenti. Come vi è un solo Dio, una sola fede, un solo Cristo e una sola Chiesa, che è il suo corpo, così il battesimo e unico e non è mai ripetuto. La Cena invece è distribuita spesso, affinché coloro che sono stati raccolti e inseriti nella Chiesa, abbiano la certezza che sono costantemente nutriti e saziati da Gesù Cristo.

All'infuori di questi due sacramenti la Chiesa dei credenti non deve accoglierne altri, non essendovene altri istituiti da Dio. Poiché è facile comprendere che non spetta all'autorità o alla facoltà degli uomini inventare e istituire nuovi sacramenti. Ricordiamo quanto è stato più chiaramente esposto sopra: che i sacramenti sono istituiti da Dio per essere segni di qualche promessa sua e attestare la sua buona volontà nei nostri riguardi; consideriamo altresì che nessuno è stato consigliere di Dio (Is. 40.13; Ro 11.34) , per poterci promettere nulla di certo riguardo alla sua volontà, né renderci certi e sicuri di qual sia il suo sentimento nei nostri confronti, né dire ciò che vuol darci, né ciò che vuole negarci. Ne consegue che nessuno può stabilire o istituire segni che siano testimonianze della volontà o della promessa di Dio. Lui solo offrendoci dei segni può testimoniare di se nei nostri riguardi. Esprimendoci più brevemente e anche in forma più semplice e più chiara: non può esistere sacramento privo di una promessa di salvezza. E tutti gli uomini, raccolti insieme, non sarebbero in grado di prometterci nulla riguardo alla nostra salvezza. Non possono, pertanto, di per se stessi stabilire o istituire alcun sacramento.

20. La Chiesa cristiana si accontenti perciò di questi due, e non solo non ne ammetta, approvi o riconosca altri nel tempo presente, ma non ne desideri né richieda un terzo, sino alla consumazione dei secoli. Il fatto che ai Giudei, furono dati, oltre quelli che avevano ordinariamente, altri sacramenti, secondo la successione dei tempi (la manna, l'acqua che scaturisce dalla roccia, il serpente di rame e altri simili: Es. 16.13; 17.6; 1 Co. 10.3 ; Nu. 21.8; Gv. 3.14) era motivato dal fatto che, mediante questa varietà, dovevano essere ammoniti a non arrestarsi a queste figure, la cui realtà non era duratura, ma aspettare da Dio qualcosa di meglio che durasse senza mutamenti e senza fine.

Ben diverso deve essere il nostro modo di procedere; a noi è stato rivelato e manifestato Gesù Cristo, che ha in se tutti i tesori della scienza e della sapienza (Cl. 2.3) in sì grande quantità e abbondanza, che sperare o richiedere qualche accrescimento di questi tesori, sarebbe veramente voler tentare Dio, irritarlo e provocarlo. Dobbiamo aver fame soltanto di Gesù Cristo, e cercare, contemplare, desiderare, possedere lui solo sino al gran giorno in cui nostro Signore manifesterà appieno la gloria del suo regno e, apertamente, si farà vedere da noi quale egli è (1 Gv. 3.2). Il tempo in cui viviamo è perciò definito nella Scrittura come l'ultima ora, l'ultimo giorno, gli ultimi tempi (1 Gv. 2.18; 1 Pi. .1.20), affinché nessuno si inganni desiderando inutilmente dottrine e rivelazioni nuove. Poiché dopo aver in molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri mediante i profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo figlio beneamato (Eb. 1.2) , che solo è in grado di manifestarci il Padre (Lu 10.22). In realtà lo ha manifestato a noi nella misura in cui era necessario, diventando per noi uno specchio in cui lo dobbiamo contemplare (1 Co. 13.12).

Così come è stata sottratta agli uomini l'autorità di fare e stabilire nuovi sacramenti nella Chiesa di Dio, sarebbe auspicabile che in quelli istituiti da Dio stesso fossero introdotte meno invenzioni possibile. Come infatti il vino si guasta e perde il suo sapore nell'acqua e tutta la farina fermenta a causa del lievito, così la purezza dei misteri divini si guasta e corrompe quando l'uomo vi aggiunge qualcosa di suo.

Constatiamo perciò che i sacramenti nella forma odierna, sono scaduti dalla loro purezza e dalla loro autorità. Ovunque si incontrano pompa, cerimonie e commedie più del necessario e, al contrario, non si fa conto o menzione alcuna della parola di Dio senza la quale i sacramenti stessi non sono sacramenti e le cerimonie da Dio stesso istituite non possono essere evidenziate nella moltitudine delle altre e sono anzi declassate e sommerse. Quanto poco appare nel battesimo ciò che soltanto dovrebbe essere messo in evidenza cioè il battesimo stesso! La Cena è stata interamente annullata quando è stata trasformata in messa, eccetto una volta all'anno, in cui appare in qualche modo, ma squartata, dispersa, spezzata, divisa. E del tutto deformata.