Letteratura/Istituzione/3-12
Istituzioni della religione cristiana (Calvino) |
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CAPITOLO 12.
DOBBIAMO INNALZARE I NOSTRI SPIRITI AL TRIBUNALE DI DIO, PER ESSER VERAMENTE PERSUASI DELLA GIUSTIFICAZIONE GRATUITA
1. Benché risulti da evidenti testimonianze che tutto questo corrisponde a verità, non ne valuteremo tuttavia l'importanza finché non avremo dimostrato qual sia il fondamento di tutta la controversia.
Anzitutto, teniamo presente questo fatto: non si tratta di sapere come un uomo possa esser giusto dinanzi al tribunale di un giudice terreno, ma dinanzi al tribunale celeste di Dio; non si valuti perciò in base a criteri nostri l'integrità richiesta per soddisfare questo giudizio. Stupisce constatare con quanta temerarietà e audacia lo si faccia comunemente. È: anzi notorio che chi si dimostra più spregiudicato e insolente nel cianciare di giustizia delle opere, sono le persone apertamente malvagie oppure piene di peccati e di concupiscenze. Ciò accade perché non pensano alla giustizia di Dio; qualora ne avessero una minima percezione, giammai potrebbero beffarsene a quel modo. Orbene, essa è disprezzata e schernita oltre misura quando non le viene riconosciuto un carattere tale di perfezione da non poter tollerare nulla all'infuori di ciò che è assolutamente integro, esente da ogni macchia, di una perfezione cui non vi sia nulla da ridire; e ciò non si è mai potuto trovare in alcun uomo vivente, né si troverà mai.
È facile ad ognuno dissertare in modo teorico sulla dignità che hanno le opere per giustificare l'uomo; quando però ci si trova in presenza di Dio, bisogna abbandonare tutte queste ciance, poiché dinanzi a lui il problema è affrontato nella sua realtà e non con frivole discussioni. È lì che dobbiamo dirigere la nostra capacità di comprendere, se vogliamo ricercare con frutto la vera giustizia. È in quella prospettiva che dobbiamo pensare come potremo rispondere a questo giudice celeste, quando ci chiamerà a render conto. Bisogna dunque vederlo nel suo tribunale, non già in base alla nostra immaginazione ma quale ci è presentato nella Scrittura; dalla sua luce le stelle sono oscurate, la sua potenza scioglie le montagne come neve al sole, la terra è scossa dalla sua collera, la sua saggezza sorprende l'acume dei saggi, la sua purezza è così grande che in confronto tutte le cose sono sporche e contaminate; dinanzi alla sua giustizia gli angeli non possono reggere; non perdona al malvagio e la sua vendetta, una volta accesa, penetra fin nel più profondo della terra. Quando siede per esaminare le opere degli uomini, chi oserà avvicinarsi al suo trono senza tremare? Parlandone, il Profeta dice: "Chi abiterà con un fuoco che tutto consuma, con una fiamma inestinguibile? Colui che opera con giustizia e verità, che è puro e integro in tutta la sua vita " (Is. 33.14). Chiunque avrà questi requisiti, si faccia avanti. Ma questo invito fa sì che nessuno osi presentarvisi. D'altra parte, questa terribile voce deve farci tremare: "Se prendi in considerazione le iniquità, Signore, chi potrà sussistere? " (Sl. 130.3). Certo ci si aspetterebbe che tutti periscano all'istante; infatti, come è scritto altrove: "Può essere che l'uomo, paragonato al suo Dio, sia giustificato o sia trovato più puro del suo Creatore? Ecco, coloro che lo servono non sono integri, ed egli trova da ridire nei suoi angeli. Non saranno a maggior ragione abbattuti coloro che abitano in case di fango e vivono in dimore terrene? " (Gb. 4.17-20); e: "Ecco, fra i suoi santi nessuno è puro, ed i cieli non sono netti dinanzi al suo sguardo. Quanto più è abominevole ed inutile l'uomo, che beve l'iniquità come acqua? " (Gb. 15.15).
Riconosciamo che nel libro di Giobbe è menzionata una giustizia più profonda di quella che risiede nell'osservanza della Legge. Li necessario notare questa distinzione, poiché, supponendo che qualcuno compia la Legge, cosa impossibile, costui sarebbe pur sempre incapace di sostenere il rigore dell'esame che Dio potrebbe fare servendosi della bilancia della sua giustizia segreta, superiore a tutti i nostri sensi. Così, benché Giobbe non si senta colpevole, ammutolisce nel suo spavento quando ode che Dio nella sua perfezione non si accontenterebbe della santità degli angeli. Tralascio, perché incomprensibile, la giustizia quivi menzionata; mi limito a dire che se la nostra vita è esaminata con la riga ed il compasso della legge di Dio, siamo veramente incoscienti se tutte quelle maledizioni non ci spaventano e riempiono di orrore; in effetti, Dio ve le ha messe per tenerci desti. Fra le altre, deve farci tremare questa regola generale: "Tutti coloro che non avranno compiuto le cose qui scritte, sono maledetti " (De 27.26). In breve, tutta la questione sarebbe astratta e priva di significato se ognuno non si considerasse come uno che deve comparire davanti al giudice celeste e, preoccupato di ottenere l'assoluzione, non si umiliasse spontaneamente e non si annullasse.
2, Avremmo dunque dovuto dirigere lo sguardo in quella direzione, con timore, anziché inorgoglirci. Finché ci paragoniamo agli uomini, è facile pensare che abbiamo qualcosa che gli altri non devono disprezzare. Quando però ci riferiamo a Dio, questa fiducia è istantaneamente distrutta. Accade alla nostra anima nei confronti di Dio, quel che accade al nostro corpo nei confronti della volta celeste. Finché l'uomo si sofferma a contemplare quanto gli sta intorno, ritiene la sua vista buona e forte; ma se rivolge l'occhio verso il sole, sarà talmente abbagliato dalla sua luce, che sentirà la sua vista più debole e meno acuta di quanto non sembri nel guardare le cose della terra. Non inganniamoci dunque con una vana fiducia. Quand'anche fossimo simili e superiori a tutti gli uomini, questo non significherebbe nulla di fronte a Dio, al cui giudizio è sottoposta la nostra causa. Se la nostra insolenza non può essere domata da tali ammonimenti, egli ci risponderà quel che Cristo diceva ai Farisei: "Vi giustificate dinanzi agli uomini; ma ciò che è eccelso per gli uomini è abominevole per Dio " (Lu 16.15). Gloriamoci pure orgogliosamente della nostra giustizia fra gli uomini, Dio l'avrà in abominio in cielo! Che fanno, invece, i servi di Dio veramente istruiti dal suo Spirito? Diranno con Davide: "Signore, non entrare in giudizio Cl. Tuo servo, poiché nessun vivente sarà giustificato dinanzi a te " (Sl. 143.2). E con Giobbe: "l'uomo non potrà esser giusto dinanzi a Dio; se vuol contendere con lui, accusato su mille punti non potrà rispondere ad uno solo " (Gb. 9.2).
Comprendiamo ora, chiaramente, di che tipo sia la giustizia di Dio, quella cioè che non sarà soddisfatta da alcuna opera umana, e ci accuserà di mille delitti senza che ci possiamo purificare di uno solo. San Paolo, strumento di elezione da parte di Dio, l'aveva così concepita in cuor suo quando affermava che, pur non avendo cattiva coscienza, non per questo era giustificato (1 Co. 4.4).
3. Non troviamo tali esempi soltanto nella Scrittura, ma tutti i dottori cristiani hanno pensato e parlato in questo modo; sant'Agostino dice che tutti i credenti, che gemono sotto il peso della loro carne corruttibile e nella debolezza della vita presente, hanno questa sola speranza: abbiamo un mediatore, Gesù Cristo, che ha pagato per i nostri peccati. Che significa questa affermazione? Se i santi hanno quest'unica speranza, che ne sarà della fiducia nelle opere? Se dice che è la loro sola speranza, non ne lascia sussistere alcun'altra.
Anche san Bernardo dice: "Dove i deboli troveranno vero riposo e tranquilla sicurezza, se non nelle piaghe del nostro Salvatore? Tanto più confido in esse, in quanto egli è potente nel salvare. Il mondo mi sta dietro per turbarmi, il mio corpo mi pesa, il diavolo è in agguato per sorprendermi: non cadrò, poiché sono appoggiato ad una solida pietra. Se ho gravemente peccato, la mia coscienza è turbata, ma non sarà confusa poiché mi ricorderò delle piaghe del Signore ". Poco oltre conclude: "Così dunque il mio merito è la misericordia del Signore. Essendo il Signore ricco in compassioni, abbondo di meriti. Canterò la mia giustizia? Signore, mi ricorderò della tua sola giustizia. Quella sola è la mia, in quanto sei stato fatto giustizia per me, da Dio tuo padre ". E in un altro passo: "Ecco, il merito dell'uomo è di mettere tutta la sua speranza in colui che salva l'uomo intero ". In un altro passo ancora, tenendo per se la pace o il riposo della coscienza e lasciando la gloria a Dio, dice: "Rimanga a te la gloria, non diminuita di una sola briciola; per me è più che sufficiente la pace. Rinuncio totalmente alla gloria, poiché temo, usurpando quel che non è mio, di perdere anche quel che mi è dato ". Altrove dice ancor più apertamente: "Perché la Chiesa si preoccuperebbe dei meriti, se trova, per gloriarsi, più solido e certo argomento nel libero volere di Dio? Non dobbiamo, pertanto, chiederci per quali meriti speriamo avere vita, soprattutto quando udiamo, per bocca del Profeta: "Non lo farò per causa vostra, ma a causa di me stesso, dice il Signore " (Ez. 36.22.32). Basta dunque, per aver meriti, sapere che i meriti non bastano; ma come è sufficiente il non contare su alcun merito per averne, così l'esserne privo è sufficiente per essere condannato ".
È da attribuire al linguaggio del suo tempo l'uso del termine "meriti "per indicare le buone opere; condannando coloro che non hanno meriti, vuol turbare gli ipocriti che, con ogni licenza, si beffano della grazia di Dio; come dichiara poco oltre, dicendo che la Chiesa è beata quando ha meriti senza presumere alcunché da essi, e può arditamente aver fiducia senza meriti poiché ha un giusto motivo di fiducia, ma non nei suoi meriti; ha dei meriti, ma non per confidare in essi. San Bernardo aggiunge che il non presumere nulla equivale ad aver meriti. Perciò la Chiesa può tanto più arditamente aver fiducia in quanto non presume; ha ampio motivo di gloriarsi delle grandi misericordie di Dio.
4. Le coscienze bene esercitate nel timor di Dio, non trovano altro rifugio in cui possano riposare con sicurezza quando si tratta di render conto a Dio. Se le stelle, chiare e lucenti durante la notte, perdono ogni loro chiarore quando appare il sole, che ne sarà della più grande innocenza che si possa immaginare nell'uomo, paragonata alla purezza di Dio? Si tratta infatti di un esame rigoroso, che vaglierà i più segreti pensieri del cuore e, come dice san Paolo, svelerà tutto quel che è nascosto nelle tenebre e scoprirà quel che è dissimulato nelle profondità dell'animo (1 Co. 4.5) , costringendo la coscienza, renitente e recalcitrante, a mettere in luce perfino quel che ha già dimenticato. Il diavolo, d'altra parte, fungendo da accusatore continuerà ad incalzare l'uomo da vicino, e saprà ben ricordargli tutti i misfatti ai quali l'avrà spinto.
Allora non gioveranno a nulla lo sfarzo e l'esteriorità delle buone opere, delle quali soltanto, ora, si ha stima. Conterà unicamente la sincerità di cuore. Allora sarà messa in crisi ogni ipocrisia, ora inebriata di orgoglio e di insolenza, non solo quella di cui si mascherano dinanzi agli uomini coloro che si sanno segretamente malvagi, ma anche quella di cui ognuno si vanta dinanzi a Dio (siamo infatti portati ad ingannarci sopravvalutandoci? . Coloro che non rivolgono la loro attenzione ed i loro pensieri a quella visione, possono per un momento trattare se stessi con magnanimità, attribuendosi giustizia; ma è una giustizia che sarà loro subito strappata, nel giorno del giudizio di Dio; così come un uomo, dopo aver sognato grandi ricchezze, se ne trova privo al suo risveglio.
All'opposto, tutti coloro che cercheranno al cospetto di Dio la vera regola di giustizia, scopriranno che tutte le opere degli uomini, stimate in base alla loro dignità, non sono che spazzatura e malvagità; quel che comunemente si ritiene giustizia non è che iniquità dinanzi a Dio; quel che si ritiene integrità non è che sozzura; quel che si ritiene gloria, ignominia.
5. Dopo aver contemplato la perfezione di Dio, dobbiamo scendere a considerare noi stessi senza adularci e senza sedurci con l'amor proprio. Non fa meraviglia se siamo ciechi su questo punto, perché nessuno di noi sta in guardia contro quell'assurda e pericolosa disposizione d'animo ad amare se stessi, che la Scrittura ci dice essere radicata per natura in noi. "Ogni via dell'uomo dice Salomone ci sembra buona ai suoi occhi ", e: "Tutti gli uomini credono che le loro vie siano buone " (Pr 21.2; 16.2). Come? Con questo errore ognuno è dunque assolto? Al contrario, come dice in seguito, il Signore soppesa i cuori. Mentre cioè l'uomo si illude nell'apparenza esteriore della giustizia da lui posseduta, il Signore esamina con la sua bilancia tutta l'iniquità e la spazzatura nascosta nel cuore. Poiché dunque l'adularci non giova a nulla, non inganniamoci volontariamente a nostra rovina.
Per esaminarci onestamente, dobbiamo sempre richiamarci, con coscienza, al tribunale di Dio. La sua luce è necessaria per svelare e scoprire i recessi della nostra perversità, troppo profondi e oscuri. In tal modo scopriremo il senso dell'affermazione secondo cui l'uomo è ben lungi dall'essere giustificato dinanzi a Dio, non essendo altro che marciume e putridume, essere inutile ed abominevole, che beve l'iniquità come acqua (Gb. 15.16). Come potrebbe essere puro, quel che è concepito da seme corrotto? (Gb. 14.4). Sperimenteremo anche quel che Giobbe diceva di se stesso: "Se voglio mostrarmi innocente, la mia bocca mi condannerà; se voglio dirmi giusto, essa mi darà la prova che sono malvagio " (Gb. 9.20). Il lamento che il Profeta pronunciava sul suo tempo non appartiene solo ad un secolo, ma e comune a tutti i tempi: "Tutti hanno errato come pecore smarrite, ognuno ha seguito la sua via " (Is. 53.6). E vi include tutti coloro ai quali deve essere comunicata la grazia della redenzione Questo esame deve essere rigorosamente proseguito fino a darci un raccapriccio di noi stessi, per disporci a ricevere la grazia di Gesù Cristo. Si inganna grandemente colui che si ritiene capace di goderne senza aver abbandonato ogni alterigia del cuore. È nota l'affermazione secondo la quale Dio confonde gli orgogliosi e fa grazia agli umili (1 Pi. 5.5).
6. Ma qual è il mezzo per renderci umili, se non far posto alla misericordia di Dio, essendo noi interamente vuoti e poveri? Non credo si possa parlare di umiltà, pensando avere qualche cosa di valido in sé. In effetti si è sin qui insegnata una dannosa ipocrisia, affermando che, da un lato dobbiamo avere in noi stessi un sentimento di umiltà dinanzi a Dio, e tenere dall'altro la nostra giustizia in una certa considerazione. Ma se confessiamo dinanzi a Dio qualcosa di diverso da quel che pensiamo nel nostro cuore, gli mentiamo spudoratamente. Non possiamo dare di noi una valutazione adeguata, senza che sia annientato tutto quel che in noi pare eccellente.
Quando dalla bocca del Profeta udiamo che la salvezza è preparata per gli umili (Sl. 18.28) , e la rovina per la superbia degli orgogliosi, pensiamo in primo luogo che non abbiamo nessun accesso alla salvezza se non ci liberiamo da ogni orgoglio, rivestendoci di una vera umiltà; in secondo luogo, che questa umiltà non è una modestia, per mezzo della quale abbandoniamo un millimetro soltanto del nostro diritto per abbassarci dinanzi a Dio (come, fra gli uomini, chiamiamo umili coloro che non si innalzano con fierezza e non disprezzano gli altri benché ritengano di avere un qualche valore ) , ma è un abbassarsi del nostro cuore, senza finzione, che procede da una presa di coscienza della nostra miseria e povertà, da cui il nostro cuore è umiliato. La parola di Dio descrive sempre così l'umiltà. Quando il Signore dice, per bocca di Sofonia: "Toglierò di mezzo a te ogni uomo che si rallegra, e lascerò soltanto gli afflitti e i poveri, ed essi spereranno in Dio " (So. 3.2) , non dimostra forse chiaramente chi sono gli umili? Coloro cioè che sono afflitti dalla coscienza della loro povertà? Al contrario, definisce orgogliosi coloro che si rallegrano, avendo gli uomini l'abitudine di rallegrarsi quando sono in una condizione di prosperità. Inoltre, agli umili che vuol salvare, non lascia nulla all'infuori della sola speranza in Dio. Così in Isaia: "A chi guarderò, se non al povero, rotto e afflitto nel suo spirito, e che trema alle mie parole? "E ancora: "L'Altissimo, che abita nella sua sede eterna, nella sua magnificenza, è tuttavia con gli umili e con quelli che sono afflitti nel loro spirito, per vivificare lo spirito degli umili ed il cuore degli afflitti " (Is. 66.2; 57.15). Il termine "afflizione ", che ricorre così spesso indica una piaga da cui il cuore è a tal punto ferito che l'uomo intero ne è abbattuto, senza potersi rialzare. È necessario che il nostro cuore sia afflitto, se vogliamo essere esaltati con gli umili. Altrimenti saremo umiliati dalla mano potente di Dio, a nostra confusione e vergogna.
7. Non accontentandosi di parole, il nostro buon Maestro ci ha raffigurato come in un quadro, la vera immagine dell'umiltà. Ci presenta, nella parabola, il Pubblicano che, in disparte e con gli occhi abbassati, con grandi gemiti prega in questi termini: "Signore, sii placato verso di me, povero peccatore " (Lu 18.13). Questo non guardare il cielo, questo non avvicinarsi, questo riconoscersi peccatore, battendosi il petto, non sono segni di una simulata umiltà, ma testimonianze di una contrizione interiore. Dipinge per contrasto il Fariseo, riconoscente a Dio di non essere come gli altri, ladri, ingiusti, o adulteri; che digiuna due volte la settimana, che dà la decima parte di tutti i suoi beni. Dichiara apertamente di ottenere la sua giustizia dalla grazia di Dio; ma essendo certo di esser giusto per mezzo delle opere, incorre nella condanna di Dio. Al contrario, il Pubblicano è giustificato perché cosciente della sua iniquità. È dunque evidente quanto Dio gradisca la nostra umiltà: un cuore non può ricevere la misericordia di Dio fin quando non sia svuotato di ogni coscienza della propria dignità; occupato da questa, preclude l'accesso alla grazia di Dio. Per togliere ogni dubbio, il Signor Gesù è stato inviato da suo padre sulla terra con il mandato di portare la buona novella ai poveri, di essere il medico di coloro che sono afflitti nel loro cuore, di predicare libertà ai prigionieri e liberazione ai reclusi, di consolare gli afflitti dando loro gloria anziché cenere, olio anziché pianto, una veste di gioia anziché di tristezza (Is. 61.1-3). Seguendo questo mandato, egli invita a ricevere la sua bontà solo coloro che sono oppressi e travagliati; altrove afferma parimenti di non essere venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt. 11.28; 9.13).
8. Se dunque vogliamo dare libero accesso alla chiamata di Cristo, dobbiamo respingere ogni sicurezza e presunzione. Per "sicurezza "intendo l'orgoglio generato da un assurdo convincimento di giustizia, quando l'uomo pensa aver qualcosa per cui meriti di piacere a Dio; per "presunzione "intendo una indifferenza della carne, non necessariamente legata alla fiducia nelle opere. Parecchi peccatori infatti, storditi dalla dolcezza del loro peccato, non pensano al giudizio di Dio, e così non aspirano affatto alla misericordia loro offerta.
Bisogna combattere quell'indifferenza, non meno di quanto si debba abbattere ogni fiducia in noi stessi, se vogliamo essere liberi di correre a Cristo perché ci colmi dei suoi beni. Non avremo mai una fiducia totale in lui, se non diffidando interamente di noi stessi; non innalzeremo mai nel modo giusto il nostro cuore a lui, se prima non l'abbiamo abbattuto in noi; mai riceveremo una giusta consolazione da lui, se prima non siamo rattristati in noi stessi. Saremo dunque disposti a ricevere e ad ottenere la grazia di Dio quando, anziché provare fiducia in noi stessi, vedremo quale nostro unico appoggio la sua bontà; come dice sant'Agostino, avendo dimenticato i nostri meriti, riceveremo i doni di Cristo; se egli cercasse in noi qualche merito, non giungeremmo mai ai suoi doni. San Bernardo concorda con lui quando paragona gli orgogliosi, che attribuiscono un qualche valore al loro merito, a dei servitori sleali, in quanto trattengono per se la lode della grazia, che invece li ha soltanto attraversati. Come se una parete si vantasse di aver generato la luce che riceve da una finestra.
Per non soffermarci troppo a lungo su codesto punto, ricordiamo questa breve regola, destinata a tutti ed infallibile: colui che si è interamente annientato e staccato, non dico dalla sua giustizia che è nulla, ma da quell'ombra di giustizia che ci inganna, e rettamente preparato a ricevere i frutti della misericordia di Dio. Infatti quanto più ognuno confida in se, tanto più pone ostacolo alla grazia di Dio.