Letteratura/Istituzione/2-01

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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  LIBRO SECONDO

CAPITOLO I

PER LA CADUTA E LA RIVOLTA DI ADAMO, TUTTO IL GENERE UMANO È STATO ASSERVITO ALLA MALEDIZIONE ED È DECADUTO DALLA PROPRIA ORIGINE; IL PROBLEMA DEL PECCATO ORIGINALE

1. Con ragione l'antico proverbio ha sempre tanto raccomandato all'uomo la conoscenza di se stesso. Se consideriamo vergognoso l'ignorare quanto concerne la vita umana, ancora più colpevole è la cattiva conoscenza di noi stessi. A causa di essa ci lasciamo guidare nelle cose necessarie da opinioni qualsiasi, ci inganniamo miseramente e rimaniamo del tutto accecati. Data la serietà di questo ammonimento dobbiamo dunque guardarci diligentemente dall'intenderlo male come è accaduto ad alcuni filosofi. Ammonendo infatti l'uomo a conoscere se stesso, lo inducono, nello stesso tempo, a considerare la sua dignità e la sua eccellenza e gli mostrano solo ciò che gli fornisce lo spunto per elevarsi in vana fiducia e per gonfiarsi di orgoglio.

Ora la conoscenza di noi stessi consiste, in primo luogo, nel considerare quanto abbiamo ricevuto nella creazione, come Dio si mostri generoso nel mantenere a sua buona volontà nei nostri riguardi, allo scopo di prendere in questo modo coscienza dell'eccellenza della nostra natura, qualora si fosse mantenuta ella sua integrità, e anche di pensare che non abbiamo nulla di ostro ma riceviamo gratuitamente tutto quello che Dio ci ha largito e dunque dipendiamo sempre da lui.

In secondo luogo deve apparire chiara la nostra misera condizione, sopravvenuta per la caduta di Adamo; e questo sentimento abbatta in noi ogni gloria e presunzione e ci umili schiacciandoci di vergogna. Dato che Dio ci ha formati fin dal principio a sua immagine (Ge. 1.27) per indirizzare il nostro spirito alla virtù e ad ogni bene, anzi alla meditazione della vita celeste, ci è utile conoscere che siamo dotati di ragione e intelligenza per tendere allo scopo propostoci della beata immortalità, preparataci dal cielo; onde la nobiltà di cui Dio ci ha rivestiti non sia annullata dalla nostra disattenzione e dalla nostra insensibilità.

Del resto non possiamo prendere coscienza di questa dignità primiera senza essere, d'altra parte, costretti a constatare il triste spettacolo della nostra deformità e miseria, decaduti come siamo dalla nostra origine nella persona di Adamo; da questa visione nasce l'odio e l'insoddisfazione di noi stessi, unito ad una autentica umiltà; e parimenti 5i accende un desiderio nuovo di cercare Dio per ritrovare in lui tutti i beni che abbiamo visto mancarci completamente.

2. Questo la verità di Dio ci ordina di cercare, esaminando noi stessi: una conoscenza che ci trattenga da ogni presunzione della nostra propria forza e ci spogli di ogni motivo di gloria per condurci all umiltà. Dobbiamo seguire questa norma se vogliamo raggiungere il fine di ben sentire e ben operare. So che è molto più gradevole per l'uomo essere condotto a riconoscere i propri motivi di compiacimento, di vanto, di lode, piuttosto che prendere coscienza della propria miseria e povertà con l'obbrobrio che deve coprirlo di vergogna. Non vi è nulla che lo spirito umano desideri maggiormente che essere lodato con parole zuccherate e blandizie. Di conseguenza quando sente lodare i suoi beni, è subito incline a credere tutto quello che si dice a suo favore. Non c'è da meravigliarsi che quasi tutti abbiano errato a questo proposito. Mossi da questo amore di se stessi, disordinato e cieco, gli uomini si convincono volentieri di non avere in se nulla che sia meritevole di disprezzo. Così, anche senza bisogno di incoraggiamenti esterni, accettano l'opinione vana che l'uomo è sufficiente a se stesso per vivere bene e felicemente. Quelli che vogliono essere più modesti concedono qualche cosa a Dio per non sembrare attribuire tutto a se stessi, ma fanno la spartizione in modo tale che la parte principale di gloria e di presunzione rimanga loro. L'uomo è talmente incline a blandire se stesso che nulla gli è più piacevole del veder solleticato il suo orgoglio da vani allettamenti. Di conseguenza chi ha più esaltato la eccellenza della natura umana, è stato sempre accolto con più favore.

Tuttavia questa dottrina (che insegna all'uomo ad aver fiducia in se stesso) non fa che ingannarlo, e ingannarlo in modo tale da condurre in rovina chiunque vi presta fede. Che vantaggio abbiamo a concepire una vana fiducia nella possibilità di deliberare, ordinare, tentare ed intraprendere quanto ci sembra essere buono, se poi siamo carenti sia nella retta intelligenza che nella capacità di realizzare? Essere viziati dall'origine, ripeto, e tuttavia perseverare, ostinatamente, fin quando sia tutto confuso. D'altronde non può avvenire altrimenti a quanti confidano di potere qualcosa con le proprie forze. Se qualcuno dunque ascolta questi dottori che ci distraggono, facendoci prendere in considerazione la nostra giustizia e la nostra capacità, non trarrà alcun vantaggio dalla conoscenza di se ma si estasierà in questa ignoranza perniciosissima.

3. Sebbene la verità di Dio si accordi, in questo, con l'opinione comune di tutti gli uomini nel riconoscere che la seconda parte della sapienza consiste nel conoscere se stessi, sussiste tuttavia un grande contrasto riguardo a tale conoscenza di se. Secondo l'opinione della carne sembra acquisito che l'uomo si conosca benissimo quando, confidandosi nel proprio intelletto e nelle proprie forze, riceve il coraggio di compiere il proprio dovere, e, rinunciando, a tutti i vizi, si sforza di fare ciò che è buono e onesto. Ma chi considera attentamente se stesso alla luce del giudizio di Dio, non trova nulla che possa invogliare il cuore a fiducia ottimistica; e più si esamina attentamente, più è abbattuto, fino ad essere completamente sfiduciato, non trovando nulla su cui poter impostare rettamente la propria vita

Dio non vuole tuttavia che dimentichiamo la nostra dignità originaria che egli aveva dato al nostro padre Adamo e questo ricordo deve stimolarci e spingerci a seguire l'onestà e la dirittura. Non possiamo infatti pensare alla nostra origine prima, né al fine per il quale siamo stati creati, senza che questa riflessione ci sia come un pungolo per stimolarci e invogliarci a meditare e a desiderare l'immortalità del regno di Dio. Lungi però dal gonfiare il nostro cuore, questa riflessione deve piuttosto condurre all'umiltà e alla modestia. Non siamo decaduti infatti da questa origine? Non siamo del tutto stornati dal fine per cui eravamo stati creati? Di sorta che non ci resta nulla se non gemere considerando la nostra misera condizione, e gemendo bramare la nostra dignità perduta.

Quando diciamo che l'uomo non deve vedere in se stesso nulla che lo esalti, intendiamo dire che non c'è nulla di cui possa inorgoglirsi. Perciò, con il vostro consenso, strutturiamo così la conoscenza che l'uomo deve avere di se stesso: in primo luogo consideri a qual fine è stato creato e dotato di grazie singolari, ricevute da Dio, e da questa considerazione sia incitato a meditare sulla vita futura e a desiderare di servire Dio. Valuti in séguito le proprie ricchezze o meglio la propria indigenza, che lo abbatterà nella confusione più profonda, come se fosse ridotto al nulla. La prima considerazione tende a fargli conoscere quale sia il proprio dovere e la propria funzione; la seconda a fargli conoscere in quale misura sia capace di svolgere il proprio compito. Parleremo dell'uno e dell'altro aspetto secondo l'ordine dell'argomentazione.

4. Dobbiamo ora considerare quale genere di peccato sia stata la caduta di Adamo, perché non si è trattato di un delitto trascurabile ma di un crimine detestabile che Dio ha così rigorosamente punito. Essa ha provocato e suscitato una vendetta orribile su tutto il genere umano.

L'opinione comunemente accettata, che Dio lo abbia punito a causa della sua golosità, è troppo puerile; come se la principale di tutte le virtù fosse l'astenersi dal mangiare una qualità di frutta, visto che da ogni lato era circondato da tutte le delizie che poteva desiderare!

Aveva, data la fecondità di allora, di che saziarsi ampiamente e di che soddisfare, data la varietà della creazione, tutti i suoi desideri.

Bisogna dunque cercare più in là: la proibizione di toccare l'albero della conoscenza del bene e del male rappresentava per lui come una prova di obbedienza con cui doveva mostrare di sottomettersi volentieri ai comandamenti di Dio. Il nome dell'albero mostra che il precetto aveva questo unico scopo: Adamo doveva accontentarsi della propria condizione senza elevarsi più in alto per cupidità folle ed eccessiva. Inoltre la promessa fattagli, che vivrebbe per sempre mangiando dell'albero della vita e, all'opposto, l'orribile minaccia che non appena avesse gustato il frutto della conoscenza del bene e del male morirebbe, dovevano servire a mettere alla prova ed esercitare la sua fede. Da qui è facile dedurre in qual modo abbia provocato l'ira di Dio contro di sé.

Sant'Agostino dice bene che l'orgoglio è stato il principio di tutti i mali, perché se l'ambizione non avesse trasportato l'uomo più in alto di quanto gli era lecito, avrebbe potuto rimanere nella propria condizione. Dobbiamo tuttavia cercare una definizione più completa di questa tentazione descritta da Mosè. Quando la donna, per l'astuzia del serpente, è stornata dalla parola di Dio all'infedeltà, già appare che la disobbedienza è stata l'inizio della rovina. San Paolo lo conferma dicendo che per la disobbedienza di un uomo siamo tutti perduti (Ro 5.19). Bisogna tuttavia notare anche che l'uomo si è sottratto alla sottomissione a Dio non solo perché è stato ingannato dagli allettamenti di Satana ma anche perché, disprezzando la verità, si è sviato nella menzogna. Difatti quando non si tiene conto della parola di Dio, si rovescia ogni rispetto dovutogli, perché la sua maestà non può sussistere tra noi né lo si può degnamente servire se non attenendosi alla sua parola. La mancanza di fiducia è stata dunque la radice della rivolta. Da essa sono procedute ambizione e orgoglio e ad esse si è congiunta l'ingratitudine, in quanto Adamo desiderando più di quanto gli era stato concesso, ha disprezzato la liberalità di Dio, dalla quale sarebbe stato maggiormente arricchito.

È stata certo mostruosa empietà da parte di colui che appena usciva dalla terra non accontentarsi di rassomigliare a Dio ma volere essergli uguale. Se l'apostasia o la rivolta, per cui l'uomo si sottrae alla superiorità del suo Creatore è un crimine esecrabile, soprattutto quando rigetta il giogo con audacia sfrontata, invano si cercherà di sminuire il peccato di Adamo. L'uomo e la donna non sono stati solamente apostati, ma hanno oltraggiosamente disonorato Dio, accettando la calunnia di Satana che accusava Dio di menzogna, di malvagità e di avarizia. In breve, la sfiducia ha aperto la porta all'ambizione, e l'ambizione è stata madre dell'arroganza e dell'orgoglio che hanno gettato Adamo ed Eva fuori della via, al seguito della propria cupidigia.

San Bernardo dice molto bene che la porta della salvezza è nelle nostre orecchie quando riceviamo l'Evangelo; così come sono state le finestre per cui è entrata la morte. Infatti Adamo non avrebbe mai osato ribellarsi alla suprema autorità di Dio se non avesse dubitato della sua parola; essa era una briglia efficace per moderare e frenare ogni cattivo desiderio di conoscere e ricordava non esservi nulla di meglio che agire bene, obbedendo al comandamento di Dio. Ma travolto dalle bestemmie del Diavolo, per quanto stava in lui, ha annullato tutta la gloria di Dio.

5. Come la vita spirituale di Adamo consisteva nell'essere e nel rimanere congiunto al suo Creatore, così la morte dell'anima sua è consistita nell'esserne separato. Né bisogna stupirsi che con la sua rivolta abbia rovinato tutta la sua discendenza, pervertendo tutto l'ordine di natura nel cielo e sulla terra."Tutte le creature gemono", dice san Paolo"essendo assoggettate alla corruzione e non per causa propria" (Ro 8.20-22). La causa deve senza dubbio essere cercata nel fatto che esse soffrono una parte della pena meritata dall'uomo: al suo servizio erano infatti state create.

Così la maledizione di Dio si è diffusa in alto e in basso e per tutte le regioni del mondo a causa della colpa di Adamo; non c'è dunque da meravigliarsi se essa si è propagata a tutta la sua posterità. L'immagine celeste è stata cancellata in lui e questa punizione non l'ha sostenuta da solo. Era stato dotato abbondantemente di sapienza, virtù, verità, santità e giustizia; al contrario lo hanno dominato queste pesti detestabili: accecamento,impotenza a fare il bene, impurità, vanità e ingiustizia, rimanendo avvolto e immerso in queste miserie con tutta la sua discendenza. E: la corruzione ereditaria che gli antichi hanno chiamato peccato originale, intendendo con la parola"peccato"una depravazione della natura, che prima era buona e pura.

Hanno sostenuto grandi polemiche su questo tema perché è contrario al senso comune considerare tutti colpevoli, a causa dell'errore di uno solo, e vedere così il peccato come una realtà comune. I più antichi dottori sembrano trattare questo argomento in modo più oscuro e sintetico di quanto sarebbe richiesto, per paura di provocare dispute del genere. Ma questa prudenza non ha potuto impedire che un eretico di nome Pelagio se ne sia venuto a sostenere la tesi assurda che Adamo, peccando, aveva fatto male solo a se stesso, senza nuocere ai suoi successori. Satana si è sforzato con questo tranello di rendere incurabile la malattia, nascondendola. Essendo Pelagio messo di fronte a esplicite testimonianze della Scrittura, secondo le quali il peccato era disceso dal primo uomo su tutta la sua posterità, argomentava cavillosamente che vi era disceso per imitazione e non per generazione. Per contro i santi dottori, e sant'Agostino più di tutti, insistevano nell'affermare che la nostra corruzione non deriva da una malvagità che verrebbe su di noi dal di fuori, attraverso l'esempio, ma che siamo posseduti da perversità fin nel ventre della madre. E questo non lo si può negare senza grande sfacciataggine. Chi avrà visto, attraverso gli scritti di sant'Agostino, che bestie erano i Pelagiani e i Celestini, senza vergogna alcuna, non si meraviglierà della loro temerarietà su questo punto. L'affermazione di Davide:"Sono stato generato nell'iniquità e mia madre mi ha concepito nel peccato" (Sl. 51.5) è indubitabile. Non accusa le iniquità dei propri genitori ma, per meglio glorificare la bontà di Dio nei suoi confronti, indica nella stessa nascita l'origine della propria perversità. Questo non è peculiare a Davide; ne deriva che il suo esempio mostra la condizione universale di tutti gli uomini. Noi tutti dunque, prodotti da semenza impura, nasciamo contaminati dall'infezione del peccato; e prima ancora di vedere la luce, di fronte a Dio siamo corrotti."Chi può trarre una cosa pura da una impura?"dice il libro di Giobbe (Gb. 14.4).

6. Vediamo così che la corruzione dei padri discende sui figli di generazione in generazione, di sorta che tutti, senza eccezioni, ne sono macchiati sin dall'origine. Non si trova l'inizio di questa degradazione se non risalendo al primo progenitore di tutti, come alla sorgente. Bisogna tener per certo che Adamo non è stato solo il padre della natura umana ma ne è anche radice o ceppo; di conseguenza nella corruzione di lui il genere umano è stato corrotto. L'Apostolo lo dimostra più chiaramente paragonandolo con Cristo:"Così come il peccato è entrato nell'universo tutto per mezzo di un solo uomo"egli dice"e attraverso il peccato la morte si è estesa a tutti gli uomini, dato che tutti hanno peccato; così similmente la giustizia e la vita ci sono restituite dalla grazia di Cristo" (Ro 5.12.18).

I Pelagiani diranno che il peccato è stato diffuso nel mondo per l'imitazione di Adamo? Questo significa che non possiamo trarre vantaggio dalla grazia di Cristo altrimenti che ricevendola come un esempio da seguire. Chi potrebbe tollerare questa bestemmia? Non c'è dubbio alcuno riguardo al fatto che la grazia di Cristo è nostra per comunicazione e che per essa riceviamo la vita; ne consegue ugualmente che l'una e l'altra sono andate perse in Adamo e le riacquistiamo in Cristo; che il peccato e la morte sono stati generati in noi da Adamo, nello stesso modo come sono aboliti da Cristo. Non è oscura la dichiarazione che molti sono giustificati dall'obbedienza di Cristo, così come erano stati costituiti peccatori per la disobbedienza di Adamo: come Adamo, coinvolgendoci nella sua rovina, è stato la causa della nostra perdizione, così similmente Cristo ci riconduce alla salvezza con la sua grazia. Non penso sia necessaria una più lunga dimostrazione.

Parimenti nella prima ai Corinzi, volendo confermare i credenti nella speranza della risurrezione, l'Apostolo afferma che in Cristo ricuperiamo la vita che avevamo persa in Adamo (1 Co. 15.22). Quando dichiara che siamo morti in Adamo, chiaramente mostra che siamo contagiati dal peccato di lui; la dannazione non giungerebbe a noi infatti se la colpa non ci toccasse. Ma la sua intenzione può essere ricavata ancor meglio dal secondo punto, dove afferma che la speranza di vita è restituita da Cristo. Ciò avviene, è chiaro, in questo modo: quando Gesù Cristo si comunica a noi per mettere in noi la forza della sua giustizia (come è detto in un altro passo) il suo Spirito ci è vita a causa della giustizia (Ro 8.10). Non si può dunque chiarire altrimenti l'affermazione che siamo morti in Adamo, se non dicendo che questi, peccando, non ha solo rovinato e distrutto se stesso, ma ha parimenti trascinato la nostra natura in una consimile perdizione. La colpa non è solo sua ma tocca anche noi, avendo contagiato tutta la sua progenie con la perversità in cui è caduto.

Infatti l'affermazione di san Paolo che tutti per natura sono figli d'ira (Ef. 2.3) non risulterebbe vera se tutti non fossero maledetti sin dal ventre della madre. Si può facilmente dedurre che parlando di natura, non la si intende quale è stata creata da Dio, ma quale è stata pervertita da Adamo. Non sarebbe giusto infatti considerare Dio quale autore della morte. Adamo si è dunque contagiato e infettato a tal punto che il contagio è disceso da lui su tutta la sua discendenza. Anche Gesù Cristo, il giudice davanti al quale dovremo rendere conto, intende chiaramente che tutti nasciamo malvagi e viziosi allorché dice: che ciò che è nato di carne è carne (Gv. 3.6). La porta della vita è dunque chiusa a tutti, fino a che non siano rigenerati.

7. Per comprendere tutto questo non è necessario invischiarsi nella deplorevole disputa che ha tormentato gli antichi dottori: se cioè l'anima del figlio proceda dalla sostanza dell'anima paterna, dato che il peccato originale risiede nell'anima. Accontentiamoci di sapere che il Signore aveva concesso ad Adamo le grazie e i doni che voleva conferire alla natura umana; che questi li ha persi non soltanto per se ma per noi tutti. Chi si preoccuperà dell'origine dell'anima, quando abbia appreso che Adamo aveva ricevuto i doni che ha perso, per noi non meno che per se, dato che Dio non glieli aveva dati come uomo singolo ma perché tutta la discendenza ne godesse con lui?

Non vi è alcuna assurdità: se egli è stato spogliato, la natura umana ne è stata privata; se egli è rimasto macchiato dal peccato, l'infezione ne è stata diffusa a noi tutti. Come da una radice marcia nascono solo tronchi marci che trasportano la loro infezione in tutti i rami e le foglie che producono, così i figli di Adamo sono stati contaminati attraverso il proprio padre e sono causa di infezione per tutti i loro successori. Il principio di corruzione era così fortemente radicato in Adamo, che si è diffuso dal padre ai figli con un flusso perpetuo. La corruzione infatti non ha la sua causa e il suo fondamento nella sostanza della carne o dell'anima, ma nel fatto che i doni commessi in deposito al primo uomo, per volontà di Dio, erano comuni a lui e ai suoi, nel conservarli o nel perderli.

È facilmente refutato il cavillo dei Pelagiani: essi affermano essere inverosimile che i bambini nati da genitori credenti ne ricevano corruzione e li considerano invece purificati dalla purezza di questi. Rispondiamo che i figli non discendono attraverso quella generazione spirituale che i servitori di Dio ricevono dallo Spirito Santo, ma attraverso la generazione carnale che viene da Adamo. Dice sant'Agostino:"Sia un incredulo che sarà ancora colpevole, sia un credente che sarà assolto, ambedue genereranno figli colpevoli perché li generano dalla propria natura viziosa"vero che Dio santifica i figli dei credenti a causa dei loro genitori, ma questo non in virtù della loro natura bensì della sua grazia. Si tratta dunque di una benedizione spirituale, che non impedisce alla maledizione precedente di sussistere universalmente nella natura umana poiché la condanna deriva dalla natura, ma il fatto che i bambini siano santificati deriva dalla grazia soprannaturale.

8. Dobbiamo ora dare una definizione del peccato originale per puntualizzare quanto esposto sin qui. Non ho l'intenzione di esaminare tutte le definizioni che ne sono state date; mi limiterò a offrirne una, che mi sembra essere conforme a verità. Diremo dunque che il peccato originale consiste in una corruzione le perversità ereditarie della nostra natura, che diffuse in tutte le parti dell'anima ci rendono, in primo luogo, meritevoli dell'ira di Dio, e in séguito producono in noi le opere definite dalla Scrittura: opere della carne. È proprio questo che san Paolo chiama spesso"peccato"senza aggiungere l'aggettivo: originale. Le opere che ne derivano: adulterio, dissolutezza, ladrocinio, odio, omicidio e gozzoviglia (Ga 5.19- 21) le chiama di conseguenza"frutti del peccato", sebbene queste opere siano comunemente definite"peccato"sia dalla Scrittura, sia dallo stesso san Paolo.

Dovremo considerare separatamente questi due punti. Siamo talmente corrotti in tutte le parti della nostra natura da dover essere giustamente condannati nel cospetto di quel Dio, al quale sono accette la giustizia, l'innocenza e la purezza. Né bisogna pensare che questa costrizione al peccato sia causata solamente dalla colpa altrui, come se rispondessimo del peccato del nostro progenitore senza essere responsabili di nulla. L'affermazione secondo cui in Adamo siamo imputati di fronte al giudizio di Dio non significa che siamo innocenti e che portiamo il peso del suo peccato senza aver meritato alcuna pena. È affermato invece che egli ci ha vincolati tutti perché la sua trasgressione ci ha tutti avviluppati nella confusione.

Tuttavia non dobbiamo intendere che ci abbia solo costituiti passibili di pena senza averci anche comunicato il peccato. In verità il peccato derivato da lui risiede in noi e giustamente la pena ci è dovuta. Per questo sant'Agostino, sebbene talvolta lo chiami"peccato da altro", per mostrare chiaramente che l'abbiamo come razza, tuttavia lo conferma essere proprio a ciascuno di noi. Anche l'Apostolo conferma che la morte è venuta su tutti gli uomini perché tutti hanno peccato (Ro 5.12); vale a dire che tutti sono avvolti nel peccato originale e sporcati dalle sue macchie.

Per questa ragione persino i bambini sono inclusi nella condanna, non solo per il peccato altrui, ma per il proprio. Sebbene infatti, non abbiano ancora prodotto i frutti della propria iniquità, ne hanno tuttavia la semenza nascosta in se stessi. E per di più la loro natura è una semenza di peccato: essa non può che dispiacere ed essere abominevole a Dio. Ne consegue che a buon diritto e correttamente questo male è considerato peccato di fronte a Dio. Senza colpa non saremmo colpiti da condanna.

L'altro punto da considerare è che questa perversità non è mai passiva in noi, ma genera continuamente nuovi frutti, vale a dire quelle opere della carne che abbiamo testé descritto; come una fornace ardente emette fiamma e scintille o una sorgente zampilla la sua acqua. Quanti dunque hanno valutato il peccato originale come carenza di giustizia originale inerente all'uomo, sebbene ne abbiano, in queste parole, inteso tutta la sostanza, non ne hanno tuttavia espresso tutta la forza. Infatti la nostra natura non è solamente vuota e priva di ogni bene, ma è talmente fertile in ogni genere di male da non poter rimanere passiva. Chi l'ha chiamata concupiscenza non ha adoperato una parola eccessiva, purché si aggiunga quanto molti non accettano, e cioè che tutte le parti dell'uomo, dall'intelletto alla volontà, dall'anima alla carne, sono corrotte e completamente pervase di questa concupiscenza; oppure, per farla più breve, che l'uomo di per se stesso non è che concupiscenza.

9. Per questo ho detto che da quando Adamo si è allontanato dalla fonte di giustizia, tutte le parti dell'anima sono state dominate dal peccato. Non è stato solo il suo appetito inferiore o la sua sensualità ad allettarlo al male, bensì questa maledetta empietà, di cui abbiamo parlato, che ha occupato la parte più alta ed eccellente del suo spirito: e l'orgoglio è penetrato fino nel profondo del cuore. i;: ragionamento misero e sciocco voler limitare la corruzione originata in questo modo, ai moti o appetiti chiamati"sensuali"e definirla"alimento di fuoco,"che alletta, muove e conduce la sensualità al peccato. In questo il Maestro delle Sentenze ha dimostrato ignoranza molta e grave. Cercando la sede di questo peccato, ha affermato che, secondo san Paolo, risiede nella carne; aggiungendovi la sua glossa secondo cui non e quivi in proprio ma vi appare più frequentemente. È: sciocco prendere questo termine"carne"nel significato di corpo, come se san Paolo opponendolo alla grazia dello Spirito Santo dalla quale siamo rigenerati, indicasse solo una parte dell'anima e non comprendesse tutta la nostra natura. Paolo stesso toglie ogni dubbio affermando che il peccato non risiede solamente in una parte, ma che non v'è nulla di puro e netto dal mortale marciume. Infatti argomentando sulla natura viziosa egli non condanna solamente gli appetiti apparenti, ma insiste soprattutto su questo punto: tutto l'intelletto è completamente asservito alla bestialità e alla cecità e il cuore dedito alla perversità. E tutto il terzo capitolo dei Romani non è che una descrizione del peccato originale.

Questo appare ancora meglio nella rigenerazione: lo Spirito che è opposto al vecchio uomo e alla carne non indica solamente la grazia per mezzo della quale la parte inferiore o sensuale dell'anima è corretta, ma indica una riforma totale di tutte le parti. Per cui san Paolo altrove non domanda solo di eliminare e annullare i desideri peccaminosi, ma vuole che siano rinnovati nello spirito del nostro intendimento (Ef. 4.23) , e in un altro passo, che siamo trasformati in novità di spirito (Ro 12.2). Ne segue che quanto c'è di più nobile e lodevole nelle nostre anime, non solamente è colpito e ferito, ma è completamente corrotto (anche se vi riluce qualche dignità) di sorta che non ha solamente bisogno di guarigione, ma deve rivestire una natura nuova.

Vedremo appresso come il peccato domini lo spirito e il cuore. Ho voluto qui solo brevemente illustrare come l'uomo sia travolto come da un diluvio, dalla testa fino ai piedi, di modo che non v'è in lui alcuna parte esente da peccato; e come di conseguenza, tutto ciò che da lui procede è a buon diritto condannato e imputato quale peccato. Come san Paolo dice, tutti gli affetti della carne sono contrari a Dio (Ro. 8.7) e pertanto conducono a morte.

10. Veniamo ad esaminare, ora, le tesi di quelli che osano attribuire a Dio la causa del proprio peccato, quando affermiamo che gli uomini sono peccatori per natura. Fingono perversamente di contemplare l'opera di Dio nelle proprie macchie, mentre la dovrebbero piuttosto cercare nella natura ricevuta da Adamo prima di essere corrotto. La nostra perdizione deriva dunque dalla colpevolezza della nostra carne e non da Dio, dato che siamo periti solamente per il fatto di essere decaduti dalla condizione primitiva dello stato di creazione.

Né serve replicare che Dio avrebbe potuto provvedere meglio alla nostra salvezza se avesse prevenuto la caduta di Adamo: questa obiezione, audace e temeraria, non deve aver posto nell'animo dell'uomo credente. Essa concerne inoltre la predestinazione di Dio, che tratteremo a suo tempo. Ricordiamoci comunque di attribuire sempre la nostra rovina alla corruzione della nostra natura e non alla natura che era stata data primieramente all'uomo, onde non accusiamo Dio, quasi che il nostro male provenga da lui. È vero che questa piaga mortale del peccato è radicata nella nostra natura; è però molto diverso affermare che essa è stata ferita fin dall'origine oppure è stata resa tale in séguito e dal di fuori. Ora è certo che questa ferita è stata inflitta dal peccato sopravvenuto. Non abbiamo dunque che da compiangere noi stessi. E la Scrittura lo nota esplicitamente, quando l'Ecclesiaste dice: "So che Dio aveva creato l'uomo buono ma egli si è fabbricato molte invenzioni malvagie" (Ecclesiaste 7.29). Ne deriva che bisogna imputare solo all'uomo la sua rovina, dato che aveva ricevuto una dirittura naturale dalla grazia di Dio e unicamente per la propria follia è inciampato nella vanità.

11. Diremo dunque che l'uomo è naturalmente corrotto nella perversità ma che questa perversità non è affatto naturale in lui. Neghiamo che appartenga alla natura: insistiamo nel dire che è una qualità sopravvenuta nell'uomo e non una proprietà della sua sostanza, radicata in lui fin dall'inizio. Pur tuttavia la chiamiamo "naturale" onde nessuno pensi che la si acquisisce per semplice abitudine o imitazione; essa ci pervade tutti fin dalla prima nascita.

E non parliamo così di testa nostra ché l'Apostolo per questo motivo ci chiama tutti: "eredi, per natura, dell'ira di Dio" (Ef. 2.3). Dio sarebbe corrucciato contro la più nobile delle sue creature, quando si compiace delle opere minime che ha creato? Egli è piuttosto adirato per la corruzione della sua opera che non per la sua opera stessa. Se dunque l'uomo a ragione è detto essere naturalmente abominevole a Dio, a buon diritto potremo dirlo naturalmente vizioso e malvagio. Così sant'Agostino non ha difficoltà, data la nostra natura corrotta, a definire peccati naturali quelli che regnano necessariamente sulla nostra carne quando ci manca la grazia di Dio. Questa distinzione refuta la folle fantasticheria dei Manichei che immaginando una perversità essenziale nell'uomo lo dicevano creato da altri che da Dio, allo scopo di non attribuire a Dio l'origine di alcun male.