Letteratura/Istituzione/0-02
Lettera dedicatoria
Al Re di Francia cristianissimo, di nome Francesco primo, suo principe e signore sovrano, Giovanni Calvino augura pace e salvezza nel nostro Signore Gesù Cristo.
Strumento di istruzione
Iniziando la redazione di questo libro non avrei immaginato, o Sire, di scrivere cose che sarebbero state presentate alla Maestà vostra. Il mio proposito era semplicemente di insegnare alcune nozioni elementari, onde fossero istruiti nella vera pietà coloro che sono toccati da qualche sentimento positivo verso Dio. E volevo servire, con questo mio lavoro, principalmente ai nostri francesi, constatando che molti sono quelli che hanno fame e sete di Gesù Cristo, ma ben pochi coloro che ne ricevono una retta conoscenza. Questo mio proposito è comprovato dal fatto che ho dato al libro la forma di insegnamento più semplice possibile.
Confessione di fede
Constatando però che nel vostro regno il furore di alcuni iniqui era aumentato al punto di non lasciar posto ad alcuna retta dottrina, mi è parso opportuno utilizzare questo libro sia come istruzione per quanti avevo in primo luogo voluto aiutare, sia come confessione di fede verso di voi, onde conosciate la dottrina contro la quale si infiamma l’ira furiosa di chi turba oggi il vostro regno con il fuoco e con la spada. Non mi vergogno infatti di ammettere che è stata da me raccolta in questo testo la sostanza di questa dottrina che costoro considerano si debba punire con prigione, bando, proscrizione e fuoco e che dovrebbe, secondo le loro richieste, essere bandita dalla terra e dal mare.
Difesa e dimostrazione
Conosco le orribili dicerie di cui hanno riempito le vostre orecchie e il vostro cuore per rendervi odiosissima la nostra causa; dovete però considerare, nella vostra clemenza e mansuetudine, che non sussisterebbe innocenza alcuna né in parole, né in fatti, se bastasse accusare. Qualcuno, certamente per provocare l’odio contro la dottrina della quale mi sforzerò di rendervi ragione, fa osservare che essa è già condannata da un generale consenso in tutti gli Stati, avendo subito numerose sentenze contrarie. Questo non significa però altro se non che essa è stata in parte violentemente abbattuta dalla potenza e dalla congiura degli avversari, in parte oppressa con astuzia dalle loro menzogne, dai loro inganni, dalle loro calunnie e dai loro tradimenti. Sopruso e violenza è il fatto che crudeli sentenze siano pronunciate contro ad essa senza che sia stata difesa. È frode e inganno accusarla di sedizione e maleficio senza ragione. Non si pensi che ci lamentiamo senza motivo: voi stesso siete in grado di testimoniare, Sire, con quante false calunnie essa è ogni giorno diffamata presso di voi: affermando che essa non tende ad altro fine che a rovinare tutti i regni e i regimi, a turbare la pace, ad abolire le leggi, ad abbattere le signorie e i possedimenti, in breve a precipitare ogni cosa nella confusione. E non ne udite che una minima parte; tra il popolino infatti, si seminano dicerie orribili tali che, qualora risultassero vere, da tutti, a buon diritto, dovrebbe essere giudicata degna di mille fuochi e di mille forche insieme a tutti i suoi autori.
Chi dunque si meraviglierà che essa sia odiata da tutti quando si presta fede a sì malvagio calunnie? Ecco perché tutti i ceti sociali sono consenzienti nel cercare di condannare sia noi che la nostra dottrina. Quanti sono costituiti per giudicarne, spinti e travolti dalla passione, danno forma nelle loro sentenze ai pregiudizi del proprio ambiente. E pensano aver adempiuto pienamente il proprio dovere non condannando a morte se non coloro che sono stati convinti di colpevolezza sia in base a confessione che a testimonianze certe. Di quale delitto? Di questa dottrina dannata, essi dicono. Dannata? A che titolo? Compito della difesa è appunto questo: non sconfessarla ma dimostrarne la verità. A questo punto però è negato loro il diritto di aprire bocca.
Appello a documentarsi
Non senza ragione dunque, o Sire, vi chiedo di documentarvi in modo esauriente riguardo a questa causa sin qui dibattuta modo confuso e senza alcun criterio giuridico, con passione più che con la ponderazione e la serietà giudiziaria. E non pensate che, così facendo, io inserisca la mia difesa personale per ottenere il ritorno in patria: sebbene io nutra per essa i sentimenti di umanità che le sono dovuti, nella situazione attuale, non considero luttuoso l'esserne privato. È invece la causa comune dei credenti tutti che peroro, anzi, la causa di Cristo, che risulta oggi lacerata e oppressa nei vostro regno al punto da sembrare persa del tutto. Questo è certo accaduto a causa della tirannia di alcuni farisei, più che per volontà vostra: non è per di alcuna utilità dire ora come ciò avvenga. Un fatto è chiaro: questa causa versa in grave situazione. La potenza degli avversari di Dio ha ottenuto che la verità di Cristo sia nascosta e sepolta quasi fosse ignominiosa, sebbene non sia perduta o distrutta del tutto; inoltre che la povera Chiesa sia distrutta da stragi crudeli o dispersa per bando, oppure talmente paralizzata dalle minacce e dal terrore si da non osar pronunciare una parola. E ancora persistono nella loro furia abituale per abbattere il muro che hanno già scosso e condurre a termine l'opera di distruzione che hanno iniziato. Frattanto nessuno si fa avanti per opporsi a questa furia. E se qualcuno vuoi mettersi in mostra come difensore della verità, dice che si deve in qualche modo tollerare l'imprudenza e l'ignoranza dei semplici; poiché così ci si esprime, chiamando "imprudenza " e "ignoranza" la certissima verità di Dio; "gente semplice" coloro che nostro Signore ha stimato al punto da comunicare loro i segreti della celeste sapienza; a tal punto tutti si vergognano dell'Evangelo. È dunque compito vostro, Sire, non stornare le vostre orecchie e il vostro impegno da una difesa così giusta, principalmente per la gravità della causa in gioco. Si tratta di vedere in che modo la gloria di Dio sarà mantenuta in terra, in che modo la sua verità riceverà l'onore e la dignità che le competono, in che modo il regno di Cristo permarrà nella sua interezza. Materia, questa, degna della vostra attenzione, del vostro giudizio, del vostro trono regale! Vero re è colui che ha coscienza di essere vero ministro di Dio al governo del suo regno. Al contrario, colui che regna non avendo come meta il servizio della gloria dì Dio, non esercita potere regale, ma pirateria. Si inganna, perciò, chi spera lunga prosperità in un regno che non sia governato dallo scettro di Dio, vale a dire, dalla sua santa Parola. Non può mentire l'editto celeste con cui viene affermato che il popolo sarà disperso quando manchi la Profezia (Pr. 29:18).
Una dottrina non nostra
Né dovete essere ingannato dal disprezzo per la nostra piccolezza. Riconosciamo, certo, di essere povera gente, meritevole di disprezzo davanti a Dio, miserabili peccatori, vilipesi e respinti dagli uomini; anzi, se lo volete, spazzatura e rifiuti del mondo o qualcosa di ancora più vile, se si può nominare. Al punto che nulla ci resta di cui possiamo gloriarci davanti a Dio all’infuori della sua sola misericordia, per mezzo della quale essere salvati senza merito alcuno, e davanti agli uomini, della nostra sola infermità, vale a dire, ciò che tutti considerano somma ignominia. E tuttavia la nostra dottrina ha da rimanere alta e insuperabile, sopra ogni gloria e potenza del mondo, poiché essa non e nostra, ma del Dio vivente e del suo Cristo, che il Padre ha stabilito per dominare da un mare all'altro e dai fiumi fino ai confini della terra; e dominare in modo che quando colpisce la terra con la sola verga della sua bocca, la spezzi tutta, con la sua forza e con la sua gloria, come un vaso di argilla. Così i profeti hanno annunciato che la magnificenza del suo regno abbatterebbe regni solidi come ferro e rame, splendenti come oro e argento (Is. 9:4 ; Sl. 2:9; Da. 9:32).
È ben vero che i nostri avversari lo negano rimproverandoci di prevalerci falsamente della parola di Dio di cui siamo, a loro avviso, perversi corruttori. Voi stesso però, secondo la vostra saviezza, siete in grado di giudicare, leggendo la nostra confessione, quanto un rimprovero del genere sia colmo non solo di calunnia maliziosa ma altresì di impudenza sfrontata. Sarà tuttavia opportuno fare alcune riflessioni per istradarvi in questa lettura.
Una dottrina conforme alla Scrittura
Quando san Paolo ha voluto che ogni profezia fosse conforme all'analogia e alla similitudine della fede (Ro. 12:6) ha stabilito una norma fondamentale per saggiare ogni interpretazione della Scrittura. Ora se la nostra dottrina è esaminata secondo questa norma di fede, abbiamo la vittoria assicurata. Che si addice infatti di più alla fede del riconoscerei spogli di ogni forza, per essere vestiti da Dio? Vuoti di ogni bene, per essere riempiti da lui? Servi del peccato, per essere da lui liberati? Ciechi, per essere da lui illuminati? Zoppicanti, per essere da lui raddrizzati? Deboli, per essere da lui sostenuti? Privarci di ogni motivo di vanto, onde lui solo sia glorificato e noi in lui? Quando diciamo queste e consimili cose, i nostri avversari quella preparazione che essi hanno inventato per permetterci di giungere a Dio, il libero arbitrio, le opere meritorie di salvezza eterna con le loro supererogazioni, per questo motivo non possono tollerare che la lode e l'intera gloria per ogni bene, virtù, giustizia e sapienza sia posta in Dio. Dove mai si legge che qualcuno sia stato rimproverato per aver attinto troppo alla sorgente dell'acqua viva? Al contrario il Profeta rimprovera aspramente quanti hanno scavato delle cisterne asciutte che non possono contenere acqua (Gr. 2:13). Inoltre v'è qualcosa che sia più pertinente alla fede che il rappresentarsi Dio quale padre dolce e benigno, Cristo essendo riconosciuto fratello e propiziatore; l'attendere ogni bene e prosperità da lui, la cui benevolenza per noi si è manifestata al punto da non risparmiare il suo proprio figlio e a darlo per noi (Ro. 8:32); l'abbandonarsi nella fiduciosa attesa della salvezza e della vita eterna, pensando che Cristo ci è stato dato dal Padre e in lui questi tesori sono nascosti?
Queste cose dispiacciono loro e affermano che una certezza e fiducia di questo tipo non e senza arroganza e presunzione. Ma per il fatto di non potere aspettarci nulla da noi stessi dobbiamo attendere ogni cosa da Dio; e non siamo forse spogliati di ogni vanagloria proprio affinché impariamo a gloriarci in Dio? Che dovrei dire di più? Considerate, o Sire, tutti gli elementi di questa nostra causa e giudicateci i più perversi tra i perversi, se non vi risulta chiaramente che riceviamo oppressione, ingiurie e obbrobri, in quanto mettiamo la nostra speranza nell’Iddio vivente (I Ti. 4:10) e crediamo che la vita eterna consista nel riconoscere un solo vero Dio e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo (Gv..17:3). A motivo di questa speranza alcuni di noi languiscono nelle carceri, altri sono fustigati, altri costretti a fare onorevole ammenda, altri banditi, altri crudelmente oppressi, altri fuggiaschi; tutti ci troviamo in tribolazioni maledetti ed esecrabili, ingiuriati e trattati in modo inumano?
Il disprezzo della vera religione
D'altra parte, considerate i nostri avversari (mi riferisco alla categoria dei preti, per istigazione dei quali tutti gli altri si oppongono a noi) e osservate un istante con me quali sentimenti li ispirino. Permettono, con estrema facilità, a sé stessi e agli altri, di ignorare, trascurare, disprezzare la vera religione, insegnataci dalla Scrittura e che dovrebbe essere spiegata a tutti e accettata da tutti; pensano che ciò che davvero importa non è la fede che ciascuno ha, oppure non ha, in Dio e in Cristo, ma che per fede implicita (come la chiamano), sottometta sé stesso al giudizio della Chiesa. Né si preoccupano molto del fatto che la gloria di Dio sia insozzata da bestemmie evidenti, purché nessuno pronunci parole contro l'autorità di nostra santa madre Chiesa, vale a dire, nel loro pensiero, del Seggio romano.
Perché mai combattere con tanta intransigenza e violenza in favore della messa, del purgatorio, dei pellegrinaggi, di tutto quel ciarpame, al punto di negare che possa sussistere la vera pietà, se non si credono e accettano con fede esplicita tutte queste cose che essi non possono affatto provare con la parola di Dio? Perché, domando, se non per il fatto che il ventre è il loro dio, la mangeria, la loro religione? Togliete loro questo e non solo non si sentono più cristiani, ma neppure uomini, È vero che mentre alcuni si trattano con delicatezza e abbondanza, altri vivacchiano rosicchiando le croste, ma tutti però vivono della stessa pentola, che senza questi sostegni non solo si raffredderebbe, ma gelerebbe del tutto. Così si spiega perché, chi tra loro si preoccupa di più del proprio ventre, sia più fanatico difensore della loro fede. Hanno tutti, insomma, la stessa idea: conservare il proprio dominio e il ventre pieno. E non ce n'è uno solo tra loro, che mostri il minime segno di vero zelo.
Una nuova dottrina?
Tuttavia non cessano di calunniare la nostra dottrina, insultarla e diffamarla con tutti i mezzi possibili, per renderla odiosa e sospetta. La definiscono "nuova" e "inventata di recente". Le rimproverano di essere dubbia e incerta. Domandano da quali miracoli sia confermata. Si preoccupano di sapere se ha senso contraddire il consenso di tanti antichi Padri e una sì lunga tradizione. Insistono perché le riconosciamo un carattere scismatico, dato che essa si oppone alla Chiesa; oppure che rispondiamo che la Chiesa è stata morta per lungo tempo, nel quale questa dottrina era sconosciuta. Infine concludono che ulteriori argomentazioni sono superflue, dato che la si può giudicare dai suoi frutti, vale a dire, dal fatto che essa genera una grande moltitudine di sétte, disordini e sedizioni e una smodata licenza nel malfare. È certo molto facile prevalere contro una causa impopolare e abbandonata, specialmente quando si tratti di persuadere il popolo ignorante e credulone. Ma se ci fosse concessa la possibilità di parlare, penso che l'ardore, di cui ribollono così violentemente contro di noi, si raffredderebbe un poco.
In primo luogo, nel definirla nuova, recano grandissima offesa a Dio, la cui parola sacra non dovrebbe essere tacciata di novità. Certo, non dubito che, dal loro punto di vista, sembri nuova, dato che per loro lo stesso Cristo e il suo Vangelo sono nuovi. La predicazione di san Paolo però che si riassume in questi termini, è antica: "Gesù Cristo è morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione" (Ro. 4:25); chi la conosce non troverà nulla di nuovo in noi. Il fatto che sia stata per lungo tempo nascosta e sconosciuta, deve essere imputato all’empietà degli uomini. Ora che ci è restituita per bontà di Dio, dovrebbe almeno essere ricevuta nella sua antica autorità. La stessa ignoranza fa sì che la reputino dubbia e incerta. E’ proprio quello di cui si duole il Signore per bocca del suo Profeta: "Il bue riconosce il suo padrone e l'asino la stalla dei suoi proprietari, mentre Dio è disconosciuto dal suo popolo" (Is. 1:3). Si fanno beffe della incertezza di questa dottrina: se dovessero firmare a loro a prezzo del proprio sangue e della propria vita, si vedrebbe quanto la valutano. Altra è la nostra convinzione e non teme i terrori della morte, né i giudizi di Dio.
La verità sarebbe avvalorata dai miracoli?
Nel richiederci miracoli sono irragionevoli. Noi non fabbrichiamo un qualche nuovo Evangelo, ma teniamo per certo quello la cui verità è confermata dai miracoli che hanno fatto Gesù Cristo e i suoi apostoli. Si potrebbe dire che essi abbiano questo vantaggio su di noi: possono confermare la loro dottrina con continui miracoli che avvengono fino al dì d'oggi. I miracoli che essi menzionano dovrebbero piuttosto scuotere e far dubitare uno spirito fermo, tanto sono frivoli o menzogneri. E quand'anche fossero i più straordinari che si possano immaginare, non devono tuttavia essere contrapposti alla verità di Dio, dato che il nome di Dio deve essere santificato sempre e dappertutto, sia dai miracoli che dall'ordine naturale delle cose. Essi sarebbero più convincenti, a questo riguardo, se la Scrittura non ci avesse istruito sullo scopo legittimo dei miracoli. San Marco dice che quelli fatti dagli apostoli hanno servito a confermare la loro predicazione (Mr. 16:20). Similmente san Luca dice che nostro Signore, facendoli, ha voluto render testimonianza alla parola della sua grazia (At. 14:3). A ciò corrisponde quanto dice l’Apostolo, che la salvezza annunciata dall'Evangelo è stata confermata dalla testimonianza di Dio con segni e potenza miracolosa (Eb. 2:3,4). Quando ci vien detto che questi sono sigilli per suggellare l'Evangelo, li utilizzeremo per distruggerne l'autorità? Quando ci vien detto che sono destinati a stabilire la verità, li applicheremo a rafforzare la menzogna? Per questo motivo bisogna che la dottrina, la quale precede i miracoli come dice l'Evangelista, sia esaminata per prima. Se essa è approvata allora potrà essere confermata dai miracoli. Ora un buon indizio di vera dottrina come dice Cristo, si ha quando essa tende non alla gloria degli uomini, ma a quella di Dio (Gv. 7:18; 8:50). Poiché Cristo afferma che questa deve essere la prova, significa intendere male i miracoli utilizzarli ad altro scopo che ad illustrare il nome di Dio. E ci dobbiamo anche ricordare che Satana ha i suoi miracoli; i quali, sebbene siano illusione più che vera potenza, tuttavia sono tali da poter ingannare i semplici ignoranti. I magi e gli incantatori sono stati sempre noti per i loro miracoli; l’idolatria dei pagani è stata nutrita da miracoli eccezionali che tuttavia non ci spingono ad accettare la superstizione dei magi né degli idolatri. Con questo stesso argomento i Donatisti, anticamente, colpivano la semplicità del popolo compiendo numerosi miracoli. Diamo dunque ora ai nostri avversari la stessa risposta che ha dato sant'Agostino ai Donatisti: "Nostro Signore ci ha messo in guardia contro questi operatori di miracoli, predicendo che verrebbero dei falsi profeti e con grandi prodigi e fatti meravigliosi trarrebbero in inganno anche gli eletti, se questo fosse possibile" (Mt. 24:24). San Paolo ha avvertito che il regno dell'Anticristo sarebbe accompagnato da ogni potenza e da miracoli e prodigi menzogneri (2 Ts. 2:9). Ma i nostri miracoli, essi dicono, non sono operati né dagli idoli, né dagli incantatori, né dai falsi profeti, ma dai santi. Come se noi non fossimo in grado di comprendere che è appunto l'abilità di Satana di trasfigurarsi in angelo di luce (2 Co. 2:14). Nel passato gli Egiziani hanno fatto di Geremia, sepolto nella loro terre, un dio offrendogli sacrifici e rendendogli tutti gli onori che erano abituati a offrire ai loro dei. Non strumentalizzavano forse il santo profeta di Dio per servire la loro idolatria? E giungevano al punto di credere, quando guarivano, dalla morsicatura dei serpenti, di ricevere la ricompensa per la loro venerazione del suo sepolcro. Che diremo dunque, se non che è stata e sarà sempre una giustissima vendetta di Dio di dare a coloro, che non hanno ricevuto la verità, la convinzione che le loro illusioni sono reali, per farli credere alla menzogna (2 Ts. 2:10,11). I miracoli dunque non ci mancano; sono anzi certissimi e sottratti ad ogni beffa. Al contrario quelli che i nostri avversari si attribuiscono, sono semplicemente illusione di Satana, che servono a sviare il popolo dal rendere onore al suo Dio.
L’autorità dei padri della Chiesa?
Inoltre ingiustamente ci oppongono gli antichi Padri, vale a dire gli scrittori dei primi tempi della Chiesa, quasi difendessero la loro empietà; se si dovesse risolvere la nostra disputa sulla base della loro autorità, la vittoria sarebbe nostra. Sebbene molte cose giuste ed eccellenti siano state scritte dagli antichi Padri, è tuttavia accaduto loro, su alcune questioni, quello che accade a tutti gli uomini, vale a dire, di sbagliarsi, e questi loro figli, buoni e obbedienti, secondo la loro rettitudine di spirito, di giudizio e di volontà, ne adorano solamente gli errori e gli sbagli; al contrario, le cose giuste che quelli hanno scritte, non le vedono o le nascondono o le deformano, al punto che si direbbe la loro unica preoccupazione consista nel raccogliere de letame in mezzo a dell'oro. E poi ci danno addosso con grande clamore come se disprezzassimo e fossimo nemici dei Padri. Ma noi ci guardiamo dal disprezzarli e, se questo fosse il nostro attuale proposito, mi sarebbe facile confermare con le loro testimonianze la maggior parte di quello che noi oggi sosteniamo. Ma leggiamo i loro scritti con spirito critico tenendo sempre presente quanto dice san Paolo: tutte le cose sono nostre perché ce ne serviamo e non perché ci dominino; e che apparteniamo tutti a un solo Cristo al quale bisogna obbedire interamente e senza riserve (1 Co. 3:21-23). Chi non osserva questa norma non può essere sicuro di nulla nel campo della fede, dato che queste sante persone, di cui ora stiamo parlando, hanno ignorato molte cose, sono spesso in contraddizione tra loro e talvolta con sé stessi. Salomone, dicono con ragione, ci ordina di non oltrepassare i limiti fissati dai nostri padri (Pr. 22:28). Ma non è il caso di applicare una stessa regola nella delimitazione dei campi e nell'obbedienza della fede: questa deve essere così prioritaria da farci dimenticare il nostro popolo e la casa di nostro padre (Sl. 45:11). Del resto, amanti come sono delle allegorie, perché non prendono piuttosto gli Apostoli come padri, di cui non e lecito smuovere i termini? Così l'ha inteso san Girolamo di cui citano le parole nei loro Canoni.
E anzi, se vogliono che i limiti dei Padri, di cui parlano, siano osservati, perché, quando fa loro comodo, li oltrepassano con tanta spregiudicatezza? Fu tino dei Padri ad affermare che Dio non beve e non mangia e per questo motivo non sa che farsene di piatti e di calici, e fu un altro ad affermare che i sacramenti dei cristiani non hanno bisogno di oro, né di argento e non meritano il beneplacito di Dio in virtù dell'oro . Questi limiti li varcano pure quando, nelle loro cerimonie prendono piacere in tanto oro, argento, marmo, avorio, pietre preziose e sete, e pensano che Dio non sia rettamente onorato se non con la ricchezza e la superfluità di queste cose. Fu un Padre a dire di mangiare liberamente carne in Quaresima, mentre gli altri se ne astenevano, perché egli era cristiano. Essi infrangono dunque questi limiti quando scomunicano la persona che mangia carne in Quaresima. Furono dei Padri ad affermare che un monaco, che non lavori con le sue mani, deve essere considerato un brigante Un altro diceva che non è lecito ai monaci di vivere dei beni altrui anche quando fossero assidui nella contemplazione, nella preghiera e nello studio. Anche questo limite hanno valicato mettendo ventri oziosi di monaci in bordelli, vale a dire nei loro chiostri, per essere saziati delle robe altrui. Fu un Padre ad affermare che e orribile abominazione vedere una immagine di Cristo o di qualche santo nei templi cristiani? E non fu detto da un uomo privato, ma stabilito in un antico Concilio, che quanto si adora non sia dipinto, né raffigurato? Ben lontani dall'osservare questi limiti non lasciano un angoletto dei loro templi spoglio di immagini. Un altro Padre ha consigliato di lasciare riposare i morti dopo aver esercitato, con la sepoltura, il compito di umanità nei loro confronti. Oltrepassano i limiti quando richiedono che sì abbia perpetua sollecitudine dei trapassati. Fu ben un Padre ad affermare che la sostanza e la natura del pane e del vino permangono nel sacramento della Cena, come la natura umana permane nel nostro Signore Gesù Cristo congiungendosi con la sua essenza divina. Essi però non osservano questa regola quando danno a credere che, non appena le parole sacramentali sono recitate, la sostanza del pane e del vino è annullata. É del numero dei Padri quello che ha negato che nel sacramento della Cena il pane contenga il corpo di Cristo, affermando che si tratta di un mistero del suo corpo; e gli si esprime in questi stessi termini. Essi oltrepassano dunque la misura quando affermano che il corpo di Cristo vi è contenuto e inducono ad adorarlo in modo carnale, come se fosse quivi. localizzato. Furono Padri, sia quello che ordinò di respingere dalla Cena coloro che prendevano una delle specie astenendosi dalla seconda, sia quello che affermò non doversi rifiutare al popolo cristiano il sangue del suo Signore, per la confessione del quale deve spandere il proprio sangue. Hanno rimosso questi limiti ordinando esattamente quello che il primo puniva con la scomunica e il secondo riprovava fortemente. Ugualmente fu della schiera dei Padri quello che affermò essere temerità il determinare in un modo o nell'altro qualche cosa di oscuro, senza testimonianze chiare ed evidenti della Scrittura. Essi hanno dimenticato questo limite formulando tante costituzioni, canoni e deliberazioni magisteriali senza alcuna parola di Dio. Fu uno dei Padri a rimproverare a Montano, assieme ad altre eresie, di aver per primo imposto la regola del digiuno. Hanno oltrepassato questi limiti quando con severa legge hanno ordinato i digiuni. Fu un Padre a sostenere che il matrimonio non doveva essere proibito ai ministri della Chiesa ed a dichiarare casta la compagnia legittima della donna, e furono anche Padri altri che approvarono la sua autorità. Sono usciti da questi limiti quando hanno ordinato ai loro preti di astenersi dal matrimonio.
Chi ha scritto che si deve ascoltare il solo Cristo, riguardo al quale il Padre celeste ha detto: ascoltatelo, non avendo riguardo a quanto faranno e diranno gli altri ma soltanto a quello che Cristo, il primo di tutti avrà comandato: questi, dico, fu uno dei Padri più antichi Non si sono tenuti a questi limiti e non hanno permesso agli altri di tenervisi, quando hanno stabilito su di sé, come sugli altri, nuovi maestri all'infuori di Cristo. Fu uno dei Padri a sostenere che la Chiesa non deve essere preferita a Cristo, poiché egli giudica sempre rettamente, mentre i giudici ecclesiastici, essendo uomini, possono spesso errare . Essi rompono questo limite argomentando che l'autorità della Scrittura dipende dal buon volere della Chiesa. Tutti i Padri, con uguale coraggio, hanno criticato e hanno umanamente rifiutato il fatto che la santa Parola di Dio fosse contaminata di sottigliezze sofistiche e oscurata da dispute e discussioni filosofiche. Rimangono essi in questi limiti quando, in tutta la loro vita, non fanno altro che seppellire e oscurare la semplicità della Scrittura con infinite dispute e questioni più che sofistiche? Al punto che, se i Padri risuscitassero ora e vedessero quell'arte di combattere che essi chiamano "teologia speculativa", non penserebbero certo che tali dispute sono da Dio. Ma il mio discorso non finirebbe mai se elencassi quanto arditamente respingono il giogo dei Padri, dei quali pretendono essere considerati figli obbedienti: questa esposizione richiederebbe mesi e anni. E tuttavia essi sono cosi impudenti da osar rimproverare noi di superare i limiti antichi.
I limiti della prassi ecclesiastica?
Il fatto che si richiamino alla prassi ecclesiastica non significa nulla. Sarebbe infatti una grande iniquità fossimo costretti a cedere alla prassi. Certo, se i giudizi degli uomini fossero retti, si dovrebbe accogliere la prassi dai buoni; ma spesso è avvenuto altrimenti. Quello che è stato visto fare da molti è diventato consuetudine. Ora la vita degli uomini non è mai stata così ben regolata che le cose migliori siano piaciute alla maggioranza. E così dai vizi singoli dei molti è nato un errore generale o piuttosto un comune consenso nel vizio, che quei probi viri vogliono ora sia considerato normativo. Ciò non è cieco del tutto, si accorge che oceani interi di mali hanno inondato la terra e che tutti sono corrotti da numerose pesti mortali; in breve, che tutto cade in rovina di sorta che bisogna disperare del tutto delle cose umane, oppure mettere ordine in questi mali e, se è il caso, con rimedi energici. E tuttavia si respinge il rimedio solo perché siamo già abituati alle calamità da tanto tempo. Ma anche se l'errore generale avesse posto nella società umana, nel Regno di Dio, solo la sua eterna verità deve essere ascoltata e osservata, contro cui non valgono, prescrizioni, lunghi anni, antiche abitudini o congiure In questo stesso modo Isaia insegnava agli eletti di Dio a non chiamare congiura ciò che tutto il popolo chiamava congiura (Is. 8:12), vale a dire a non cospirare assieme al popolo, non temere del suo timore, né stupirsi, ma piuttosto santificare il Signore degli eserciti ed aver timore di lui solo. Così ora i nostri avversari possono obiettarci tutti gli esempi che vogliono nel passato e nel presente: se noi santifichiamo il Signore degli eserciti non ci spaventeranno. Anche se molte generazioni hanno accettato la medesima empietà, il Signore è potente da compiere vendetta fino alla terza e alla quarta generazione; anche se tutto il mondo cospira nella medesima malvagità, egli ci ha insegnato per esperienza che essa causa la fine di chi pecca assieme alla moltitudine, allorché ha distrutto tutti con il diluvi e mettendo a parte con la sua piccola famiglia; onde per la fede di lui tutto il mondo fosse condannato (Ge. 7:1, Eb. 11:7). Insomma una cattiva abitudine è come una pestilenza generale in cui morire insieme agli altri non è meno morire che da solo. Per di più bisogna considerare quanto dice san Cipriano in un passo, vale a dire che quanti errano per ignoranza, sebbene non siano del tutto senza colpa, tuttavia possono sembrare in certo modo scusabili; ma quanti con ostinazione respingono la verità quando essa è offerta loro dalla grazia di Dio, non possono pretendere alcuna scusante.
La Chiesa è stata morta per molti anni?
Neppure quell'altra loro argomentazione ci mette con le spalle al muro; essi vorrebbero costringerci a riconoscere che la Chiesa è stata come morta per molti anni o che noi stiamo combattendo contro la Chiesa. Certo la Chiesa di Cristo ha vissuto e vivrà fin quando Cristo regnerà alla destra del Padre, dalla cui mano è sostenuta, dalla cui difesa è tutelata, dalla cui potenza e fortificata. Senza dubbio egli adempierà la sua promessa di sostenere i suoi fino alla fine dei secoli (Mt. 28:20). Contro questa Chiesa noi certo non combattiamo poiché, di pari consentimento con tutto il popolo dei credenti, adoriamo e onoriamo un solo Dio e un solo Cristo Signore, come è stato sempre adorato dai suoi servitori. Ma essi sono ben lungi dalla verità, non volendo riconoscere la Chiesa, qualora essa non si veda ora con gli occhi, e la vogliono rinchiudere entro certi limiti, nei quali essa non è affatto rinchiusa.
La Chiesa è sempre "visibile"?
Su questi punti che verte la nostra controversia. In primo luogo essi postulano sempre una forma di Chiesa visibile ed evidente. In secondo luogo, essi identificano questa forma con il seggio della Chiesa romana e l'ordine dei loro prelati. Noi affermiamo, al contrario, che la Chiesa può esistere senza forma visibile e, anzi, che la sua forma non deve essere valutata in base a quella magnificenza esteriore che essi stoltamente ammirano; ma essa ha ben altro segno distintivo, e cioè la pura predicazione della Parola di Dio e l'amministrazione dei sacramenti rettamente istituita. Essi non sono soddisfatti se la Chiesa non può essere sempre mostrata con il dito; ma quante volte è accaduto che essa sia stata talmente deformata nel popolo ebraico da non poter essere riconosciuta? Quale apparenza rimaneva nella Chiesa, quando Elia si lamentava di essere rimasto solo? (1 Cr. 19:10). Quante volte dopo la venuta di Cristo, essa è rimasta nascosta, senza apparenza Quante volte è stata oppressa da guerre, sedizioni, eresie, al punto di non apparire in alcun luogo? Se dunque costoro avessero vissuto allora, avrebbero creduto all'esistenza della Chiesa? Ma ad Elia fu detto che vi erano ancora settemila uomini di riserva che non avevano ancora piegato il ginocchio davanti a Baal. E non deve sussistere dubbio, per noi, che Gesù Cristo abbia regnato di continuo sulla terra dopo essere salito in cielo. Ma, se in mezzo a tali desolazioni, i credenti avessero voluto avere qualche evidenza, non avrebbero perduto del tutto il coraggio? E infatti già sant'Ilario considerava un grave difetto nel suo tempo il fatto che, accecati dalla folle venerazione per la dignità dei loro vescovi, i cristiani non considerassero quale peste fosse talvolta nascosta dietro tali apparenze. Egli si esprime in questo modo: "Io vi ammonisco: guardatevi dall'Anticristo ". Vi soffermate troppo alle mura, cercando la Chiesa di Dio, nella bellezza degli edifici e credendo che vi sia contenuta la comunità dei credenti. Dubitiamo forse che l'Anticristo debba avervi il suo seggio? Le montagne, i boschi, i laghi, le prigioni, i deserti e le caverne sono più sicuri, per conto mio, e più fidati. Nascosti in essi i Profeti hanno profetizzato".
Con che criterio la gente onora oggi questi vescovi diabolici, se non reputando più eccelsi quelli che presiedono grandi centri? Abbandoniamo dunque questi assurdi criteri di valutazione. Al contrario, permettiamo al Signore, dato che egli solo conosce quelli che sono suoi (2 Ti 2:19), di sottrarre talvolta, dalla vista degli uomini, l'apparenza esteriore della Chiesa. Riconosco certo, che in questo si attua un orribile castigo di Dio sulla terra. Ma se l'empietà degli uomini lo merita, saremo noi a fare obiezioni alla giustizia divina? Cosi il Signore ha nel passato punito l'ingratitudine degli uomini, non avendo voluto obbedire alla sua verità; e avendo spento la sua luce, ha permesso che i loro sensi fossero accecati, fossero ingannati da grossolane menzogne e seppelliti in profonde tenebre di modo che non risultasse più evidente alcuna forma esterna della vera Chiesa. E tuttavia ha conservato i suoi in mezzo a questi errori e tenebre, sebbene fossero dispersi e nascosti. E non c'è da meravigliarsene poiché egli ha imparato a conservarli in mezzo alla confusione di Babilonia e nelle fiamme della fornace accesa. Quanto al fatto che essi pensano che l'aspetto esteriore della Chiesa si debba valutare in base a non so quale vana pompa, per non fare un lungo discorso, mi limiterò a osservare quanto questo sarebbe pericoloso.
Il papa di Roma rappresenterebbe la Chiesa?
Il Papa di Roma, essi dicono, che occupa la sede apostolica e gli altri vescovi rappresentano la Chiesa e devono essere considerati come Chiesa: perciò non possono errare. Per qual motivo? Perché sono pastori della Chiesa e consacrati a Dio. Aaronne e gli altri conduttori del popolo d'Israele erano anch'essi pastori. Aaronne e i suoi figli erano già stati eletti sacerdoti di Dio e tuttavia sbagliarono costruendosi il vitello (Es. 32:4). In base a questo ragionamento la Chiesa avrebbe dovuto. essere rappresentata dai quattrocento profeti che mentivano (3 Re 22:12). Ma invece la Chiesa era dalla parte di Michea, anche se solo e debole, ma dalla cui bocca usciva la verità. I profeti che si opponevano a Geremia, vantandosi che la Legge non poteva mancare ai sacerdoti, né l'intelligenza ai savi, né la parola ai profeti, non rappresentavano forse la Chiesa? (Gr. 28:18). Contro. questa moltitudine è mandato Geremia per dichiarare da parte di Dio che la Legge perirà in mezzo ai sacerdoti, l'intelligenza sarà tolta ai savi e la dottrina ai profeti (Gr. 4:9). La stessa validità esteriore non si riscontra forse nel Concilio in cui sacerdoti, dottori, scribi e Farisei decisero la morte di Gesù Cristo (Gv. 12:10).
Si vantino ora i nostri avversari, fermandosi a questi aspetti esteriori e col risultato di considerare scismatici Cristo e tutti i profeti dell'Iddio vivente, e al contrario, strumenti dello Spirito Santo i ministri di Satana. E inoltre, se vogliamo parlare a ragion veduta, mi rispondano in buona fede, in quale paese o in quale popolo essi pensano sia la Chiesa, dopo che per decisione del concilio di Basilea, Eugenio, papa di Roma, è stato deposto e sostituito da Amedeo, duca di Savoia? A costo di crepare di rabbia non potranno negare che il Concilio, per quanto riguarda le forme esteriori, non sia stato valido e legittimo, indetto non solo da una papa ma da due. Eugenio vi fu condannato come scismatico, ribelle e contumace con tutto il gruppo dei cardinali e vescovi che avevano con lui tramato per sciogliere il Concilio. Tuttavia, sostenuto dal favore dei principi, egli rimase poi in possesso della sua autorità papale; e l'elezione di Amedeo, solennemente sanzionata dall'autorità del sacro Concilio generale, se ne andò in fumo e il suddetto Amedeo fu messo a tacere con un cappello cardinalizio, come si getta un pezzo di pane ad un cane che abbaia. Da questi eretici ribelli e contumaci, sono originati tutti i papi, cardinali, vescovi, abati e preti venuti in seguito. Qui dobbiamo prenderli al varco. A quale delle due parti si attribuirà il nome di Chiesa? Negheranno che il Concilio sia stato generale e che gli sia mancato nulla quanto a maestà esteriore, dato che era stato convocato solennemente con doppia bolla, consacrato dal Legato della Santa Sede apostolica che lo presiedeva, prestabilito in tutte le cerimonie e continuato sino alla fine con uguale dignità? Dichiareranno scismatico Eugenio e tutta la sua banda, da cui essi sono stati consacrati?
Bisogna dare una diversa definizione della Chiesa, oppure dovremo considerarli scismatici in base alla loro stessa dottrina, in quanto scientemente e volontariamente sono stati ordinati da eretici. E se mai prima d'ora era stato esperimentato che la Chiesa non è vincolata alla forma esteriore, essi ce ne offrono una indiscutibile prova imponendosi orgogliosamente al mondo in qualità di Chiesa, sebbene siano peste mortale per la Chiesa. Non parlo dei loro costumi e della infamia di cui è piena la loro vita; si considerano infatti Farisei che bisogna ascoltare ma non imitare. Ma se vorrete consacrare un po' del vostro tempo libero, o Sire, per leggere i nostri insegnamenti, riconoscerete chiaramente che la dottrina in base alla quale pretendono essere riconosciuti quale Chiesa, costituisce una crudele tortura e un massacro delle anime, un incendio, una rovina, una distruzione della Chiesa.
Avremmo prodotto solo disordini?
Infine è cosa perversa da parte loro rimproverarci per tutti i disordini, oli sconvolgimenti e le polemiche che la predicazione della nostra dottrina ha causato e per i frutti che essa produce in molti, È ingiusto rigettare su di essi la responsabilità di quei mali che dovrebbe piuttosto essere imputata alla malvagità di Satana. È la, caratteristica della Parola di Dio di non poter mai essere predicata senza che Satana si svegli e combatta. Ed è questo un segno infallibile per poterla discernere dalle dottrine menzognere che si rivelano dal fatto che sono facilmente ricevute da tutti e riescono bene accette a tutti. Così, fino a qualche anno fa quando tutto era avvolto di tenebre, il sovrano del mondo si beffava degli uomini a piacimento e, come un Sardanapalo se la godeva in tutta tranquillità. Cosa avrebbe dovuto fare infatti, se non divertirsi e godere, avendo il possesso assicurato del suo regno? Ma quando la luce che splende dall'alto ha in parte cacciato le sue tenebre, dopo che colui che è forte ha attaccato e turbato il suo regno subito si è svegliato dal suo torpore ed ha preso le armi. Dapprima ha incitato la violenza degli uomini per sopprimere la verità che cominciava a farsi strada e quando si è accorto che non riusciva con la forza, è passato all'inganno. Così con i suoi Catabattisti e gente di quella sorta, ha suscitato numerose dispute e contrasti di opinioni per oscurare questa verità e infine spegnerla. E ancora, al giorno d'oggi, insiste per demolirla con questi due mezzi: si sforza, con la violenza per mano degli uomini, di strappare questa semente genuina e per quanto sta in lui, cerca di soppiantarla con la sua zizzania, onde impedirle di crescere e di. produrre frutto. Ma tutti i suoi sforzi risultano vani se presteremo ascolto agli avvertimenti del Signore, che da lungo tempo ce ne ha rivelato `e astuzie, onde non fossimo sorpresi e ci ha muniti di buone armi contro le sue macchinazioni.
Del resto non è forse perverso voler rendere la Parola di Dio responsabile dell'odio e delle sedizioni provocate da pazzi e irresponsabili quando la incontrano o delle divisioni suscitate dagli ingannatori? Eppure non è cosa di oggi. Già a Elia si rimproverava di turbare Israele. I Giudei consideravano Cristo un sedizioso Gli Apostoli erano accusati di aver incitato il popolo a tumultuare Non fanno lo stesso oggi coloro che ci imputano i disordini, i tumulti e le dispute che sorgono contro a noi? Ella ci ha insegnato quale risposta dare loro: Non siamo noi a seminare gli errori o causare i disordini, ma essi stessi, che resistono alla forza di Dio (3 Re 18:18). Mentre questa sola risposta è sufficiente a spegnere la loro arroganza bisogna, d'altra parte, preoccuparci della incertezza di altri, che spesso sono turbati da questi scandali e nel loro turbamento possono vacillare. Per non cadere nello sconforto e perdere il coraggio, essi devono dunque pensare che le stesse cose che ora avvengono, sono avvenute, a suo tempo, agli apostoli. Vi erano allora degli ignoranti e incostanti, come racconta san Pietro, che corrompevano a propria perdizione quanto era stato divinamente scritto da san Paolo (2 Pi. 3:16). C’erano degli spregiatori di Dio i quali, udendo insegnare che il peccato era abbondato affinché la grazia sovrabbondasse, subito obiettavano: Rimarremo dunque nel peccato onde la grazia abbondi; udendo che i credenti non erano più sotto la Legge, rispondevano: "Peccheremo poiché non siamo più sotto la Legge ma sotto la grazia (Ro. 6: I5). C’era chi chiamava l'apostolo: istigatore del male; falsi profeti si intromettevano per distruggere le Chiese che aveva edificato; alcuni predicavano l'Evangelo per contenzione, non come con sincerità, persino malignamente, pensando di rattristarlo ancora di più nella sua prigione (Fl. 1:15). In alcuni casi l'Evangelo non progrediva; ciascuno cercava il proprio profitto anziché servire Gesù Cristo; gli altri si rivoltavano, ritornando come cani alloro vomita o porci al loro fango. Molti trasformavano la libertà dello Spirito in licenza carnale. Molti falsi fratelli si insinuavano e da essi sorgevano grandi pericoli per i credenti; e persino tra i fratelli nascevano molte polemiche. Cosa avrebbero dovuto fare gli apostoli? Sarebbe stato utile trarsi da parte per un periodo e abbandonare tutto e rinunciare a quell'Evangelo che vedevano essere causa di tante dispute, materia di tanti pericoli e occasione di tanti scandali? Ma presi in questi interrogativi si ricordavano che Cristo è pietra di scandalo, causa di rovina e di risurrezione per molti e per segno a cui si contraddirà (Lu. 2:34). Muniti di questa fiducia essi procedevano coraggiosamente e camminavano attraverso tutti i pericoli di tumulti e di scandali.
Questo stesso pensiero ci deve confortare: san Paolo dichiara che caratteristica perpetua dell'Evangelo, è il fatto che esso sia odore di morte per quelli che periscono (2 Co. 2:16); sebbene esso sia stato stabilito per essere odore di vita per la vita di tutti coloro che sono salvati e potenza di Dio per la salvezza di tutti i credenti. E questo potremmo sperimentare anche noi, se con la nostra ingratitudine non ostacolassimo, né stornassimo un sì grande beneficio di Dio e non trasformassimo a nostra rovina quanto doveva essere strumento della nostra salvezza.
Ritorno a voi, Sire: non vi dovete lasciare impressionare da queste false notizie con cui i nostri avversari si sforzano di gettarvi nel timore e nel terrore; questo nuovo Evangelo, come lo chiamano, non tenderebbe ad altro che a causare sedizioni e a licenza di far male, Dio però, non è un Dio di divisione ma di pace; e il figlio di Dio non è ministro di peccato, dato che è venuto per spezzare e distruggere le opere del Diavolo. Quanto a noi, ci sì accusa ingiustamente di misfatti per i quali non abbiamo mai dato il minimo appiglio. È forse pensabile che macchiniamo la caduta di regni, noi, da cui non si è mai udita una parola sediziosa, e la cui vita, quando vivevamo sotto di voi, Sire, è sempre risultata semplice e pacifica? E anzi, ora che siamo cacciati dalle nostre case, non cessiamo dal pregare Dio per ]a vostra prosperità e per quella del vostro regno. Non è pensabile che rivendichiamo la licenza sfrenata di fare il male, quando nulla nella nostra vita è degno di sì grave rimprovero (anche se i nostri costumi siano riprensibili sotto molti aspetti). E anzi, grazie a Dio, non abbiamo mancato di trarre profitto dall'Evangelo sì che la nostra vita sia esempio di castità, liberalità, misericordia, temperanza, pazienza, modestia e di altre virtù per i nostri calunniatori. I fatti indubbiamente rendono testimonianza dell'evidente fatto che temiamo e onoriamo Dio in modo puro, dato che, con la nostra vita e con la nostra morte, desideriamo che il suo nome sia santificato. E la stessa bocca degli invidiosi è stata costretta ad ammettere l'innocenza e la giustizia, esterna e umana, di alcuni dei nostri che erano messi a morte per un motivo che avrebbe dovuto invece procurare loro una lode eccezionale. Ora se alcuni, prendendo a pretesto l'Evangelo, provocano tumulti, finora però questo non si è verificato nel vostro regno. o vogliono giustificare la licenza carnale con il pretesto della libertà dataci dalla grazia di Dio, e ne conosco non pochi ci sono le leggi e le punizioni stabilite dalla legge, per correggerli severamente a seconda della gravità dei loro delitti l'Evangelo di Dio non sia però bestemmiato a causa delle male azioni dei malvagi.
La forza della verità
O Sire, la malvagità velenosa dei nostri calunniatori è stata sufficientemente smascherata perché non prestiate eccessiva fede ai loro rapporti; sorge anzi il dubbio di essere stato troppo prolisso dato che questa prefazione ha quasi l'ampiezza di un'arringa sebbene io non abbia inteso comporre un'arringa, ma semplicemente commuovere il vostro cuore onde prestiate udienza alla nostra causa. Spero che il vostro cuore, sebbene sia attualmente lontano e alieno a noi, anzi infiammato, possa tuttavia essere riconquistato a nostro favore se, lasciando l'indignazione ed il cruccio, vorrete leggere questa confessione che consideriamo nostra difesa presso la vostra Maestà. Ma se, al contrario, le calunnie dei mal disposti chiudono le vostre orecchie sì che gli accusati non abbiano possibilità di difendersi; se quelle furie impetuose, non trattenute da voi, continuano a infierire con prigioni, fruste, torture, lacerazioni, fuoco, noi certo saremo ridotti all'estremo, come pecore condotte al macello; e tuttavia, nella nostra perseveranza, salveremo le nostre anime e aspetteremo la mano possente del Signore che si rivelerà al momento giusto, armata per liberare i meschini dalle loro afflizioni e punire gli spregiatori che ora godono sfrontatamente. Il Signore, il Re dei Re, stabilisca il vostro trono nella giustizia e il vostro seggio nell'equità
Basilea, 1 agosto 1535