Confessioni di fede/Augustana/24

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Indice generale

Confessione augustana (1530)

Prefazione - Confessioni_di_fede/Augustana/01/I Dio - Il. Il peccato originale - III. Il Figlio di Dio - IV. La giustificazione- V. Il ministero della chiesa - VI. La nuova obbedienza - VII. La chiesa - VIII. Che cos’è la chiesa? - IX. Il battesimo - X. La cena del Signore - XI. La confessione - XII. La penitenza o conversione - XIII. Funzione dei sacramenti - XIV. L’ordine ecclesiastico - XV. I riti della chiesa - XVI. La vita nella società civile XVII. Il ritorno di Cristo per il giudizio - XVIII. Il libero arbitrio - XIX. La causa del peccato - XX. Fede e buone opere - XXI. Il culto dei santi - XXII. La cena del Signore con ambedue le specie - XXIII. Il matrimonio dei preti - XXIV. La messa - XXV. La confessione - XXVI. La distinzione degli alimenti - XXVII. I voti monastici - XXVIII. Il potere ecclesiastico - Conclusione

XXIV. La messa

Le nostre chiese sono a torto accusate di aver abolito la messa. Presso di noi, infatti, si conserva la messa e la si celebra con la massima reverenza. Si conservano anche quasi tutte le cerimonie tradizionali, con questa eccezione, che ai canti latini si alternano in qualche momento dei canti tedeschi che sono stati aggiunti per istruire il popolo. Le cerimonie sono infatti necessarie per questo scopo precipuo: ammaestrare chi non è preparato. Anche Paolo ordina di usare nella chiesa la lingua compresa dal popolo [14:9].

Il popolo viene abituato a prendere insieme [nell9 stesso momento il sacramento [santa cena], quando vi sia chi è idoneo a farlo; anche questo aumenta il rispetto e la devozione verso le cerimonie pubbliche. Infatti nessuno vi viene ammesso se prima non è stato esaminato e ascoltato. Le persone sono anche istruite sul valore e sull’utilità del sacramento, cioè su quale consolazione esso procuri alle coscienze intimorite, affinché imparino a porre la loro fiducia in Dio, a chiedere tutte le cose buone a Dio e ad attenderle da lui.

Questo culto rallegra Dio, questo uso del sacramento ali menta l’amore per Dio. Non ci sembra, pertanto, che presso i nostri avversari le messe siano celebrate con spirito più religioso che da noi. È pure ben noto che per lungo tempo è stata elevata questa pubblica protesta e largamente diffusa da parte di tutti i buoni fedeli, e cioè che le messe sono state turpemente profanate perché cumulate a fine di lucro. Nessuno ignora, infatti, quanto sia largamente diffuso questo abuso in tutti i templi, da quali ministri si dicano le messe solo in vista della ricompensa o delle prebende, quanti le celebrino violando i divieti dei canoni. Paolo invero minaccia severamente coloro che amministrano indegnamente l’eucaristia, quando dice: «Chiunque mangerà questo pane o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore» [11:27]. Perciò, da quando presso di noi i sacerdoti sono stati messi in guardia contro questo peccato, sono cessate presso di noi le messe private, dal momento che non v’era quasi alcuna messa privata che non si celebrasse per guadagno.

Neppure i vescovi ignoravano questi abusi; se li avessero corretti in tempo, ci sarebbero ora meno dissidi. In passato, fingendo di non vederli, hanno permesso che molti difetti serpeggiassero nella chiesa; attualmente, ma ormai troppo tardi, cominciano a lamentarsi dei mali che affliggono la chiesa, dato che questa sollevazione è nata unicamente a motivo di questi abusi che erano così evidenti da non potersi sopportare più a lungo.

Grandi contrasti nacquero poi sulla messa, sul sacramento [cena], forse perché il genere umano scontasse la pena di una così lunga profanazione della messa che costoro, per tanti secoli, avevano tollerato nella chiesa, mentre avrebbero potuto e dovuto correggerla. Infatti nel decalogo è scritto: «Chi abusa del nome di Dio non resterà impunito» [20:7]. Eppure, dall’inizio del mondo, nessuna cosa riguardante Dio è mai ap parsa così strettamente collegata al guadagno di denaro come la messa.

Si aggiunse pure una dottrina che fece proliferare all’infinito le messe private, cioè che Cristo, con la sua passione, avrebbe dato soddisfazione solo per il peccato originale e avrebbe quindi istituito la messa nella quale si facesse l’offerta di espiazione per i peccati di ogni giorno, mortali e veniali. Da qui ebbe origine la credenza generale che la messa sia un’opera che cancella i peccati dei vivi e dei morti in virtù della sua stessa opera (ex opere operato)<ref>L’«ex opere operato», espressione tecnica in uso dal XIII sec, nella teologia cattolica, indica l’azione oggettiva del sacramento indipendentemente dalla condizione morale della persona del ministro e dalla partecipazione interiore di chi lo riceve.</ref>. A questo punto si cominciò a disputare se una sola messa detta per un gran numero di persone avesse lo stesso valore di una messa celebrata per un singolo individuo. E tale disputa generò questa infinita moltitudine di messe.

Da queste opinioni i nostri ci misero in guardia perché sono contrarie alle sacre Scritture e sono lesive della gloria della passione di Cristo. Infatti la passione di Cristo fu un’offerta e una soddisfazione non solo per il peccato originale, ma anche per tutti gli altri peccati, come è scritto nella Lettera agli Ebrei: «Siamo stati santificati mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre». E ancora: «Con un’unica offerta Egli ha per sempre resi perfetti quelli che sono santificati» [ 9:26.28 e 10:10-14]. In modo analogo la Scrittura insegna che noi siamo giustificati al cospetto di Dio mediante la fede in Cristo [ 3,28], se crediamo che i peccati ci siano rimessi per l’opera di Cristo. Ora, se la messa cancella i peccati dei vivi e dei morti per la sola propria opera, la giustificazione proviene dall’opera della messa e non dalla fede, il che la Scrittura non ammette.

Ma Cristo ordina di farla in sua memoria [22:19]. Questo è il motivo per cui la messa fu istituita: perché la fede richiami alla mente, in coloro che fruiscono del sacramento, quali benefici ricevano per mezzo di Cristo, e incoraggi e con soli le coscienze intimorite. Infatti, in questo consiste il memoriale di Cristo: ricordare i suoi benefici e toccare con mano che ci sono realmente offerti. E non è sufficiente ricordarsi del fatto storico, poiché anche i giudei e gli empi possono ricordarselo. Bisogna dunque celebrare la messa a questo fine, che in essa il sacramento sia offerto a coloro che hanno bisogno di consolazione, come dice Ambrogio: «Poiché sempre pecco, sempre ho bisogno di ricevere la medicina"<ref>Libera citazione da Pseudo-AMBR0GI0. De sacramentis V, 4. 25: cf. PL</ref>.

Essendo dunque la messa una tale partecipazione comune al sacramento, si conserva presso di noi una sola messa comune a tutti che si celebra nei singoli giorni festivi e anche negli altri giorni, se qualcuno vuole fruire del sacramento: in essa si offre il sacramento a coloro che lo desiderano. E questa usanza non è nuova nella chiesa. Infatti gli antichi, prima di papa Gregorio<ref>Gregorio Magno, papa dal 590 al 603.</ref>, non fanno alcuna menzione della messa privata, ma parlano moltissimo della messa comune. Crisostomo dice: «Ogni giorno il sacerdote sta davanti all’altare e invita alcuni alla comunione, altri invece li allontana"<ref>Libera citazione di due omelie di Giovanni Crisostomo. padre della chiesa del IV sec.: Hom. 3 in ep. ad Ephesios, e. I (PG 62, 29) e Hom. 17 in ep. ad Hebr. e. 10 (PG 63, 132).</ref>. E dagli antichi canoni risulta che uno solo celebrava la messa, dal quale gli altri preti e diaconi ricevevano il corpo del Signore. Così infatti suonano le parole del canone del concilio di Nicea: «I diaconi ricevano la santa comunione secondo l’ordine, dopo i presbiteri, dal vescovo o da un presbitero"<ref>Canone 18 deI concilio di Nicea.</ref>. Paolo, a proposito della comunione, ordina che gli uni aspettino gli altri, affinché la partecipazione sia comune [11:33].

Dato dunque che la messa presso di noi ha dalla sua l’esempio della chiesa, tratto dalla Scrittura e dai padri, confidiamo che essa non possa essere disapprovata, in special modo perché le cerimonie pubbliche si sono conservate in gran parte simili a quelle tradizionali. Soltanto il numero delle messe è differente, poiché era bene ridurlo a causa dei grandissimi ed evidenti abusi. Infatti, un tempo, neppure nelle chiese più affollate si celebrava ovunque la messa quotidiana, come attesta la Storia tripartita, libro 9: «D’altra parte in Alessandria le Scritture sono lette il mercoledì e il venerdì e i dottori le spiegano e tutto si svolge senza il solenne rito dell’offertorio"<ref>CAssiodoRo, Historia tripartita (sec. VI). 9,38: PL 69, 1155.</ref>.

Note