Confessioni di fede/Augustana/20

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Indice generale

Confessione augustana (1530)

Prefazione - Confessioni_di_fede/Augustana/01/I Dio - Il. Il peccato originale - III. Il Figlio di Dio - IV. La giustificazione- V. Il ministero della chiesa - VI. La nuova obbedienza - VII. La chiesa - VIII. Che cos’è la chiesa? - IX. Il battesimo - X. La cena del Signore - XI. La confessione - XII. La penitenza o conversione - XIII. Funzione dei sacramenti - XIV. L’ordine ecclesiastico - XV. I riti della chiesa - XVI. La vita nella società civile XVII. Il ritorno di Cristo per il giudizio - XVIII. Il libero arbitrio - XIX. La causa del peccato - XX. Fede e buone opere - XXI. Il culto dei santi - XXII. La cena del Signore con ambedue le specie - XXIII. Il matrimonio dei preti - XXIV. La messa - XXV. La confessione - XXVI. La distinzione degli alimenti - XXVII. I voti monastici - XXVIII. Il potere ecclesiastico - Conclusione

XX. Fede e buone opere

I nostri sono accusati falsamente di vietare le buone opere. Infatti i loro scritti più importanti sui dieci comandamenti e al tri di argomento affine dimostrano che essi hanno insegnato efficacemente sui vari aspetti della vita e sui doveri connessi, su che genere di vita e quali opere siano gradite a Dio, nelle diverse vocazioni. Tutte cose queste su cui un tempo i predicatori ci insegnavano ben poco; insistevano soltanto su opere puerili e non necessarie, come certi giorni festivi, alcuni digiuni, confraternite, pellegrinaggi, culto dei santi, rosari, ingresso in monastero e simili. Ma ora, anche i nostri avversari, resi attenti, non insegnano più queste cose e non predicano più queste opere inutili come facevano un tempo. Cominciano anche a far menzione della fede, a proposito della quale vi era prima un silenzio stupefacente. Insegnano che non siamo giustificati soltanto per opere, ma uniscono insieme fede ed opere, affermando che siamo giustificati per fede e per opere; questa dottrina è già più tollerabile della precedente e può recare più conforto del loro antico insegnamento.

Poiché dunque l’insegnamento della salvezza per fede (doctrina de fide) — al quale spetta il primo posto nella chiesa — rimase così a lungo ignorato (dobbiamo tutti ammettere che nella predicazione vi è stato un profondissimo silenzio sulla giustizia che ci è data per fede, mentre nella chiesa si parlava unicamente della dottrina delle opere), i nostri così istruirono le chiese sulla fede:

In primo luogo, che le nostre opere non possono riconciliare Dio con noi, o farci meritare la remissione dei peccati e la grazia, ma che otteniamo questa soltanto per fede, vale a dire se crediamo che è per i meriti di Cristo che noi siamo ricevuti in grazia. Cristo è stato costituito unico mediatore e propiziatore, affinché, per suo tramite, il Padre sia riconciliato con noi. Pertanto, chi confida di potersi meritare la grazia con le sue opere, non solo disprezza il merito e la grazia di Cristo, ma cerca, senza Cristo, con le sue sole forze umane, la via verso Dio, mentre invece Cristo disse di se stesso: «Io sono la via, la verità e la vita» [14:6].

Questo insegnamento sulla fede è trattato ovunque da Paolo, ad esempio in Efesini 2: « Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio» [8 s]. E perché qualcuno non intenda cavillare sostenendo che abbiamo escogitato una nuova interpretazione di Paolo, notiamo che tutta la questione è confermata dalla testimonianza dei padri della chiesa. Infatti Agostino, in molti suoi libri, di fende la grazia e la giustizia che ci è data per fede contro i me riti delle opere. Analogamente insegna Ambrogio nel suo De vocatione gentium e altrove. Così dice, infatti, nel De vocatione gentium: «La rendenzione compiuta dal sangue di Cristo sarebbe svilita e la priorità (praerogativa) delle opere umane di fronte alla misericordia di Dio non sarebbe annullata, se la giustificazione, che avviene per grazia, ci fosse invece dovuta per nostri meriti precedenti, con la conseguenza di non essere più un dono di Colui che la elargisce, ma una retribuzione che spetta a chi opera»<ref>PSEUDO-AMBROGIO, De vocatione gentium I, 17: PL 51, 670. Si tratta in realtà di un’opera del V sec.</ref>

E per quanto questa dottrina sia disprezzata da coloro che non ne hanno fatto esperienza, tuttavia le coscienze pie e timorose di Dio sperimentano che essa è fonte di grande consolazione, perché non si può tranquillizzare le coscienze con alcuna opera, ma solo con la fede, quando sono fermamente convinte che hanno placato Dio grazie ai meriti di Cristo, come ci insegna Paolo in Romani 5:11: «Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio». Infatti tutta questa dottrina è da mettere in relazione con quella lotta interiore della coscienza atterrita e non può essere capita senza un riferimento a quella lotta. Perciò non possono che giudicarla male quegli uomini inesperti e profani i quali s’immaginano che la giustizia cristiana non sia nulla di diverso dalla giustizia civile dei giuristi o dei filosofi. Un tempo le coscienze erano tormentate dalla dottrina delle opere e non udivano la consolazione che proviene dal Vangelo. E così la coscienza esiliò alcuni nel deserto, altri nei monasteri, nella speranza di meritarsi la grazia in quei luoghi, mediante la vita monastica. Altri escogitarono altre opere per guadagnarsi la grazia e per dare soddisfazione dei loro peccati.

Perciò si avvertì un grandissimo bisogno di presentare e richiamare alla memoria questa dottrina sulla fede in Cristo, affinché non mancasse la consolazione alle coscienze timorate di Dio, ma sapessero che, mediante la fede in Cristo, si ottiene la grazia e la remissione dei peccati.

Da noi si istruiscono anche i fedeli che qui il termine «fede» non significa soltanto credere che un certo fatto storico è accaduto — anche gli empi e il diavolo hanno tale fede! ma significa fede che non crede solo nel racconto storico, bensì anche nell’effetto del fatto storico, e cioè in particolare crede questo articolo di fede, la remissione dei peccati, e cioè che, mediante Cristo, abbiamo la grazia, la giustizia e la remissione dei peccati.

Chi sa che ormai solo mediante Cristo ha propizio il Padre, conosce veramente Dio, sa che gli sta a cuore, lo invoca, e quindi non è senza Dio come i gentili. Infatti i diavoli e gli empi non possono credere a questo articolo sulla remissione dei peccati; perciò odiano Dio come proprio nemico, non lo invocano e non attendono nulla di buono da lui. Anche Agostino, a proposito del termine «fede», dà un avvertimento analogo al lettore insegnando che nelle Scritture il termine «fede» non è inteso nel senso di conoscenza dei fatti (notitia) — che anche i malvagi posseggono — ma nel senso di fiducia che con sola e rassicura le menti terribilmente angosciate<ref>Tractatus in Ep. Joh. ad Parth. 10. 2: PL 34, 2055; PSEUDO-AGOSTLNO. De cognitione verae vitae 37: PL 40, 1025.</ref>.

Oltre a ciò i nostri insegnano che è necessario fare buone opere, non perché nutriamo la speranza di meritare con esse la grazia, ma perché sono volute da Dio. Solo per fede si ottiene la remissione dei peccati e la grazia. E poiché per fede si riceve lo Spirito Santo, ecco che i cuori si rinnovano e si rivestono di nuovi desideri, onde poter compiere le opere buone. Così dice infatti Ambrogio: «La fede è genitrice della buona volontà e dell’azione giusta». Infatti le forze umane, senza lo Spirito Santo, sono piene di empi desideri e sono troppo deboli per poter compiere buone opere al cospetto di Dio. Sono inoltre in potere del diavolo che spinge gli uomini a vari peccati, a pensieri empi e ad evidenti misfatti, come si può notare nei filosofi che — pur avendo fatto ogni sforzo, da parte loro, per vivere onestamente — non vi sono riusciti, anzi si sono macchiati di molti evidenti misfatti. Questa è la debolezza dell’uomo quando è senza fede e senza Spirito Santo e si regge soltanto sulle sue forze umane.

Da tutto ciò è evidente che non si deve rimproverare a questa dottrina di vietare le buone opere; al contrario, molto più la si deve apprezzare perché dimostra in che modo si possano compiere le buone opere. Senza la fede, infatti, la natura umana non può in alcun modo compiere le opere prescritte dal primo e dal secondo comandamento<ref>Allusione alle cosiddette due tavole della legge o decalogo.</ref>. Senza la fede [naturale] non invoca Dio, non attende nulla da Dio, non sopporta la sofferenza, ma ricerca sicurezze umane e confida nelle sicurezze umane. Così, quando manca la fede e la fiducia in Dio, prendono possesso del cuore umano tutte le bramosie e le decisioni umane. Per questo anche Cristo disse: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15:5). E la chiesa canta: “Sine tuo nomine / nihil est in homine / nihil est innoxium”<ref>Dalla sequenza liturgica di Pentecoste «Veni sancte Spiritus».</ref>.

Note