Confessioni di fede/Elvetica/27

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Indice generale

Confessione di fede elvetica del 1566

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XXVII. Riti, cerimonie e le cose indifferenti

Le cerimonie sono state donate un tempo all’antico popolo come una certa pedagogia per quanti erano tenuti sotto la legge, come sotto un pedagogo, ed erano governati come sotto un tutore e curatore; ma, alla venuta di Gesù Cristo, nostro li­beratore, essendo stata abolita la legge, noi fedeli non siamo più sotto la legge (Ga. 3 e 4) e le sue cerimonie sono svanite (Ro 6:14); gli apostoli, ben lungi dal volerle conservare o rin­novare nella Chiesa di Cristo, hanno apertamente testimoniato di non volerne in alcun modo gravare la Chiesa (At. 15:28 e 10). Per cui, si potrebbe a ragione dire di noi che ristabiliremmo il giudaismo se, secondo il costume della Chiesa antica, moltiplicassimo nella Chiesa di Cristo le cerimonie e altri simili modi di fare. Noi non approviamo quindi l’opinione di coloro ai quali e sembrato giusto tenere e governare la Chiesa di Gesù Cristo come sotto una pedagogia mediante molteplici e svariate ceri­monie. Se infatti gli apostoli non hanno voluto imporre al po­polo cristiano il giogo delle cerimonie e degli altri modi di fare, che pure Dio aveva ordinato, chi sarà di grazia l’uomo dal retto giudizio che oserà imporgli ancora delle invenzioni degli uo­mini? E, senza dubbio, noi vediamo anche che quanto più si ac­cresce questa grande montagna di cerimonie nella Chiesa tanto più diminuisce la libertà cristiana, e del Cristo stesso e della sua fede, poiché il popolo cerca nelle cerimonie ciò che cercherebbe per fede nell’unico Figlio di Dio, Gesù Cristo. Ai fedeli bastano quindi cerimonie semplici, moderate e in piccolo nu­mero e non lontane dalla parola di Dio.

Diversità di riti

Se si trovano nelle chiese cerimonie dissimili e differenti, nessuno ritenga per questo che le chiese non siano d’accordo. È impossibile infatti, come dice Socrate nella sua storia eccle­siastica, descrivere tutte le cerimonie delle chiese sparse in tutte le città e regioni. Noi stessi, pur avendo nelle nostre chiese, sia nella celebrazione della Cena del Signore che in al­cune altre cose cerimonie e modi di fare diversi, nondimeno non siamo in disaccordo fra di noi né nella dottrina né nella fede, non essendo la società e unità delle nostre chiese affatto distrutta da questo. Le chiese infatti hanno sempre usato li­bertà in questi modi di fare come cose indifferenti, ciò che noi facciamo ancor oggi. E tuttavia avvertiamo ognuno a non porre fra le cose indif­ferenti la messa e l’uso delle immagini al tempio, come alcuni sono abituati a fare. Infatti, come dice s. Girolamo a s. Ago­stino, indifferente è ciò che non è né buono né cattivo, al punto che facendolo o non facendolo non si è né giusti né ingiusti. Per cui, quando le cose indifferenti hanno a che fare con la confessione della fede, esse non sono più lasciate alla nostra li­bertà, come afferma Paolo, il quale dice che possiamo tran­quillamente mangiare la carne, purché nessuno ci avverta che essa è stata consacrata agli idoli, poiché in questo caso non ci è lecito mangiarne, dal momento che colui che ne mangia sem­bra, facendolo, approvare l’idolatria (1 Co. 8:9ss; 10:25ss).