Confessioni di fede/Elvetica/23

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Indice generale

Confessione di fede elvetica del 1566

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XXIII. Le preghiere della Chiesa, il canto e le ore canoniche

Lingua corrente

È consentito ad ognuno di pregare in privato nella lingua che più gli aggrada, purché sia in grado di capirla; ma le pre­ghiere pubbliche, nelle chiese cristiane, devono essere fatte in lingua volgare o conosciuta da tutti. Ogni preghiera deve es­sere rivolta unicamente a Dio con fede e carità e unicamente per l’intercessione di Gesù Cristo. In effetti, la vera religione e il sacerdozio o l’ufficio sacrificale di nostro Signore Gesù Cri­sto ci impedisce di invocare i santi che sono in cielo o di servirci di loro come intercessori. Per il resto, dobbiamo pregare per il magistrato, per i re e per tutti coloro che sono costituiti in au­torità [1 Ti. 2:1-4], per i ministri della Chiesa e per tutte le ne­cessità delle chiese. Ma soprattutto, in tempo di calamità e af­flizioni della Chiesa, dobbiamo pregare incessantemente, sia in pubblico che in privato.

Preghiere libere

Così pure, dobbiamo pregare con li­bera e sincera volontà, non per costrizione o per guadagno. E non dobbiamo attaccare o includere le nostre pre­ghiere in maniera superstiziosa in un determinato luogo, quasi che non ci fosse permesso di pregare se non al tempio. Né è ri­chiesto che le preghiere pubbliche, quanto alla forma e al tempo, siano uguali in tutte le chiese, dal momento che ogni Chiesa può usare in questo della propria libertà, come dice Socrate[1] nella sua storia: In nessun paese o regione si potranno trovare due chiese che concordano perfettamente nel modo di pregare. Ora io penso che gli autori di una tale differenza sono coloro che nei diversi luoghi hanno governato le chiese. Se, ciononostante, esse concordano, la cosa è degna di grande rac­comandazione e deve essere imitata dalle altre.

Metodo da usarsi nelle preghiere pubbliche

Ma occorre che vi sia una qualche regola o misura nelle preghiere pubbliche, come in ogni altra cosa: non siano troppo lunghe né stancanti, affinché la maggior parte del tempo nelle sante riunioni sia impiegato nell’esposizione della dottrina evangelica e perché non avvenga che il popolo, essendo an­noiato nell’assemblea per le preghiere troppo lunghe, chieda di uscire quando si tratta di ascoltare la predicazione del Van­gelo, o desideri, essendo stanco, che i convenuti vengano ri­mandati a casa. A taluni, infatti, ciò che altrimenti e in verità è corto e breve, sembra essere nella predica troppo lungo, per cui è ragionevole che i predicatori sappiano limitarsi.

Il canto

Inoltre, il canto nei templi e nelle sante assemblee deve es­sere moderato secondo i luoghi in cui si usa, ma il cosiddetto canto gregoriano contiene molte cose stupide e assurde, ragion per cui esso viene a ragione rifiutato dalle nostre chiese. Se vi sono chiese che usano preghiere sante e legittime senza alcun canto, esse non devono essere condannate per questo, dato che non tutte le chiese hanno la possibilità di cantare. Ed è del re­sto certissimo, secondo la testimonianza dell’antichità, che l’a­bitudine di cantare, antichissima nelle chiese orientali, è stata recepita piuttosto tardi nelle chiese d’occidente.

Le ore canoniche

Quanto alle ore canoniche, a quelle preghiere cioè che sono state composte per essere recitate in certe ore del giorno e che vengono cantate o recitate nella Chiesa romana, è facile provare con diversi argomenti, addirittura con le lezioni di quelle stesse ore, che l’antichità le ha ignorate e non ha saputo che cosa fossero. Esse contengono senza dubbio diverse cose molto stupide e pesanti per non criticarle ancor di più ai nostri giorni. È quindi a ragione che le nostre chiese le hanno abolite e rimpiazzate con altre cose salutari per la Chiesa universale.

Note

[1] Storico della Chiesa del IV secolo. Hist. Libr. V, 22,40.