Predicazioni/Matteo/Un ripasso è sempre necessario
Un ripasso è sempre necessario
Nel contesto dell’apprendimento di materie scolastiche vi è la necessità del ripasso delle nozioni apprese soprattutto quando è passato del tempo da quando le abbiamo ricevute. Quando tali nozioni non si usano o sono neglette, potremmo dimenticarcene. Come discepoli del Salvatore Gesù Cristo, tutto ciò che Egli ci insegna è importante e vitale. Potremmo scordarci, per esempio, di quanto Egli ci ha insegnato sulla preghiera? Purtroppo sì, soprattutto se ne siamo stati negligenti. Che cosa cosa ci insegna Gesù sulla preghiera in un testo fondamentale come Matteo 6:5-15? È quanto vedremo a cominciare da questa settimana.
Una pratica preziosa
Vi ricordate quando andavate a scuola che vi esortavano a “ripassare” le lezioni? Il ripasso è essenziale nel contesto scolastico perché senza di esso le nozioni apprese tendono a svanire con il tempo. La nostra memoria funziona secondo un principio di "dimenticanza naturale": ciò che non viene richiamato e rielaborato si affievolisce progressivamente. Ripassare significa rafforzare le connessioni neuronali, consolidare la conoscenza e renderla più accessibile nel momento del bisogno. Questo vale anche nelle cose essenziali della vita. Così come una nozione appresa ma mai ripassata viene dimenticata, anche valori, principi e impegni possono sfumare se non vengono regolarmente richiamati alla mente e applicati.
Ci chiediamo: un cristiano potrebbe applicare lo stesso concetto al riguardo della preghiera? Sì. Riconsiderare e rinnovare la pratica della preghiera è qualcosa che il discepolo di Cristo deve poter fare periodicamente. Io, almeno, ne sento il bisogno, soprattutto quando la regolare preghiera personale tende a languire e magari si prende per scontato il proprio rapporto con Dio. Potreste ben immaginare che accadrebbe se non si parlasse più o raramente con il vostro partner. Mia madre pregava regolarmente e così mi insegnava a fare, lo stesso come praticava e insegnava la comunità cristiana a cui appartenevo quand’ero bambino, ragazzo e poi giovane adulto. Ancora oggi ricordo con nostalgia come la comunità cristiana organizzasse appositi ritiri in case di montagna dove si insegnava la pratica della preghiera. Per me è stata un’esperienza positiva e preziosa di formazione spirituale, cosa che rimane poi per tutta la vita.
Sulla preghiera, quindi, è importante ogni tanto “fare un ripasso” tornando a rifletterne le basi come si trovano nelle Sacre Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, in particolare come lo troviamo nell’esplicito insegnamento del Salvatore Gesù Cristo. Gesù insegnava ai suoi discepoli ed esemplificava a rapportarsi personalmente con Dio attraverso la preghiera ed è importante tornare, di tanto in tanto ad ascoltare quel che insegna al riguardo. Certo, la preghiera è una pratica comune a tutte le religioni, ma Gesù lo insegnava a fare in modo distintivo ed unico, differenziandosi esplicitamente da quel che troviamo altrove.
L’insegnamento di Gesù sulla preghiera
Senza ora pretendere di esaurire tutto ciò che la Bibbia ci insegna sulla preghiera, vorrei iniziare una personale breve serie di riflessioni basate su quanto, nell’insegnamento di Gesù, troviamo nel sesto capitolo del vangelo secondo Matteo. Ascoltiamo questo testo dal versetto 5 al 15. È quello stesso in cui Gesù insegna ciò che va sotto il nome di “Padre Nostro”.
“Quando pregate, non siate come gli ipocriti, poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dalla gente. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Nel pregare non usate ripetizioni senza senso come fanno i pagani, i quali pensano d'essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non siate come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: 'Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra com'è fatta nel cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno'. Poiché, se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma, se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6:5-15).
Il capitolo 5 ha dato inizio al racconto di Matteo del Sermone sul Monte. In quel testo, Gesù sottolinea che i nostri pensieri e atteggiamenti personali fanno parte della rettitudine, tanto quanto le azioni. Nel capitolo 6, Egli spiega come le buone opere siano giuste solo quando sono compiute per sincera devozione a Dio e al nostro prossimo, piuttosto che per l'approvazione di altre persone. Fornisce allo stesso modo anche un modello per la preghiera. Dopodiché, Gesù poi spiega come un'eccessiva preoccupazione, come quella per il denaro, interferisca con la fede in Dio. Sapere che Dio ci ama dovrebbe portare i credenti ad avere fiducia in Lui, non stare in ansia. Il capitolo 6 è uno dei pochi capitoli del Nuovo Testamento interamente composto dalle parole stesse del Cristo. Nel capitolo 7 Gesù introduce temi aggiuntivi come il giudizio appropriato, la fiducia in Dio e il trattamento degli altri.
Un fatto normale da non ostentare
“Quando pregate” (5). Gesù considera la preghiera, l’espressione consapevole di noi stessi davanti a Dio, come un fatto normale per il popolo di Dio. Qualcosa da prendere per scontato, che persino sarebbe superfluo parlarne. Ha un aspetto privato - è un rapporto personale con Dio - ed un aspetto comunitario quando è la comunità del popolo di Dio che dà espressione collettiva al proprio rapporto con Dio. La preghiera, però, non può essere ostentazione pubblica di tale rapporto. Gesù denuncia questo come riprovevole: “Quando pregate, non siate come gli ipocriti, poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dalla gente. Io vi dico in verità che questo è il solo premio che ne avranno”.
In un tempo e un luogo come quello in cui viveva Gesù dove la religiosità e la fedele adesione alla legge di Mosè era un valore sociale importante, vi erano coloro che amavano mettersi in mostra e segnalare le loro virtù. Vantavano di essere meglio degli altri, sentendosene superiori, più importanti. Il loro stesso benessere veniva attribuito alla loro fedeltà a Dio, al loro rapporto con Lui. Era come se dicessero: “Guardate come sono bravo e che risultati ho conseguito!”. Spesso, però, erano segretamente incoerenti, e quindi erano degli ipocriti. La preghiera e la fedeltà a Dio, però, deve avere come referente unico Dio soltanto e non le altre persone. È solo Dio che deve apprezzare ed eventualmente “retribuire” la fedeltà a Lui. Chi della propria (apparente) fedeltà a Dio si aspetta solo il plauso della società, quello sarà l’unico “premio” che ne ricaverà. Può ancora capitare oggi in certe comunità cristiane che vi siano persone che fanno mostra di grande religiosità, magari con lunghe preghiere pubbliche. A chi, però, stanno veramente parlando? A Dio oppure agli altri fedeli pretendendo in quel modo di impartire loro lezioni? In questo senso la preghiera e la fedeltà a Dio, pur avendo indubbie ricadute sociali, è un fatto privato, qualcosa fra noi e Dio soltanto.
Un fattore privato
Difatti Gesù aggiunge: “Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (6).
Allo stesso modo in cui Gesù comanda ai Suoi discepoli di fare del bene senza in alcun modo mettersi per questo in mostra - evitando così di cadere in motivazioni contrastanti che lo pregiudicherebbero (Matteo 6:1–4), Gesù dice che la preghiera regolare al Padre dovrebbe essere fatta in segreto, a porte chiuse (Matteo 6:5). Il Padre ti ascolterà e ti ricompenserà comunque, ed è Lui l'unico “pubblico” che conta. Questo comando non dovrebbe certo essere letto come un divieto di qualsiasi tipo di preghiera pubblica in chiesa o altrove. Non bisogna certo vergognarci in pubblico di ringraziare il Signore prima dei pasti o intercedere in preghiera per una persona che ne ha bisogno in sua presenza. È bene, infatti, che il comportamento cristiano brilli spontaneamente come una luce nel mondo (Matteo 5:16). Ciò che Gesù mette in evidenza, qui, è che coloro che pregano in pubblico, compresi i servizi religiosi e altri eventi, siano consapevoli delle loro personali motivazioni. Se non riescono a pregare in pubblico senza sentirsi come se stessero "esibendosi" per altri ascoltatori, è meglio pregare in silenzio o in un ambiente privato.
La preghiera è il nostro dialogo personale, una comunicazione, fra noi e Dio, da cuore a cuore, da Padre a figlio, un rapporto simile a quello che intercorreva fra Gesù e Dio Padre. Gesù, riconciliandoci con Dio Padre, ci ha inserito nel dialogo della sua famiglia come figli adottivi. È e rimane, comunque una questione personale da farsi nella “cappella privata” del nostro santuario - che può anche essere un luogo “a cielo aperto”, ma un luogo “tutto nostro”.
La questione delle “ripetizioni”
Se è, come dev’essere, un autentico dialogo personale fra noi e Dio, esso non potrà certo essere fatto della lettura di “formulari di preghiera”. Potremmo certo avvalerci di tracce per non dimenticarci qualcosa di importante (questo è lo scopo del Padre Nostro o di altre preghiere che compaiono nella Bibbia), ma dovrà necessariamente essere qualcosa di spontaneo: “Nel pregare non usate ripetizioni senza senso come fanno i pagani, i quali pensano d'essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non siate come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate” (7-8).
È comune nelle religioni intendere la preghiera come una ripetizione stereotipata di formule di cui spesso non se ne intende il significato e le implicazioni. Si ripete, cioè, in modo meccanico e con poca o scarsa partecipazione, delle “preghiere” secondo un modello fisso come se quelle parole di per sé stesse compiacessero la divinità ed avessero in sé stesse una sorta di potere magico. Anche il cristianesimo è degenerato nel corso del tempo in simili pratiche decisamente non conformi a quanto Dio ci insegna nella Sua Parola. Il Salvatore Gesù Cristo, quando insegna ai Suoi discepoli il “Padre Nostro” non intendeva creare e fare usare dai Suoi discepoli una di tali formule ripetitive. Anzi, distingue chiaramente la preghiera autentica da tali pratiche che Egli chiama “pagane”, e “ripetizioni senza senso” o il cui significato persino sfugge all’orante. Gesù evidenzia come i pagani “pensano d'essere esauditi per il gran numero delle loro parole”, cioè che attraverso le loro prolisse ripetizioni le loro intenzioni siano accolte.
Non solo questo, Gesù pure insegna che la preghiera non è nemmeno “informare Dio” dei nostri desideri, perché “il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate”.
Pregate così
In che senso, dunque, Gesù dice: “Voi dunque pregate così”? Questa domanda tocca un punto centrale della spiritualità cristiana: il significato autentico della preghiera e il suo scopo. Gesù, nel contesto del "Padre Nostro", offre un modello di preghiera che si distingue dunque nettamente dalle pratiche meccaniche e ripetitive che possono caratterizzare alcune forme di religiosità.
La preghiera come relazione, non come formula magica. Gesù appunto critica le pratiche pagane di preghiera che si basano sulla ripetizione meccanica di parole, come se queste avessero un potere intrinseco per manipolare la divinità. La preghiera cristiana, invece, non è un rito magico o una formula da ripetere per ottenere qualcosa. È piuttosto un atto di relazione con Dio, che è presentato come un Padre amoroso e provvedente. Il "Padre Nostro" non è una formula da recitare senza pensare, ma un modello che insegna come rivolgersi a Dio con fiducia, umiltà e consapevolezza.
La preghiera come espressione di fiducia. Gesù sottolinea che Dio conosce già i nostri bisogni prima ancora che glieli esprimiamo ("il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate"). Questo significa che la preghiera non è un modo per informare Dio di qualcosa che Egli ignora, ma piuttosto un atto di fiducia e di abbandono e che può essere, persino un salutare “sfogo” per esprimere tutto ciò che abbiamo in cuore. Quando andiamo da un amico e “ci sfoghiamo” esprimendo il nostro dolore o la nostra gioia, la nostra frustrazione o la nostra riconoscenza, non è per “informarlo” ma per condividere quello che ci sta a cuore e che l’altro ascolterà compassionevole o vi parteciperà. L’Apostolo scrive: “Rallegratevi con quelli che sono allegri, piangete con quelli che piangono” (Romani 12:15). Preghiamo non perché Dio abbia bisogno delle nostre parole, ma perché noi abbiamo bisogno di riconoscere la nostra dipendenza da Lui e di essere in consapevole comunione con Lui.
Il “Padre nostro”
Ecco così che Gesù insegna il “Padre Nostro”. Dice: “Voi dunque pregate così: 'Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra com'è fatta nel cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno'. Poiché, se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma, se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6:5-15). Approfondiremo le volte prossime il significato di queste espressioni. Oggi ci limitiamo ad evidenziarne il carattere.
Il "Padre Nostro" come modello. Gesù introduce il Padre Nostro con l'esortazione: «Voi dunque pregate così» (Matteo 6:9). La chiave per comprendere questa espressione sta nel senso del termine «così» (οὕτως in greco), che non indica necessariamente una formula da ripetere meccanicamente, ma un modello, un esempio di come pregare. Quando Gesù dice "Voi dunque pregate così", non sta istituendo una formula da ripetere meccanicamente, ma sta offrendo un modello che racchiude i principi fondamentali della preghiera cristiana: (1) Lode e riconoscimento di Dio ("sia santificato il tuo nome"). (2) Sottomissione alla Sua volontà ("venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà"). (3) Dipendenza da Lui per i bisogni quotidiani ("dacci oggi il nostro pane quotidiano"). (4) Riconciliazione e perdono ("rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori"). (5) Protezione dal male ("non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male").
Questi elementi non sono semplicemente parole da ripetere, ma atteggiamenti da imprimere nel nostro cuore e che devono caratterizzare la preghiera del credente. È come mettere dei titoli al contenuto della preghiera che poi spontaneamente espliciteremo.
La preghiera come dialogo e trasformazione interiore
Notiamo infine come la preghiera sia dialogo e trasformazione interiore. Gesù invita a pregare con semplicità e sincerità, senza la necessità di molte parole. Sottolineiamolo ancora. La preghiera autentica è un dialogo con Dio, un momento di intimità in cui il credente si apre alla presenza di Dio, ascolta la Sua voce e si conforma alla Sua volontà. Non è un monologo in cui si cerca di convincere Dio a fare qualcosa, ma un incontro in cui si cerca di allineare il proprio cuore al Suo. Così come una chitarra deve essere accordata per produrre un suono armonioso e gradevole, anche la nostra vita cristiana deve essere allineata alla volontà di Dio per rispecchiare la Sua gloria. Se le corde di una chitarra sono troppo tese o troppo allentate, il suono sarà stonato; allo stesso modo, se non viviamo secondo la Parola di Dio, la nostra vita spirituale sarà disordinata e inefficace. L'accordatura richiede ascolto attento, correzione costante e la giusta tensione: così anche noi, attraverso la preghiera, la meditazione sulla Scrittura e l’obbedienza, dobbiamo lasciarci “accordare” dallo Spirito Santo per vivere in armonia con il volere divino.
La preghiera cristiana, così, non è solo una richiesta di bisogni materiali o spirituali, ma è anche un mezzo per trasformare il cuore di chi prega. Attraverso la preghiera, il credente impara a vedere il mondo e sé stesso con gli occhi di Dio, a perdonare come è stato perdonato, a confidare nella provvidenza divina e a cercare prima di tutto il Regno di Dio.
Conclusione
“Queste cose io le sapevo già” potrebbe a questo punto dire un cristiano già di lunga data. Un ripasso, però, di una “vecchia lezione” non fa certo male. Rispetto a questo insegnamento dobbiamo conformarci e pure “riformarci” se siamo scivolati nella negligenza o in pratiche aliene. Quando Gesù dice "Voi dunque pregate così", sta invitando i suoi discepoli a pregare con un cuore sincero, consapevole della presenza di Dio e della Sua provvidenza. Il "Padre Nostro" non è una formula magica, ma un modello che guida il credente a vivere la preghiera come un atto di relazione, fiducia e trasformazione interiore. La preghiera autentica, quindi, non è tanto nelle parole che si dicono, ma tutto sta nell'atteggiamento del cuore che si apre a Dio con umiltà e amore. Non potrebbe essere altrimenti per il discepolo del Cristo che, per la Sua grazia, è stato riconciliato con Dio e che ha imparato a considerarlo sia Padre che Amico. Nessun altro potrebbe assumere questo ruolo nella nostra vita. La Scrittura dice: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:16).
Paolo Castellina, 31 gennaio 2025