Predicazioni/Romani/Commento di John Gill

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Commento di John Gill su Romani 7:24

"O uomo infelice che sono!"

Non in quanto Paolo si considera in Cristo, perché in tal caso sarebbe un uomo felicissimo, essendo benedetto con ogni benedizione spirituale e sicuro da ogni condanna e ira; né per quanto riguarda il suo uomo interiore, che si rinnovava giorno dopo giorno e nel quale godeva di vera pace e piacere spirituale; né riguardo al suo stato futuro, del quale non aveva alcun dubbio: sapeva in chi aveva creduto; era pienamente convinto che nulla potesse separarlo dall'amore di Dio, e che, una volta completato il suo percorso, avrebbe ricevuto la corona di giustizia che lo attendeva. Ma questa esclamazione la fa a causa dei problemi che incontrava nella sua corsa cristiana; e non tanto a causa delle sue difficoltà, persecuzioni e afflizioni per amore di Cristo, anche se queste erano molte e grandi, eppure non lo smuovevano né lo turbavano troppo; anzi, traeva piuttosto gioia e piacere da esse. Piuttosto, il suo lamento era dovuto al continuo conflitto tra la carne e lo spirito in lui, o per via di quella massa di corruzione e del corpo di peccato che portava con sé. Un lamento simile lo troviamo in Isaia (Isaia 6:5), dove, nella Settanta, è reso con "Oh misero me". Questo dimostra che Paolo parla di se stesso come di un uomo rigenerato; poiché un uomo non rigenerato non prova disagio per queste cose né si lamenta per esse, come fa qui.

"Chi mi libererà da questo corpo di morte?"

Alcuni interpretano questo come un riferimento al corpo mortale, o al corpo di carne soggetto alla morte a causa del peccato, e suppongono che l'apostolo esprima il desiderio di separarsi da esso, di lasciarlo, affinché possa godere di una vita immortale, essendo stanco del peso di questo corpo mortale che portava con sé. Così Filone l'Ebreo rappresenta il corpo come un peso per l'anima, che lo porta come un "cadavere morto" e non lo lascia mai, dalla nascita fino alla morte.

Tuttavia, bisogna notare che quando l'apostolo altrove esprime un forte desiderio di raggiungere l'immortalità e la gloria, si nota una certa riluttanza e mancanza di volontà nel lasciare il corpo, cosa che qui non si percepisce. Se questo fosse stato il suo pensiero, ci si aspetterebbe che avesse detto: "Quando sarò liberato?" o "Perché non sono ancora liberato?" e non "Chi mi libererà?". Anche ammettendo che intendesse questo, ossia che fosse stanco della vita presente e desiderasse liberarsi del corpo mortale, questo non sarebbe derivato dai problemi e dalle ansie della vita, che spesso spingono i malvagi a desiderare la morte, ma dal peso del peccato e dalla corruzione interiore sotto la quale gemeva, il che continua a mostrarlo come un uomo rigenerato. Infatti, non delle calamità esterne, ma del peccato che dimorava in lui stava parlando in tutto il contesto.

Perciò, è meglio interpretare "questo corpo di morte" come ciò che in Romani 6:6 chiama "il corpo del peccato"; quella massa di corruzione che abitava in lui, chiamata "corpo" per via della sua natura carnale e peccaminosa; a causa del suo modo di operare, che si manifesta tramite i membri del corpo; e perché consiste di varie parti e membri, proprio come un corpo. E viene chiamato "corpo di morte" perché rende gli uomini soggetti alla morte: era ciò che, dice l'apostolo, "lo aveva ucciso", ed esso stesso, per un uomo rigenerato, è come un cadavere, puzzolente e disgustoso. È per lui come la punizione che Mezentius infliggeva ai criminali, legando un corpo vivo a un cadavere in putrefazione.

Viene enfatizzato come "questo corpo di morte", riferendosi alla prigionia della sua mente alla legge del peccato, che per lui era come morte. Non sorprende, quindi, che desiderasse così ardentemente la liberazione, esclamando "Chi mi libererà?". Non lo dice perché ignorava chi fosse il suo liberatore, che menziona con gratitudine nel versetto successivo (Romani 7:25), né perché dubitasse o disperasse della liberazione, poiché ne era confortato e pienamente sicuro, e per questo ringraziava in anticipo. Ma esprimeva il desiderio interiore e l’ardente anelito della sua anima verso tale liberazione, dichiarando anche la difficoltà, anzi l'impossibilità, di ottenerla da solo o tramite qualcun altro, se non da colui che aveva in mente: sapeva che non poteva liberarsi dal peccato; che la legge non poteva liberarlo; e che solo Dio poteva farlo, e credeva che lo avrebbe fatto tramite Gesù Cristo suo Signore.


Su John Gill, vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/John_Gill