Teologia/Interpretazioni di Romani 7/Calvino

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Ritorno


Giovanni Calvino, nel suo commentario all'epistola ai Romani, al versetto 7:24 scrive:

24. Miserabile , ecc. Chiude il suo argomento con un'esclamazione veemente, con la quale ci insegna che non dobbiamo solo lottare con la nostra carne, ma anche con gemiti continui piangere dentro di noi e davanti a Dio la nostra condizione infelice. Ma non chiede da chi avrebbe dovuto essere liberato, come uno che dubita, come gli increduli, che non capiscono che c'è un solo vero liberatore: ma è la voce di uno che ansima e quasi sviene, perché non trova un aiuto immediato, come desidera. E menziona la parola salvataggio, per mostrare che per la sua liberazione non era necessario alcun esercizio ordinario del potere divino.

Con il corpo della morte egli intende l'intera massa del peccato, o quegli ingredienti di cui è composto l'intero uomo; eccetto che in lui rimasero solo reliquie, dai legami prigionieri di cui era tenuto. Il pronome "questo", che io applico, come fa Erasmo, al corpo, può anche essere opportunamente riferito alla morte, e quasi nello stesso senso; perché Paolo intendeva insegnarci che gli occhi dei figli di Dio sono aperti, così che attraverso la legge di Dio discernono saggiamente la corruzione della loro natura e la morte che da essa procede. Ma la parola corpo significa lo stesso dell'uomo esterno e delle membra; perché Paolo indica questo come l'origine del male, che l'uomo si è allontanato dalla legge della sua creazione, ed è diventato così carnale e terreno. Perché sebbene egli eccella ancora sulle bestie brute, tuttavia la sua vera eccellenza si è allontanata da lui, e ciò che rimane in lui è pieno di innumerevoli corruzioni così che la sua anima, essendo degenerata, può essere giustamente detta essere passata in un corpo. Così Dio dice per mezzo di Mosè, “Il mio Spirito non contenderà più con l’uomo, perché egli è carne” (Genesi 6:3) spogliando così l'uomo della sua eccellenza spirituale, lo paragona, a mo' di rimprovero, alla creazione bruta.

Questo passaggio è davvero straordinariamente adatto allo scopo di abbattere tutta la gloria della carne; perché Paolo ci insegna che i più perfetti, finché dimorano nella carne, sono esposti alla miseria, perché sono soggetti alla morte; anzi, quando esaminano a fondo sé stessi, non trovano nella loro natura altro che miseria. E inoltre, affinché non si abbandonino al loro torpore, Paolo, con il suo stesso esempio, li stimola a gemiti ansiosi e ordina loro, finché soggiornano sulla terra, di desiderare la morte, come l'unico vero rimedio ai loro mali; e questo è il giusto obiettivo nel desiderare la morte. La disperazione spinge davvero i profani spesso a un tale desiderio; ma stranamente desiderano la morte, perché sono stanchi della vita presente, e non perché detestano la loro iniquità. Ma bisogna aggiungere che, sebbene i fedeli siano giunti al vero obiettivo, non sono ancora travolti da un desiderio sfrenato di morire, ma si sottomettono alla volontà di Dio, al quale ci conviene vivere e morire: perciò non si lamentano con disappunto contro Dio, ma depositano umilmente le loro ansie nel suo seno; perché non si soffermano sui pensieri della loro miseria, ma, essendo consapevoli della grazia ricevuta, uniscono il loro dolore alla gioia, come troviamo in quanto segue.

In: https://www.studylight.org/commentaries/eng/cal/romans-7.html