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Dio: passivo e inoperoso? Citazione e commento

Dio: passivo ed inoperoso?

“Se ne trovano molti che, induriti nel peccato, per temerarietà inveterata respingono con ira ogni ricordo di Dio; che pure è loro riproposto dal loro senso naturale e non cessa dal sollecitarli nel loro interiore. Per rendere più detestabile il loro furore, egli dice, negano Dio, non in quanto gli sottraggono la sua essenza, ma in quanto, spogliandolo dell’ufficio di giudice e reggitore, Lo relegano in cielo, nell’ozio. Nulla si dà essere però più contrario alla natura di Dio che l’abbandonare il governo del mondo lasciando andare tutto a casaccio, chiudere un occhio, lasciando tutti i peccati impuniti e fornire occasione ai malvagi di oltrepassare i limiti: è perciò evidente che quanti si perdonano da sé e si lusingano e, respingendo ogni preoccupazione della resa dei conti, se la prendono con comodo, negano che vi sia un Dio” (Giovanni Calvino, Istituzioni della religione cristiana, 1:4:2).

Questa affermazione di Giovanni Calvino riflette una critica profonda verso coloro che negano la provvidenza e il governo attivo di Dio sul mondo, pur non rifiutando esplicitamente l'esistenza di Dio. Il testo ci offre una visione teologica che condanna un atteggiamento di indifferenza morale, mascherato dalla negazione della giustizia divina.

1. Indurimento nel peccato e respingimento di Dio  

Calvino inizia riconoscendo che molti, a causa del loro "indurimento nel peccato", respingono ogni ricordo di Dio. Questo indurimento è un progressivo allontanamento da Dio, reso possibile da un accumulo di peccati non confessati e non riconosciuti. L'uso del termine "temerarietà inveterata" sottolinea che questo atteggiamento non è il risultato di un singolo atto di ribellione, ma di un'ostinata perseveranza nel rifiuto di Dio.

Il richiamo naturale a Dio: Nonostante il loro rifiuto, Calvino nota che il "senso naturale" dell’uomo, cioè la sua coscienza, continua a riproporgli l'esistenza di Dio. Qui entra in gioco la teologia naturale di Calvino, secondo cui ogni essere umano ha un'inclinazione naturale verso Dio, che tuttavia può essere soffocata e respinta. Questo sollecito della coscienza è una testimonianza interiore che continua a ricordare all'uomo la presenza di Dio e la necessità di rendere conto delle proprie azioni.

2. Negazione di Dio non nella Sua essenza, ma nel Suo ruolo di giudice  

Calvino distingue tra due forme di negazione di Dio. Questi uomini non negano l’esistenza di Dio, ma negano il Suo ruolo attivo come giudice e reggitore del mondo. In altre parole, non lo negano come essere, ma come autorità morale e come colui che governa e giudica il mondo. Essi "relegano Dio in cielo, nell’ozio", come se Dio fosse un osservatore distante e indifferente, non preoccupato delle vicende umane.

3. La contraddizione con la natura di Dio  

Calvino dichiara che questa concezione è totalmente contraria alla vera natura di Dio. Dio non può abbandonare il governo del mondo né lasciare che tutto vada "a casaccio". Questo perché, secondo la dottrina calvinista, Dio è sovrano su tutto il creato e mantiene un controllo totale su ogni evento e ogni vita. L’idea che Dio possa "chiudere un occhio" davanti al peccato è considerata profondamente errata, poiché Dio è giusto e non tollera il male. Lasciare impuniti i peccati o permettere ai malvagi di "oltrepassare i limiti" sarebbe, secondo Calvino, un tradimento della giustizia divina.

4. Negazione pratica della giustizia divina  

Infine, Calvino sottolinea che chi si "perdona da sé" e si lascia cullare dall'illusione di un'assenza di giudizio divino, di fatto nega l’esistenza di Dio. Anche se tali individui possono non negare esplicitamente Dio, il loro comportamento e la loro mancanza di preoccupazione per il giudizio divino indicano una negazione pratica. Vivere come se non ci fosse nessuna "resa dei conti" significa, per Calvino, negare la giustizia divina e, per estensione, Dio stesso. In altre parole, questi individui si creano un dio a loro immagine, un dio che non giudica né interviene nelle loro vite, e in tal modo distorcono la vera immagine di Dio.

5. Applicazioni pratiche e teologiche  

Dal punto di vista pratico, Calvino mette in guardia i cristiani contro l’autocompiacimento morale e l’indifferenza verso la legge divina. Questa critica è rivolta non solo agli atei o ai peccatori evidenti, ma anche a coloro che, pur professando la fede, vivono come se Dio non fosse attivamente coinvolto nel mondo e non giudicasse i peccati.

A livello teologico, questa affermazione si inserisce nella dottrina calvinista della provvidenza e del giudizio divino. Dio, secondo Calvino, è sempre presente e attivo nella storia umana e giudicherà ogni azione, premiando il bene e punendo il male. Negare questo principio significa tradire una componente fondamentale della fede cristiana.

In sintesi, Calvino esprime il suo disprezzo per un'idea di Dio che lo relega a un ruolo passivo e inoperoso, in contrasto con la sua concezione della sovranità assoluta di Dio su ogni aspetto della realtà, e ammonisce i credenti contro il pericolo di vivere come se questa sovranità non esistesse.