Storia/Storia dei Valdesi/Durante il secolo XVIII

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16. Durante il secolo XVIII

Ricostruzione — Contrusto fra la lealtà dei Valdesi e la condotta di Vittorio Amedeo II a loro riguardo — Esilio di Arnaud — Colonie in Germania — Estirpazione dei Valdesi dalla Val Pragelato — Il reggimento valdese nelle guerre di successione — Vessazioni molteplici e continue — L'Ospizio dei catecumeni valdesi — Ratti di fanciulli — UOpera dei prestiti — Imposte, carestie, inondazioni — Generosità dei popoli protestanti — Istruzione — Condizioni spirituali.


I primi anni che seguirono il rimpatrio furono dedicati dai Valdesi alla ricostruzione della loro vita civile ed ecclesiastica: si trattava di riedificare case, coltivare le terre abbandonate, riorganizzare la Chiesa a cominciare dalla «Tavola». [Già prima dell'esilio si dava il nome di Tavola all'ufficio presidenziale del Sinodo Valdese, perchè sedeva attorno alla tavola della S. Cena del tempio in cui si tenevano le sedute; più tardi il nome di Tavola fu assunto dall'Amministrazione superiore intersinodale. Così il Moderatore, presidente della Tavola, non è più per i Valdesi il presidente del Sinodo, come presso le altre Chiese Riformate].

Sebbene la gioventù valdese fosse accorsa a combattere a fianco delle truppe ducali nella guerra della lega d'Asburgo [Il reggimento valdese aveva una bandiera bianca con stelle azzurre ed il motto: “Patientia laesa fit furor], Vittorio Amedeo II, ricaduto nei lacci del re di Francia e del clero, non tardò purtroppo a rinnegare le belle parole e le promesse categoriche pronunciate nel 1690. Stretta di nuovo alleanza con Luigi XIV, che gli cedeva Pinerolo e la Val Perosa, il Duca s'impegnava segretamente ad espellere tutti i riformati francesi dalle Valli e tutti i Valdesi dalla Val Perosa. Questa misura iniqua colpì il moderatore Enrico Arnaud, il quale, benché fosse di sangue valdese e residente durante oltre un trentennio nelle Valli, per il fatto di essere nato in Francia, dovette riprendere la via dell'esilio con altri sei dei tredici pastori che esercitavano il loro ministerio nelle Valli e dirigere l'esodo doloroso di circa tremila, fra Valdesi della Val Perosa e residenti francesi, vittime della politica egoistica e servile d'un sovrano per il quale molti di essi avevano esposto la vita e versato il proprio sangue.

Accolti nuovamente con grande generosità dalla Svizzera, gli esuli passarono nel Wurtemberg, nel Baden, nell'Assia, dove furono organizzati in ottime colonie da Enrico Arnaud, che fu loro pastore con residenza a Schonenberg, dove morì ottantenne nel 1721, circondato dalla venerazione che un popolo ha per i suoi patriarchi. Anche nella guerra per la successione di Spagna (1700-1713) i Valdesi combatterono fedelmente per il Duca, ed anzi, nel periodo più critico di quella guerra — nell'estate 1706 — la Valle di Luserna, e precisamente Rorà, offrì saldo rifugio a Vittorio Amedeo. Ma ancora una volta questi, passato il pericolo e riavvicinatosi al vecchio implacabile Luigi XIV, ne riceveva la Val Pragelato ma a condizione di estirparne i Valdesi.

Il Duca, immemore alla lealtà dei suoi sudditi, sii applicò a ciò fare con sistematici atti di rigore e con l'editto del 1730 che diede il colpo di grazia alle chiese valdesi della Valli di Pragelato. Fu l'ultimo suo decreto, che non gli fa onore più del primo emanato nel 1686; di lì a poche settimane sposava la marchesa di Spigno e abdicava. Durante il regno dei suoi due successori: Carlo Emanuele III (1730-73) e Vittorio Amedeo III (1773-96) la storia valdese non registra avvenimenti d'importanza straordinaria: fu un periodo piuttosto scialbo, come un'epoca di transizione fra un passato di persecuzioni sanguinose ed un avvenire che lascierà intravedere, sulla lontana linea dell'orizzonte, i primi albori della libertà. Tanto nella guerra per la successione di Polonia quanto in quella per la successione d'Austria, il reggimento valdese, con cappellano proprio, si trova sempre al suo posto di combattimento insieme con altre truppe piemontesi ed in certe sanguinosissime battaglie, come quella dell'Assietta (1747), si copre di gloria. Eppure, questa esemplare fedeltà e questi sacrifizi compiuti per la patria — è doloroso il doverlo constatare — vennero sempre ricompensati nel medesimo modo: con vessazioni oontinue.

Di crociate sterminatrici non si parlò più, dopo il 1690; ma rimanevano una quantità di leggi restrittive e vessatorie che l'autorità politica non pensò mai un istante ad abrogare. Anzi credette opportuno di pubblicare un «Compendio degli editti concernenti i Valdesi», raccomandando ai giudici residenti nelle Valli, ed ai quali aveva voluto così rinfrescare la memoria, di osservarli e di applicarli rigorosamente! Erano tutti gli antichi editti restrittivi emanati contro i «religionari» dal 1596 in poi, dei quali ecco qualche saggio: nessun culto, né pubblico ne privato, fuori dei limiti tollerati; proibizione di erigere nuovi templi oltre a quelli esistenti prima del 1686; proibizione ai religionari di seppellire i loro defunti nei cimiteri cattolici e di cingere di muri o di siepi i loro propri cimiteri; divieto di accompagnare i defunti alla sepoltura in numero maggiore di sei persone; divieto di tenere sinodi senza l'intervento di persona a ciò deputata da S. M.; nei comuni la cui popolazione non sia interamente eretica il sindaco e la maggioranza dei consiglieri devono essere cattolici; i figlioli dei religionari possano essere tolti ai loro genitori col fine di farli abbracciare la religione cattolica, purché i maschi abbiano raggiunto l'età di dodici e le femmine di dieci anni. Ora, non è difficile immaginare quali interpretazioni arbitirarie si potessero facilmente dare a simili editti, che il Senato raccomandava ai giudici di tener del continuo presenti onde non rimanessero lettera morta. I frati ed i chierici non avevano certo bisogno di eccitamenti per intensificare il loro zelo e per commettere abusi ed iniquità d'ogni genere! Basti dire che i ratti dei fanciulli, minorenni o no [Una .bimba di dieci anni e un giorno era considerata maggiorenne, per la scelta della religione, e quindi libera di sottrarsi all'autorità della famiglia! Si pensi alle arti diaboliche adoperate por eccitare i fanciulli di quella età alla ribellione contro i genitori], si moltiplicavano in maniera impressionante e si ebbero casi clamorosissimi. [Pochi esempì documentati: nel 1735 il curato di Ferrero rapisce due fìgli di Giov. Richard, di Prali; nel 1747 Pietro Roche reclama inutilmente la restituzione d'uno dei suoi figlioli; più tardi è rapita la figlia di Filippo Flanche, di Maniglia, e la ricca ereditiera Giovanna Costantino, di San Germano, è strapppata alla famiglia e poi costretta a sposare un cattolico. Molto rumore destò il caso della bimba di otto anni Elisabetta Coucourde, di Pomaretto, sequestrata in un convento di Novara nel 1775, nonostante le proteste del padre che ricorse invano alle autorità e al Re stessso; diventò badessa a Vercelli, dove morì nel 1804].

Tali delitti venivano in gran parte preparati ed incoraggiati da un ospizio ch'era stato fondato nel 1679 a Torino sotto il nome di «Rifugio della virtù», e che fu trasferito nel 1740 a Pinerolo, dove si chiamò «Ospizio dei catecumeni valdesi». Era una istituzione mantenuta in parte dallo Stato, nella quale sì accoglievano «per carità», come si diceva, cioè al prezzo della coscienza, uomini e donne spinti all'abiura dalla fame o da altre contingenze dolorose, e fanciulli valdesi adescati con arti infami addirittura rapiti con la violenza. Codesto Ospizio tristamente famoso non fu soppresso prima del 1890! Per meglio lavorare alla conversione dei Valdesi fu anche creato, nel 1748, il vescovado di Pinerolo al posto dell'antica abbazia, e venne fondata quell'«Opera dei prestiti» che oggidì ancora aiuta i cattolici ad acquistare il terreni in vendita nelle Valli. Troppo lungo, invero, sarebbe enumerare tutte le odiosità dì cui ebbero a soffrire questi sudditi leali che si vedevano per legge segregati dagli altri piemontesi ed esclusi dai pubblici uffici, e che si dichiaravano sempre pronti a dare loro figli, ma al Re ed alla patria e non già ai curati ed al vescovo di Pinerolo. E con tutto ciò erano gravati da imposte fortissime, dalle quali per colmo d'ingiustizia erano esentati i loro connazionali cattolici: già erano poveri, ma il fisco lì dissanguava addirittura! L'osservazione popolare dice che una sventura non viene mai sola; ed in verità i Valdesi di quei tempi avrebbero ben potuto ripeterlo, perchè ne fecero la dolorosa esperienza. La loro crescente miseria materiale era determinata non solo dalle guerre ruinose e dalle tasse esorbitanti, ma anche da una serie di calamità che funestarono periodicamente le povere Valli durante quasi tutto il secolo: carestie, siccità, grandinate e sopratutto alcune spaventose inondazioni del Pellice, che devastarono i territori del Vìllar e di Bobbio. Che sarebbe avvenuto degl'infelici abitanti, bersagliati di colpi da tutte le parti e ridotti avvilimento, se non li avesse sorretti la simpatia dei loro correligionari d'Inghilterra, di Olanda e di Svizzera?

La generosità dei popoli protestanti verso i Valdesi fu magnifica e va rilevata con profonda ammirazione. Furono organizzati soccorsi a favore delle famiglie più gravemente colpite. Tanto in Inghilterra quanto nella Svizzera ed in 0landa si raccolsero fondi; in quest'ultimo paese venne fondato il «Comitato Vallone», nel 1735, il quale allo scopo di migliorare l'istruzione elementare curò l'impianto di molte scuole nei villaggi e perfino d'una Scuola Latina, la quale provvedesse in qualche misura alla istruzione secondaria. Le condizioni spirituali del popolo valdese non erano molto più rallegranti. Il secolo XVIII segnò un decadimento deplorevole della vita religiosa nelle Valli. Com'è noto, fu quella un'epoca di corruzione, di superstizione, di scetticismo in tutta l'Europa; dovunque il culto e le pratiche religiose si esaurivano in sterile formalismo ed il manto dell'ipocrisia tentava di celare più o meno la rilassatezza dei costumi. Era egli possibile che codesta influenza nefasta non si esercitasse affatto sul piccolo popolo Valdese? I suoi giovani pastori, che avevano studiato nelle Accademie di Basilea, di Losanna e di Ginevra, vi avevano respirato l'atmosfera che sempre più avvolgeva la società europea, e, di ritorno in patria, diffondevano una filosofia volgare, di sapore volterriano; cosicché si predicava dai più una morale convenzionale, una «religione naturale» come la si soleva chiamare, invece del puro Evangelo, lieto annunzio e divina potenza di redenzione per le anime. Ecco dunque in quali non liete condilzioni civili, economiche, morali e religiose si trovava il popolo Valdese verso la fine del secolo XVIII, allorquando scoppiò l'uragano della Rivoluzione francese.