Teopedia/Razionalismo

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Razionalismo

Il termine «razionalismo» copre una vasta gamma di significati e non è per nulla facile fornire una definizione rigida di esso. Si può semplificare dicendo che esso rappresenta un tentativo di servirsi della ragione prescindendo da altri strumenti conoscitivi.

Il razionalismo assume la ragione come autorità suprema per giungere alla certezza della conoscenza e all’autonomia nel proprio giudizio. Siccome si ritiene che la ragione sia sufficiente per spiegare i fatti, per poter accettare qualcosa, bisogna che essa soddisfi i criteri di verifica forniti dalla ragione.

Il primato della ragione vale in tutti i campi e quindi anche in quello religioso, per cui, anziché la rivelazione quale fondamento della verità religiosa, si assume anche in questo caso la ragione come strumento della conoscenza.

Origini e caratteristiche

Quali sono le origini e le caratteristi­che del razionalismo? Qualcuno potrebbe sostenere che l’apostolo Tommaso rappresenti una prima espressione di razionalismo e in tal senso si potrebbe affermare che esso è sempre esistito. Chi ha voluto assumere la ragione come criterio della fede, ha sempre avuto buone occasioni per manifestare i propri dubbi e in questo senso è lecito pensare che il razionalismo risale ai primordi dell’esistenza.

In questa scheda si collegherà però l’origine del razionalismo col momento in cui la ragione ha assunto un ruolo determinante nel campo teologico. Questo sviluppo può essere grosso modo collegato al diciassettesimo secolo, anche se Ario e Socino hanno mostrato segni incipienti di razionalismo assai prima di questo periodo.

Il razionalismo fa la sua entrata nel campo della teologia con l’illuminismo. Da questo momento larga parte della teologia diventa critica nel senso che comincia ad utilizzare la ragione come criterio di verifica nel processo della conoscenza. Gli strumenti convenzionali dell’il-luminismo vengono assunti come strumenti fondanti della riflessione teologica. Mentre in passato la Scrittura era stata riconosciuta come l’unico criterio per verificare la correttezza o meno delle varie affermazioni, col razionalismo è la Scrittura stessa che viene sottoposta a verifica attraverso la ragione.

Si comincia allora a sottoporre ogni tradizione e ogni certezza ad una critica per mezzo della ragione nel grandioso tentativo di trovare spiegazioni più serie e persuasive rispetto a quelle tradizionali. Tutti i parametri preesistenti vengono considerati autoritari e si cerca quindi di svincolarsi da tali sudditanze con magnifica fiducia nel potere della ragione. Tutto deve essere collocato entro categorie razionali, le uniche ad avere la capacità d’organizzare il reale nella sua totalità e a trasmettere quel senso di certezza di cui si sente particolare bisogno.

Quella che al tempo della Riforma sarebbe apparsa un’operazione sacrilega, comincia a farsi strada anche nell’ambito della teologia protestante. L’autoattestazione della veridicità della Bibbia viene problematizzata col pretesto che anch’essa ha una storia e la ragione sarebbe in grado di distinguere al suo interno le incrostazioni della fede. La religione va accettata «entro i limiti della ragione» (Kant)! La religione è infatti razionale e non ha nulla da temere da questa intrusione della ragione (Locke)!

A partire da queste premesse si sottopone ad una serrata critica l’eredità teologica della fede cristiana per quel che riguarda la rivelazione, la Scrittura, la trinità e altri simili temi, e si abbozza la possibilità di superare le tradizionali separazioni confessionali. Le convinzioni ecclesiastiche vengono infatti relativizzate in nome di un nocciolo di verità religiose meno ambizioso in cui tutti si possono più facilmente ritrovare.

La fede cristiana tradizionale che sostiene il primato della rivelazione e assume Dio come conoscibile e coerente anche se incomprensibile in quanto la mente umana non può totalmente comprendelo, appare come qualcosa d’irrazionale, perché Dio sarebbe semplicemente il garante della razionalità del mondo.

Osservazioni

Quali osservazioni si possono fare? Anche se sul piano generale il razionalismo ha ormai perso la sua forza persuasiva, bisogna riconoscere che in ambito teologico rimane fortemente presente.

La prima osservazione che si può fare riguarda uno sbilanciamento. Si attribuisce alla ragione un ruolo enorme trascurando le oggettive difficoltà della conoscenza umana. Per quanto l’uomo possa impegnarsi attraverso la ragione, rimane sempre un’incertezza di fondo in ogni suo procedimento conoscitivo. Sia che si tratti di idee «innate», sia che si tratti di ragionamenti deduttivi, riesce assai difficile sostenere che vi possa essere piena certezza nell’indagine dell’uomo sulla base della pura razionalità.

La Scrittura insegna che la ragione umana non è un’entità autonoma, ma che in quanto parte della realtà creata, ha subìto gli effetti del peccato come tutte le altre dimensioni dell’esistenza. La rottura dell’allean-za con Dio ha infatti avuto delle conseguenze anche sulla capacità della ragione d’operare in maniera soddisfacente e sarebbe ingenuo o eccessivamente presuntuoso illudersi del contrario.

E’, d’altro lato, veramente difficile conciliare il peccato con la certezza. L’uno esclude l’altra e questo conferma la convinzione cristiana di una distorsione strutturale della persona umana a causa della rottura dell’alleanza tra Creatore e creatura. Per la rivelazione biblica, il peccato non è una semplice imperfezione o una distorsione della conoscenza, ma disobbedienza alla legge di Dio. Ora se il peccato è disobbedienza, il problema dell’uomo è prima di tutto di carattere morale e non intellettuale e l’ignoranza di ciò costituisce una profonda distorsione della realtà.

Ora siccome il conoscere ha sempre una valenza morale. L’obbedienza o la disobbedienza a Dio condizionano in maniera determinante la percezione della realtà, infatti la Scrittura sottolinea che la soppressione della verità ha sempre una valenza morale (Rm 1,18-22).

Una seconda osservazione può essere riassunta nel temine mutilazione. A bene vedere il razionalismo divide tutte le cose in razionali e irrazionali e, a partire da questo assunto, procede nel proprio itinerario. L’universo che si delinea è chiaramente scisso in quanto non sa sempre rendere ragione di certi fenomeni. Laddove infatti le categorie della razionalità o dell’irrazionalità non riescono a precisare la questione, il razionalismo deve sospendere il proprio giudizio.

In questo senso il razionalismo appare incapace d’integrare elementi di carattere personale nella propria visione del mondo. Ma una visione impersonale e astorica rappresenta una mutilazione difficilmente compatibile con categorie onnicomprensive come quelle che dovrebbero caratterizzare il razionalismo. Non si può assumere infatti la razionalità dell’universo prescindendo totalmente dall’uomo e considerando i concetti umani come conformi alle cose in se stesse. L’oggetto da conoscere diventerebbe allora la norma della verità contraddicendo le premesse.

Il razionalismo rappresenta inoltre una sorta di ribaltamento della realtà. Esso tenta infatti di provare l’esistenza di Dio senza tenere conto che egli è la sorgente di ogni essere creato. E’ come se la ragione umana potesse essere il terreno della dimostrazione per cui al posto di Dio si dovrebbe assumere la ragione. Ma la divinizzazione della ragione fa sì che essa debba giudicare ogni cosa e quindi anche colui che è il primo conosciuto. Se essa è il criterio originario e finale, vuol dire che non vi è altra autorità al di fuori di essa.

La Scrittura insegna invece che Dio ha creato ogni cosa in cielo e sulla terra e che ha pertanto creato la ragione umana. Tutte le cose cominciano con Dio, non con la ragione.

Il razionalismo riconosce la necessità di un criterio che permetta di accedere ai fatti, un criterio che sia coerente e sufficientemente globale da spiegare tutta la realtà, ma sceglie un criterio non abbastanza primario e limita così, fin dalle premesse, ogni possibile risultato. Ponendo infatti il criterio ultimo per giudicare nelle idee innate o nel ragionamento deduttivo, il razionalismo finisce per divinizzare il pensiero e si espone al rischio dell’irrazionalismo.

Si può infine affermare che il razionalismo è irrazionale. La fede nella ragione non può essere sostenuta sulla base della sola evidenza della ragione. Il razionalismo non rie-sce infatti a giustificare su basi prettamente razionali la scelta del proprio criterio.

In effetti se questo è il mondo di Dio, appare impossibile collocare i fatti all’interno di un sistema che vuole prescindere da Dio. Questa constatazione obbliga il razionalista ad assumere «soluzioni» irrazionali, «soluzioni» che neghino cioè la possibilità d’una spiegazione razionale, o neghino l’esistenza del problema, soffocandone cioè le contraddizioni.

In quest’ottica si deve affermare che il razionalismo appare sostanzialmente instabile. Non potendo infatti abbracciare tutta la realtà, rimane anche alla mercé di fattori non assimilabili all’esercizio razionale puro e semplice.

Se in passato si possono trovare forti tendenze al razionalismo, oggi se ne potrebbero trovare di antirazionaliste. Si diffonde l’idea che l’esperienza sia il criterio della fede e che sia quindi più consono alle esigenze del tempo una generale relativizzazione delle convinzioni. Visto che i dogmi e la riflessione non hanno prodotto quello che si sperava, ci si rifugia in una specie d’irrazionalismo. Il pensiero oscilla così da un estremo ad un altro.

Il protestantesimo sembra particolarmente esposto a questi estremi e si capisce perché talvolta si tende a stabilire un’equivalenza tra spiritualismo e protestantesimo, mentre in altri si assimila protestantesimo e razionalismo. Il pensiero riformato in particolare, viene facilmente visto come una sorta di razionalizzazione della fede, anche se ciò non ha nulla a che fare con un’autentica fede riformata.

Ma la fede cristiana non è né razionalista, né antirazionalista o fideista che sia. L’opposizione tra fede e ragione appare anzi profondamente anticristiana. La fede cristiana ha infatti come regola di fede la Parola di Dio e la ragione dev’essere rinnovata per pensare i pensieri di Dio in accordo con la Sua Parola.

Uno degli equivoci più diffusi è la confusione tra ragione e razionalismo. Il rifiuto del razionalismo sembra obbligare ad essere irrazionali, un po’ come se rifutare il Romanticismo comporti l’esclusione di sentimenti ed emozioni. Ma chi affermerebbe che le opere di Shakesperare siano prive di emozioni?

Allora non si tratta d’abbando-nare ogni tipo di ragionamento, ma d’esercitare la propria razionalità in sottomissione all’autorità della Scrit-tura. C’è bisogno di una fede che non fondi la propria certezza in una parte della realtà creata, ma che abbia un punto di riferimento non vincolato dalla ragione in sé e per sé.

La fede cristiana ha nella Scrittura l’autorità autoautentificante, un’autorità che non ha cioè bisogno di alcuna legittimazione esterna per essere assunta come criterio, perché in essa Dio rivela la propria libertà.

BIBLIOGRAFIA

G. Calvino, L'istituzione della religione cristiana I,15,6; I,17,2 [1559], Torino, Utet 1971; J. Stott, Creati per pensare, Roma, GBU 1982; H. Hart, J. Van der Hoeven, N. Wolterstorff (edd), Rationality in the Calvinian Tradition, University Press of America 1983; J.M. Frame, The Doctrine of the Knowledge of God, Phillipsburg, NJ, Presb. and Ref. Publ. Co. 1987.