Teopedia/Liberalismo

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Liberalismo

Il liberalismo è un fenomeno che ha avuto come epicentro la Germania del XIX secolo, ma che ha poi avuto una larga diffusione anche altrove. Esso può essere collegato a concezioni più remote come l'illuminismo, il romanticismo e l'idealismo, e manifesta in maniera ancora più pronunciata la frammentazione del pensiero moderno. Le sintesi dei periodi precedenti non sono più in grado di resistere e l'orizzonte si frantuma. Sul versante cattolico, lo stesso fenomeno viene indicato col termine «modernismo», prima combattuto con veemenza sotto Pio X, poi sostanzialmente assimilato. Il liberalismo individua lo «spazio per Dio» nella coscienza dell'uomo. La voce della coscienza corrisponde grosso modo a quella stessa di Dio. Dio e l'uomo sono posti in relazione attraverso la coscienza che funge dunque da mediatrice. La coscienza dell'uomo dell'Ottocento non è però la coscienza inquieta di Lutero che cerca la salvezza dell'anima e la pace con Dio. La coscienza del liberalismo è tutto sommato una coscienza fiduciosa nelle capacità umane. Una coscienza che ritiene l'uomo in grado di maturare le proprie scelte etiche e capace di realizzarle nella storia. L'uomo, ritenuto capace di conoscere Dio a causa di una sua specifica potenzialità, è al centro dell'interesse e Dio viene ad essere utilizzato e compreso in funzione dell'uomo. E' l'umanesimo che penetra il cristianesimo.

Origini e caratteristiche

Per ben comprendere le radici del liberalismo si dovrebbe risalire ben al di là del XIX secolo e tenere conto di matrici assai diverse. In definitiva, però, esse non rappresentano altro che l'espressione dei diversi piani in cui l'uomo capta il divino, o comunque come la coscienza tenta d'esprimerlo.

Il primo piano è costituito dalla coscienza razionale, si accetta cioè la visione filosofica dominante. Il motto dell'illuminismo è, secondo Kant, osare di servirsi della propria ragione. Bisogna essere liberi di pensare senza sanzioni e senza soggiacere a condizionamenti esterni sull'uomo stesso. Natura e grazia vengono a separarsi e al posto della grazia subentra la categoria della libertà. L'uomo deve liberarsi da ogni condizionamento trascendente e sottoporre ogni precedente certezza alla propria critica. La Bibbia viene inserita in questo processo critico per essere liberata da tutto ciò che non è formulato in maniera pura, l'Idea (Begriff, secondo Hegel). Tutto ciò che non è Begriff è immagine (Vorstellung), superstiziosa da cui deve essere sfrondata. La relatività storica s'intensifica per cui non si possono più avanzare pretese d'assolutezza. «Nella storia non si possono esprimere giudizi assoluti» infatti «ciò che noi siamo e abbiamo nel senso più alto, lo abbiamo dalla storia e nella storia, e, certo, soltanto da ciò che in essa ha avuto un seguito e fino ai nostri giorni ancora agisce».

Il secondo piano è costituito dalla coscienza religiosa. A partire di Schleiermacher l'esperienza religiosa diventa fonte e norma della teologia. La riflessione teologica deve partire dal sentimento religioso innato nell'uomo anziché dalla rivelazione. Per Schleiermacher (1768-1834) la religione non deve essere insegnata, ma sentita. Infatti sentirsi assolutamente dipendente o avere coscienza del rapporto con Dio non è che una sola e medesima cosa. Cioè dire, «Dio ci è dato nel sentimento in un modo originario». Questo estremo soggettivismo implica che l'oggetto sia attinto solo nella e attraverso la coscienza del singolo. La Parola, a differenza del pietismo, «non è più l'autorità della rivelazione divina e il fondamento della fede, ma semplicemente un mezzo di espressione di quest'ultima». Così la verità non viene ad essere individuata da un criterio oggettivo, ma dalla coscienza religiosa «attualmente» in vigore nella chiesa.

Il terzo piano si trova nella coscienza morale. In questo contesto ciò che caratterizza l'uomo è la sua libertà e il suo senso del bene. Tutto si decide a partire dalla coscienza morale che presuppone un ottimismo antropologico senza limiti. «Tu puoi, perch‚ tu devi» afferma Kant (1724-1804). Tutto si riduce in definitiva alla questione etica per cui il comportamento umano deve corrispondere all'idea del bene innata nell'uomo. Si ritiene possibile un processo di miglioramento e d'elevazione progressiva dell'uomo. La pratica morale deve esprimere tutta la religiosità perché il cristianesimo è azione e non contemplazione. Ogni elemento trascendente viene così ad esaurirsi quasi totalmente. Il cristianesimo non potrà essere che adogmatico.

Il quarto piano è infine costituito dalla coscienza sociale. L'uomo è percepito, prima di tutto, come un essere sociale per cui la comunità deve essere organizzata in modo tale da assicurare il benessere di ciascuno. I fermenti suscitati dalla società industriale del XIX secolo s'innestano sulla convinzione delle risorse della personalità umana per promuovere una teologia di tipo sociale. «Il cristianesimo di ieri è stato dogmatico, il cristianesimo di domani sarà sociale». Tale convinzione troverà importanti eco nel socialismo religioso del XX secolo, nelle teologie del regno di Dio, ecc. La società sembra potersi muovere verso la realizzazione del Regno di Dio.

Osservazioni

Nelle sue grandi linee il liberalismo pare marcato da alcune caratteristiche tipiche di una religiosità ormai lontana dalla Scrittura.

Prima di tutto è caratterizzato da una concezione non autoritativa del cristianesimo basata sulla ragione, sull'esperienza e sulla storia. La Scrittura non funziona più come norma per il pensiero e la vita, ma tutto rimane aperto.

Secondo, una volontà d'adattamento. La fede tradizionale ed i suoi dogmi devono adattarsi alle concezioni antropologiche e naturalistiche prevalenti. Si coltiva così, anche in modo proficuo, il rapporto tra cristanesimo e cultura, ma lo si fa adattandosi a quest'ultima.

Terzo, lo scetticismo. Gli elementi soprannaturali della fede cristiana diventano discutibili. Essi devono essere verificati alla luce dei nuovi criteri dominanti che come s'è detto sono riconducibili alla coscienza dell'uomo ottocentesco.

Quarto, una tendenza riduzionista. La Scrittura non è più la Parola di Dio, ma la registrazione dei pensieri e delle esperienze di uomini particolari. Essa dev'essere dunque studiata operando una certa discriminazione fra ciò che è divino e ciò che è invece il frutto dell'esperienza religiosa.

Quinto, l'accento sulla continuità. Tra l'uomo e Dio, tra il naturale e il soprannaturale, tra l'immanente ed il trascendente non c'è discontinuità. La ragione umana o il sentimento religioso o la coscienza morale, costituscono dei punti di partenza adeguati. I rapporti tra l'uomo e Dio devono essere visti in termini di linearità in quanto la trascendenza si colloca su una linea che va dall'uomo a Dio senza soluzione di continuità.

Sesto, si può rilevare l'ambizione all'autonomia sia per ciò che concerne la ragione, sia per ciò che concerne l'esperienza religiosa. L'essenza del cristianesimo deve essere sperimentata o conosciuta a partire dalla fede nell'onnipotenza del potere umano. Il risultato è che la ragione e l'esperienza si collocano su di un piano superiore alla Parola di Dio.

Settimo, la fede nel principio del progresso umano include il mondo come sistema aperto. Non si può dunque accettare nulla che sia statico. L'idea d'una Bibbia infallibile o di un'unica verità o di credi fissi diventa sospetta. L'unica idea accettabile Š quella che presuppone una crescita verso mete sempre più elevate. La Bibbia deve così essere intesa come un'illustrazione di verità generali atta a stimolare la comprensione di quella rivelazione progressiva che culmina, ma non si esaurisce, in Gesù di Nazaret. Il pericolo di una tale concezione risiede nel fatto che si ha a che fare con un sistema che pone chiaramente al centro di tutto l'uomo. Quest'ultimo è il primo articolo del nuovo credo. Solo che il liberalismo, a differenza di altri movimenti, associa all'uomo il criterio della modernità. La «visione del mondo» moderna si sovrappone alla fede nelle capacità dell'uomo con conseguenze ancora più disastrose che per altri movimenti. L'apparenza è quella di una visione aperta al divenire della storia. L'impressione è quella d'una concezione dinamica che sfugge alla fissità degli idoli, ma in realtà si ha a che fare con una vecchia forma di paganesimo che adora la creatura piuttosto che il Creatore. I caratteri religiosi e familiari della società si dissolvono nel soggettivismo. Il soggettivismo però non è individualistico come per il pietismo, ma collettivistico. Si finisce così nel rendere assolutamente necessaria la funzione dello Stato di cui si conservano solo le dimensioni umanistiche. Il cambiamento dell'uomo in ultima analisi finisce col richiedere l'intervento dello Stato stesso. E' proprio quest'ultimo lo strumento della libertà al di sopra d'ogni altra considerazione come la responsabilità. Il liberalismo ha il grande merito d'indicare al cristianesimo l'importanza della storia e com'è noto ha prodotto anche opere di valore nel campo della storia della chiesa e del dogma. Purtroppo la fiducia illimitata ed ingenua nel progresso umano finisce per eliminare la Parola che fonda l'essere cristiano. Il quadro che ne esce, malgrado certe parvenze di movimento e progresso, è qualcosa che appiattisce l'orizzonte escatologico. J.G. Machen osserva allora giustamente che non si ha più a che fare con una forma più o meno felice della fede cristiana, ma di un qualcosa di totalmente diverso. La fede cristiana non possiede più motivazioni sue proprie, ma s'affianca alle grandi correnti di pensiero del tempo.

BIBLIOGRAFIA

F. Schleiermacher, La dottrina della fede, Brescia, Paideia 1981 (orig.: 1830); A. von Harnack, L'essenza del cristianesimo, Milano, Bocca 1908; Brescia, Queriniana 1980 (orig.: 1901); W. Rauschenbusch, A Theology for Social Gospel, New York 1917; J. Gresham Machen, Christianity and Liberalism, Grand Rapids, Eerdmans 1923; C. Van Til, The New Modernism, Phillipsburg, Presb. and Ref. 1946; L.H. DeWolf, The Case for Theology in Liberal Perspective, Philadelphia, Westminster Press 1959; Richard J. Coleman, Issues of Theological Conflict. Evangelicals and Liberals, Grand Rapids, Eerdmans 1972, 21980; H. Blocher "I grandi sistemi teologici" Sdt III (1980) N<198>6, pp. 32-59; V. Subilia, Il protestantesimo moderno tra Schleiermacher e Barth, Torino, Claudiana 1981; a queste selettive indicazioni andrebbero aggiunte le opere di liberali come J. Wellhausen, A. Ritschl, W. Herrmann, A. von Harnack, E. Troeltsch, A. Loisy, L. Ragaz, ecc. Le citazioni si riferiscono a: I. Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklaräng?, 1784, in Werke, hrsg. W. Weischedel, 1964, vol VI, p. 53 (tr. it.: Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo? in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto di I. Kant, a cura di G. Solari, Torino, Utet 21965, p. 141). A. von Harnack, Das Wesen des Christentums, 1901 (tr. it.: L'essenza del cristianesimo, Brescia, Queriniana 1980, pp. 76, 67). Glaubenslehre par. 4, 1830 (tr. it.: Opere scelte: La dottrina della fede 3/1, Brescia, Paideia 1981, p. 162). E. Brunner, Wahrheit als Begegnung, Zurich, Zwingli Verlag 21963, p. 82. F. Schleiermacher, Kurze Darstellung des theologischen Studiums zum Behuf einleitender Vorlesungen, Hildesheim, George Olms Verlag 1969 (tr. it.: Lo studio della teologia, Brescia, Queriniana 1978, par. 195). W. Monod, La fin d'un Christianisme, Paris 1903, p. 73.