Preghiera/In che modo mi presenterò davanti a Dio
In che modo mi presenterò davanti a Dio?
di Orazio Bonar (1808-1889)
1. In che modo mi presenterò davanti a Dio?
Ci presenteremo davanti a Dio con i nostri peccati, perché non abbiamo proprio nient’altro che possiamo considerare nostro. Questa è una delle più importanti lezioni che potremmo imparare, ma quanto siamo lenti nel farlo! Se però non l’impariamo non potremmo nemmeno fare un solo passo in avanti in quella che chiamiamo vita di fede.
Il primo nostro pensiero quando cominciamo a cercare Dio di solito è quello di cercare di scoprire nella nostra vita passata se mai vi fosse qualcosa di buono da poter presentare a Dio in cambio del perdono dei nostri peccati. Se non riusciamo a trovarla, allora vorremmo compiere ora qualcosa di buono nella speranza di appianare i nostri rapporti con Lui.
“Nel Suo favore c’è la vita” ed essere privi del Suo favore significa essere infelici quaggiù e vederci tolta ogni gioia nell’aldilà. Non c’è alcuna vita degna di questo nome salvo quella che fluisce dalla certezza della Sua amicizia. Senza un tale amico, la nostra vita quaggiù non è che vanità e un grave fardello; con quell’amicizia, però, non temiamo più alcun male, ed ogni afflizione viene trasformata in gioia.
“Come potrò essere felice?”: ecco la domanda di un’anima aggravata dopo aver provato mille modi diversi per trovare la felicità, ma tutti senza risultato.
“Assicurati il favore di Dio”: ecco la risposta che gli venne subito data da parte di uno che aveva già gustato quanto il Signore sia buono.
“Non c’è nessun altro modo per essere felici?”.
“No, nessuno”, fu la pronta e sicura risposta. “L’uomo ha provato altre vie per seimila anni, ed ha miseramente fallito, e pensi forse tu di riuscirci?”.
“No, certo no; e non voglio continuare a provarci. Questo favore di Dio, però, mi pare una cosa così imprendibile, e Dio mi sembra così lontano, che non so proprio da che parte rivolgermi”.
“Non è vero che il favore di Dio sia così imprendibile: esso è più reale di ogni altra realtà; ed Egli stesso è più vicino di quanto possa essere chiunque altro, tanto accessibile quanto sicuramente Egli è un Dio di grazia”.
“Quel favore del quale tu parli mi è sempre sembrato una sorta di nebbia, con la quale non posso far nulla”.
“Di’ piuttosto che si tratta del luminoso bagliore del sole che la nebbia nasconde ai tuoi occhi”.
“Si, si, io ti credo; come potrò però passare oltre a questa cortina di nebbia? Mi sembra così difficile e così lungo!”.
“Sei solo tu ad aver reso distante e difficile ciò che Dio ha reso semplice e vicino e facile”.
“Intendi dire che non vi siano difficoltà di sorta?”.
“In un certo senso mille, in un altro senso nessuna”.
“Che vuoi dire?”.
“Forse che il Figliolo di Dio ha frapposto difficoltà ed ostacoli sulla via del peccatore quando ha detto: ‘Venite a me, ed io vi darò riposo’?”.
“Certo no; Egli desiderava che andassero a Lui subito: proprio come Lui stava là ed essi con Lui, Egli avrebbe dato loro riposo”.
“Allora, se tu ti fossi trovato là con loro, pensi forse che avresti avuto difficoltà?”.
“No, nessuna; parlare di difficoltà se fossi stato al fianco stesso del Figliolo di Dio sarebbe stato follia, o peggio”.
“Forse che il Figliolo di Dio intendeva parlare di difficoltà per il peccatore quando Egli si trovava presso il pozzo di Giacobbe, vicino a quella samaritana? Forse che le difficoltà non erano state prevenute o eliminate quando Egli aveva detto: ‘tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato’?”.
“Si, senza dubbio; il tutto si limitava al chiedere ed al ricevere. L’intera transazione sarebbe terminata in quello stesso luogo. Tempo e spazio, distanza e difficoltà, non hanno nulla a che vedere con l’intera questione; il dare sarebbe seguito al chiedere come logica conseguenza. Tutto questo è molto chiaro. Ancora però ti chiedo: non esiste qui alcuna barriera?”.
“No, proprio nessuna, se il Figliolo di Dio davvero è venuto per salvare il peccatore. Se Egli fosse venuto solo per coloro che sono parzialmente perduti, o che potessero solo in parte salvare sé stessi, la barriera sarebbe infinita. Questo lo ammetto, anzi, insisto a questo riguardo”.
“L’essere perduto, quindi, è forse una barriera al nostro essere salvato?”.
“E’ una domanda stupida, che merita una risposta altrettanto stupida. Forse che il tuo aver sete è un’ostacolo al ricevere acqua, o l’essere povero un ostacolo dal ricevere ricchezze come dono da parte di un amico?”.
“E’ vero, è proprio la mia sete che mi rende adatto a ricevere acqua e la mia povertà che mi rende adatto a ricevere denaro”.
“Si, il Figlio dell’Uomo non è venuto per chiamare i giusti ma per chiamare a ravvedimento dei peccatori. Se tu non fossi del tutto un peccatore, allora si che ci sarebbe una barriera; e se sei totalmente un peccatore, allora proprio non ce n’è alcuna”.
“Totalmente un peccatore? Questo io sono davvero?”.
“Non c’è dubbio. Se ne dubiti, va e investiga la tua Bibbia. La testimonianza di Dio al riguardo è che tu sei completamente un peccatore, e che devi presentarti davanti a Lui proprio come tale, perché non è il sano che ha bisogno di un medico, ma il malato”.
“Completamente peccatore, bene!- ma forse che io non dovrei liberarmi di qualche mio peccato prima di potermi aspettare da Lui una benedizione?”.
“Indubbiamente no. Egli solo può liberarti anche del più piccolo peccato, e tu devi subito andare a Lui con tutto ciò che di male tu possiedi, sia poco che molto. Se tu non fossi completamente un peccatore, non avresti completamente bisogno di Cristo, perché Egli è Salvatore in modo assoluto; non è che Egli ti aiuti a salvare te stesso, né tu puoi aiutarlo a salvarti. O Lui fa tutto, oppure niente. Mezza salvezza andrebbe bene solo per quelli che sono mezzi perduti. “Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pi. 2:24).
Era proprio in un modo molto simile a quello che abbiamo descritto che Lutero trovò la strada che porta alla vera pace e libertà in Cristo. La storia di questa liberazione è istruttiva perché mostra come la pietra di inciampo della propria giustizia possa essere rimossa dalla rivelazione dell’Evangelo in tutta la sua gratuità. Difatti l’Evangelo è la buona notizia dell’amore di Dio verso colui che è incapace ad amare e lungi dall’amare egli stesso, la buona notizia del perdono per il peccatore, senza merito e senza denaro, la buona notizia della PACE CON DIO, soltanto per l’opera espiatoria di Colui che ha fatto la pace mediante il sangue che ha versato sulla croce.
Una delle prime difficoltà di Lutero è che egli sente di dovere egli stesso operare l’espiazione per i suoi peccati e che, fatto questo, egli dovesse presentarla a Dio come sacrificio in grado di ingraziarsi ai Suoi occhi, o almeno come raccomandazione per mitigare la pena che egli riteneva di dovere scontare. “Come posso osare credere nel favore di Dio”, diceva, “fintanto che in me non si trova una vera conversione? Io devo cambiare in me stesso, prima che Egli possa accogliermi”.
Egli però giunse al convincimento che la sua “conversione” o “penitenza” che tanto desiderava, non avrebbe potuto mai aver luogo fintanto che avesse considerato Dio come un Giudice severo e privo di amore. E’ la bontà di Dio che conduce al ravvedimento (Ro. 2:4) e se non si giunge a riconoscere questa “bontà” non vi può essere alcuna conversione del cuore. Un peccatore impenitente è un peccatore che disprezza le ricchezze della Sua bontà, pazienza e longanimità.
L’anziano confessore di Lutero però gli dice chiaramente che deve farla finita con penitenze e mortificazioni e con tutti questi vani tentativi di propiziarsi il divino favore. Quella voce, Lutero ci dice con emozione, sembrava essergli venuta dal cielo: “L’autentico ravvedimento comincia con la conoscenza dell’amore di Dio che perdona”.
Così, mentre ascolta, la luce irrompe, ed una gioia sconosciuta lo pervade. Non c’è più nulla fra lui e Dio, nulla fra di lui ed il perdono! Non è più necessaria alcuna bontà preliminare, nessun sentimento preparatorio! Egli impara la lezione dell’Apostolo: “Cristo è morto per gli empi” (Ro. 5:6); Dio “giustifica gli empi” (Ro. 4:5). Tutto il male che è in lui non può impedire questa giustificazione; e tutta la bontà che è in lui (se mai ce ne fosse alcuna) non può essergli di alcuna utilità per ottenerla. Egli deve essere ricevuto proprio come un peccatore, altrimenti non c’è accoglienza alcuna. Il perdono che gli viene offerto riconosce solo la sua colpevolezza, e la salvezza che gli è provveduta nella croce di Cristo lo considera semplicemente come perduto.
Il senso di colpa, però, è troppo profondo per essere messo così semplicemente a tacere. La paura gli torna sempre di nuovo, così ritorna dal suo anziano confessore, gridando: “Oh il mio peccato, il mio peccato!” come se il messaggio di perdono che aveva appena ricevuto fosse troppo bello per essere vero, e come se peccati come i suoi non potessero essere tanto facilmente e semplicemente perdonati.
“Che? saresti tu solo un finto peccatore, e quindi nel bisogno solo di un finto Salvatore?”. Così parlò il venerabile amico, e poi aggiunse solennemente: “Sappi che Gesù Cristo è il Salvatore di grandi e veri peccatori, i quali altro non meritano che assoluta condanna”.
“Però Dio non è forse sovrano nel Suo amore che elegge?”, disse Lutero, “forse io non sono fra i Suoi eletti”.
“Guarda alle ferite di Cristo”, fu la risposta, “e impara là la volontà di grazia che Dio manifesta verso i figli degli uomini. In Cristo leggiamo il nome di Dio, ed apprendiamo ciò che Egli è e quanto ci ami; il Figlio è il Rivelatore del Padre; ed il Padre ha mandato il Figlio per essere il Salvatore del mondo”.
“Io credo nel perdono dei peccati”, disse Lutero ad un amico un giorno, giacendo ammalato a letto, “ma in che modo questo può riguardare anche a me?”.
“Ah, disse il suo amico, “forse che questo non include anche i tuoi peccati? Tu credi nel perdono dei peccati di Davide, come pure di quelli di Pietro, e perché non anche dei tuoi? Il perdono vale per te tanto quanto valeva per DAVIDE e per PIETRO”.
Così Lutero trovò riposo. L’Evangelo, così creduto, gli portò libertà e pace. Egli sapeva di essere perdonato perché Egli disse che il perdono era l’immediato e sicuro possesso di tutti coloro che credono nella Buona Notizia.
Per risolvere il contenzioso fra il peccatore e Dio, non è possibile oggi alcun patteggiamento o risarcimento di sorta: l’unica base di intesa è stata posta mille ottocento anni fa. Allora su una croce avvenne una stupefacente transazione, là venne pagato tutto ciò che avrebbe saldato il prezzo del peccato. Ai figli degli uomini nella loro iniquità, Dio rivolge così un unico messaggio: “E’ compiuto”. Questa transazione completa va al di là di tutto ciò che l’essere umano, nei suoi sforzi, poteva fare per giustificare sé stesso o per assistere Dio nel giustificarlo. Noi guardiamo a Cristo crocifisso, in Lui Dio riconciliava il mondo a Sé stesso, non addebitando più agli uomini i loro peccati. Questo non-addebitamento è solo il risultato di ciò che è avvenuto alla croce, laddove veniva compiuto il trasferimento del debito umano al Garante, che avrebbe pagato per tutti.
“Ma non sono forse in debito verso lo Spirito Santo per ciò che Egli opera nella mia anima?”.
“Senza dubbio; perché quale speranza ci potrebbe mai essere per l’uomo senza lo Spirito onnipotente, che risveglia i morti?”.
“Se è così, allora non dovrei forse io attendere i Suoi impulsi e, una volta ricevuti, non potrei presentare io i sentimenti che Egli ha operato in me come ragione per cui io dovrei essere giustificato?”.
“No, in nessun modo. Tu non vieni giustificato per l’opera dello Spirito, ma solo per l’opera di Cristo; né si può dire che ciò che opera lo Spirito in te sia la base per cui tu possa aver fiducia di essere salvato, oppure la ragione per cui tu ti possa aspettare che il Giudice di tutti ti perdoni. Lo Spirito opera in te, non per prepararti ad essere giustificato, o per renderti degno del favore di Dio, ma al fine di portarti alla Croce, proprio così come sei. La Croce, infatti, è l’unico luogo dove Dio tratta i trasgressori con misericordia”.
E’ alla Croce che noi incontriamo Dio in pace e che riceviamo il Suo favore. Là vi possiamo trovare non solo il sangue che ci purifica, ma anche la giustizia che ci riveste e ci rende gradevoli. Da quel momento in poi noi veniamo trattati come se la nostra ingiustizia fosse stata cancellata e la giustizia del Suo proprio Figlio fosse di fatto la nostra.
Questo è esattamente ciò che l’Apostolo chiama ‘giustizia imputata’ o ‘accreditata’ (Ro. 4:6,8,11,22,24), la giustizia che Dio ci assegna affinché noi si abbia titolo alle benedizioni che solo una tale giustizia ci potrebbe lucrare. Quella giustizia che da soli noi potessimo raggiungere, o che qualcuno mettesse dentro di noi sarebbe piuttosto una giustizia infusa, o impartita, o inerente. La giustizia però che appartiene ad un altro e che Dio ci accredita come se fosse la nostra, la chiamiamo giustizia imputata. E’ di questo di cui parla l’Apostolo quando dice: “siate rivestiti del Signore Gesù Cristo” (Ro. 13:14; Ga. 3:27). E’ in questo modo che Cristo ci rappresenta: Dio infatti tratta con noi attraverso il nostro Rappresentante. Una giustizia a noi interiore ne è solo la conseguenza, necessaria ed inseparabile; noi però non dobbiamo attendere di conseguirla per poterci recare presso di Dio per ottenere la giustizia del Suo unigenito Figlio.
La giustizia imputata ci deve poter essere data per prima. Non potrai conseguire una giustizia interiore fintanto che non otterrai una giustizia esteriore. Pretendere di conseguire da soli una giustizia che possa pagare il prezzo dovuto a Dio per quella di Suo Figlio, significa disonorare Cristo e rinnegare la Sua croce. L’opera dello Spirito non è tesa a farci diventare santi per potere avere diritto al perdono da parte di Dio, ma a mostrarci la Croce, là dove potremo trovare il perdono verso coloro che santi non sono. Avendo così trovato il perdono presso la Croce, allora potremo iniziare la vita di santità alla quale siamo stati chiamati.
Ciò che Dio presenta al peccatore è un perdono immediato, “Non per opere di giustizia che noi avremmo potuto fare”, ma per la grandiosa opera di giustizia che è stata compiuta per noi dal Sostituto. Il titolo che abbiamo per ottenere quella giustizia, è proprio il fatto di essere ripieni di ingiustizia, proprio come il titolo, ciò che qualifica il malato per l’intervento del medico è che egli sia malato.
L’Evangelo non dice nulla di una bontà preliminare, preparatoria al perdono. Gli apostoli non hanno mai parlato di un sentimento religioso necessariamente requisito per poter ricevere la grazia di Dio. Forse ci possono essere state nel peccatore, prima di aver ricevuto la buona notizia dell’Evangelo: timori, preoccupazioni, esame di sé stesso, dolorose invocazioni di misericordia, un senso profondo del giudizio a venire, e risoluzioni di emendamento di sé stessi. Queste cose però non costituiscono ciò che qualifica il peccatore al perdono. Egli sarebbe stato accolto benissimo anche senza di queste. Esse non rendono il perdono più completo, o più libero. Gli unici argomenti che poteva vantare il peccatore erano i suoi bisogni: “Dio, abbi misericordia di me peccatore”. Egli aveva bisogno di salvezza, se l’è andata a cercare presso Dio, e l’ha trovata proprio perché ne aveva bisogno, e perché Dio si compiace di venire incontro al povero ed al bisognoso. Egli aveva bisogno di perdono, se l’è andato cercare presso Dio, e l’ha ottenuto senza meriti e senza denaro. “Proprio quando egli aveva NULLA CON CHE PAGARE, Dio generosamente gli aveva perdonato”. Era proprio l’avere nulla con cui pagare che aveva sollecitato il Suo franco perdono.
Ah si, questa davvero è grazia. “Questo è l’amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Egli ha amato noi!”. Egli ci ha amato, non perché eravamo ricchi di bontà, ma perché Lui è “ricco in misericordia”; non perché noi eravamo degni del Suo favore, ma perché Egli si compiaceva nel manifestare verso di noi la Sua generosità. Il fatto che Egli ci accolga volentieri deriva solo dal fatto che Egli è buono, non perché noi si sia amabili. “Venite a me voi tutti che siete stanchi ed aggravati, ed io vi darò riposo”. Si, Cristo invita chi è stanco! E’ il fatto che voi siete “stanchi ed aggravati” che vi rende passibili del Suo intervento in vostro favore. Qui c’è la stanchezza, e là c’è il luogo per riposare! Essi sono strettamente collegati. Dici forse: “Questo luogo di riposo non è per me”. Che? Non è forse per chi è stanco? Dici forse: “Non ne posso fare uso”. Che? Stai forse dicendo: “Sono così stanco che non posso sedermi”?. Se tu avessi detto: “Sono così stanco che non mi reggo più in piedi, né posso più camminare o scalare quel monte”, ti potrei ben capire. Dire però: “Sono così stanco che non posso sedermi” non è altro che follia, o peggio, perché tu consideri il tuo sederti un merito ed un’opera. Forse che supponi che sederti sia un così grande lavoro da richiederti un lungo e prodigioso sforzo?
Ascoltiamo allora le parole di grazia del Signore: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva” (Gv. 4:10). Tu avresti chiesto, ed Egli ti avrebbe dato! Questo è tutto! Quanto vero, reale, e generoso è tutto questo! Quanto è semplice! Oh, ascoltiamo ancora la voce del servo nella persona di Lutero: “Oh, mio caro fratello, impara a conoscere Cristo e Lui crocifisso. Impara a cantare una nuova canzone; a disperare del tuo lavoro precedente, e a gridare a Lui, al Signore Gesù Cristo. Tu sei la mia giustizia ed io sono il tuo peccato. Tu hai preso su di te ciò che era mio, è mi hai dato ciò che era Tuo. Quello che io ero, tu lo sei diventato, affinché io potessi essere quello che non ero. Cristo dimora solo con dei peccatori. Medita spesso tu questo amore di Cristo, e tu gusterai la sua dolcezza”.
Si, perdono, pace, vita: tutti doni, doni divini, portati dal cielo dal Figlio di Dio, donati personalmente a ciascun peccatore bisognoso dal Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Non possono essere comprati, ma solo ricevuti, allo stesso modo in cui si riceve la luce del sole, in modo sicuro e generoso. Essi non possono essere guadagnati o meritati con lo sforzo o con la sofferenza, né con preghiere o lacrime, ma solo accettati subito, come l’acquisto del lavoro e della sofferenza del nostro grande Sostituto. Non devono essere attesi, ma presi subito sul posto., senza esitazione o sfiducia, come si riceve il dono d’amore di un amico generoso. Essi non devono essere pretesi perché ne fossimo degni o meritevoli, ma ricevuti perché ne siamo indegni e bisognosi, dalla nostra povertà e indegnità.
2. Qual è la mia speranza?
“Speravo di avere già a quest’ora raggiunto la vetta, e invece...”, disse un vecchio che, in un gradevole mattino d’autunno, aveva deciso di scalare un monte dietro casa. Aveva però sbagliato strada, e si era allontanato da quella vetta più di quanto ne fosse lontano alla partenza. Era così tornato a casa, stanco e deluso. Come coloro di cui parla Giobbe, era rimasto deluso, nonostante la sua aspettativa (Gb. 6:20).
“Pensavo così di trovare la felicità, e invece...”, disse un giovane, mentre stava al timone del suo splendido yacht che procedeva sotto un bel sole. Con tutto i suoi soldi, e con tutti i piaceri che con i soldi si possono acquistare, era più annoiato e più triste di quanto mai avesse creduto dieci anni prima, quando aveva deciso di “godersi la vita”. Aveva sbagliato tutto e la sua anima era più vuota che mai. Singhiozzando, si era guardato attorno invano solo, fra delle onde blu che non lo avrebbero potuto aiutare. Si era trovato confuso, perché aveva riposto la sua speranza su cose sbagliate. Erano passati gli anni, e si era solo allontanato sempre di più dalla felicità. In tutti i suoi pensieri Dio era stato per lui il grande assente.
“Pensavo proprio che avrei avuto pace con Dio, e invece...”, disse un’uomo di sessant’anni una domenica mattina mentre si recava alla casa di Dio. Gli sembrava però che fosse più lontano che mai dalla pace. Il pensiero poi degli anni che passavano e lo avvicinavano alla fine della vita, senza avere ancora provveduto per la sua eternità, lo rendeva molto triste. Egli aveva sbagliato strada. Aveva lavorato sodo, pregato, digiunato, compiuto molte opere buone... aveva fatto tutto meno che una cosa -non aveva ancora affidato la sua vita a Cristo. Non aveva ancora considerato tutto una perdita rispetto a Cristo, non aveva ancora fatto riposare la sua anima nel solo rifugio in cui avrebbe potuto trovare vero riposo. La sua vita era stata una vita impostata al “fare”, non una vita impostata sul “credere”, sul “dubitare” e non sull’”avere fiducia”, e proprio le sue speranze infondate lo avevano deluso. Avrebbe potuto accogliere Cristo molti anni prima, però lui aveva preferito fare a modo suo, ed aveva continuato i suoi sforzi laboriosi per raccomandarsi a Dio attraverso le sue “devozioni” e le sue “opere”. La pace per cui tanto operava non era venuta; e la pace per cui il Figlio di Dio aveva operato, e che Egli aveva compiuto per il peccatore, egli non l’aveva ancora accolta.
Una cosa è sperare, altra cosa è sperare bene ed in verità. Sperare rettamente significa sperare secondo quanto Iddio ci ha rivelato al riguardo del nostro futuro.
E’ stato scritto molto su “i piaceri della speranza”, e di questi “piaceri” molto di vero e di bello, perché di fatto essi sono molti, ed è importante che ci si aggrappi ad essi in tempo di tenebre e di disperazione. Non è sbagliato sperare. Iddio ha posto la speranza in ogni cuore umano, e il libro di Dio parla molto delle “cose che si sperano”. Un motto molto espressivo che molti amano citare dice: “la speranza non è mai perduta”. La speranza à “l’ancora dell’anima” e come tale viene rappresentata in immagini ed emblemi, un’ancora fermamente fissata su una solida roccia, la quale tiene saldamente un vascello sbattuto dalle onde e dal vento.
Per poter però essere l’ancora dell’anima, la speranza dovrà necessariamente essere qualcosa di migliore e più sicuro di ciò che di solito viene considerato tale. Spesso infatti le umane speranze non sono che fantasie e pii desideri; ed anche quando esse vanno oltre questi ultimi, e si occupano di ciò che è legittimo e verace, non è possibile dare loro completa fiducia perché durano solo per un tempo. Esse deludono e non soddisfano. Di esse non si può confidare che per un giorno. “Vanità delle vanità -dice il predicatore- tutto è vanità”.
Una sera d’agosto, poco prima del tramonto, vedemmo apparire improvvisamente un arcobaleno. Sembrava sorgere dalle nuvole nere che occupavano il cielo, ed attirò i nostri sguardi per la sua completezza, perché di nulla sembrava carente, né per colore né per posizione: tutto era perfetto. Seppure fosse, però uno dei più chiari che mai avevamo visto, fu pure uno dei più effimeri. Era appena apparso ed aveva preso il suo posto fra le nuvole, che ben presto era scomparso. Quel bell’arcobaleno era come la speranza dell’uomo, tanto breve quanto luminosa, tanto deludente quanto era stato promettente. Si era sciolto nel cielo, anche se nessuna mano l’avesse toccato e nessuna tempesta l’aveva scosso, ed aveva lasciato dietro solo una nuvola priva di gioia, quella stessa nuvola che poco prima aveva illuminato. “Che cos’è l’uomo?” aveva detto. Che cosa sono le sue speranze, le sue gioie, i suoi progetti? Essi sorgono e poi tramontano; vengono e se ne vanno; brillano, poi ritornano nelle tenebre. “Le cose visibili sono solo per un tempo”.
Ricordo di un giorno speciale, nel deserto del Sinai, -un giorno non esattamente di pioggia, ma di scrosci improvvisi alternati a chiari raggi di sole. Al di sopra di alte rocce nere, alla nostra sinistra una sottile nebbia si muoveva fra i precipizi. Su queste rocce si formavano in rapida successione, arcobaleno dopo arcobaleno, sei o sette, che apparivano e presto sfumavano, i più chiari ma anche i più evanescenti che mai avevo visto, tanto simili a ciò che è reale e permanente e, al tempo stesso così irreale e transitorio. Quanto simili essi erano ai sogni ed alle speranze dell’uomo, che deludono ed ingannano il cuore umano con una bellezza tanto effimera! A tali sogni e speranze si appiglia il povero cuore, non soltanto durante la sua gioventù, ma anche nella sua tarda età; e mediante queste vane lucentezze egli viene portato via da Colui che è più luminoso di tutte le luminescenze di questo mondo, “lo splendore della gloria di Dio e l’impronta della sua essenza, la cui gloria non cambia ed è lo stesso, ieri, oggi, e in eterno”.
Oh uomo, quando mai tu sarai abbastanza saggio per fissare i tuoi occhi solo su ciò che dura in eterno, su ciò che riempie la terra e rallegra la tua anima per tutta l’eternità?
C’era una vecchia famiglia scozzese, proprietaria di vaste estensioni di terra e che aveva vissuto per molti anni in magnifica armonia. Una sera essi si erano radunati, insieme a parenti ed amici, -padre, madre, sorelle, cugini, con l’erede delle loro proprietà al centro del loro circolo felice. In pochi anni tutto sarebbe però cambiato, ed ogni membro di quel circolo, che allora sedeva gioiosamente intorno a quel focolare, sarebbe stato deposto nella tomba di famiglia. L’intera proprietà sarebbe passata ad altre mani e solo più i vecchi alberi, agitati dal vento, avrebbero dato loro l’ultimo saluto. Le speranze che brillavano quella sera sul loro volto sarebbero state rapidamente infrante, e sarebbe stato tristemente sotto gli occhi di tutti quanto fragili sono le faccie più belle della terra e i sentimenti più preziosi. Quando ancora oggi guardo a quella che era stata la lussuosa dimora di quella famiglia, non posso che ripensare a quel testo biblico che mette in rilievo la vanità delle umane aspettative. In un mondo che muore come questo, abbiamo bisogno di una speranza sicura che non possa perire.
E’ stato scritto: “Tu distruggi la speranza dell’uomo”, ed è proprio così. Non è soltanto la speranza dell’uomo ad andare a pezzi da sola, ma è Dio stesso che la distrugge anzitempo. Cresce in una notte ed appassisce in una notte perché Iddio la colpisce. L’uomo non può confidare nella durata delle cose terrene. Esse diventano idoli che devono essere infranti, perché “gli idoli saranno interamente aboliti”. Le speranze che tanto ci rallegrano di un luminoso futuro quaggiù -lunga vita, salute, conforto, denaro, prosperità- devono essere sfidate, altrimenti faremmo della terra la nostra dimora stabile ed il nostro paradiso, dimenticando la gloria che dovrà essere rivelata, ed i piaceri che stanno alla destra di Dio per sempre. “Io riprendo e castigo tutti quelli che amo; abbi dunque zelo, e ravvediti”.
Dio, però, non spegne alcuna speranza senza nel contempo accenderne una più luminosa, una che duri per sempre; perché Egli non si prende gioco della creatura che ha fatto, né fa appassire senza ragione i fiori più belli, e questa ragione è carica di sapienza e di amore. Egli si prende cura di noi. Egli desidera il nostro bene. Farebbe di tutto per renderci felici. Ci ama troppo per ingannarci con dei sogni.
Le speranze umane devono essere distrutte affinché sulle loro rovine possano essere edificate quelle divine. Ciò che è umano viene spazzato via, solo perché al posto possa subentrare ciò che è divino. E’ un gesto di misericordia quello di strapparci dalle mani ciò che è temporale, affinché ciò che è eterno possa diventare nostra eredità e porzione.
C’è quindi ciò che Dio chiama “la speranza MIGLIORE” -una speranza piena di immortalità che porta con sé una pace che va oltre ad ogni comprensione, che contiene una gioia indicibile ed è piena di gloria. Di essa non saremo mai delusi: non è una presa in giro! E’ certa e gloriosa, come Colui da cui essa viene. E’ congiunta con una corona, con un’eredità, con un regno, con una gloria immarcescibile, con un’eternità di gioia tale che occhio non ha mai veduto né orecchio ha mai sentito.
La speranza che Dio pone dinnanzi a noi non è cosa dubbiosa, ma sicura e gloriosa. Essa si fonda sul Suo Evangelo, nel credere al quale noi diventiamo uomini di speranza. Perché null’altro che l’Evangelo ci può dare un raggio di speranza, almeno ciò che Dio stesso chiama con quel nome. Un’Evangelo creduto ci porta pace e, con la pace, esso ci porta la speranza. La pace è certa e costante, e così è pure la speranza che esso porta.
L’evangelo è la buona notizia che riguarda Colui che morì, che fu sepolto e che risorse. I trentatre anni che vanno dalla Sua culla alla Sua croce abbracciano l’intera estensione della buona notizia. Il racconto della Sua nascita, della Sua vita e della Sua morte contiene tutto ciò che abbiamo bisogno di conoscere per ottenere la pace. Questa pace entra nell’anima di colui che riceve questo divino racconto, ed in questi essa prende dimora -pace nel credere, pace con Dio tramite il nostro Signore Gesù Cristo. Questa pace appartiene a “colui che non opera, ma crede” (Ro. 4:5), e colui che ha questa fede ha pure la speranza, una speranza della quale non saremo mai svergognati.
Che benedetta unione questa di pace e di speranza! Noi non possiamo ottenere la speranza senza la pace, e noi non possiamo avere la pace senza la speranza (Ro. 5:1,2). Credere nella buona notizia ci rende partecipi di entrambi.
In questo davvero sta l’amore! Perché qui vediamo che Dio non provvede solo per il nostro presente, ma anche per il nostro futuro: egli pone davanti a nostri occhi una corona ed un regno e, nel contempo, ci dona di essere in pace con Lui qui sulla terra fintanto che venga il Suo regno. In questo sta l’amore! In questo vediamo Dio nella Sua compassione che prosciuga i pozzi terreni, e che allo stesso tempo ci rende disponibili i pozzi della salvezza, “la fonte dell’acqua della vita”.
Alza i tuoi occhi, oh uomo, e guarda al futuro che giace davanti a te! Come sarà? Oscuro o luminoso? La tua vita non è che un vapore. Non vorresti vederti assicurata la vita eterna? Deciderlo è alla tua portata. Dipende dall’accettare Colui che è venuto per portare speranza al disperato, vita al morto, pace a colui che è turbato, riposo allo stanco. Ciò che Egli fece morendo sulla croce è quello stesso in cui devi confidare per l’eternità. E’ un luogo di riposo sicuro. Non ne hai bisogno d’altri. Colui che crede entra in questo RIPOSO!
Si, colui che crede può accedere ad una vita nuova, e comincia un nuovo cammino -un cammino che corrisponde alla fede che realizza sia la grazia della Croce che la gloria del regno. “Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura”, e quello stesso Spirito Santo che l’ha spinto alla Croce, gli vien dato affinché segua Cristo, e sia santo, come Egli è santo.
3. Al mio posto
Molti anni fa, stavo camminando con un mio amico lungo la riva di un dolce fiume scozzese nei primi mesi dell’estate, quando gli alberi avevano appena iniziato a mostrare il verde e ad offrire ombra dal sole. Un uomo vestito poveramente ci venne incontro chiedendo la carità. Cercammo di venire incontro in qualche modo alle sue necessità e ci intrattenemmo con lui a conversare. Non poteva né leggere né scrivere. Non sapeva nulla della Bibbia e pareva nemmeno curarsi di saperne qualcosa.
“Lo sa che ha bisogno di essere salvato?”.
“Suppongo di si”, disse. “Ma conosce il modo per essere salvato?” gli chiedemmo. “Credo di si” fu la risposta. “Qual è secondo lei?”. “Credo di essermi sempre comportato bene e cerco di fare anche tutto il bene che posso”. “Ma le sue buone opere sono sufficienti per farle guadagnare il paradiso?”, gli chiedemmo. “Credo di si. Faccio del mio meglio”. “Conosce forse buone opere migliori delle tue?”. “So delle opere dei santi, ma come potrò io mai raggiungerle?”, egli chiese. “Non conosce lei forse opere migliori di quelle dei santi?”. “Io non penso che ve ne siano di migliori”, disse. “Non sono forse le opere di Gesù Cristo migliori di quelle dei santi”. “Naturalmente, ma che utilità possono esse avere per me?”. “Oh, ci possono essere molto utili, se noi crediamo a ciò che Dio ha detto a loro riguardo”. “E cioè cosa?”. “Senta: se Dio fosse disposto ad accettare queste opere in suo favore al posto delle sue, non crede che questo potrebbe giovarle?”. “Si, lo potrebbe, ma farebbe mai Dio una cosa del genere?”. “Si,” rispondemmo, “Egli lo vuole fare; Egli è pronto a prendere tutto ciò che Gesù ha fatto e sofferto al posto di tutto ciò che lei ha fatto e sofferto; come pure accreditarle tutto ciò che Cristo ha meritato al posto di ciò che lei ha meritato”.
“E’ davvero così? Davvero Dio è disposto ad accettare le opere di Cristo al posto delle mie?”. “Si, certamente” dicemmo. “Ma non devo forse compiere io delle buone opere?”. “Si, molte,” rispondemmo, “ma non per comprarsi con esse il perdono. Come prezzo da essere pagato per il perdono, deve prendere ciò che Cristo ha fatto e poi, avendo così ottenuto il perdono per grazia, compirà delle opere alla gloria di Colui che l’ha perdonato, come espressione di amore e di riconoscenza verso di Lui”.
“In che modo posso far accadere tutto questo nella mia vita?”, chiese. “Credendo all’Evangelo, o ‘buona notizia’ che parla del Signore Gesù Cristo, di come visse, di come morì, di come fu sepolto, e di come risorse dai morti -e tutto questo per i peccatori. La Bibbia dice infatti: ‘per mezzo di lui vi è annunciato il perdono dei peccati, e mediante lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose’”.
Il mendicante, all’udire questo, rimase pensieroso ed allibito. Il pensiero che l’opera di un altro avesse potuto essere accreditata in suo favore e che egli avesse potuto ricevere ciò che un altro meritava, lo aveva colpito profondamente come qualcosa di inaudito, qualcosa che gli sembrava troppo bella per essere vera.
Da allora ho avuto molte altre occasioni di presentare questa verità, di illustrare l’Evangelo e di vedere la gente reagire con stupefazione. La meraviglia di quell’uomo nell’udire che l’opera di un altro avesse potuto essergli accreditata, era in sé stessa un’illustrazione degli effetti che produce l’Evangelo di Cristo. “Cristo per noi” è il messaggio che noi portiamo; Cristo che “porta i nostri peccati nel Suo proprio corpo sul legno”; Cristo che compie quello che noi avremmo dovuto compiere, che porta quello che noi avremmo dovuto portare; Cristo inchiodato sulla nostra croce, che muore la nostra morte, che paga il nostro debito -tutto questo ci porta a Dio, e fa si che sia nostra la vita eterna; questa è la sicura parola dell’Evangelo, che chiunque crede viene salvato, e non dovrà mai più essere condannato.
Vi sono alcuni che non sanno che cosa significhi la parola “sostituto” nella vita comune, ma è bene che noi si consideri come la giusta conoscenza di questa parola sia la chiave stessa della comprensione dell’Evangelo. “Cristo per noi”, o “Cristo, il nostro Sostituto”, è l’Evangelo o ‘buone notizie di una grande gioia’ che gli apostoli predicavano, e che noi possiamo annunciare, anche in questi ultimi giorni, ai figli degli uomini, come loro autentica speranza. La buona notizia che noi annunziamo non è ciò che ci viene comandato di fare affinché Dio possa essere riconciliato con noi, ma ciò che il Figlio di Dio ha fatto al nostro posto. Qui, sulla terra, Egli ha preso il nostro posto, affinché noi potessimo prendere in cielo il Suo posto. Come il Perfetto, nella vita e nella morte, come il Servo e il Sofferente, Egli viene presentato a noi affinché noi si possa ottenere il beneficio completo di quella perfezione non appena noi riceviamo il Suo Evangelo. Tutte le nostre imperfezioni, per quanto grandi, si perdono nella completezza della Sua perfezione, cosicché Dio non ci vede come noi siamo, ma come Lui è. Tutto ciò che noi siamo, abbiamo fatto e siamo stati, si perde in ciò che Lui è, ha fatto ed è stato. “Colui che non conobbe peccato, è stato reso peccato per noi, affinché noi potessimo essere resi giustizia di Dio in Lui”.
E’ proprio su questa completezza del ‘portare il peccato’ da parte del Figlio di Dio come nostro Sostituto, che il peccatore trova la sua pace. E’ su questa base soltanto che possiamo aver rapporto con Dio. Abbiamo infatti bisogno di un Portatore di peccato, e Dio ce ne ha dato uno che è al tempo stesso perfetto e divino. “Il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti”. “Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce”.
Una volta trattai questa verità con un giovane. Sedeva, con la Bibbia davanti a sé, riflettendo sulla via che porta alla vita e chiedendosi: “Che cosa devo fare per essere salvato?”. Era nelle tenebre, e non vedeva luce alcuna. Era un peccatore -come avrebbe potuto essere salvato? Era colpevole -come avrebbe potuto essere perdonato?
“Non per mezzo di opere giuste che noi avessimo fatto”, no certamente, ma come? Questo era il problema che egli si poneva. “Mediante Cristo, che opera tutto ciè che è necessario”. “Ma questo è possibile?” chiedeva. “Per essere salvato non dobbiamo fare nulla”, gli replicammo. “Ma ditemi come questo possa avverarsi”.
“Ritorniamo alla verità sul Sostituto. Sai di che cosa si tratta?”. “Si, certo, ma in che modo questo può applicarsi al mio caso?”. “Cristo offre sé stesso per essere il tuo Sostituto, per fare Lui quello che tu avresti dovuto fare, per soffrire Lui quello che tu avresti dovuto soffrire, per pagare Lui quello che tu avresti dovuto pagare”.
“Intendete dire che Cristo di fatto abbia pagato il mio debito, e che questo è tutto ciò che io debba credere per essere salvato?”. “No, il tuo debito non sarà pagato fintanto che non credi; allora sarà pagato -pagato una volta per tutte, una volta per tutte e per sempre; ma non fintanto che tu non credi”. “Com’è che allora l’opera di Cristo, come mio Sostituto, diventa buona notizia per me?”.
“C’è abbastanza denaro depositato in banca per pagare due volte il tuo debito: tutto ciò che devi fare è farne domanda. Ricevi poi la notifica di accredito, e il denaro sarà a tua disposizione, subito”. “Si, comprendo”, disse, “E’ il ‘credere’ che mi mette in condizione di possedere di fatto tutti i frutti conseguiti dall’opera del Portatore del peccato sulla croce”.
“Si, proprio così. Lascia che la metta in un altro modo. Cristo è morto per i nostri peccati. Egli è il nostro Sostituto. Egli ti viene presentato come tale. Sei tu disposto ad accettarlo proprio in questa Sua funzione affinché possa pagare tutti i tuoi debiti e perdonare tutti i tuoi peccati?”. “Si, ma ne vorrei una spiegazione più dettagliata. Così mi sembra troppo semplicistico”.
“Beh, mettiamola così: Dio ha provveduto un Sostituto per il colpevole. Egli, diciotto secoli fa, ha sofferto per i peccati, il Giusto per gli ingiusti. Il Padre presenta a te questa sostituzione completa, e ti chiede di acconsentire a questo scambio. Il Figlio si presenta a te, offrendo di essere il tuo Sostituto. Lo Spirito Santo Lo presenta come tuo Sostituto. Acconsenti? Il Padre è disponibile a questo, il Figlio ne è disponibile, lo Spirito Santo ne è disponibile. Dai a questo il tuo consenso?”. “Il tutto si limita a questo?”, disse lui. “Si, il tuo consenso ad accogliere Cristo come il tuo Sostituto è la fede”. “Il tutto si limita a questo?”, disse ancora. E poi la luce irruppe su di lui. “Cristo come nostro Sostituto è l’alba di un nuovo giorno”.
Ecco così che viene spezzata la catena del peccatore e questi viene liberato affinché serva Dio. Prima libertà, poi servizio; il servizio umano reso libero dalla condanna e dalla schiavitù. E’ proprio accettando il divino Sostituto che il peccatore viene liberato per servire il Dio vivente. La libertà che fluisce dal perdono, così ricevuta, è il vero inizio di una vita santa.
Se dunque debbo vivere una vita santa, devo cominciare con il Sostituto. Io devo entrare in rapporto con Lui affinché io possa ricevere perdono e liberazione. Così, “essendo liberati dalle mani dei nostri nemici, noi serviamo Dio senza timore, in santità e giustizia, tutti i giorni della nostra vita”.
Se debbo servire Dio, e se io voglio conoscere veramente “la vera religione”, io devo cominciare con il Sostituto. Perché vera religione comincia con il perdono, e senza perdono la religione è solo esteriorità vuota e priva di significato. “Ma presso di te vi è perdono, affinché tu sia temuto” (Sl. 130:4). Questa è la parola d’ordine divina. Non primo il timore di Dio e poi il perdono; ma prima il perdono e poi il timore di Dio.
4. Il “molto tempo”
E’ il Signore Gesù stesso che ci ha dato queste parole in una delle Sue parabole. Egli dice: “Ora, dopo molto tempo, ritornò il signore di quei servi e fece i conti con loro” (Mt. 25:19). Così, seppure in un luogo Egli parli di “poco tempo”, in un altro Egli parla di “molto tempo”. Poco, ma grande; breve, ma lungo: entrambe queste cose sono vere; ed è proprio questa doppia valenza che può descrivere appieno il carattere della condizione umana quaggiù, la condizione di chi si prepara per il grande giorno del Signore. Dal giorno in cui il Maestro lasciò questa terra per riunirsi al Padre, fino al giorno in cui Egli tornerà in gloria per sedersi su quel temibile trono davanti al quale le nazioni si raccoglieranno per esservi giudicate, si tratta, in un certo senso, di un lungo tempo, calcolato in anni e secoli umani. In un altro senso, però, non è che un brevissimo tempo, se lo calcoliamo come Dio lo calcola, e lo compariamo con la vasta eternità in cui esso sarà inghiottito.
La vita non è che un vapore, ed è poca. La vita è un viaggio, un viaggio lungo. La vita la si può misurare con il palmo di una mano, e questo è poco; la vita è un periodo fatto di molti giorni, e settimane, e mesi, ed anni, e questo è molto. La vita è un corriere che corre veloce; la vita è un pellegrinaggio in cui si cammina lentamente. La vita è come l’aquila che rapida afferra la sua preda; la vita è il tempo di un breve soggiorno; la vita è come la navetta del tessitore; la vita è mediamente di ottant’anni, come un tempo era vicina al migliaio.
Per certi fini un giorno è un breve tempo, mentre per altri è un lungo tempo. Molto dipende da ciò che si intende fare in quel periodo e in tali casi, le nostre idee sul breve e sul lungo, sono influenzate dalla quantità di lavoro che dobbiamo fare. “Pareva un’eternità”, disse l’alpinista che era caduto nel crepaccio di un ghiacciaio, “fintanto che la mia guida sarebbe tornata dal chiedere aiuto nel più vicino villaggio”. Non si trattava però che di due ore, ma l’alpinista aveva misurato il tempo non con ore e minuti, ma con le sue sofferenze e con il pericolo che stava correndo in quel momento.
Una signora racconta così la visita che aveva fatto ad un vecchio contadino tedesco. Aveva un giardino in cui vi erano alcuni alberi di mele carichi di frutti. Ogni giorno quell’uomo camminava attraverso il suo giardino raccogliendo le mele che erano cadute. Quella signora l’aveva incontrato mentre era occupato proprio a fare questo.
“Non sei stanco, amico mio,” diceva lei, “a chinarti così spesso?”.
“No, no,” disse il contadino, sorridendo ed offrendole qualche mela matura. “Non mi stanco,” aggiunse, “Sto solo aspettando, aspettando. Anch’io penso di essere quasi maturo, presto anch’io cascherò, e il Signore mi raccoglierà”. E poi, parlando in tutta franchezza a quella signora, disse: “lei è ancora giovane, un bocciolo; si volti per ricevere i raggi del Sole di giustizia, affinché lei possa maturare bene”.
Qui c’era il “lungo tempo” di crescere e di maturare; non lungo in un senso, ma lungo in un altro; lungo abbastanza per crescere e crescere, lungo abbastanza per maturare e maturare. E’ proprio di un “lungo tempo come questo” di cui il Signore ci parla in questa parabola dei servitori.
Il poeta italiano, imprigionato crudelmente in un’oscura cella, viene rappresentato mentre pronuncia queste lamentevoli parole: “Lunghi anni, lunghi anni...”. Tali gli sembravano nella sua solitudine. In un senso molto simile noi spesso usiamo le parole: “per tutto il giorno”, e “per tutta la notte”, come pure: “per tutto l’anno”... Qui la parola “lungo” ha assunto un significato particolare, un significato che esprime non soltanto la reale lunghezza di quel tempo, ma pure il numero di eventi che si sono affollati in quel tempo, come se le prove che uno aveva dovuto sopportare fossero tali da allungare quel periodo.
Questo è l’importante senso dell’espressione: “molto tempo” al quale vorremmo che ora il pensiero del lettore si volgesse. Vorremmo fargli sentire tutta la responsabilità che grava su ognuno del “lungo tempo” che Dio ci ha dato per prepararci alla ventura eternità.
Dio non ci prenderà di sorpresa. Egli è troppo giusto e compassionevole per farlo. Prima di colpire Egli ci avverte, anzi, ce ne dà mille avvertimenti, anche durante la vita più breve. Ogni giorno è fatto di avvertimenti troppo chiari per essere equivocati, troppo forti per non essere uditi. Nessuno, nel grande giorno della resa dei conti, potrà dire: “Nessuno mi ha parlato di quello che sarebbe avvenuto; sono stato trascinato in questo tribunale senza che me ne fosse data alcuna previa comunicazione, né mi è stato dato tempo alcuno per prepararmi.
Un timoniere che faccia andare il suo vascello contro le rocce nel pieno del mezzogiorno, con gli occhi aperti per vedere la scogliera, e con gli orecchi aperti per udire i frangenti, non potrà giustificarsi in alcun modo. Molti vascelli, nei tempi passati, si infrangevano contro le rocce di Capo St. Abb sulla costa occidentale della Scozia quando il forte vento del Mare del Nord li spingeva verso una traditrice spiaggia a sottovento. Alcuni anni venne costruito in quel luogo un faro e un curioso “corno da nebbia” il quale, nella bruma, sia di giorno che di notte, faceva sentire la sua voce per miglia tutt’intorno. Nessun timoniere ora che faccia naufragare contro quelle temibili rocce la sua nave, può dire: “Non sono stato avvertito di esservi stato così vicino”, perché nelle notti chiare il fascio di luce del faro lo avverte del pericolo, e nella nebbia più spessa il “corno” emette la sua chiara voce per dire: “Attenzione!”.
Allo stesso modo la luce e la voce dal cielo, perpetuamente avverte i figli degli uomini dicendo: “Preparati ad incontrare il tuo Dio”. Gli avvertimenti di un giorno o di una settimana sono veramente molti! Gli avvertimenti di un anno quanti di più! Gli avvertimenti di un’intera vita innumerevoli! Nessuno potrà mai dire di essere perito senza esserne stato avvertito, o che Dio l’abbia colto di sorpresa. Il “corno da nebbia” che risuona nella caligine ha una voce tetra, e sembra la voce di uno che grida nel deserto: “Fuggite dall’ira a venire”, “ravvedetevi, ravvedetevi”, “volgetevi a me, perché mai vorreste morire?”. E’ Dio che giorno dopo giorno ci chiama con forte voce, e ci avverte del pericolo delle rocce affinché giungiamo al porto celeste in tutta sicurezza in Gesù Cristo, nostro Signore, l’unico porto che nessuna tempesta potrebbe mai raggiungere.
Dio ci dà abbastanza tempo per volgerci a Lui e vivere. Quando un insegnante dà un compito di alcune pagine ad un suo scolaro e gli dice: “Ti do una settimana per farlo”, egli gli accorda un “lungo tempo”, perché di fatto per svolgere il compito è necessaria un’ora soltanto. Così, quando Dio dice: “Cercatemi, e vivrete”, e “Riconciliatevi ora con Dio, e siate in pace”, e ci dà di tempo tutta una vita per farlo, Egli ci sta dando un “lungo tempo”. Così rimandiamo, temporeggiamo, rinviamo... passano gli anni, e non siamo più vicini a Dio di quanto lo eravamo prima. I nostri ritardi però non cambiano il lungo tempo. Siamo noi ad accorciarlo con la nostra follia; era già molto lungo per la semplicità della cosa che doveva essere fatta -l’unico passo necessario che ci poteva far avvicinare a Cristo e portarci sotto l’ombra della Sua croce. Per far quello ci sarebbe stato tempo abbastanza anche per la vita più breve, tanto che nessuno alla fine potrebbe dire: “Non ho avuto tempo per prepararmi per l’eternità, mi stavo affrettando alla tomba senza aver tempo per cercare il Signore...”. “Le ho dato tempo per ravvedersi” (Ap. 2:21): ecco le parole rivolte ai peccatori di Tiatira, ed Egli rivolge le stesse parole a noi. Il messaggio è ancora: ci è stato dato tempo per ravvederci! Il ravvedimento è il fardello dell’esortazione, e questo deve conseguire quel “le ho dato tempo per ravvedersi!”.
Questo lungo tempo è un tempo di longanimità. “Il Signore è pieno di misericordia e di compassione” (Gm. 5:11). Egli tenta sempre il tutto per tutto; Egli anela che il peccatore si ravveda; Egli lo esorta con la sincerità e la perseveranza che è propria a Dio, ad esserGli riconciliato. Egli sopporta rifiuti, insulti, provocazioni, avversione, dileggio e freddezza, -Egli non percuote colui che respinge il Suo amore, né si vendica dei Suoi nemici. Egli non si lascia provocare, “sopporta ogni cosa, spera ogni cosa”, Egli “è paziente verso di noi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti vengano a ravvedimento” (2 Pi. 3:9). Ogni giorno Egli rinnova la Sua offerta di perdono, con una pazienza che pare non aver limite, con la profonda sincerità atta a persuadere persino il più duro e sospettoso fra i figli degli uomini. “La pazienza del nostro Signore è in funzione della salvezza”, perché a null’altro mira questa pazienza! “Perché mai vorreste morire?” è l’urgente domanda che Dio rivolge al peccatore sconsiderato. Non ti ho forse dato tempo a sufficienza per cercare e per trovare vita eterna? Non sono forse stato io onesto nel cercare di esortarti ad esserMi riconciliato?
Questo lungo tempo, per la creatura umana, è il tempo delle opportunità. C’è un perdono? Ora è il tempo per ottenerlo! C’è una vita eterna? Ora è il tempo per ottenerla! C’è un paradiso? Ora è il tempo per conquistarlo! C’è una porta angusta e una via stretta? Ora è il tempo per transitarla! Infrangere le catene, fuggire dalla prigione, scambiare le tenebre con la luce, essere liberati dall’eterna maledizione... Quando? Ora è questo tempo! Questo è il tempo delle opportunità. Oh uomo, accogli ora queste opportunità, profittane, prima che passino via e sia per te troppo tardi! Sei sotto un incombente pericolo; l’inferno sta muovendo i suoi tentacoli; la tempesta si sta preparando... ma c’è ancora tempo. Il paradiso è lassù, chiaramente ancora visibile, con tutto il suo splendore; la porta dell’amore di Dio è ancora spalancata; il Figlio di Dio ti esorta ad entrare; gli angeli ti incoraggiano; i Suoi ambasciatori sulla terra ti scongiurano a farlo: la tua opportunità è adesso; te la lascerai scivolare dalle mani? E’ cosa così di poco conto perdere il paradiso, perdere la tua anima, perdere l’eterna felicità? Oh uomo, non tardare!
Quel lungo tempo alla fine terminerà. Il Signore ritornerà, e chiederà conto ai Suoi servi del modo in cui hanno passato il loro tempo ed utilizzati i loro doni. L’anno accettevole del Signore terminerà in un giorno di vendetta, e quella vendetta sarà autentica e non sarà solo un modo di dire, perché è la vendetta di Dio. Il “lungo tempo” che ci è stato qui concesso, per prepararsi a quella grande resa dei conti, non sarà nulla rispetto al tempo ben più lungo di un’eternità senza fine, un’eternità di tenebre ancora più profonde, e di una gloria ancora più risplendente.
Davanti a tutto questo come non parlare con grande franchezza, soprattutto essendo coscienti che questo “lungo tempo” finisce ben presto! Il tempo è alla fine, la vita è alla fine, il Giudice è alle porte; il lungo tempo si scioglierà nel “poco tempo”; il “poco tempo” presto svanirà, e cominceranno le ere eterne. Preparati ad incontrare il tuo Dio! Qualche tempo fa, nel fare dei restauri ad una vecchia chiesa, venne trovato un vecchio pulpito che era stato nascosto per lunghi anni. Era intarsiato finemente, e intorno alla sua parte superiore nel legno erano intarsiate queste parole, ancora perfettamente leggibili: “Alza la tua voce come una tromba, grida”. Ed è proprio questo che stiamo facendo, affinché ognuno a cui giunga questo appello possa prendere coscienza del pericolo che lo sovrasta, se ancora non è riconciliato con Dio.
Questa riconciliazione è possibile! Questo è il nostro messaggio mentre stiamo sotto la croce e parliamo ad un mondo che muore. La riconciliazione è possibile attraverso il sangue del sacrificio! C’è pace presso l’altare dove Dio si è posto per ricevere il peccatore. Il Figlio di Dio ha compiuto quell’opera potente ed efficace su cui si fonda la riconciliazione, e per mezzo della quale viene offerta l’eterna amicizia di Dio ai più vecchi ed ai più ostinati fra i ribelli della terra. Quella parola prende il posto di tutte le altre. E’ sufficiente! Non cercare di aggiungere o di togliere ad essa qualcosa. Prendila così come sta; prendila per come Dio dichiara che sia, ed entra in quella pace che per te è stata acquistata. E’ una pace giusta, fondata sull’opera compiuta dal nostro Sostituto. Parla di quel Dio che “giustifica l’empio” e parla di quel sacrificio propiziatorio di pace per mezzo del quale è divenuta cosa giusta che l’empio possa essere giustificato. Essa dice ad ogni ribelle: “Tutta questa pace, questa amicizia, questo perdono, diventa certo e sicuro possesso di chiunque abbandoni la propria condizione naturale davanti a Dio, e consenta di presentarsi di fronte a Lui sulla base dell’opera compiuta da un altro, e del sacrificio offerto da un altro, l’opera e il sacrificio della Parola fatta carne: di Colui che, sebbene fosse ricco, per noi è diventato povero, affinché attraverso la Sua povertà, noi potessimo essere fatti ricchi (2 Co. 8:9).
5. Non posso lasciarmi andare!
La scialuppa stava laggiù sull’acqua, e non c’era alcuna scala, né di corda né di ferro, per quel povero ragazzo, che potesse usare per discendervi. Il ragazzo si era aggrappato ad una corda troppo corta e si guardava intorno senza riuscire a scorgere alcun mezzo per raggiungere la scialuppa: laggiù c’era la scialuppa e qui solo la nave che stava affondando lentamente. Udiva le grida che gli provenivano dal basso: poteva scorgere cinque o sei uomini robusti che erano pronti ad afferrarlo non appena si fosse buttato giù, ma lui non riusciva a decidersi a mollare la presa e a lasciarsi cadere.
Vedeva i flutti del mare che alzavano la nave su e giù; osservava pure la distanza che lo separava dai suoi liberatori laggiù, e il suo cuore sembrava venirgli meno. Che sarebbe successo se non avesse centrato la scialuppa e fosse caduto in mare, invece che fra quelle braccia là sotto? Così si aggrappò alla corda con tutte le sue forze, e sembrava volesse ritornare nella nave. Riecco però ancora le grida: “Lascia andare la corda!”. Tornare indietro non osava ed aveva paura a lasciarsi cadere, così si aggrappò a quella corda come se fosse stata l’unica sua sicurezza. E ancora quelle grida: “Lasciati andare!”, a cui rispondeva: “Non posso lasciarmi andare!”.
Finalmente, quando il pericolo era aumentato, quelle forti e gentili grida là sotto riuscirono a prevalere sulla sua paura e sulla sua sfiducia. Così “si lasciò andare” e senza sforzo cadde fra le forti braccia che stavano aspettando di riceverlo. Ora era veramente al sicuro e, rendendosene conto non pote che sorridere della sua stupidità nel non aver voluto lasciarsi andare e dell’aver detto -e questo era il suo motivo per non lasciarsi andare- di non poterlo fare.
“Non posso credere in Cristo”: ecco la protesta che talvolta si ode dalle persone a cui si indica Cristo come la loro unica salvezza. Che significa quel “non posso”? Coloro che dicono così sono sinceri? Hanno considerato quello che stanno dicendo? Non sono forse proprio come quel povero ragazzo che stava aggrappato ad una corda sul fianco della nave gridando: “Non posso lasciarmi andare!”. Se avesse avuto fiducia nella scialuppa e in quegli uomini là sotto, sarebbe forse rimasto in quella strana posizione a dire quelle assurde parole? Aveva forse più fiducia nella corda a cui stava aggrappato piuttosto che nella scialuppa di salvataggio pronta ad accoglierlo? Vedeva che era in pericolo, se no non si sarebbe tenuto stretto alla corda; aveva però la sensazione che c’era meno pericolo nello stare aggrappato a quella corda piuttosto che cadere nella barca. Così continuava a tenersi con tutte le sue forze a ciò che non avrebbe potuto salvarlo. Se la sua sicurezza fosse dipesa da quel suo aggrapparsi, il grido: “Non posso più reggermi a lungo, le mie forze se ne sono andate”, sarebbe stato più naturale ed intellegibile, ma, quando la sua salvezza dipendeva proprio dal lasciare la presa da ciò che non avrebbe potuto salvarlo, e lasciarsi semplicemente cadere in ciò che l’avrebbe salvato, il suo grido era stupido e non vero.
Lo stesso vale per la protesta degli ansiosi a cui abbiamo fatto riferimento. Essi non vedono la porta aperta dell’arca, le braccia tese del Liberatore che grida loro: “Lasciatevi andare, sono qui con le braccia aperte pronto ad accogliervi”. Essi però sembrano pensare che il Signore comandi loro chissà quale grande impresa, che debbano fare chissà quale sforzo titanico al di là delle loro possibilità, e così al messaggio della grazia essi rispondono: “Non posso, non posso!”. Egli li vede che si aggrappano al proprio io con tutte le loro forze, e così Egli dice loro: “Lasciatevi andare! Lasciatevi andare!”; essi però rispondono: “Non possiamo!”. Non è questa forse follia? Non è forse questo un rifiuto dell’opera che Egli ha compiuto?
Supponete che quando Gesù aveva detto a Nicodemo di scendere da quell’albero, il pubblicano avesse risposto: “Non posso!”. Che sciocchezza sarebbe stata questa! Se il Signore gli avesse comandato di arrampicarsi sull’albero, egli avrebbe potuto forse dire: “Non posso, non ne sono capace!”, ma quando Cristo gli dice: “Scendi giù!” questa scusa sarebbe stata assurda!
Supponete che quando quel padre generoso, nel riaccogliere il figliolo prodigo, gli avesse detto: “Va’ in casa, prendi la veste migliore, indossala e poi ritorna qua”, forse avrebbe avuto senso se quel giovane avesse detto: “Non posso!”. Quando però quel padre dice ai suoi servitori: “Portate qui la veste più bella e rivestitelo”, una simile scusa sarebbe stata per lui assurda, ed avrebbe solo tradito l’indisponibilità del giovane a ricevere quella veste. Il figliolo prodigo non riceve comando alcuno di fare qualcosa, tutto quel che desidera che egli faccia è di ricevere, come se gli avesse detto: “Lascia che ti rivesta; lascia che io ti dia la veste più bella”. Il padre fa tutto lui, gli dona la veste e con essa lo riveste.
Ciò che molti chiamano “la difficoltà del credere” non è altro che arroganza: si, è solo questo che ne sta alla base, o meglio, che è la radice di questa “difficoltà”. Uomini e donne si aggrappano al proprio io esaltato come quel ragazzo si aggrappava alla corda; non vogliono lasciarsi andare, e dicono per tutto il tempo di non poterlo fare!
Ammetto la difficoltà. E’ una radice amara, molto più profonda di quanto molti pensino. La questione è molto peggiore e molto più seria di quanto molti siano pronti ad ammettere. La difficoltà in questione è costituita dalla determinazione umana ad essere autosufficienti, dall’orgoglio di non voler ammettere di aver bisogno di salvezza. Si tratta dell’indisponibilità di lasciarsi andare, e si dice: “Non posso!” per coprire la vergogna di dire: “Non voglio!”.
E’ giù nel profondo della natura umana depravata che giace questo orribile male che solo Dio può rimuovere, questa determinazione a non voler abbandonare il proprio io nella sua arrogante volontà di autosufficienza. In queste cose egli tristemente si inganna da solo, al fine di coprire la sua colpevolezza ed incolpare qualcos’altro per non volere credere a Dio. Egli si convince che Dio gli chieda di compiere chissà quale grande cosa, sebbene Dio abbia dichiarato già centinaia di volte che quella grande cosa è già stata compiuta. Anzi, vorrebbe fare una grande cosa, per poi prenderne tutto il merito; e proprio perché Dio ha dichiarato che la grande cosa è già stata fatta, “una volta per tutte” e che non è necessario ripeterla, egli si ritira in sé stesso e cerca di trovare qualche altra “grande cosa” da fare in sé stesso, facendo giustamente la quale pensa di compiacere Dio e di soddisfare la sua coscienza. Dio però gli richiede soltanto che accetti la grande cosa che già è stata compiuta, il che è assolutamente sufficiente per la sua salvezza e la sua pace. Questo però è l’unica cosa da cui si ritrae. Egli pensa di potere aspettare, e lavorare, e lottare, e sudare, prima di essere in condizione di accettabilità, ed è perciò proprio per questo che egli risponde a tutti i messaggi che gli provengono dagli “ambasciatori di pace” quel suo “non posso”. Egli non è disposto a fare l’unica cosa che Dio gli richieda; egli vorrebbe sostituirvi qualcosa di sua propria iniziativa, un qualche processo o preparazione per essere da Lui accettato. E’ proprio perché egli vede di non aver compiuto alcun passo in avanti in quest’opera di “umiltà volontaria”, egli dice. “Non posso!”,
Dio però lo porta faccia a faccia con la croce e gli dice: “Guardala e vivrai!”. Egli però pensa che questo sia troppo semplice, e così si volge altrove cercando qualcosa da fare! Dio lo mette davanti ad una fontana e gli dice: “Ora lavati”, e lui: “Non posso!” e si volge altrove per cercare qualcos’altro. Dio gli porta la veste migliore, la giustizia del Giusto per eccellenza, e gli offre di indossargliela. Questo però è troppo semplice. Non gli lascia nulla da fare -nient’altro che lasciare che qualcun altro lo vesta della veste di un altro. E così, con presunta umiltà, egli differisce l’accettazione della veste, con la scusa che non la può indossare! Dio lo porta faccia a faccia con il Suo gratuito amore e gli dice: “Accoglilo e sta in pace”. Anche questo però prende per scontato che la grande cosa sia già stata fatta, in virtù della quale questo amore così generoso fluisce nel peccatore, e che Dio desideri che egli semplicemente riconosca questa grande opera nella sua completezza e lui, invece di accettarla così come sta, esita oppure volta del tutto le spalle a questa proposta divina, rifiutandosi di lasciare che il Suo amore fluisca, solo perché esso è così assolutamente libero! Questi assomiglia al generale siriano al quale Elise aveva detto di lavarsi nel Giordano e la sua lebbra sarebbe scomparsa. “...ma Naaman si adirò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: ‘Egli uscirà certamente incontro a me, si fermerà, invocherà il nome dell’Eterno, il suo Dio, agiterà la mano sulla parte malata e mi guarirà dalla lebbra’. I fiumi di Damasco, l’Abanah e il Farpar, non sono forse migliori di tutte le acque di Israele? Non potrei lavarmi in quelli ed essere mondato?». Così si voltò e se ne andò tutto infuriato” (2 Re 5:11,12). E noi non potremmo forse rispondergli con le parole stesse del suo servo: “Se il profeta ti avesse ordinato una grande cosa, non l’avresti fatta? Tanto più ora che ti ha detto: ‘Lavati, e sarai mondato’?”.
La semplicità dell’Evangelo, però, non diminuisce la depravazione umana, né sostituisce la necessità che la potenza dello Spirito Santo operi nel cuore. E’ proprio davanti a questo generoso Evangelo che “il malvagio cuore dell’incredulità” umana si è sempre manifestato più fortemente. L’Evangelo è semplice, la Parola è semplice, la via è semplice, la croce è semplice; il cuore umano, però, si oppone completamente a queste cose. Resiste e rifiuta. Preferisce qualche altra via di propria invenzione, e dà la colpa a Dio per il suo proprio male!
E’ proprio per questo che è necessaria l’opera dello Spirito Santo sull’anima umana i modi così misteriosi e semplici che, quando un uomo già da tempo è divenuto credente, ancora si domanda come avesse potuto prima stare così lontano dall’Evangelo e addirittura resistergli. Lo Spirito opera infatti per disarmare l’inimicizia, per rimuovere la durezza del cuore, per aprire gli occhi e rinnovare la volontà.”Il vento soffia dove vuole” e noi non possiamo dire “da dove venga e dove vada; così è per chiunque nasce dallo Spirito”.
E’ la profonda depravazione dell’essere umano e la sua totale alienazione da Dio che rende indispensabile, per il suo rinnovamento, la potenza dell’onnipotente Spirito. E’ però di grande importanza non permettergli di usare questa depravazione come scusa per non ritornare a Dio, o di abusare della dottrina circa l’opera dello Spirito facendone la ragione per rimanere attaccato al proprio io e rifiutare di credere all’Evangelo; come se fosse più disposto lui a vedersi oggetto di un’opera di quanto lo Spirito stesso di sovvenire al suo bisogno, o come se lui volesse tanto credere, ma lo Spirito non glielo permettesse!
Era proprio l’umana colpevolezza a rendere necessaria la croce, perché se quella colpevolezza non fosse rimossa, tutto il resto sarebbe inutile. Essere sottoposti alla condanna avrebbe voluto dire essere esclusi per sempre dal regno. Vedersi il Giudice avverso in quel grande giorno sarebbe stato per lui soltanto una certa condanna. La croce è venuta per liberarci da questa colpevolezza e attribuirla ad un Altro, su Colui che è in grado di sostenerla tutta, su Colui che è potente a salvare. Ciò che avrebbe dovuto venire sul peccatore, è venuto su di Lui, affinché il peccatore potesse esserne liberato. Il Giudice è soddisfatto con l’opera che è stata compiuta sul Calvario, e non esige più nulla, e quando il credente è condotto dallo Spirito Santo ad essere soddisfatto di ciò che ha soddisfatto il Giudice, le catene che fissavano il suo fardello sulle sue spalle si spezzano, ed il fardello cade, e sparisce per sempre -sepolto per sempre nella tomba del Sostituto, da cui non potrà mai più uscirne.
6. Dove stai andando?
All’inizio del secolo scorso, in America, un cristiano era morto in tarda età lasciando al figlio, sul letto di morte, questo messaggio: “Ricorda che C’È UNA LUNGA ETERNITÀ davanti a te”.
Questo però non era tutto. Affidò pure alla sua famiglia il mandato che lo stesso messaggio dovesse essere trasmesso alla seguente generazione, e poi ancora alla prossima, fintanto che fosse rimasta la sua posterità. La sua volontà venne rispettata e generazione dopo generazione avrebbe ricevuto lo stesso messaggio: “Ricorda che C’È UNA LUNGA ETERNITÀ davanti a te”. Queste parole, ci vien detto, portarono il loro frutto nella conversione dei figli, dei nipoti e dei pronipoti.
E’ proprio di questa lunga eternità di cui Dio così spesso ci parla nel suo libro con le parole “eterno”, “senza fine”, “nei secoli dei secoli”. E’ proprio di questa lunga eternità che ogni letto di morte ci parla -ogni sudario, ogni bara, ogni tomba. E’ proprio di questa lunga eternità di cui ci parla ogni anno che si chiude ed ogni anno che si apre, indicandoci gli anni senza fine che si dispiegano oltre i brevi giorni del tempo, -brevi giorni che si affrettano senza posa alla vita ed alla morte che caratterizza ogni cosa in questo mondo. Di quell’eternità potremmo dire che i suoi anni saranno tanti quanto le foglie di una foresta, o ii granelli di sabbia di una spiaggia, o i fili dell’erba di un prato, o le gocce di rugiada, e tutto questo moltiplicato l’uno per l’altro. Chi mai potrebbe calcolare questi numeri, o concepirne la prodigiosa somma- milioni e milioni di ere.
Un viaggiatore, alcuni anni fa, racconta di aver trovato nella camera di un albergo dove aveva alloggiato un quadro appeso alla parete con questa frase scritta a grandi caratteri: “Oh uomo, di tre cose ti devi ricordare: che c’è un Dio, un Momento, ed un’Eternità”. Anche per noi sarebbe grande sapienza considerare bene parole come queste, così brevi, ma così piene di significato.
Richard Baxter racconta di un predicatore dei suoi tempi la cui predicazione era stata fortemente segnata dalle parole che aveva un giorno udito da una donna morente che “spesso e con veemenza” (egli dice), sul suo letto di morte gridava: “Oh, richiama indietro il tempo, richiama indietro il tempo!”. Richiamare indietro il tempo, però è tanto impossibile quanto abbreviare l’eternità. “Questo centimetro di frettoloso tempo”, come lo chiamava quel nobile predicatore, non può essere allungato, e se non è reso migliore o redento, sarà perduto per sempre. Dio vive, ed anche l’anima vivrà, perché “in Lui noi viviamo, ci muoviamo e siamo”.
Il nostro futuro eterno non è un sogno o una favola. Sarà tanto reale quanto lo è stato il nostro passato, anzi, ancora più reale di quello. L’incredulità potrà anche persuaderci che non è che un’ombra o una fantasia. Non è però il caso. E’ infinitamente ed inesprimibilmente vero, e le età davanti a noi, nel venire e nel passare, porteranno con sé realtà in confronto con le quali tutte le realtà passate saranno come nulla. Tutte le cose che ci appartengono diventano ogni giorno più reali; e questo aumento di realtà andrà avanti per tutte le età che verranno.
Dove stai andando? Questa non è una domanda oziosa, anzi, è una domanda alla quale ciascun figlio d’uomo dovrebbe dare una risposta immediata. L’essere umano è stato fatto affinché potesse guardare verso il suo lungo futuro. Questa è una domanda che dovremmo porre correttamente ed alla quale dovremmo rispondere altrettanto correttamente. Se non lo facciamo, c’è in noi qualcosa che tristemente non va come dovrebbe andare, perché Dio non ci ha negato i mezzi per rispondervi correttamente.
Dove stai andando figlio della mortalità, lo sai? Non ti importa di saperlo? Non ti interessa di scoprire che ne sarà della tua esistenza, e dove trascorrerai l’eternità? Il tuo tutto è avvolto in essa, e non te ne importa?
Dove stai andando? Forse che odi porti una simile domanda? Ti disturba trovare riposo per la tua anima o pregiudicare la tua eterna felicità? Forse che rode la tua coscienza e getta un’ombra sulla tua vita? Però, sia che tu la ami oppure l’odi, un giorno dovrai per forza essere posto di fronte ad essa. Un giorno te la porrai e ad essa risponderai. Forse quando tu te la porrai e ad essa risponderai, il Giudice potrebbe venire, e suonare l’ultima tromba. “Mentre erano intende a fare questo o quest’altro lo Sposo sopraggiunse”.
Dove stai andando? Si chiede la foglia che cade. Essa risponde: “Non lo so”. La stessa domanda se la fa il vento senza posa, e ad essa risponde: “Non lo so”. Se la chiede la schiuma sulle onde e risponde: “Non lo so”. L’essere umano, però, non è come queste. E’ tenuto a guardare alla sua destinazione, a rendersi conto dove stia andando. Non è una foglia, o una brezza, che non sa né da dove viene né dove va. Egli sa che davanti a lui c’è un futuro di qualche tipo, e il quel futuro prima o poi entrerà. Di che tipo sarà? Questa è la questione!
Dove stai andando? Va’ al porto, dove ci sono dozzine di navi pronte a partire. Va’ dal loro capitano e chiedetegli: “Dove siete diretto?” Forse che lui risponderà: “Non lo so”? Va’ alla stazione, e chiedi al conduttore del treno che sta partendo dove stia andando. Dirà forse: “Non ne ho idea”? No, questi uomini non sono degli stupidi, sanno dove stanno andando, non si metteranno mai i viaggio senza stabilirne la destinazione. I figli del tempo saranno in grado di rispondere alle domande in merito alla strada su cui stanno camminando ed alla sua destinazione? Un figlio dell’eternità procederà forse nelle tenebre, incurante delle ombre attraverso le quali passa, e giocandosi l’eternità ai dadi del puro caso?
Posso però davvero rispondere ora a questa domanda? Posso io assicurarmi l’eternità mentre sono quaggiù sulla terra? E posso io sapere con certezza di essermela assicurata tanto da dire: “Sto dirigendomi verso il regno di Dio, non importa se la mia vita quaggiù sarà lunga o breve, la vita eterna sarà mia!”.
L’Evangelo che Dio ci ha dato è tale da permetterci di rispondere con certezza alla domanda Dove stai andando? perché esso ci mostra la via che conduce al regno -non una via lontana, ma vicina; non inaccessibile, ma accessibile; non nascosta, ma chiara ed aperta. “Il pellegrino che la percorra, per quanto possa essere sciocco, non potrà esserne sviato”. Colui che il Padre ha inviato per essere il Salvatore del mondo ha detto: “Io sono la via”.
Conoscere questa via per noi è tutto, perché chi la conosce sa dove stia andando, e chi non la conosce non sa dove stia andando. La giusta e certa risposta alla domanda Dove stai andando? dipende interamente dalla nostra vera conoscenza della via. Il mondo è oscuro, e non potrà mai indicarci la via, né potrà mai metterci in grado di rispondere alla temibile domanda: “Dove sto andando, con tutti questi miei peccati, e con il giudizio di Dio che mi aspetta, e con la certezza che dovrò rendere conto di tutto ciò che avrò fatto nel corpo?”.
Al fine, perciò, di rispondere a questa domanda dobbiamo subito pervenire alla “buona notizia”, le buone notizie che Dio ci ha fatto giungere al riguardo di Colui che “è morto per i nostri peccati secondo le Scritture”, e che fu sepolto e poi risorse. E’ proprio il credere a questa buona notizia che ci congiunge a Lui e che, così facendo, ci mette in grado di rispondere alla domanda Dove stai andando? perché se noi siamo in comunione con Lui allora possiamo essere certi di dove stiamo andando, perché Egli ci è andato prima di noi. E’ credendo all’Evangelo che entriamo in condizione di possedere quella vita eterna che Egli ci ha assicurato ai peccatori mediante la Sua morte sulla croce come propiziazione per il peccato.
Abbiamo conosciuto uno che, pieno di spavento di fronte ad un futuro pieno di incognite, aveva cercato per anni di giungere ad una risposta al riguardo della sua prospettiva eterna. Aveva penato, pregato, lottato, aspettandosi che Dio avesse pietà dei suoi sinceri sforzi e gli avesse dato ciò che cercava. Alla fine di lunghi e travagliati anni, era giunto però a rendersi conto che ciò per cui aveva tanto penato per guadagnarsi il favore di Dio, un altro aveva già compiuto, e molto meglio di quanto lui mai avesse potuto fare. Vide che tutto ciò che per anni aveva fatto per persuadere Dio di rispondergli, lo avrebbe potuto ricevere subito credendo semplicemente alla buona notizia che non c’era bisogno alcuno di tanto aspettare, operare e pregare; e che ora, finalmente, ricevendo la testimonianza che Dio aveva reso alla persona e all’opera dell’unigenito del Padre, egli avrebbe potuto contare con certezza nel favore di Dio nei suoi riguardi (1 Gv. 5:10-12). Così, credendo, egli era “entrato nel riposo” -il riposo dell’anima che è il risultato di un Evangelo creduto, e la caparra del futuro riposo che è la beata sorte del popolo di Dio.
Dire a qualsiasi peccatore che egli deve giungere a rispondere alla fatale domanda Dove stai andando? senza indicargli ciò che Dio ha provveduto per rispondere ad essa, vorrebbe solo dire prendersi gioco di lui. Chiamarlo però a darvi una risposta facendogli conoscere la grazia di Cristo e la via aperta da Dio, significa restituire gioia alla sua anima mostrandogli come ottenerne subito i mezzi per rispondervi, senza opera alcuna, senza attesa, senza cercare di guadagnarsi il favore di Dio.
Allo spirito travagliato noi presentiamo il generoso ed immeritato perdono che l’Evangelo pone nelle nostre mani, -un perdono che nessuna nostra preghiera o sforzo da parte nostra potrà renderci più disponibile, o più vicino; un perdono che fluisce direttamente dalla propiziazione compiuta della croce; un perdono per l’empio e per l’indegno; un perdono che, mentre glorifica Colui che perdona, comporta libertà immediata e liberazione per colui che è perdonato. “Vi sia dunque noto, fratelli, che per mezzo di lui vi è annunziato il perdono dei peccati e che, mediante lui, CHIUNQUE CREDE È GIUSTIFICATO di tutte le cose, di cui non avete potuto essere giustificati mediante la legge di Mosè” (Atti 13:38,39). Se siamo giustificati, allora conosciamo il nostro futuro tanto quanto il nostro presente, perché “quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati” (Ro. 8:30).
“E’ tutto così buio”, disse un giovane morente che fino ad allora aveva trattati con leggerezza queste grandi questioni. “Sono terrorizzato”, diceva un altro in simili condizioni. “Ho provveduto a tutto meno che alla morte”, disse un vecchio generale mentre moriva. “Non c’è misericordia per me” era il grido di un altro presso la morte la cui vita all’inizio era stata promettente, ma poi era degenerata. “Sto morendo,” disse un altro, “e non so dove sto andando”. Sono affermazioni molto tristi, queste, per chi sta morendo. Su di loro si proietta l’ombra delle tenebre. Non c’è alcun raggio di sole che possa infondere loro un bagliore di speranza.
La persona che accetta però la grande salvezza offerta in Cristo Gesù viene sollevata al di sopra di queste incertezze e queste paure. La luce della croce brilla su di essa, ed essa può guardare al suo vasto futuro senza allarme. “Io so in chi ho creduto”, dice, “e conoscendo Lui, so dove sto andando. Vado a passare l’eternità con Lui, Colui che, pur non avendo visto, io amo. Io sto andando verso la città che ha salde fondamenta. Sebbene i vermi distruggeranno il mio corpo, nel mio corpo io vedrò Dio”. La domanda Dove stai andando? non gli fa paura. Sa che tutto gli andrà bene. Per essa l’eternità e una parola gioiosa. Ha creduto, ed è sicura che la sua fede non la farà svergognare. La semplice parola del Figlio di Dio, “Colui che crede non è condannato” le è sufficiente per trovare in essa il suo riposo, in vita ed in morte.
7. “Il mondo passa”
Le cose visibili sono transitorie. Il nostro è un mondo che muore, e quaggiù non abbiamo alcuna dimora stabile. Bastano pochi anni, ed anche meno, e le cose che conosciamo non saranno più le stesse di prima. Ancora pochi anni -forse meno- e il Signore tornerà, l’ultima tromba suonerà, e sui figli degli uomini verrà pronunciata la grande sentenza.
C’è però un mondo che non passerà. E’ splendente e glorioso. E’ chiamato “l’eredità nella luce”. Splende dell’amore di Dio e della gioia celeste. “L’Agnello è il suo luminare”. Le sue porte sono fatte di perla: sono sempre aperte. Di questa meravigliosa città non ne parliamo soltanto: invitiamo tutti ad entrarvi.
Il libro dell’Apocalisse ci racconta la storia dell’umana vanità: “Poi un angelo potente sollevò una pietra dalle dimensioni di una grossa macina e la gettò nel mare, dicendo: ‘Con lo stesso impeto sarà scagliata Babilonia la grande città, e non sarà più ritrovata; e non si udrà più in te il suono degli arpisti, dei musicisti e dei suonatori di flauto e di tromba, non si troverà in te alcun esperto di qualsiasi arte’” (18:21,22).
Verrà il giorno in cui al mondo avverrà proprio questo; un tragico destino davvero grava sulla terra, un tragico destino preannunciato tristemente dai disastri commerciali che spesso hanno portato afflizione a molti cuori e desolazione in così tante famiglie.
Un vecchio predicatore -circa duecento anni fa- stava morendo. Aveva appena compiuto ottant’anni. Aveva conosciuto tutte le onde che dividevano l’America dall’Inghilterra avendo attraversato l’oceano innumerevoli volte. Ora giaceva morente a Boston, pieno di fede e d’amore. La sera prima della sua morte aveva lasciato tutti senza parole quando sua figlia gli aveva chiesto della sua salute. Aveva alzato le sue morenti mani, e con le sue labbra morenti aveva detto semplicemente: “Cose che svaniscono, cose che svaniscono!”. Così noi ripetiamo le sue gravi parole e, puntando il dito verso il mondo, con tutte le sue vanità su cui uomini vani ripongono il loro cuore, diciamo: “Cose che svaniscono!”.
“Il mondo passa”, questo è il nostro messaggio.
Come un sogno nella notte. Ci corichiamo per riposare, cadiamo addormentati, sogniamo; ci svegliamo al mattino; ed ecco, tutto ciò che nel nostro sogno sembrava così stabile e piacevole se n’è andato! Allo stesso modo il mondo si affretta a terminare il suo corso. Oh figlio della mortalità, non hai forse un mondo più chiaro oltre a questo?
Come la rugiada del mattino. La notte fa cadere sulle colline la rugiada, il vapore copre le valli; il sole si leva, e tutto questo finisce, -colline e valli sono ora chiare. Così il mondo passa e non lo si vedrà più. Oh uomo, abbraccerai tu un mondo come questo? Ti siederai in mezzo alla nebbia e dirai: Questa è casa mia?
Come un’ombra. Non c’è nulla di più irreale che un’ombra. Non ha sostanza, non ha essere. E’ scura, è una figura, ha movimento, ed è tutto! Così è il mondo. Oh uomo, andrai a caccia di un’ombra? Che potrà fare per te un’ombra?
Come un’onda del mare. Sale, ricade, e non la si vede più. E’ tutta qui la storia dell’onda. E’ questa la storia del mondo. Oh uomo, farai tu di un’onda la tua eredità? Non hai tu alcun cuscino migliore su cui poggiare la tua testa stanca? Questo è un mondo ben povero per un cuore umano da amare, né per poter riempire un’anima immortale!
Come un arcobaleno. Il sole getta i suoi colori su una nuvola, e per pochi minuti tutto diventa brillante. Quando però la nuvola si sposta, tutta questa brillantezza scompare. Così va il mondo. Con tutta la sua bellezza e il suo splendore; con tutto il suo onore e la sua follia; con tutta la sua pompa ed il suo lusso; con tutti i suoi sogni e preoccupazioni; con tutte le sue speranze e lusinghe; con il suo amore e la sua allegria; con tutte le sue canzoni e splendore; con tutte le sue gemme e il suo oro, -scompare. La nuvola che conosceva l’arcobaleno non lo conosceva più. Oh uomo, è un mondo effimero come questo che vorresti avere per eredità?
Come un fiore. Belli, molto belli; fragranti, molto fragranti sono i fiori estivi. Essi però appassiscono. Allo stesso modo appassisce il mondo davanti ai nostri occhi. Mentre lo stiamo guardando ed ammirando, ecco che svanisce! Non rimane traccia della sua bellezza se non un poco di polvere! Oh uomo, potrebbero forse i fiori nutrirti? Puoi affidarti a ciò che non dura che un’ora? Tu sei stato fatto per l’eternità, e solo ciò che è eterno può essere la tua porzione e il luogo del tuo riposo. Le cose che periscono con l’uso possono solo prendersi gioco dei tuoi desideri. Essi non potranno soddisfarti veramente, e quand’anche lo facessero, la cosa non sarebbe duratura. Quaggiù ogni cosa porta il marchio della mortalità; l’immortalità appartiene solo al mondo a venire, a quei nuovi cieli e nuova terra in cui dimora la giustizia.
Come una nave in mare. Con tutte le sue vele spiegate, e una fresca brezza che soffia, essa passa in distanza davanti a nostri occhi, e poi scompare. Così come viene se ne va, allo stesso modo svanisce il mondo presente, con tutto quello che esso contiene. Alcune ore alla nostra vista e poi non c’è più! Il vasto mare su cui veleggiava rimane tale e quale era prima, calmo o tempestoso; non c’è più traccia di tutta la vita, o il movimento, o la bellezza che vi passava sopra! Oh uomo, questo mondo che svanisce è forse l’unica tua dimora? Forse che solo quaggiù sono i tuoi tesori, le tue speranze, le tue gioie? Dove saranno tutte queste cose quando tu andrai nelle tomba? O dove sarai tu quando tutte queste cose ti lasceranno, e tu sarai spogliato di tutta l’eredità che tu eri destinato ad avere per l’eternità? Nella migliore delle ipotesi è un’eredità ben povera questa, e la sua breve durata la rende ancora più povera. Oh che tu possa scegliere la parte migliore che non ti sarà più tolta!
Come una tenda nel deserto. Quelli che hanno viaggiato attraverso le sabbie dell’Arabia sanno che cosa significa. Al tramonto una scheggia di bianco sembra sorgere dall’arida distesa del deserto. E’ la tenda del viaggiatore. All’alba essa scompare. Sia essa che i suoi abitanti se ne sono andati. Il deserto rimane tanto solitario quanto prima. Così è il mondo. Oggi si mostra, domani scompare. Oh uomo, nato di donna, è questa la tua dimora e la tua casa? Dirai tu di essa: “Questo è il mio riposo”, quando noi ti diciamo che c’è un riposo, un riposo eterno, a cui è destinato il popolo di Dio?
IL MONDO PASSA. Questo messaggio proviene dal cielo. Ogni carne è come erba, e tutta la bellezza che essa possiede à come l’erba di campi.
IL MONDO PASSA. Dio però vive per sempre. Egli sussiste da ogni eternità, Egli è il Re eterno ed immortale.
IL MONDO PASSA. L’uomo però è immortale. L’eternità si estende davanti ad ogni figlio di Adamo come la durata stessa della sua esistenza. Nella luce o nell’eternità: per sempre!
IL MONDO PASSA. E allora? Questa questione riguarda l’uomo molto da vicino. Se il mondo deve scomparire e l’uomo vivere per sempre, è della massima importanza sapere come saremo e dove passeremo l’eternità! Un medico rinomato, cercando di confortare un paziente che si era perduto d’animo, gli disse: “Considera la vita come un gioco!”. Era un consiglio sciagurato, perché la vita non è un gioco, e il tempo non è un giocattolo da bambini che si usa e poi si getta. La vita è l’inizio dell’esistenza che non ha fine, ed il tempo non è che l’ingresso dell’eternità.
E allora? Tu devi, oh uomo, assicurarti di avere una casa in quel mondo in cui dovrai passare. Noi puoi permetterti di uscire da questa tenda che è oggi il tuo corpo senza assicurarti che andrai in quella città dalle salde fondamenta, il cui costruttore è Dio. Solo quando avrai fatto questo potrai giacere sul tuo letto di morte in pace. Fintanto che non lo farai, tu non potrai né vivere né morire in pace. Uno che aveva sempre fatto una vita mondana era sul suo letto di morte e pronunciò queste terribili parole: “Sto morendo, e non so dove stia andando”. Un altro, in circostanze simili, aveva gridato: “Fra un ora sarò passato nell’eternità, ma tutto è così buio!”. Oh uomo della terra: è ora di svegliarsi!
“Come posso esserne sicuro”, chiederai. Dio però da tanto tempo ha risposto a questa questione, e la Sua risposta è leggibile in ogni tempo: “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato”.
“Credere nel Signore Gesù Cristo? Ma se non ho mai fatto null’altro che questo!” tu dici. Se questo è davvero così, allora, come è vero che il Signore vive, tu sei un uomo salvato. Ma è davvero così? La tua vita è stata veramente quella di un uomo salvato? Forse no. E’ stata forse una vita completamente dedita a cose futili? Allora, com’è vero che l’Eterno Iddio di Israele vive, e come la tua anima vive, tu non ha davvero creduto, e tu ancora non sei salvato.
“Allora non posso fare nulla in merito a questa grande questione del mio perdono?”. No. Che opera potresti mai fare? Con quale sorta di opera tua vorresti mai comprarti il perdono o renderti passibile del favore di Dio? Quale opera Dio ti richiede affinché tu ottenga la salvezza? Nessuna! La Sua parola è molto chiara su questo punto, e facile da comprendersi: “Invece colui che non opera, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli è imputata come giustizia” (Ro. 4:5).
C’è un’opera soltanto che può essere compiuta affinché un uomo possa essere salvato, e quest’opera non sei tu che la compi: è opera del Figlio di Dio. Quell’opera è compiuta in sé stessa, ad essa nulla può essere aggiunto o sottratto, è perfetta attraverso i secoli, ed Egli stesso la presenta a te, affinché tu te ne possa avvalere ed essere salvato.
“Posso io avvalermi di quest’opera così come sono?”. Si, Dio te l’ha portata fino alla tua porta; e l’unico modo che hai per onorarla è accettarla per te stesso, e di assumerla come base della tua eterna speranza. Noi onoriamo il Padre quando noi acconsentiamo a sostituire quest’opera con tutte le possibili nostre; e noi onoriamo lo Spirito Santo, la cui funzione è quella di glorificare Cristo, quando noi udiamo ciò che Egli ci dice al riguardo di quell’opera compiuta una volta per tutte sulla croce.
Il perdono lo si può ottenere attraverso l’uomo Gesù Cristo, che è sia Figlio di Dio che Figlio dell’uomo! Questo è il nostro messaggio. Perdono attraverso quell’unica opera di espiazione che Egli ha compiuto per i peccatori sulla terra. Perdono per il peggiore e per il più malvagio, perdono per la persona più lontana da Dio che la terra contenga. Perdono del tipo più vasto e completo immaginabile; perdono senza riserva, eccezione o condizione, perdono senza possibilità di essere revocato! Un perdono gratuito e immeritato, libero come l’amore di Dio, libero come il dono del Suo diletto Figlio. Perdono illimitato e senza tentennamenti, di tutto cuore e con gioia, come il perdono del padre che aveva abbracciato con lacrime il figliolo prodigo! Perdono semplicemente sulla base della fede, perché “mediante lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose”.
Forse che la salvezza potrebbe essere più generosa di questa? Avrebbe mai Dio potuto mostrare un maggiore e sincero desiderio che tu non fossi perduto, ma salvato -che tu non dovessi morire, ma vivere?
Salvezza può essere trovata nella croce di Cristo soltanto, in nessun altro luogo. Non c’è disillusione che il mondo possa infondere che possa pregiudicare la speranza che essa rivela. Nei giorni tristi essa brilla in tutto il suo fulgore. Nei giorni di prospettive oscure, di afflizioni profonde, di gravi fardelli, di preoccupazioni pressanti, - quando gli amici se ne sono tutti andati, quando ogni ricchezza si è sciolta come ghiaccio al sole, quando la malattia ci opprime, quando la povertà bussa alla nostra porta, -allora la croce risplende in tutto il suo fulgore e ci parla di una luce che rompe le tenebre di questo mondo, la Luce di Colui che è la luce del mondo!
8. E se tutto fosse vero?
John Newton aveva una madre molto religiosa che era morta quando egli aveva solo sette anni. Fin da piccolo gli aveva insegnato a pregare ed aveva seminato nel suo giovane cuore i semi della sua futura vita spirituale.
Quand’era ragazzo, era stato portato a pensare molto a Dio ed alle cose eterne, ma tutto questo ben presto era sfumato e si era trovato in una spirale di peccato. Credeva di essersi liberato da ogni vincolo e che l’unico vero piacere fosse proprio nel fare ciò che è male. In condizione di impenitenza un giorno cadde da cavallo e si trovò in grave pericolo, ma riuscì a salvarsi. La sua coscienza si risvegliò e tremò al solo pensiero di doversi presentare davanti a Dio come un peccatore privo di qualsiasi preparazione. Spinto da questa paura, egli abbandonò per un po’ il peccato, rinunciando alla sua vita profana ed alle bestemmie. Il cambiamento era però soltanto esteriore e non durò a lungo.
Un’altra volta, il timore dell’ira di Dio prese il sopravvento su di lui, e cominciò a vivere, così egli pensava, una vita molto religiosa. Pensava di potersi rendere giusto davanti a Dio e guadagnarsi così il favore di Dio. Passò così molto tempo a leggere le Scritture, pregò, digiunò, quasi non parlava per paura di pronunciare una parola vana o peccaminosa. All’oscuro della giustizia di Dio, cercava di acquisirne una propria, con la quale pensava di mettere in pace la propria coscienza e liberarsi così dalla paura dell’ira a venire.
Questo suo stato d’animo perdurò un anno o due, poi egli abbandonò del tutto la religione cadendo nell’incredulità. Ora egli perseguiva ogni sorta di male, sentendosi però soltanto sempre più infelice. Si imbarcò così su una nave negriera, divenendo così pure complice di quest’orrido commercio. Si era ormai ridotto in estrema povertà -pativa la fame, si era reso colpevole di innumerevoli peccati, e bestemmiava senza ritegno- con il cuore indurito e la coscienza lacerata. Senza dubbio era diventato simile al figliol prodigo, avendo dissipato tutte le sue sostanze vivendo dissolutamente, ma ancora non “era rientrato in sé stesso”, ancora non aveva detto “mi leverò e andrò da mio padre”. Era stato spesso in pericolo di vita, in mare e per terra. Una volta, mezzo ubriaco, ballava sul ponte della nave quando il suo cappello era volato via finendo in mare, e si stava quasi per buttare egli stesso per riprenderlo, se i suoi compagni non l’avessero trattenuto. Anche se non in mare, egli era caduto, caduto nelle profondità del peccato, come egli stesso avrebbe poi descritto in uno dei suoi inni:
“Per lungo tempo nel peccato diletto prendevo, e né vergogna né mai timor io ne traevo”.
Trovando però un giorno un libro religioso a bordo del vascello, e trovandosi a sfogliarlo, venne portato a chiedersi: “...E SE POI TUTTE QUESTE COSE SI RIVELASSERO VERE?”. Questo pensiero lo terrificò, e richiuse il libro. Tornò come al solito quella sera nella sua amaca, cercando di togliersi questa domanda dalla mente. Quell’oscura notte venne svegliato da ondate particolarmente forti. Era sopravvenuta una tempesta, e la cabina dove giaceva presto si riempì d’acqua. Poi un grido: “La nave affonda!” e in tutta la nave vi fu confusione e terrore. Era quasi riuscito a raggiungere il ponte ma sulla scala trovò il capitano che gli comandò di ridiscendere a prendere un coltello di cui aveva bisogno. Andò così a prenderlo, e nel risalire un compagno a forza volle uscire prima di lui, e un’ondata lo travolse e lo scagliò in mare.
Allora pensieri di altri giorni gli tornarono alla mente: il ricordo di coloro che aveva amato improvvisamente gli erano più vividi che mai. Per quattro settimane il vascello era stato in balia di onde tempestose e lui, talvolta al timone, talvolta alle pompe, aveva dovuto sopportare tutta la violenza dei flutti. Nel mezzo del pericolo non faceva che gridare al Signore: “Oh Dio, salvami, o perirò”, e “Il Dio della Bibbia mi perdoni per amore del Suo Figlio”, e ancora: “Oh Dio di mia madre, abbi pietà di me, abbi pietà di me”.
Quella tempesta divenne per John Newton quello che il terremoto era stato per il carceriere di Filippi: lo fece cadere in ginocchio. Gli fece vedere i suoi peccati come mai li aveva visti prima. Gli fece vedere la sua eterna rovina. Gli fece vedere la croce ed il sangue di Cristo. L’inno di cui già abbiamo citato le prime righe continua a raccontare la sua esperienza:
“Per lungo tempo nel peccato diletto prendevo, e né vergogna né mai timor io ne traevo; Poi un NUOVO OGGETTO il mio sguardo attirò, e la mia carriera di peccato subito fermò”.
Il “nuovo oggetto” che aveva attirato il suo sguardi, mentre stava al timone o camminava sul ponte, con le onde che lo colpivano senza interruzione, era il Cristo crocifisso. La croce, e il Figlio di Dio che portava i nostri peccati, risaltava per lui in tutta la gloria dell’amore divino. Perché poi così egli cantava:
“Io vidi il crocifisso, in tutta la sua agonia, che mi fissava pieno d’amore, ed io ero là, ai piedi di quella croce”.
Come per Simon Pietro quando il Signore si era voltato e lo aveva fissato negli occhi, così era stato anche per John Newton. In entrambi i casi quello sguardo penetrante aveva avuto l’effetto di spezzare il cuore indurito:
“Certo fino al mio ultimo respiro, mai potrò io dimenticar quello sguardo; era come se mi accusasse della sua morte, sebbene non avessi io detto una sola parola”.
Quello sguardo amorevole, quello sguardo di santo amore, gli avevano fatto sentire tutto il peso del suo peccato in tutta la sua gravità. Il peccato, che fino a quel momento egli aveva considerato come una sciocchezzuola, o del tutto ignorato, ora gli si era presentato in tutto il suo spavento. Per la prima volta si sentiva a causa d’esso del tutto condannato. Era perduto: che cosa avrebbe dovuto ora fare?
“La mia coscienza sentiva tutta la mia colpa, e mi aveva gettato nella disperazione. Vidi i miei peccati che avevano sparso quel sangue e che Lo avevano inchiodato a quella croce”.
Si era così ritrovato del tutto confuso e disperato. Quello sguardo d’amore santo, lo aveva trafitto fin nel profondo della sua anima. Gli dice: “Tu sei quell’uomo, tu hai fatto tutto, tu mi hai inchiodato in croce. Se non fosse stato per i tuoi peccati, ora non saresti qui”. Continuando però a guardare, egli vede qualcosa di più in quello sguardo, dalla croce ora egli ode una voce di perdono:
“Una seconda volta mi guardò, e disse: Io ti perdono d’ogni cosa. Questo mio sangue è il riscatto che pagai, io sono morto affinché tu potessi vivere”.
Questo secondo sguardo gli parlava di pace. Vi leggeva ora il perdono -un generoso perdono per il più grande fra i peccatori-, perdono per “il vecchio bestemmiatore africano”, ed ora la sua coscienza turbata aveva trovato pace. “Il riscatto è stato pagato”: ecco il messaggio che aveva estinto il suo terrore, e questo riscatto era stato pagato dal sangue e dalla morte del Figlio di Dio. Quel riscatto era pienamente sufficiente. Il fardello del peccato era stato sciolto dalle sue spalle ed era caduto a terra. Ora egli era libero dalla colpa, dal terrore, dalla schiavitù. Ora egli conosceva la beatitudine dell’uomo la cui trasgressione era stata rimessa ed il cui peccato era stato coperto. Aveva creduto ed era stato salvato; anzi, sapeva di essere stato salvato, perché aveva messo in carico a Cristo quello che lui non avrebbe mai potuto pagare.
“Così, se da una parte la morte sua il peccato mio manifesta, in tutto il suo orrore, dall’altra il mistero della grazia suggella pure il mio perdono.
Il perdono tramite il sangue dell’Agnello -perdono tramite la fede nella testimonianza dello Spirito Santo sull’opera compiuta Emanuele -questo ora era la sua pace: ora l’intera sua vita era stata cambiata. Quel santo perdono l’aveva reso un uomo santo.
Ed ora torniamo al primo pensiero che per primo l’aveva colpito: “E se tutto questo fosse vero?”. E’ una domanda che interessa anche noi, non soltanto lui.
Se l’eternità è una realtà, allora è assolutamente necessario che ad essa ci prepariamo, perché la scelta fra l’eterna sofferenza e l’eterna gioia non è una cosa che possiamo permetterci di prendere alla leggera. Se davvero dovrò vivere per sempre, allora è imperativo che io viva quaggiù in modo tale da rendere la mia eternità un’eternità felice. Altrimenti sarebbe stato meglio che io non fossi mai nato.
Se il peccato è un dato di fatto, allora non posso permettermi di prenderlo alla leggera, e se Dio lo odia di un odio perfetto, allora anch’io lo debbo odiare, e me ne devo liberare al più presto possibile. E me ne ne devo liberare nel modo indicato da Dio, perché nessun altro modo per liberarsene avrà alcun giovamento. Ciò che è tanto terribilmente reale e potente come il peccato, potrà essere portato via solo da qualcosa di altrettanto vero e potente.
Se la croce di Cristo è autentica, allora dovrò considerarla di conseguenza con tutte le sue implicazioni: essa è stata intesa come morte per il peccato e come vita per la giustizia. E’ stata intesa come la fonte la cui acqua è l’unica che possa lavar via la macchia del peccato e dell’impurità. E’ stata intesa come l’unico luogo in cui un Altro si è caricato del nostro peccato, un Altro è morto affinché noi potessimo vivere, ed un Altro è stato condannato affinché, espiando la nostra pena, noi potessimo essere perdonati. Allorché io accetto quella grande opera che ivi per me è stata compiuta, allora troverò liberazione dall’ira di Dio, dal peccato e dalla morte. Non mi si chiede di operare io stesso per ottenere quel perdono: lo ricevo gratuitamente e senza meritarlo. Non mi si chiede di attendere per ricevere quel perdono: lo ricevo all’istante come un dono completo in sé stesso che mi è stato provveduto, un dono che viene impartito a chiunque si accosti a Dio per riceverlo e lo riceva nel modo che è stato stabilito.
Se tutte queste cose sono vere, allora non posso più attendere un solo momento. Tutto ciò che è connesso con Dio e con Cristo, con il peccato e con il perdono, con la vita e con la morte, con l’ira e con il favore, con il tempo e con l’eternità, è così indicibilmente importante che debbo assolutamente e senza ritardo occuparmi subito di queste cose. Se non lo faccio, sono davvero un pazzo irresponsabile, perché che mi servirà guadagnare tutto il mondo se poi perdo la mia anima? Devo cercare la cosa giusta, al tempo giusto e nel modo giusto. Devo rivolgermi direttamente a Dio per tutto ciò di cui ho bisogno, e Lo devo incontrare alla croce.
Ho conosciuto uno che ha passato tutta la vita a cercare e che sembrava mai trovare. Voleva essere felice, ma non sapeva come. Era ricco e aveva tutto ciò che questo mondo poteva offrirgli. Andava di luogo in luogo in cerca di piaceri. Aveva vissuto una lunga vita, l’aveva passata nel lusso, mangiando, bevendo e godendosela. Aveva grandi proprietà, aveva molti amici, la sua casa era piena di quadri d’autore, di sculture e ogni cosa di cui l’arte poteva provvedergli. I suoi occhi affaticati, però, vi avrebbero detto che, ciononostante, egli non era felice. La vita sembrava non dargli alcuna gioia e ciononostante giorno e notte sembrava non perseguisse altro che cose che promettevano gioia. “Mostratemi ciò che è buono, e io lo comprerò”, diceva. Il buono però non veniva mai. Viveva stanco ed infelice, anche se apparentemente aveva a sua disposizione ogni piacere. Morì all’età di 80 anni, e sembrava non avesse mai conosciuto un giorno per lui veramente felice. Aveva vissuto invano, sia per sé stesso che per gli altri.
Amico mio, vorresti tu essere felice? Allora devi rivolgerti a Dio per avere amore e gioia. Questo mondo, con tutte le sue ricchezze e piaceri non potrà mai fare nulla per te davvero. Non ti può dare pace. Però il Dio che ti ha creato, quello si che ti potrà dare pace, la Sua soddisfacente pace. Accostati ora a Lui, e prendila da Lui. Egli la dona generosamente, e senza mormorare.
Vorresti tu trovare per te sicurezza? La sicurezza la potrai trovare nel Figlio di Dio, e sotto la protezione della Sua croce. Soltanto in Lui sarai al sicuro. Sua croce è uno scudo ed un rifugio per il tempo e per l’eternità. Il tempo presto finirà, l’ultima tromba potrebbe presto suonare, e tu potresti ben presto trovarti davanti alla sbarra del tribunale di Cristo, per render conto delle opere che hai compiuto nella carne. Cerca sicurezza immediata in Cristo Gesù, l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. Egli è in grado di salvare appieno coloro che vanno a Dio tramite Lui. Egli attende per dare il benvenuto al colpevole. Egli ama benedire il peccatore. Vai a Lui ora, e presentagli completamente il tuo caso senza nulla celare, in modo fervente ed onesto, affidagli tutto te stesso. Egli non ti manderà via a mani vuote!
9. Le età a venire
“LE ETÀ A VENIRE!” Come saranno per me? Quanto dureranno?
Entriamo in un nuovo anno facendoci queste domande, perché i nostri giorni passano velocemente. La nostra vita è breve, la fine si fa sempre più vicina e talvolta ci sembra già di intravvedere la tomba in cui giaceremo forse molto presto, il nostro nome inciso sulla pietra ed un testo biblico sottostante: “I giorni dell’uomo sono come l’erba, egli fiorisce come il fiore nel campo; se il vento gli passa sopra, egli non è più e il suo luogo non lo si riconosce più” (Sl. 103:15,16).
La morte ci è passata molto vicino l’anno scorso e ne abbiamo sentito forti i colpi alla nostra porta. Il suono della sua tromba non era per noi un segnale sconosciuto. Seicento marinai che dormivano su una nave, in un solo minuto erano scomparsi fra le onde quando un solo colpo di cannone aveva colpito una delle nostre più forti navi da guerra, facendola affondare nelle profondità del mare come in un gioco da bambini. Alcuni di questi erano pronti, perché affondando la nave, essi sarebbero stati posti in salvo da una “scialuppa di salvataggio” che li avrebbe trasportati al porto desiderato. “La barca approdò là dove essi erano diretti” (Gv. 6:21), infatti “Dio condurrà con lui, per mezzo di Gesù, quelli che si sono addormentati” (1 Ts. 4:14). Altri avrebbero potuto non essere pronti, e per loro non ci sarebbe più stato tempo per prepararsi, neanche il breve tempo di un comune naufragio; neanche le poche ore accordate al ladrone sulla croce.
Preparati dunque, oh uomo, ad incontrare il tuo Dio!
E’ scritto che il governatore di Parigi aveva chiesto al comandante germanico di avvisarlo prima che dovesse cominciare il bombardamento della “gioiosa città”. Il tedesco però aveva rifiutato, non sarebbe stato dato alcun preavviso. Nel momento più inatteso, quando Parigi forse meno se lo aspettava, la pioggia di fuoco sarebbe iniziata seminando morte e distruzione. Oh uomo, così sarà con te. Invano chiederesti un preavviso, un segnale che il nemico si avvicina. Non ci saranno però segnali, se non quelli che sono comuni a tutti e di questi, forse, in questo momento, nemmeno te ne accorgi. Senza dubbio non è mai troppo tardi per rivolgere lo sguardo al biblico serpente di rame, fintanto che l’occhio della tua vita te lo permetta. Ti basterebbe anche una visione sfocata, e tu saresti risanato! Non è mai troppo tardi per condurre te stesso, con tutti i tuoi peccati, a quel “Figlio dell’Altissimo” pieno di grazia, fintanto che tu sei da questa parte dell’abisso. Non è mai troppo tardi, fintanto che tu sei qui, per lavarti nel sangue del sacrificio di Cristo, per indossare la Sua giustizia, per ricevere il perdono, per bere dell’acqua della vita. Quanto però è improbabile che coloro che hanno dimenticato queste cose durante la loro vita se ne ricordino quando l’oscurità dell’ora della morte li sovrasta. Com’è difficile, anche se ne ricordassero, considerare le cose di Dio, rendersi conto della grazia offerta dall’Evangelo, fare propria la pace e la guarigione fornita dalla croce, fra i dolori della malattia, la stanchezza, la debolezza, ed un corpo che si spegne!
Fra i molti altari che erigevano ai loro dei, sia conosciuti che sconosciuti, i pagani non erigevano alcun monumento alla morte. Essi sapevano che l’ultimo nemico era inesorabile, che non si sarebbe fatto pregare. Non l’avrebbero potuto corrompere con offerte. Non li avrebbe risparmiati. Accertati allora, oh uomo, di garantirti una vita dopo la morte, affidando la tua esistenza a Colui che è “Vita eterna”. La morte sarà per te così trasformata da nemico ad amico. Si diceva che uno, tempo fa, vedendo un pittore rappresentare la morte come uno scheletro con in mano un’enorme falce, disse: “Amico, non dovresti forse meglio rappresentare la morte come un angelo con in mano una chiave d’oro?”. Per l’uomo che non conosce la croce ed il perdono che là è stato realizzato, la morte è uno scheletro con una falce. Per l’uomo che ha trovato vita e pace credendo alla divina testimonianza al grande Portatore di peccato e alla Sua opera, la morte è un angelo con una chiave d’oro. Quale dei due è il tuo caso, oh immortale compagno? “Colui che vince non conoscerà la morte seconda”. E’ questa la tua speranza? E’ forse questo il testo che tu speri di porre sotto il cuscino della tua morte? O, se non dovrai avere alcun altro cuscino se non le onde del mare, oppure anche la terra rossa di un campo di battaglia, potrai tu trovare riposo in un tale testo quando, forse improvvisamente, sarai chiamato ad essere sottoposto al giudizio eterno?
Un vecchio predicatore era morto con queste parole sulle labbra: “Io sono ripieno delle consolazioni di Cristo”. Un altro cristiano rese il suo ultimo respiro dicendo: “Sicuro sotto l’ombra delle sue ali”. Un altro parlava dei suoi sentimenti interiori nell’ora della morte, con “Ho la pace come un fiume”. A Melantone, nell’ora della sua morte, venne chiesto se avesse bisogno di qualcosa. Al che egli rispose: “Nient’altro che il paradiso”. A Baxter invece, alla stessa domanda, nell’ora della sua morte, rispose: “Ora sto bene”. Grimshaw di Haworth, similmente, aveva risposto: “Sono tanto felice quanto si possa essere sulla terra, e sono tanto sicuro della gloria come se già io vi fossi. Non ho null’altro da fare che il passo che separa questo letto dal paradiso”. Il Dott. Judson disse: “La morte non mi può cogliere di sorpresa, mi sento forte in Cristo”. Una donna era morta con queste parole sulle labbra: “Non mi sono mai sentita più vicino a Cristo che in questo momento”. Un’altra sempre di nuovo ripeteva queste parole:”La morte non è più per me un pungiglione acuminato. Cristo l’ha spezzato!”. Ancora un altro aveva esclamato: “Se questa è la valle dell’ombra della morte, in essa non c’è tenebra alcuna: è tutta luce”.
“FAMMI MORIRE LA MORTE DEL GIUSTO, E FAMMI FARE LA SUA FINE!
A colui che legge queste pagine, potrebbe non rimanere di vita che un breve tempo. “Quest’anno stesso morirai!”: ecco le terribili parole che ad un peccatore erano pervenute una volta dalle labbra di un profeta. E ora, sebbene non vi sia alcun profeta a dire cose simili alle tue orecchie, può benissimo essere vero che questo per te sia il tuo ultimo anno di vita sulla terra.
Comunque sia, parliamo a te come ad una persona che ancora vive sulla terra, ed alla quale, quindi, in tutta la sua generosa pienezza, perviene l’Evangelo. Esso parla a te come ad una creatura morente; esso parla alla tua anima immortale. Esso dice parole di grazia, ma ti esorta ad affrettarti. Esso punta il dito verso la porta della gloriosa città; ciononostante, esso dice, quella porta potrebbe per te essere chiusa per sempre. Esso ti parla della vita eterna che si ottiene per opera di Colui che è morto ed è risuscitato. Esso ti assicura che chiunque crede sarà salvato.
Ciò che costituisce per il peccatore una buona notizia, Dio lo ha fatto ampiamente conoscere. Non dobbiamo aver paura di non comprendere ciò che significa “l’Evangelo della grazia di Dio”. Nel Suo amore Egli ha dato il Suo Figlio per portare su di sé i tuoi peccati. Egli è “l’agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo”. Con grande amore Egli ha scritto per noi la storia della vita e della morte del grande Portatore del peccato. “La Parola è diventata carne” a Betlemme; là il Figlio di Dio è divenuto vero uomo, carne della nostra carne ed ossa delle nostre ossa. Là Colui che non conobbe mai peccato si è caricato del fardello dei nostri peccati. Proprio perché il peccato è un così grande male, e perché Dio è così giusto, e la legge così santa, che o noi dobbiamo portare le eterne conseguenze del nostro peccato, o un Altro deve portarle per noi: esso non può rimanere impunito. Ci dev’essere un sostituto, se ci deve essere salvezza. Per trentatré anni, “Il Figlio del Benedetto” dimorò fra di noi, pronunciando parole di grazia, operando opere di misericordia, rivelandoci Dio, adempiendo una grande opera d’amore, e completando la grande propiziazione per il peccato. Egli venne inchiodato alla croce come il Portatore di peccato; come tale discese nella tomba. Egli risorse il terzo giorno come Uno che aveva compiuto l’intera opera, e che come tale era stato accettato dal Padre. “Egli è stato dato per le nostre offese, ed è risorto per la nostra giustificazione”. “Egli soffrì, il Giusto per l’ingiusto, affinché potesse portarci a Dio”. “Egli ha fatto pace mediante il sangue della sua croce”.
Tutte le perfezioni della persona e dell’opera di Cristo vengono ora presentate al peccatore, affinché le possa ricevere ed essere così salvato. L’Evangelo gli perviene come l’opera completa del Sostituto, ed esorta a che questa opera venga accettata, cosicché semplicemente accettandola tale e quale Dio la offre, egli possa poggiare i suoi piedi su una nuova base, quella della perfezione del Cristo, invece che su quella traballante ed imperfetta che gli è propria.
Allo stesso modo noi esortiamo il lettore di queste pagine a fare proprio quest’Evangelo. Esso ti parla della pienezza di Cristo, e la via aperta d’accesso per te, peccatore, a quella pienezza. Con tutta la tua indegnità egli vuole darti il benvenuto presso al trono della misericordia. Esso ti invita caldamente con mano generosa d’amore, a ritornare presso Dio ed entrare nella città di rifugio. Esso contiene “buone notizie”, le migliori notizie che possano ricevere dei figlioli d’uomo, e questo invito si può riassumere in quel “SOLO CREDI”.
“LE ETÀ A VENIRE”. Forse gli occhi di una persona in lutto potranno trovare conforto in queste mie parole. Getta le tue afflizioni su Gesù, il quale è il Portatore delle afflizioni, come pure Colui che porta il tuo peccato; e guarda avanti a quella città di luce dove le tenebre non possono sussistere, né afflizione, né pianto; dove le lacrime verranno asciugate da ogni occhio. I giorni della tua afflizione termineranno. La notte passa ed appare la luce del mattino. Tu, cristiano in lutto, appoggiati al braccio del tuo Signore, e effondi le tue afflizioni sul Suo petto.
Una donna, missionaria in Persia, una volta insegnava ad una classe di gente locale, desiderosa di apprendere le cose del Signore. Molto stanca per le fatiche di un giorno di grande impegno, poteva a malapena sedersi eretta. Uno dei convertiti, osservando la sua debolezza, si pose dietro di lei come se fosse un cuscino, dicendo: “Si appoggi contro di me”. L’amorevole insegnante così si appoggiò un poco, timorosa di dare troppo incomodo. La stessa voce però continuò e disse: “Se mi ama, si appoggi duro senza timore”. Oh cristiano afflitto, appoggiati a Gesù. Egli ti dice: “Se Mi ami, appoggiati completamente a me, senza timore”.
“LE ETÀ A VENIRE”. Quanto presto per noi saranno realtà! con le loro indicibili ricchezze di gioia, di canzoni, di splendore. Allora felicemente ci riuniremo, ci sarà una comunione eterna, un riposo eterno, il sole non tramonterà mai: tutto questo presto verrà! Tutto il nostro travaglio sarà compiuto, verrà pienamente goduta la vittoria; la nostra stanchezza cesserà, le nostre angustie e afflizioni saranno finite come un sogno della notte; le nostre ferite saranno risanate; i nostri mal di cuore leniti; la pesantezza dello spirito trasformata in celeste esuberanza; la nostra ignoranza sarà tutta dimenticata ed avremo divina sapienza e conoscenza; le nostre braccia cadenti saranno elevate nella gioia, le nostre ginocchia tremanti rese salde; la nostra fronte corrugata resa di nuovo liscia dalla stessa tenera mano che asciuga ogni lacrima dai nostri occhi; tutte le imperfezioni della terra saranno perdute nella perfezione del cielo!
Tutte queste cose possono essere per noi più vicine di quanto pensiamo, perché “colui che deve venire verrà, e non tarderà”. Perché tutte queste cose dovranno venire: “come non dovreste voi avere una condotta santa e pia”? Certamente noi siamo stati chiamati ad uno stile di vita cristiano molto più alto di quello che attualmente abbiamo! Quanto più santi, quanto maggiormente persone di preghiera, quanto meno mondani, quanto maggiore spirito di sacrificio, quanto più amorevoli e spirituali, dovrebbero essere coloro che portano il nome di Cristo! Saremo come Lui quando Lo vedremo quale Egli è. Non vorremmo oggi cercare di essere maggiormente come Lui?
Che cosa può renderci santi? Una stretta comunione con Gesù, avere molto a che fare con Lui. Che cosa ci può riempire di gioia? Guardare Gesù in volto. Che cosa può renderci perseveranti? Appoggiandoci al braccio di Gesù. Che cosa ci può confortare nell’afflizione? Appoggiare il nostro capo sul petto di Gesù. Perché Cristo è tutto in tutti e in Lui possiamo avere tutto. Cerchiamo allora di onorare la Sua pienezza ricevendola completamente, e godendo del Suo amore.
Orazio Bonar (1808-1889)
Per mezzo secolo e più Orazio Bonar condusse un efficace e potente ministero cristiano in Scozia, la terra dov’era nato. I suoi trattati evangelistici e i suoi libri sono stati sempre ben accolti e letti in tutti i circoli cristiani. Orazio Bonar viene pure ricordato come eccellente scrittore di inni. Il tema principale di questo volumetto può essere riassunto nela breve e chiara affermazione fatta dall’autore stesso:
“Alcuni hanno cercato nel passato di delineare delle formule stereotipate ed istruzioni su come giungere alla conversione: hanno però spesso moltiplicato parole senza sapienza, allontanando di fatto il peccatore dalla croce proponendogli cose da fare e non cose da credere. Nostro dovere non è tanto dare simili istruzioni ma, come fecero gli apostoli, predicare Cristo crocefisso, un Salvatore efficace pure oggi. I peccatori verranno convertiti solo quando innalzeremo il Signore stesso, com’è scritto: ‘Quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me’” (Giovanni 12:32).
Traduzione del past. Paolo Castellina, gennaio 1994. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione “Nuova Diodati”, Brindisi 1991.