Liturgie/Il culto nella prospettiva riformata
Il Culto nella prospettiva riformata
Nelle Chiese riformate il culto è un servizio alla gloria di Dio. “Degno sei, o Signore, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà esistono e sono state create” (Ap. 4:11), “Degno è l'Agnello, che è stato ucciso, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la benedizione” (Ap. 5:12).
Questo servizio viene compiuto in comunione con Gesù Cristo, continuando la Sua predicazione dell’Evangelo, i Suoi atti di misericordia, il Suo ministero di preghiera, e la celebrazione delle ordinanze che Egli ha istituito. Esso è compiuto sia in nome di Cristo che nella comunione con il Suo corpo. Infine, il culto è un’opera divina, iniziata, ispirata e costantemente appoggiata dallo Spirito Santo all’opera nel cuore umano individuale e nella comunità riunita.
L’approccio riformato al culto lo si comprende meglio a partire da certi testi biblici chiave. Principio fondamentale della teologia riformata è che il culto deve essere formato e costantemente riformato secondo le Scritture. Che il culto debba essere secondo la Parola di Dio deriva dal fatto di comprenderlo come opera di Dio. Il nostro culto è sollecitato dalla richiesta di Cristo, e quindi comporta la promessa della Sua presenza (Mt. 28:20).
Nell’elaborare questo principio, i Riformatori, in particolare Ecolampadio, intesero muoversi su una via di mezzo fra lo stretto principio che ciò che non è comandato dalla Scrittura è proibito ed il principio più tollerante che ciò che non è proibito è permesso. Alla fine del 16° secolo questo era diventato il punto programmatico del programma puritano di riforma liturgica come nell’Ammonizione al Parlamento (1572). William Ames affermò il principio di Agostino e di Calvino che nulla glorifica maggiormente Dio che ciò che proviene da Dio - cioè che il nostro culto deve riflettere la gloria di Dio. Un’affermazione più equilibrata di questo principio si trova nella Confessione di Fede di Westminster (1.6).
Già nella prima tavola della Legge di Mosè, Israele è chiamato a servire la gloria di Dio. Questo servizio deve essere reso all’unico e vero Dio, e a nessun altro. Non bisogna usarvi né idoli, che confonderebbero le idee sulla natura di Dio, né formule magiche, che profanerebbero il nome di Dio. Al contrario, il popolo di Dio si deve riunire ogni Sabato in ricordo dei potenti atti di Dio nella creazione e nella redenzione.
Per una teologia riformata del culto, la comprensione cristiana dei primi quattro comandamenti è stata sempre fondamentale (cfr. Zaccaria Ursino che scrive al riguardo del Catechismo di Heidelberg, domm. 93-103). Come disse Calvino, la prima tavola della Legge venne riassunta da Gesù come il primo e più grande comandamento, quello di amare Dio con tutto noi stessi. Il culto, quindi, si comprende nel rapporto di amore fra Dio ed il popolo di Dio (Istit. 2.8.11-34). L’Apostolo Paolo tratta di diverse questioni liturgiche in 1 Co, 10-14 in termini di questo amore nel quadro dell’Alleanza. Per questa ragione, molti predicatori riformati del New England come Thomas Shepard, della Scozia, come John Willison, e del New Jersey, come Gilbert Tennent, spesso predicavano sulla festa nuziale dell’Agnello in occasione della Santa Cena. Essi comprendevano il culto in termini di amore nel quadro dell’Alleanza.
Quando Martin Bucero elaborò il programma di riforme liturgiche della Chiesa di Strasburgo nel suo Grund und Ursach (1524) egli deduceva da Atti 2:42 il fatto che il culto dovesse contenere
(1) lettura ed insegnamento delle Scritture;
(2) comunione, espressa particolarmente dalla raccolta di elemosine;
(3) celebrazione dei sacramenti del Battesimo e della Cena del Signore; e
(4) il servizio della preghiera quotidiana.
Strasburgo sviluppò una dieta molto ricca di preghiere, incluso il canto dei salmi e di inni, preghiere di confessione e di supplica, preghiere di intercessione, di rendimento di grazie, e benedizioni. Era concesso spazio sia alle preghiere preformulate che estemporanee. Bucero, come la tradizione riformata in generale, non era tanto interessato alla sequenza di questi momenti quanto al loro contenuto.
L’approccio riformato al culto può essere spiegato nei termini delle diverse dimensioni del culto:
(1) La dimensione kerygmatica. Gesù venne per predicare l’Evangelo del regno. La predicazione dell’Evangelo è culto perché proclama la signoria di Dio e testimonia della sovranità di Dio. Nel culto del Tempio di Gerusalemme molti dei Salmi erano acclamazioni della sovrana presenza di Dio (es. Sl. 93:96-99), non solo riguardo ad Israele, ma a tutte le nazioni. Allo stesso modo l’evangelizzazione glorifica Dio proclamando la signoria di Cristo sulle nazioni e sulle culture. La predicazione missionaria ed evangelistica del 19° e del 20° secolo comprendeva bene la dimensione kerygmatica del culto. Proprio come molti fra gli antichi salmi erano kerygmatici, così molti inni cristiani sono kerygmatici. Si pensi alla parafrasi di Isaac Watts o di Joachim Neander del Salmo 72. Molta musica cristiana è kerygmatica. Preludi e postludi d’organo mettono in rilievo la dimensione kerygmatica del culto cristiano proprio come il suono dello shofar e delle trombe annunciava il Sabato nell’antico Israele.
(2) La dimensione epicletica. Il culto ha una dimensione epicletica: invoca il nome di Dio affinché Egli ci aiuti e ci salvi. Un’epiclesi è una preghiera che invoca il nome e la presenza di Dio. Proprio come era importante nel culto dell’Antico Testamento non usare invano il nome di Dio, così era importante per il culto del Nuovo Testamento santificare il nome di Dio. Si rende culto a Dio quando il fedele invoca il nome di Dio in tempo di necessità. Molti salmi sono lamentazioni, suppliche e confessioni di peccato (es. Sl. 22; 42; 51; 102; 130). Gesù pregava nel Suo proprio culto, e nel Padre Nostro Egli insegnò ai Suoi discepoli di pregare per il perdono dei loro peccati, affinché fosse fornito loro il pane quotidiano, per la liberazione dal male, e per la venuta del Regno. Il culto riformato dà molta attenzione all’invocazione del nome di Dio all’inizio del culto ed all’invocazione dello Spirito Santo prima della lettura e della predicazione delle Scritture. Nella celebrazione sia del Battesimo che della Santa Cena, si invoca Dio Padre a che mandi lo Spirito Santo affinché ciò che è significato nell’azione sacramentale diventi realtà nella vita di coloro che la ricevono.
(3) La dimensione profetica. Il culto ha una dimensione profetica. Gesù e gli apostoli, non meno che i profeti insistevano che mentre la gloria di Dio è oscurata dall’ingiustizia e dall’immoralità, essa viene magnificata quando la comunità cultuale riflette la santità di Dio (Mi. 6:6-8; Am. 5:21-24; Is. 6:3-8). Il servizio della gloria di Dio implica un servizio di misericordia verso il prossimo (Mt. 22:36-39; Ro. 12). La raccolta di decime e di elemosine, quindi, ha la sua collocazione propria nel culto. E’ nel servizio diaconale che il servizio di misericordia e quello del culto solo legati insieme. Theodor Fliedner e le diaconesse riformate tedesche svilupparono questo aspetto in modo notevole. Da questa dimensione profetica del culto le chiese riformate hanno sviluppato un culto semplice ed ordinato evitando forme liturgiche sontuose. Come disse Calvino, “l’umiltà è il principio del culto” (Commento a Michea 6:8).
(4) La dimensione sapienziale. La tradizione sapienziale dell’Antico e del Nuovo Testamento ci mostra un’altra dimensione del culto. La tradizione sapienziale si rallegrava dello studio della Parola di Dio (Sl. 1:2,3). Studiando la Parola, memorizzandola, insegnandola, predicandola, e vivendola, Dio veniva glorificato. Come nel Salmo 19, la Legge, la Parola di Dio, glorifica Dio allo stesso modo come l’ordine della creazione. Difatti, Dio si rallegra nella sapienza (Pr. 8:30). Nella cristologia giovannea del Logos troviamo appunto come la tradizione sapienziale si avvicinasse al culto (Gv. 1:14-18; 2:1-11; 6:25-69; 20:29-31). La dimensione sapienziale ci aiuta a comprendere l’importanza della predicazione nel culto riformato. I sermoni di Zwingli, Thomas Goodwin, C. H. Spurgeon esprimono la ricchezza dell’esposizione biblica nella predicazione. I 190 sermoni di Thomas Manton sul Salmo 119 possono essere meglio apprezzati alla luce di questo particolare aspetto.
(5) La dimensione dell’Alleanza. C’è infine una dimensione che pone l’accento sull’Alleanza, sul Patto. Questo risulta dal culto descritto in esodo 24. Il Libro dell’Alleanza viene letto, e con dei voti di fede, il patto viene suggellato sia con l’aspersione del sangue del patto che da un pasto in comune. Nei primordi della Riforma Heinrich Bullinger sviluppò una comprensione dei sacramenti fondata sull’Alleanza. Da allora i teologi riformati, incoraggiati da 1 Co. 11:25 hanno visto nelle assemblee d’Alleanza dell’Antico Testamento come tipologie del culto cristiano dove lo spezzare il pane e bere il vino uniscono i cristiani in un nuovo ed eterno patto. Così pure nel battesimo, perché era segno del patto come la circoncisione, veniva amministrato in modo appropriato anche ai figli della comunità dell’Alleanza. Da questa comprensione del battesimo Horace Bushnell derivò le sue idee sull’istruzione cristiana. Uno dei luoghi dove questa dimensione d’Alleanza è più evidente è la Stagione scozzese della Santa Cena. In questa ricorrenza vengono fatti e rinnovati gli impegni di fede. Da Jonathan Edwards nel New England a Samuel Davies nella Virginia, era chiaro che coloro che giungevano alla fede durante il Grande Risveglio dovessero professare la loro fede durante la Santa Cena.
(Da H. O. Old, in Encyclopedia of the Reformed Faith, D. K. McKim editore, Westminstter/John Knox Press, Louiville Ky. 1992, p. 410).