Predicazioni/Luca/Cristiani senza mezze misure

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Ritorno


Cristiani senza “mezze misure”

Sintesi: In un'epoca che vive all'insegna della “tolleranza” è difficile parlare di che cosa significhi essere “un vero cristiano”, perché ciascuno pretende di esserlo a modo suo e che il suo modo di essere cristiano sia perfettamente legittimo. A dir di molti, oggi, “una fede vale l'altra” e nessuno avrebbe il diritto di “imporre sugli altri il proprio modo di credere”. Il testo biblico scelto per la nostra riflessione di quest'oggi indubbiamente ci mette tutti in crisi perché qui il Signore Gesù ci chiama a verificare la sostanza della nostra adesione a Lui in quanto cristiani. I termini che Egli usa sono molto radicali, tanto da mettere in seria questione il cristianesimo della maggior parte di noi che lo professiamo. Leggeremo e commenteremo, cosi, quanto troviamo nel vangelo secondo Luca, al capitolo 14 dal versetto 25 al 33.

Recentemente stavo discutendo con un interlocutore sulla questione del come rendere culto a Dio per contestare la tesi secondo la quale non importa come lo si faccia e che basti farlo “sinceramente”. Oggi prevale, infatti, la tesi, “molto tollerante” che si possa rendere culto a Dio in qualsiasi modo lo si ritenga opportuno, secondo le nostre inclinazioni, cultura e tradizioni. No, dicevo io, è Dio stesso che stabilisce, nella Sua Parola, la rivelazione biblica, il modo in cui Egli vuole essere adorato e a questo ci dobbiamo attenere. Di questo ne abbiamo ampia attestazione nelle Scritture soprattutto quando Egli condanna severamente chiunque non vi si attenga. Al che il mio interlocutore mi risponde che …non possiamo essere sicuri che quanto troviamo nella Bibbia sia Parola di Dio e non opinioni di scrittori umani” e “...per rendere culto a Dio ci si dovrebbe attenere a quanto stabilito o permesso dalle autorità ecclesiastiche!”. Alla mia insistenza che vi sia chiaramente nelle Scritture un principio regolatore del culto il mio interlocutore risponde che, se io così credo io avrei ben potuto attenermi a quella norma, che lui non era d’accordo, ma “mi rispettava” - bontà sua, manifestando così …la virtù della tolleranza! Inutile oggi contestare, sulla base dei principi biblici della Riforma, il relativismo, il soggettivismo e la sottomissione ad autorità umane? Sembrerebbe. Non ti ascoltano più.

Non è solo la questione del come rendere culto a Dio, ma anche del “modo” di essere cristiani. Che cosa vuol dire essere cristiani? Oggi tipicamente si dice: “Tu fai come credi meglio, l’importante è che non giudichi gli altri. Dio accetta tutti…”. Il problema è che il Signore Gesù stesso non è di questa opinione, ma stabilisce precisi requisiti per poter essere davvero Suoi discepoli. “Poco importa”, mi si risponderà, “Non possiamo essere sicuri che lo abbia detto veramente!”. Dato però che noi intendiamo prendere sul serio il Signore Gesù - che piaccia o non piaccia a molti nostri corrotti contemporanei, oggi esamineremo le Sue radicali parole su che cosa voglia dire seguirlo come Suoi discepoli. Sono parole dure che mettono indubbiamente in crisi. Leggiamo, cosi, quanto troviamo nel vangelo secondo Luca, al capitolo 14 dal versetto 25 al 33.

Il vero discepolo. "Or grandi folle andavano a lui, ed egli si rivolse loro e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo. Chi di voi infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne il costo, per vedere se ha abbastanza per portarla a termine? Che talora, avendo posto il fondamento e non potendola finire, tutti coloro che la vedono non comincino a beffarsi di lui, dicendo: "Quest'uomo ha cominciato a costruire e non è stato capace di terminare". Ovvero quale re, andando a far guerra contro un altro re, non si siede prima a determinare se può con diecimila affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un'ambasciata per trattar la pace. Così dunque, ognuno di voi che non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo" (Luca 14:25-33).

Nell'esporre il contenuto di questo testo, potremmo suddividerlo secondo sei verbi o concetti che troviamo qui usati: andare, preferire, sopportare, costruire, combattere e rinunciare.

Andare

Il testo dice: "Or grandi folle andavano a lui, ed egli si rivolse loro...” (25). Molta gente, allora, era interessata a Gesù. Egli godeva di grande popolarità. Questo Lo avrebbe dovuto rallegrare, non è vero? Noi, al posto Suo, avremmo detto: “Guarda quanta gente mi segue e mi apprezza! Teniamocela buona: così tanta gente garantirà il successo del mio movimento, mi garantirà i fondi necessari per portare avanti la mia causa, cosa che i miei avversari non potranno certo ignorare”. Eppure Gesù, rivolgendosi alla gente, parla di condizioni così esigenti per poterlo di fatto seguire che, a udirle, molti se ne sarebbero sicuramente andati.

Qualcuno, allora, avrebbe potuto “consigliare” Gesù dicendogli: “Maestro, non essere così esigente quando parli alla gente! Così te la fai scappare! È controproducente! Prometti loro cose che potranno avere con poco sforzo ...cose facili, comode, che costino poco o, meglio ancora, nulla!”. Gesù, però, non accetta questi “consigli”. Gesù sembra non curarsi di questo tipo di “popolarità” e persiste a non applicare “le buone regole del marketing”. Il Suo discorso è “duro”. Da chi Lo vuole seguire pretende molto.

Forse è anche questo che avrebbe fatto innervosire il discepolo Giuda, il che lo condurrà ad abbandonare e tradire Gesù. È come se Gli avesse detto: “Gesù, tu non capisci nulla. Non si fa così. Se vuoi avere successo devi usare ben altre strategie. Te l'ho detto e ridetto, ma tu, ostinato, persisti a fare come vuoi tu. Allora arrangiati! Così non combinerai mai nulla di buono. Io me ne andrò per un'altra strada!”.

Preferire

Ecco, così, che ancora oggi le seguenti espressioni di Gesù rimangono scandalose e inaccettabili. Egli dice: “Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo” (26). Non è forse “esagerato” quanto qui dice Gesù, e persino in contraddizione con quanto afferma altrimenti sull'amore? Bisogna certamente dire che il verbo “odiare”, nell'originale, non ha lo stesso significato che in italiano. Nel passo parallelo di Matteo 10:37 troviamo il vero significato di questo termine: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me”. Allo stesso modo, quando Dio dice: «Io ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù» (Romani 6:16), Egli intende dire che preferisce, sceglie Giacobbe. Infatti, con il verbo “odiare” Gesù intende: “amare di più”, preferire, dare la precedenza. Per essere discepoli autentici di Gesù significa mettere Lui nella propria vita prima di ogni altra persona o cosa, prima ancora persino della preservazione della nostra stessa vita! Il seguire Cristo deve avere priorità, precedenza, su ogni altra cosa. Non ci deve essere nulla, alcun ostacolo, fra lui e Gesù. Indubbiamente un parlare “duro”.

Ancora oggi, in molti luoghi, seguire Gesù significa mettersi contro, per diversi motivi, la propria famiglia. Ancora oggi ci si può trovare nella situazione di sentirsi dire: “Devi fare una scelta, o me o il tuo Gesù”. Gesù qui dice: “Se vuoi essere davvero cristiano devi mettere me prima di ogni altra persona, senza compromessi!”. “Venire a me” o “venire con me” non significa in senso fisico, ma spirituale. È molto più che venire ad ascoltare predicare Gesù, ma credere in Lui (affidarsi completamente a Lui), ricevere la Sua grazia, perdono, giustizia, vita e salvezza, sottomettersi alla Sua volontà, imparare da Lui e metterlo in pratica. Essere cristiani implica una totale consacrazione a Cristo. Non esistono due categorie di cristiani, quelli “normali” e quelli “impegnati”. Il discepolato cristiano è sempre radicale, non vi possono essere mezze misure. Gesù dice: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde” (Luca 11:23).

Sopportare

Seguire Gesù, però, significa anche: “portare la sua croce”, sopportarne tutte le eventuali conseguenze negative. “E chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo” (27). I discepoli di Gesù devono essere disposti a portare ciò che era allora poteva essere una conseguenza molto pesante, la condanna a morte per crocifissione. Essi avrebbero pure dovuto letteralmente (come sarebbe accaduto a Gesù) portare sulle loro spalle, al luogo dell'esecuzione, la trave stessa su cui sarebbero stati inchiodati. In Cina i condannati alla fucilazione devono comprarsi loro stessi le pallottole con le quali saranno uccisi come pure “il disturbo” del plotone di esecuzione.

Sebbene i discepoli di Gesù non debbano certo tutti essere crocifissi, o subire la condanna a morte, la tortura e il carcere (come avviene ancora oggi in diversi paesi del mondo) essi portano la croce come se vi fossero destinati. Devono sopportare l'infamia di un nome spesso impopolare. I discepoli di Gesù, per seguirlo, per essere davvero “dei Suoi”, devono essere pronti a sopportare le possibili conseguenze negative della loro professione di fede, derisione e critiche, afflizioni, persecuzioni. Seguire Gesù è impegnativo.

L'apostolo Pietro scrive: “Perché è una grazia se qualcuno sopporta, per motivo di coscienza dinanzi a Dio, sofferenze che si subiscono ingiustamente. Infatti, … se soffrite perché avete agito bene, e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio” (1 Pietro 2:19,20 NR). Così pure l'apostolo Paolo: "...ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo (...) sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo (...) L'amore: “soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1 Co. 4:12; 9:12; 13:7 NR).

Folle intere di persone, dunque, seguivano Gesù. Per essere, però veramente “dei Suoi” dovevano essergli totalmente consacrati senza compromesso. È questo il senso delle parabole che Egli aggiunge alle Sue parole qui dopo, dove Egli mette in guardia che chi Lo segue deve essere impegnato a costruire qualcosa di cui deve calcolarne se ha “i fondi” necessari per farlo, come pure combattere una battaglia per la quale deve verificare di avere “le risorse” necessarie per vincerla.

Costruire

“Chi di voi infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne il costo, per vedere se ha abbastanza per portarla a termine? Che talora, avendo posto il fondamento e non potendola finire, tutti coloro che la vedono non comincino a beffarsi di lui, dicendo: "Quest'uomo ha cominciato a costruire e non è stato capace di terminare" (28-30).

Seguire Cristo ha un costo di cui bisogna bene tenere conto, prima d'intraprendere questa strada. È bene rendersene conto subito per non avere poi “sorprese” che ci potrebbero far rinunciare e tornare indietro a nostra vergogna. Vi sono predicatori ed evangelisti cristiani che “semplificano” il messaggio per potere attirare molti nuovi convertiti, e che hanno paura di presentare un'immagine del discepolato cristiano che li scoraggi e li faccia rinunciare. Vi sono chiese che hanno il terrore di perdere i loro membri e le loro entrate. Per questo sono pronti a presentare della fede cristiana un'immagine non impegnativa, compiacente, dove si giustifica ogni compromesso. Sono risentiti e si oppongono a viva voce quando altri predicatori (che vogliono essere fedeli all'Evangelo biblico) presentano della fede un'immagine impegnativa di essere cristiani.

Preferiscono, così, le “entrate” (di denaro) alle “uscite” di membri che preferiscono un cristianesimo di comodo. La fede cristiana implica un'impegnativa opera di “costruzione”, sul fondamento di Cristo, di un carattere personale e uno stile di vita sociale che “costa” a ogni livello. Non è, però, solo “costruire”, ma anche “combattere”.

Combattere

Gesù dice: “Ovvero quale re, andando a far guerra contro un altro re, non si siede prima a determinare se può con diecimila affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un'ambasciata per trattar la pace” (31,32). La vita cristiana è pure una lotta, spesso ardua, contro il peccato, per la quale deve dotarsi diligentemente di tutte le risorse necessarie per intraprenderla con successo.

Intraprendere la vita cristiana in modo superficiale può voler dire, prima o poi, essere sopraffatti dalle forze avversarie. Per evitare di essere sopraffatti dal mondo, allora, spesso accade che un cristiano, o persino un'intera chiesa, faccia accordi e compromessi con il mondo, annacquando e vanificando l'Evangelo di Cristo, “adattandolo” al mondo. Un cristiano o una chiesa, indisposta alla radicalità dell'Evangelo, per “sopravvivere” spesso si adatta e conforma all'andazzo di questo mondo! Può, però, continuare a considerarsi tale secondo i criteri di Gesù Cristo? Una chiesa compromessa con il mondo può avere la reputazione di vivere, ma è spiritualmente morta: “Io conosco le tue opere; tu hai la reputazione di vivere, ma sei morto” (Apocalisse 3:1). Un cristiano o una chiesa che faccia “comodi compromessi” con il mondo può avere solo l'apparenza della fede, ma ne ha rinnegato la potenza: “...aventi l'apparenza della pietà, ma avendone rinnegato la potenza” (2 Timoteo 3:5). Una chiesa compromessa con il mondo diventa decisamente “insipida”: “Il sale è buono, ma se il sale diviene insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri” (Marco 9:50).

Rinunciare

Ecco così l'espressione finale, riassuntiva, di ciò che dice Gesù in questo testo: “Così dunque, ognuno di voi che non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo" (33). Secondo le parole stesse di Gesù, non ha titolo alcuno di portare il nome di cristiano, di essere discepolo di Gesù, chi non rinuncia alle sicurezze e alla “convenienze” di questo mondo. Tutto questo, indubbiamente ci mette in crisi, mette anche me stesso in crisi rendendo persino imbarazzante predicare testi di questo tenore! Testi così sarebbe più comodo ignorarli... “Meglio usare un altro testo biblico per questa domenica”?

No, ci dobbiamo mettere onestamente a confronto con la Parola di Cristo perché è davvero una spada tagliente, affilata. È giusto che essa ci metta in crisi e ci conduca a verificare la verità della nostra professione di fede. Di fronte al giudizio finale di Dio non saranno le nostre opinioni o preferenze su che cos'è il cristianesimo a contare, ma quanto oggettivamente stabilito dal Maestro, dal Signore Gesù Cristo. Crisi significa “scelta”. Dobbiamo scegliere e anche essere pronti a rinunciare alla nostra professione di fede (non a modificarla) se vediamo che, in realtà, non ci sia comoda. Però: “Che giova … all'uomo guadagnare tutto il mondo, se poi rovina se stesso e va in perdizione?” (Luca 9:25).

Anche le chiese devono essere pronte a lasciare eventualmente che masse intere diano le dimissioni dalla chiesa se non sono disposte ad accettare le condizioni poste sovranamente da Gesù. Abbiamo paura di perdere il necessario sostegno finanziario? Qual è però il prezzo da pagare per non farlo: il compromesso, annacquare l'Evangelo, e alla fin fine l'apostasia. Se sono solo i soldi ciò a cui pensiamo, vale ciò che disse una volta l'apostolo Pietro a uno che non aveva paura di “perdere alla chiesa”: “Vada il tuo denaro in perdizione con te, perché tu hai pensato di poter acquistare il dono di Dio col denaro” (Atti 8:20).

Paolo Castellina, riduzione del 28-8-2022 di una mia predicazione dell’11-6-2007.