Predicazioni/Romani/Strappare la radice ultima di ogni guerra

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Strappare la radice ultima di ogni guerra

Vi possono essere molte ragioni, ma le guerre e i conflitti sono espressione di una sola e fondamentale guerra: la guerra del genere umano ribelle contro Dio e contro il Suo ordinamento. Tutto questo comporta tragiche conseguenze a più livelli. Qual è l'unica via d'uscita? La grazia della pace con Dio, che è frutto della Sua opera in Gesù Cristo applicata dallo Spirito Santo alla vita di coloro che si affidano a Lui e che si diffonde con conseguenze benefiche intorno a noi. Questo è il messaggio del testo biblico che esaminiamo oggi: Romani 5:1-5.

“Da dove vengono le guerre e le contese fra voi?”. Molte possono essere le cause delle guerre e dei conflitti. L’apostolo Giacomo, però, ce ne fornisce la ragione ultima quando scrive nella sua epistola: “Da dove vengono le guerre e le contese fra voi? Non è forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere, voi contendete e guerreggiate, non avete perché non domandate; domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri” (Giacomo 4:1-3).

Quando l’apostolo Giacomo in questo testo condanna le “guerre” egli si riferisce soprattutto ai “micro-conflitti”, cioè alle dispute interpersonali che talvolta scaturiscono in deplorevoli episodi di violenza privata. Egli ne ascrive la causa alla bramosia e all’invidia, cioè al morboso desiderio o appetito smodato di possedere ciò che legittimamente appartiene ad altri, come pure a quella volontà di dominio che vorrebbe sottometterli e asservirli senza tenere in alcun conto dei loro diritti. Se poi essi oppongono una giusta resistenza qualcuno non si fa scrupoli a eliminare il proprio avversario. Queste guerre sono soprattutto un’infrazione del decimo comandamento, che afferma: “Non concupire … cosa alcuna che sia del tuo prossimo” (Esodo 20:17), cosa che notoriamente porta inevitabilmente a infrangere pure quelli che riguardano il furto (il rispetto della proprietà privata), il mantenimento della verità, gli abusi sessuali e il rispetto della vita stessa. E’ sempre Giacomo che scrive, infatti, al riguardo: “Ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza, avendo concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte” (Giacomo 1:14:15).

Quanto afferma l’apostolo Giacomo potrebbe anche essere applicato ai “macro-conflitti”, alle guerre propriamente dette. In essi è particolarmente evidente la volontà di dominio di stati o blocchi di stati su altre nazioni o forze concorrenti, la brama per le risorse altrui che  vorrebbero accaparrarsi, oppure la negazione dei diritti di popolazioni minoritarie. Con l’uso della guerra si vuole spesso imporre la difesa dei cosiddetti “sacri confini” - che spesso sono solo convenzioni artificiose che delimitano solo la giurisdizione di qualche potentato. Quanto spesso, però, questi conflitti sono giustificati sulla base di pretenziose ideologie che si vorrebbero imporre sugli altri. Che dire, poi, delle guerre portate avanti senza scrupoli secondo il principio aberrante de “il fine giustifica i mezzi”? 

La dinamica del peccato

Per le guerre vi possono essere altri motivi, ma, sia che si parli di micro-conflitti che di macro-conflitti, la radice delle guerre la Bibbia la riconduce in ultima istanza a quello che essa chiama peccato, cioè, secondo le parole dell’apostolo Giovanni: “Chiunque commette il peccato trasgredisce la legge: il peccato è la violazione della legge” (1 Giovanni 3:4). Di quale legge parla? Non delle leggi stabilite da uomini, ma la legge morale da sempre stabilita da Dio per le creature umane, l’unica legge che garantisce una vita giusta e armoniosa. Questa legge di comportamento morale era stata stabilita fin dall’inizio della creazione in un patto fra Dio e le creature umane (creature costituite morali e responsabili), il patto sottoscritto dal nostro antico rappresentante legale, cioè Adamo, il primo essere umano.

Anche se qualcuno potrebbe considerare questo solo “un antico mito”, infrangere questo patto, sia che siamo d’accordo oppure no, comporta sempre per noi gravi conseguenze - ne va della nostra stessa vita - e lo possiamo costantemente “toccare con mano” - che queste conseguenze siano realtà. Le guerre stesse, con la loro scia di morte e di distruzione, dalle quali nessuno ci guadagna veramente, ne sono l’evidenza incontrovertibile.

Stiamo parlando ora del peccato come infrazione della giusta e buona legge di Dio, ma in ultima istanza, il peccato, oltre alle innumerevoli vittime che produce, è un peccato commesso contro Dio stesso. Lo evidenzia lo stesso re Davide quando, macchiatosi di adulterio e omicidio, così confessa le sue colpe: “Ho peccato contro te, contro te solo, ho fatto ciò ch'è male agli occhi tuoi. Perciò sei giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi” (Salmo 51:4).

Si può così dire che le guerre e i conflitti siano espressione di una sola e fondamentale guerra: la guerra del genere umano ribelle contro Dio e contro il suo ordinamento. Aspirando all’autonomia, cioè all’essere legge a sé stesso, usurpando l’autorità ultima di Dio, l’umanità è ingaggiata in una costante lotta contro il suo Creatore. Che per l’umanità ribelle Dio sia il nemico ultimo da combattere è evidente, non solo dalle forze che vorrebbero imporre l’ateismo o dal diffuso agnosticismo, ma anche dalle religioni false e corrotte. 

La corruzione morale e spirituale che risulta da questa guerra contro Dio è messa in evidenza dall’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani quando dice: “Siccome non si sono curati di ritenere la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati a una mente perversa, perché facessero le cose che sono sconvenienti, essendo essi ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, d'omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, inventori di mali, disubbidienti ai genitori, insensati, senza fede nei patti, senza affetto naturale, spietati; i quali, pur conoscendo che secondo il giudizio di Dio quelli che fanno codeste cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette” (Romani 1:28-32).

La pace ristabilita in Gesù Cristo

Siamo così tutti sottoposti al giudizio inappellabile di Dio. C’è una via di uscita da questa situazione? Sì: Dio ha provveduto per la salvezza dal peccato e dalle sue fatali conseguenze il Signore e Salvatore Gesù Cristo. Lo riassume in modo magistrale l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani nei primi cinque versetti del capitolo cinque. Ascoltate:

“Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; e non soltanto questo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e la esperienza speranza. Or la speranza non rende confusi, perché l'amor di Dio è stato sparso nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5:1-5).

Nello spazio di cinque versetti, questo testo menziona come tutto l’essere di Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, si sia impegnato e sia di fatto attualmente impegnato nella stupefacente grazia del ricupero, assolutamente immeritato, di una parte dell’umanità ribelle: la riconciliazione con essa, il ristabilimento della pace - che è la risoluzione di ogni guerra.

Dice: ora abbiamo pace con Dio (versetto 1). Questa pace, così come l'accesso alla grazia, è venuta per mezzo di Gesù Cristo (versetto 2). Inoltre, l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (versetto 5): le conseguenze pratiche. Il Figlio ci dà accesso alla gloria di Dio e lo Spirito effonde l'amore di Dio in noi credenti affinché noi lo riversiamo attorno a noi.

Notate come questo testo fornisca un ponte tra il “Che cosa (è accaduto)?” esposto da Romani 1-4 e il "E adesso (che facciamo)?" di Romani capitoli 5-8. In Romani 1 e 2, Paolo dimostra l'universalità del potere del peccato sugli esseri umani: sia gli ebrei che le altre genti sono “privi della gloria di Dio”, nemici Suoi. In Romani 3 e 4 Paolo annuncia la risposta di Dio alla difficile condizione dell'umanità: grazie alla giustizia di Cristo, coloro che fra l'umanità giungono al ravvedimento e alla fede in Lui sono ora giustificati dalla grazia di Dio. Non c’è da vantarsene perché questa giustificazione è opera di Dio: “Infatti è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti. Infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le buone opere, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:8-9).

Le conseguenze della riconciliazione con Dio

È interessante notare che la lettera ai Romani non termina alla fine del capitolo quattro. La giustificazione non è l'equivalente religioso del finale delle fiabe: "E vissero felici e contenti"! Nei capitoli da 5 a 8 di Romani, Paolo si rivolge a rispondere al "E adesso che facciamo?". Certo, nel mondo che Cristo ha redento, il peccato continua a esercitare una certa influenza e la sofferenza talvolta rimane così acuta che Paolo si sforza di dire che nulla potrà separarci dall'amore di Dio. Secondo Romani 5:1-5, la vita dei giustificati è un misto di pace, speranza, sofferenza e amore. Questi temi, così come la gloria di Dio, saranno tutti discussi di nuovo e ampliati in Romani 8.

La pace con Dio è al primo posto fra i frutti dell’opera di Dio in Gesù Cristo applicati dallo Spirito Santo ai credenti in Lui.  L'Antico Testamento anticipava, e il Nuovo Testamento conferma, che la pace di Dio sarebbe stata mediata attraverso il Messia. La pace con Dio è venuta mediante la morte e risurrezione di Gesù Cristo ricevuta attraverso il ravvedimento e la fede in Lui. Pietro dichiara a Cornelio: “Questa è la parola che Egli ha diretta ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo. Egli è il Signore di tutti” (Atti 10:36). Pace non è solo “assenza di conflitti”, ma corrisponde all’ebraico SHALOM che implica: integrità della vita o del corpo (cioè salute); un  giusto rapporto o armonia  - spesso stabilito da un patto (il "patto di pace"); prosperità, successo o realizzazione; vittoria sui nostri nemici spirituali (interiori ed esterni). SHALOM si trasforma in saluto e augurio, come per dire: "Possa la tua vita essere piena di salute, prosperità e vittoria, quella che si trova in Dio". Dio soltanto, infatti, è la fonte di pace, perché egli è "Yahweh Shalom" (Giudici 6:24). Il Signore è venuto all'umanità ribelle, desiderando entrare in relazione con loro attraverso il Cristo. Stabilisce con loro un patto di pace, suggellato dalla Sua presenza. Chi vi partecipa gode di “una pace perfetta” purché mantenga una giusta relazione con il Signore.

Tuttavia, la pace è uno dei frutti della giustizia (Isaia 32:17-18). Il salmista descrive poeticamente il rapporto tra i due come giustizia e pace che si baciano (Salmo 85:10). D'altra parte, la Scrittura afferma espressamente che non ci può essere pace per gli empi (chi respinge Dio e i Suoi ordinamenti). Paolo descrive la differenza così: "Tribolazione e angoscia sopra ogni anima d’uomo che fa il male … ma gloria, onore e pace a chiunque opera il bene” (Romani 2:9-10).

Gesù dice: “Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5:9). I cristiani devono farlo in primo luogo con l’annuncio dell’Evangelo della riconciliazione con Dio e la promozione della riconciliazione fra le persone e le genti sulla base della giustizia e i patti da rispettare diligentemente.

Al secondo posto abbiamo la speranza. L’apostolo Paolo dice: “Ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio”. Anche la speranza è da condividere. Per mezzo di Gesù Cristo, abbiamo pace con Dio. Abbiamo anche accesso alla grazia in cui ci troviamo. Ma aspettate! C'è più! Abbiamo la speranza di condividere la gloria di Dio. Ci vantiamo di questa speranza, riconoscendo che essa esiste accanto alla sofferenza. Così come è iniziato in noi un procedimento di rigenerazione e santificazione, esso giungerà a certo e universale compimento quando Cristo ritornerà.

In che modo, però, la sofferenza fa parte “del pacchetto”? In Romani 8:18 egli scrive: “Perché io stimo che le sofferenze del tempo presente non siano per nulla paragonabili alla gloria che deve essere manifestata a nostro riguardo”. In Romani 5, Paolo dice che ci rallegriamo non solo della gloria di Dio, ma anche delle nostre sofferenze. Il messaggio non è che Paolo e i suoi lettori gioiscano perché stanno soffrendo, ma piuttosto che gioiscono in mezzo alla sofferenza. La sofferenza non potrà schiacciarli, anzi, li rafforzerà e li spronerà. Possiamo gioire in mezzo alla sofferenza perché sappiamo che è temporanea: è iniziato un altro capitolo e il futuro per il quale speriamo sta già cambiando il nostro modo di vivere.

Siamo stati giustificati. La sofferenza non è una "rivincita" per il peccato. Se ciò fosse vero, le persone sofferenti dovrebbero chiedersi: "Cosa ho fatto di sbagliato?" Alcuni degli amici fuorviati di Giobbe gli suggeriscono di fare questo esame di sé. Per quelli resi giusti dalla fedeltà di Cristo, tuttavia, la sofferenza non è un segno della mancanza di favore di Dio. Nel contesto di tale grazia, la sofferenza, infine, non fa che rafforzare la determinazione e il carattere di coloro che la subiscono, difatti: “l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e la esperienza speranza”.

Abbiamo infine il dono dell’amore: “perché l'amor di Dio è stato sparso nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato dato”. Sembra un'opera appropriata dello Spirito di Dio sia per comunicare l'amore di Dio per noi, sia per renderci possibile amare Dio e il nostro prossimo. Cristo ha messo in atto l'amore di Dio per noi. È quello stesso amore per lo stesso Dio che lo Spirito effonde a noi e attraverso di noi. Scrive l’apostolo Giovanni: “Se uno dice: ‘Io amo Dio’, e odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. E questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio ami anche suo fratello” (1 Giovanni 4:20-21).

Siate riconciliati con Dio!

Vi possono così essere molte ragioni, ma le guerre e i conflitti sono espressione di una sola e fondamentale guerra: la guerra del genere umano ribelle contro Dio e contro il Suo ordinamento. Tutto questo, come abbiamo visto, comporta tragiche conseguenze a più livelli. Qual è l'unica via d'uscita? La grazia della pace con Dio, che è frutto della Sua opera in Gesù Cristo e che è applicata dallo Spirito Santo alla vita di coloro che si affidano a Lui. Quando è vissuta in modo autentico, essa non potrà che diffondersi con conseguenze benefiche intorno a noi fino al compimento finale della riconciliazione di tutte le cose in Cristo. 

La migliore conclusione di questo discorso ce la dà l’Apostolo, quando scrive: “Ora tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati a sé per mezzo di Gesù Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione; infatti Dio riconciliava con sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: Siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato Egli l’ha fatto essere peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:18-21).

Paolo Castellina, 5 giugno 2022.