Letteratura/Legge/13
Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony |
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13. LA LEGGE NEL NUOVO TESTAMENTO
1. CRISTO E LA LEGGE
Una delle dichiarazioni bibliche più importanti e più travisate concernenti la legge è quella di nostro Signore nel Sermone sul Monte:
Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento. Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto (Mt. 5:17-18).
Per l’idea di portare a compimento/adempiere sono usate due parole. Quella tradotta con “compiere” nel verso 17 è plerosai, correlata a pleroma: significa rendere pieno, fino in cima, riempire, diffondere, far abbondare o pervadere. I cristiani sono definiti plervusthai, riempiti con la potenza dello Spirito santo (Cl. 2:10; Ef. 3:19). Cristo “riempie” l’universo col suo potere e la sua attività (Ef. 4:10, pleroun). La parola significa riempire e mantenere riempito, cioè implementare come una cosa continua. Pertanto, nostro Signore dichiarò di essere venuto ad attuare la legge e a mantenerla in vigore.
Nel verso 18, la parola usata è genetai, da ginomai, diventare, far avvenire, accadere. La legge quindi diventerà la realtà della vita del mondo fino alla fine del mondo. Questo dà una prospettiva molto diversa al significato di “compiere” da quelle interpretazioni che vedono il suo significato come terminata, ovvero il compimento della legge come la fine della legge. Nel testo non c’è suggerimento di tale significato.
Anzi, Cristo in quanto Messia o Re, perché è venuto, ha dichiarato di nuovo la validità della legge e il suo scopo nel metterla in atto. Questo fu dichiarato poderosamente in “Un Sermone Predicato davanti alla Casa dei Comuni in Parlamento al loro Pubblico Digiuno, 17, Novembre, 1640” da Stephen Marshall:
Primo. …
Questo è lo scettro con cui Cristo governa: il dimorare della sua parola con un popolo è la prova più grande che essi lo posseggono come loro principe, e il suo riconoscerli come suoi soggetti. Qualsiasi nazione, è essa considerata una parte del Dominio di un Principe se non è governata dalle sue Leggi? Neppure può alcuna terra essere considerata il Regno di Cristo, dove non sia stabilita la predicazione della Parola che è la Verga del suo potere. E il Signore ha sempre considerato quelli che avversano la sua parola, essere quegli uomini che non vorrebbero avere Cristo a governare su di loro.
In secondo luogo, se venissero fatte tutte le buone Leggi del mondo, senza questo, non servirebbero a nulla; ordinate ciò che potete, lasciate questo da fare, e non farete mai le cose cui mirate. Magistrati e Ministri di Giustizia non le eseguiranno e la gente non le obbedirà. I luoghi tenebrosi della Terra sono sempre pieni di abitudini malvagie. Ma se Cristo colpisce la terra con la verga della sua bocca, il Lupo dimorerà con l’Agnello, e il Leopardo si accovaccerà col capretto, il vitello, il giovane leone e l’animale da ingrasso staranno insieme e un piccolo bambino li condurrà. Nulla farà del male o distruggerà dove governa lo scettro di Cristo: Le vostre leggi non possono dare agli uomini cuori nuovi, né nuova forza; quello è il privilegio delle Leggi di Cristo [1].
Il fatto che il Re stesse venendo per implementare il suo regno e la sua legge fu dichiarato schiettamente da Giovanni Battista. Egli parlò “dell’ira a venire” (Mt. 3:7; Lu. 3:7), ovvero del giudizio del Re. “E la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco (Mt. 3:10; Lu. 3:9). Il Re intendeva giudicare, “ripulire interamente” il suo reame (Mt. 3:12). Quando le persone che credettero chiesero a Giovanni “Che faremo noi dunque?” (Lu. 3:10), Giovanni rispose che avrebbero dovuto fare due cose: prima, obbedire la legge e, seconda, manifestare carità verso i bisognosi (Lu. 3:11-14).
La tentazione di Cristo non può essere compresa separatamente dalla legge. Le tentazioni offerte da Satana richiedevano una dichiarazione d’indipendenza da Dio e dalla sua legge e la scelta della volontà della creatura come legge ultima. La risposta di Cristo a ciascuna tentazione fu una citazione dalla legge: Deuteronomio 6:16; 8:3 e 10:20 (cfr. Gs. 24:14; 1 Sa. 7:3). La direzione per la storia avrebbe dovuto derivare non dalla volontà dell’uomo ma dalla legge di Dio. Come Re, Gesù dichiarò la via di Dio o “torah” e, come Re cacciò demoni (Lu. 4:31-37). Nel procedimento i demoni riconobbero la sua regalità (Lu. 4:34; cfr. Isa. 49:7). Gesù dichiarò di essere “il Figlio dell’Uomo” e “Signore” del sabato (Mt. 12:8; Lu. 6:5; Mc. 2:28).
In particolare il Sermone sul Monte identifica Cristo come Re e Legislatore. Egli invitò il paragone con Mosè dichiarando la legge da un monte (Mt. 5:1); rese chiaro di essere più grande di Mosè, di essere Dio il Re dichiarando non “Così dice il Signore” ma: “Io vi dico” (Mt. 5:18) [2]. In Deuteronomio, Dio pronuncia le maledizioni e le benedizioni; nel Sermone sul Monte, Gesù pronuncia le benedizioni o beatitudini (Mt. 5:3-11). Come Re universale e sovrano Gesù è anche la fonte di tutta la legge, ed Egli stesso la legge o la direzione dell’esistenza. Perciò in quanto il principio della legge e la fonte di ogni benedizione dichiarò di essere il nuovo scibboleth di Dio: “E in nessun altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (At, 4:12).
Come Re, Gesù sottolineò enfaticamente la sua legge sovrana:
Chi dunque avrà trasgredito uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma colui che li metterà in pratica e li insegnerà, sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Perciò io vi dico: Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi, e dei farisei, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli (Mt. 5:19-20).
Siccome Gesù è il Legislatore, determina anche le maledizioni e le benedizioni della legge; qui parlò delle conseguenze temporali ed eterne della legge e dichiarò di essere colui che determina quelle conseguenze. Questa fu un’esplicita identificazione di Cristo sia con Dio che con la legge.
Cristo poi procedette a sviluppare le piene implicazioni della legge, le implicazioni loro personali e anche quelle civili, i loro requisiti tanto del cuore che della mano. Essere adirati “senza motivo” con un fratello pattizio è avere l’omicidio nel cuore (Mt. 5:21-24). L’adulterio è proibito tanto nel pensiero che come azione (Mt. 5:27-28). Contro la lassa pratica del tempo viene riaffermata la legge biblica sul divorzio (Mt. 5:31-32). Il terzo comandamento è attuato ed evidenziato in contrasto con l’uso disinvolto dei giuramenti (Mt. 5:33-37). Le limitazioni della legge nel trattare con una potenza aliena che controlla le leggi sono citate in Matteo 5:38-42; la legge non può essere implementata dai nemici della legge. Anche in quella situazione il nostro obbligo è d’osservare la legge, e l’amore è il compimento della legge verso i nostri nemici (Mt. 5:43-48).
Anche le leggi della carità sono analizzate nei termini della loro obbedienza interiore, come lo sono i requisiti dell’adorazione e della preghiera (Mt. 6:1-23).
È richiesta la fiducia nel governo del re (Mt. 6:24-34). Dio il Re conosce i nostri bisogni; noi non osiamo dubitare il suo governo, né essere “di poca fede” (Mt. 6:30).
I criteri personali non possono essere fatti diventare principi di giudizio; la legge di Dio è l’unico criterio (Mt. 7:1-5). Vengono dati avvertimenti per capacitarci a giudicare, e ci è comandato di avere fiducia in Dio il quale verso di noi è più fedele dei nostri stessi genitori.
Il test di cittadinanza nel regno di Dio è l’obbedienza a “queste mie parole” (Mt. 7:24). Edificare su Cristo e sulla sua parola-legge è edificare sulla “roccia” (un antico simbolo per Dio), ma edificare sulla parola dell’uomo è edificare sulla sabbia. L’una direzione porta a sicurezza, l’altra al disastro (Mt. 7:21-27).
Ci è detto dello stupore dei suoi ascoltatori: “perché egli li ammaestrava, come uno che ha autorità, e non come gli scribi” (Mt. 7:29). La parola tradotta con “autorità” è exousia, che significa potere di scelta, autorità, e libertà di fare a proprio piacere: il potere del diritto. Gesù insegnava con autorità; dichiarò essere egli stesso il principio delle maledizioni e delle benedizioni; gli uomini si reggono o cadono nei termini di Lui. Deuteronomio 28 è rinforzato nella sua persona perché egli è la legge incarnata, Dio incarnato, la “via” (Gv. 14:6).
I farisei e i capi compresero tutto questo meglio dei discepoli e della gente. In contrapposizione alle loro lasse interpretazioni della legge, Gesù si dichiarò il difensore della legge nella sua piena forza, e lui stesso il Legislatore. Cercarono, perciò, nel caso della donna colta in adulterio, di metterlo in imbarazzo costringendolo ad emettere una decisione che gli sarebbe stata impopolare (Gv. 8:11). Nei confronti della tassazione, di nuovo cercarono di metterlo pubblicamente all’angolo e costringerlo ad una dichiarazione che avrebbe danneggiato la sua posizione come baluardo della legge (Mt. 21:15-22; cfr. Mc. 12:14; Lu. 20:22). I sadducei cercarono di mettere in ridicolo la dottrina della resurrezione insieme a quella del levirato, e di nuovo Gesù li confuse dalle Scritture (Mt. 22:23-33).
Le ripetute sfide che i capi del popolo portarono a Gesù furono nei termini della legge. Fu fatto uno sforzo molto determinato per negargli la sua posizione come baluardo della legge, infatti, in quanto rappresentanti dell’ordine giuridico stabilito e in quanto governanti del loro tempo, le affermazioni di Gesù costituivano un’incriminazione di queste persone. Pertanto, la controparte delle beatitudini del Sermone sul Monte è la maledizione sui capi del popolo, su questi pervertitori della legge, che Cristo ripetutamente pronunciò, specialmente in Matteo 23. Sul capo di questi pervertitori della legge di Dio sarebbe sceso “tutto il sangue giusto sparso sulla terra” (Mt. 23:35), che avrebbe richiesto la piena vendetta della legge. Maledizioni più terribili non potevano essere pronunciate; ecco perché il loro giudizio fu il più severo di tutta la storia: “perché allora vi sarà una tribolazione così grande, quale non vi fu mai dal principio del mondo fino ad ora né mai più vi sarà” (Mt. 24:21). Questo fu il giudizio del Re il quale dichiarò che “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra” (Mt. 28:18). Quel potere porta la maledizione totale su quelli che oppongono Lui, il suo regno, la sua legge; ma Egli stesso è la beatitudine del suo popolo pattizio.
Note:
1 Robin Jeffs, editore, The English Revolution, Fast Sermons to Parliament, vol. I, Nov. 1640; London: Cornmarket Press, 1970, p. 151 s. I testi del Marshall sono Salmo 74:20 e Isaia 11:4 s.
2 Su Mosè come re (De. 33:5) e il Messia come il Nuovo Mosè, vedi H. L. Ellison, The Centrality of the Messianic Idea for the Old Testament;
2. LA DONNA COLTA IN ADULTERIO
Durante il corso della nostra analisi della legge, sono stati fatti ripetuti riferimenti alla conferma della legge nei vangeli. Non è qui nostro scopo ripetere quelle conferme o cercare di catalogare esaustivamente ogni riferimento alla legge nei vangeli. Un evento, però, benché citato in precedenza in qualche dettaglio, merita ulteriore attenzione: la storia della donna colta in adulterio in Giovanni 8:1-11. Poiché questo particolare incidente è stato citato come un caso che prova l’accantonamento della legge, di fatto come il caso per eccellenza, necessita di ulteriore attenzione perché nei fatti è una conferma della legge.
Se l’incidente fosse stato minimamente antinomiano avrebbe fornito agli scribi e ai farisei esattamente l’accusa che volevano per condannare Gesù. L’accusa di Gesù contro gli scribi e i farisei fu precisamente il loro antinomismo; egli li aveva duramente denunciati pubblicamente per la loro negligenza della legge in favore della tradizione (Mt. 15:1-10). Contro quest’accusa non era possibile rispondere, i capi del popolo avevano accantonato la legge per mezzo delle loro tradizioni giuridiche umanistiche. L’intero scopo dell’attacco di questi capi era cercare di dimostrare che Gesù, quando posto davanti al solido fatto di un caso concreto, non sarebbe stato un rigido difensore della legge più di loro. L’esempio culminante di questo tentativo d’imbarazzare Gesù fu questo incidente della donna colta in adulterio. Richiedere la piena applicazione della legge, la pena di morte, avrebbe significato invitare ostilità perché l’attitudine prevalente era una di lassismo morale. Negare la pena di morte avrebbe dato ai farisei la possibilità di accusare Gesù d’ipocrisia: a quel punto Egli sarebbe stato della stessa scuola di pensiero dei farisei che condannava. È assai ovvio che Gesù non assunse la posizione antinomiana perché i farisei si allontanarono confusi, e l’incidente ovviamente confermò Gesù come il baluardo della legge.
Una donna era “stata sorpresa sul fatto, mentre commetteva adulterio” (Gv. 8:4). La donna “gli fu condotta”. Non possiamo assumere che fosse venuta volontariamente. Potrebbe essere stata trascinata lì, ma il testo non lo indica. Sembra che “gli scribi e i farisei” coinvolti avessero potere poliziesco, o, che con l’aiuto delle autorità abbiano utilizzato tali poteri legali per obbligarla. Avendo tale autorità, stavano anche richiedendo che Gesù presiedesse l’udienza. L’uomo implicato nell’atto non fu presentato, non abbiamo alcuna conoscenza delle ragioni per questo benché sembrerebbe che avrebbe aggravato la “offesa” di Gesù sia che avesse richiesto la pena di morte per una donna, sia, d’altro lato, se avesse permesso che una donna adultera se n’andasse libera. Gli scribi e i farisei potevano spremere più reazione emotiva usando una donna adultera piuttosto che un uomo. “‘Ora, nella legge Mosè ci ha comandato di lapidare tali donne; ma tu, che ne dici?’ Or dicevano questo per metterlo alla prova e per aver di che accusarlo” (Gv. 8:5-6). Lo scopo dell’incidente è dichiarato espressamente: si cercavano motivi per accusare Gesù. Che avrebbe fatto Gesù? Avrebbe persistito nel fare il difensore della legge, o si sarebbe ritirato nell’uso di qualche aspetto della tradizione farisaica?
“Ma Gesù, fingendo di non sentire, chinatosi, scriveva col dito in terra” (Gv. 8:6). A questo punto il commento di Burgon è molto significativo e merita la citazione completa:
Gli scribi e i farisei portano una donna al nostro SALVATORE con l’accusa d’adulterio. Il peccato prevaleva in tale misura tra i giudei che le promulgazioni divine riguardo ad una persona accusata di questo erano da lungo tempo cadute nell’oblio pratico. Nella presente occasione si osserva nostro SIGNORE riportare in vita un suo antico ordinamento in un modo fin qui mai visto. Il processo per acqua amara, o acqua di convinzione (vedi Nu. v. 11-31), era una specie di ordalia, intesa per la conferma d’innocenza o il convincimento di colpa. Ma secondo la credenza tradizionale la prova risultava inefficace a meno che il marito fosse innocente del crimine di cui accusava la moglie.
Si considerino ora i provvedimenti della legge contenuta in Numeri v. 16 a 24. Avendo fatto avvicinare la donna accusata e fatta stare in piedi davanti al SIGNORE, il sacerdote prendeva “dell’acqua santa in un vaso di terra” e prendeva “della polvere dal pavimento del tabernacolo e la metteva nell’acqua”. Poi, con in mano l’acqua amara che porta maledizione, esaminava la donna sotto giuramento. Poi scriveva le maledizioni in un rotolo e le cancellava con l’acqua amara. Poi faceva bere alla donna dell’acqua amara che porta maledizione. Al che, se ella era colpevole, sarebbe caduta sotto una pena terribile: il suo corpo avrebbe testificato del suo peccato. Se era innocente non succedeva nulla.
Ed ora, chi non vede che il Santo trattò i suoi ipocriti assalitori, come se fossero essi la parte accusata? In verità erano stati fatti stare in piedi davanti alla presenza di JEHOWAH incarnato: e probabilmente, quand’egli si chinò e scrisse per terra, quella che scrisse fu un’amara sentenza contro gli adulteri e le adultere. Non possiamo fare a meno d’assumere che ci sia qualche connessione tra la maledizione che tracciò “nella polvere del pavimento del tabernacolo” e le parole che pronunciò con le sue labbra, e in verità si può dichiarare che abbia “preso della polvere e messa nell’acqua” e abbia “loro fatta bere l’acqua amara che porta maledizione”. Infatti quando, per lo Spirito santo, il nostro grande Sommo Sacerdote nella sua carne umana si rivolse a questi adulteri — cosa fece se non presentare loro acqua viva (Nu. v. 17, Così i LXX) “ in un vaso di terra” (2 Co. iv. 7; v. 1)? Non li ha Egli ulteriormente accusati d’aver fatto un giuramento esecratorio, dicendo: “Se non avete deviato nell’impurità, siete liberi dall’acqua amara: ma se siete contaminati …” Confrontati con questa alternativa, non si defilarono uno alla volta, convinti dalla coscienza? E che cos’altro era questo se non l’assoluzione della donna peccatrice per la condanna della quale si erano dimostrati così impazienti? Sicuramente fu “l’acqua di maledizione” com’è chiamata sei volte [in Numeri 5], quella che essi furono costretti a bere; al che “convinti dalla loro coscienza”, come racconta san Giovanni, avevano pronunciato l’assoluzione dell’altra. Infine, si noti che declinando di “condannare” egli stesso la donna accusata, il SIGNORE, in effetti, cancellò quelle maledizioni che aveva già scritte contro di lei nella polvere, quando fece del pavimento del santuario il proprio “rotolo” [1].
Poiché quest’incidente avvenne nel tempio (Gv. 8:2), il commento di Burgon è ancor più sul punto. La polvere del tempio su cui Gesù scrisse aveva i requisiti della legge. La sua azione collocò immediatamente tutti sotto processo. Che ne siano stati consapevoli, lo acclara il testo, perché ci dice che tutti furono “convinti dalla loro coscienza” (Gv. 8:9).
Delle accuse erano state fatte contro la donna da parte degli “scribi e farisei”. Le loro accuse rappresentavano un preciso caso contro una donna sorpresa “sul fatto mentre commetteva adulterio”. Le contro-accuse di Gesù, mediante le sue azioni e con la sua dichiarazione: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei” (Gv 8:7) li distrusse. In quanto essi stessi uomini colpevoli, sospettarono che da parte sua Gesù avesse delle prove contro di loro. S’erano affaccendati a cercare di raccogliere prove contro Gesù; questo rese più facile per loro credere che Gesù avesse fatto lo stesso nei loro confronti.
Questi scribi e farisei avevano proferito accuse contro la donna al posto di suo marito [2]; Gesù li colloca nella categoria del marito invocando Numeri 5 col suo scrivere sulla polvere. Se erano colpevoli, e Gesù sapeva della loro colpa, allora Egli invocò la pena di morte, non poteva forse incriminare anche loro? Invocando Numeri 5, Gesù in effetti pose anche loro sotto processo: erano venuti a giudizio con mani pulite?
Appellarsi agli “alti standard morali” dei farisei non vale. Questi uomini stavano progettando la morte di Gesù. Di fronte al loro deliberato e calcolato piano contro il Messia di Dio, il peccato d’adulterio era cosa irrisoria per tali uomini. Non digerivano un’accusa contro di loro che poteva citare la richiesta di pena capitale da parte di Dio.
Quando Gesù disse: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Gv. 8:7), non si stava riferendo ai peccati in generale ma al peccato d’adulterio. Una dichiarazione generale avrebbe significato che non è possibile avere nessuna corte di giustizia; il riferimento specifico significava che uomini colpevoli di un crimine non erano moralmente liberi di condannare quel crimine in altri a meno che non lo condannassero anche in loro stessi. Ci è detto che tutti gli scribi e i farisei furono a quel punto “convinti dalla coscienza” (v. 9).
Inoltre, Gesù aveva confermato la pena di morte; aveva semplicemente domandato che dei testimoni onesti si facessero avanti e la eseguissero, che “scagliassero la prima pietra” (v.7). Rimanere come testimoni contro di lei era invitare la testimonianza contro se stessi; testificare su di un fatto testimoniato e confermare la pena di morte contro la donna era invitare una testimonianza a morte contro loro stessi. Se ne andarono.
Gesù dunque, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: “Donna dove sono quelli che ti accusavano? Nessuno ti ha condannata?”.
Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. Gesù allora le disse: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più” (Gv 8:10-11).
A questo punto è necessario distinguere il perdono civile o giuridico [penale]. Il perdono civile avviene quando una persona condannata paga la pena per il proprio crimine, quando la restituzione è stata fatta e i requisiti morali della legge sono soddisfatti. Un ladro che avesse rubato ad un uomo un bue e avesse restituito cinque volte sarebbe stato con ciò perdonato. Il perdono religioso richiede come condizione sine qua non la restituzione, ovvero il perdono civile. Un ladro non può essere perdonato religiosamente se non ha fatto restituzione.
C’è una distinzione simile tra la condanna civile e quella religiosa. La condanna civile è per reati contro la legge civile; la condanna religiosa è per ambedue i reati contro la legge civile e per la miscredenza nei confronti di Dio e della sua parola-legge. I due tipi di perdono e di condanna sono distinti ma correlati.
Gesù era stato interpellato perché si pronunciasse sulla legge penale riguardo all’adulterio: Egli affermò la pena di morte. I testimoni, però, avevano ritirato l’accusa ed erano spariti. Non c’era pertanto un caso giuridico contro la donna. Legalmente, perciò, Gesù non poteva sostenere la procedura: “Neppure io ti condanno”.
Ma esisteva una procedura morale. L’umiltà della donna, che lo riconobbe come “Signore”, indica qualche evidenza di cambiamento in lei, e forse rigenerazione. Ma Gesù disse semplicemente: “Va’ e non peccare più”, un’eco delle sue parole in Giovanni 5:14: “Non peccare più affinché non ti avvenga di peggio”.
È più che possibile che ella fosse religiosamente una persona cambiata, e perdonata per grazia di Dio. Ci è semplicemente detto che al momento non esisteva fondamento per una condanna legale. Questo non esclude una susseguente condanna legale; il marito, se ne aveva uno, la cosa non è evidente nell’episodio, avrebbe avuto fondamento per qualche tipo d’azione, sotto la legge esistente, se avesse scelto d’intraprenderla. Questo non è l’interesse del testo. Le fu concessa l’assoluzione nei termini delle evidenze della “udienza” appena svolta. Gesù riconobbe la realtà del suo reato col suo avvertimento: “Va’ e non peccare più”. Il fatto di questo avvertimento indica qualche evidenza di cambiamento in lei, visto che era contrario alla pratica di nostro Signore avvertire quelli che non volevano esserlo (Mt. 7:6). Per Cristo, dire a una persona non-rigenerata: “Non peccare più” era irragionevole. Il peccato particolare cui si riferì era l’adulterio. Ella fu caricata della responsabilità di vivere castamente come un aspetto della sua nuova vita in Cristo.
La donna si rivolse a Gesù come “Signore” (Gv. 8:11); gli scribi e i farisei lo chiamavano semplicemente “Maestro” (v. 4), e i discepoli stessi spesso parlavano di lui chiamandolo semplicemente “Rabbi” (Gv. 1:49). Il sua comportamento qui indica una persona cambiata.
In breve, al posto di qualche evidenza di antinomismo, questo episodio conferma enfaticamente la posizione di Gesù come difensore della legge, ed egli confuse i tentativi degli scribi e dei farisei di provare diversamente.
Il peccato di fariseismo fu dunque messo a nudo. Il fariseismo, prima di tutto, negava la necessità della conversione. L’uomo, senza aiuto, col suo libero arbitrio, è capace di salvarsi, di scegliere tra bene e male e farsi buono. Furono pertanto da loro affermati tanto il libero arbitrio che la salvezza autonoma, e negati la predestinazione, e la conversione o rigenerazione [3]. Secondo, mentre professavano di attenersi alla legge di Dio i farisei l’avevano convertita nella tradizione degli uomini. In questo modo avevano negato le dottrine bibliche della giustificazione e della santificazione e di conseguenza furono il bersaglio particolare della denuncia di Cristo. Mentre professavano d’essere i difensori della parola di Dio i farisei ne erano di fatto nemici e pervertitori.
Note:
1. John W. Burgon, The Woman Taken in Adultery, p. 239 s. Sulle evidenze dell’autenticità di questo passo, vedi p. 246 s.
2. Nella legge biblica l’onere di formulare l’accusa e istruire una causa spettava alla parte lesa, in questo caso l’eventuale marito. (N.d.T)
3. Vedi Hugo Odeberg, Phariseeism and Christianity; St. Louis: Concordia, 1964.
3. ATTACCO ALL’ANTINOMISMO
Diverse questioni divisero i capi religiosi da Gesù. Essi rigettarono la sua implicita ed esplicita dichiarazione di essere il Messia; negarono la sua condizione unica di Figlio di Dio; Rigettarono la sua richiesta di una riforma religiosa nei termini di se stesso; e si risentirono fortemente per i suoi attacchi alla tradizione. Come difensori della legge secondo le loro tradizioni religiose e civili i capi del popolo si risentirono per l’accusa di Gesù che erano di fatto dei senza-legge. La tradizione era per loro lo sviluppo vitale e necessario della legge; veniva dunque data la priorità alla tradizione sulla legge. I farisei, comunque, vedevano la loro tradizione come inseparabile dalla legge: Gesù, dal canto suo, attaccò le loro tradizioni come una perversione della legge.
La questione fu dichiarata aspramente alla terza pasqua. Secondo Marco 7:1-23 (cfr. Mt. 15:1-20), gli scribi e i farisei attaccarono Gesù per la presunta violazione della legge da parte di alcuni dei suoi discepoli. Questi discepoli “mangiavano il cibo con le loro mani impure, cioè non lavate” (Mc. 7:2). Questo non significa che questi discepoli mangiassero con mani sporche ma piuttosto con mani cerimonialmente non purificate. Questa era “la tradizione degli anziani” (vs. 3). Si trattava di una forma rituale di separazione da un mondo “impuro” ed era considerata un’aspetto della legge e una forma di santità.
L’attacco di Gesù a questa usanza apparentemente innocua fu sferrato con parole dure:
Ma egli, rispondendo, disse loro: Ben profetizzò Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Ma invano mi rendono un culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando infatti il comandamento di Dio, vi attenete alla tradizione degli uomini: lavatura di brocche e di coppe; e fate molte altre cose simili (Mc. 7:6-8).
I discepoli di Gesù erano stati accusati di trasgredire la legge; la risposta di Gesù fu di negare la validità della loro legge religiosa fatta dall’uomo e di chiamare la loro legge “comandamenti di uomini” e “tradizione degli uomini”. Gli scribi e i farisei furono chiamati ipocriti e il loro culto descritto come “vano” o futile. Il commento di Alexander sul verso 7 è d’interesse:
La traduzione letterale delle parole ebraiche è: e il loro temermi (ovvero il loro culto) è (o è diventato) un precetto di uomini, una cosa insegnata. … Nell’applicazione del passaggio agli ipocriti dei suoi giorni, il nostro Salvatore si riferisce particolarmente a capi religiosi, che corrompevano la legge con le loro aggiunte non autorizzate [1].
L’innalzamento di una tradizione innocua ad una posizione pari alla legge di Dio ed egualmente vincolante per l’uomo è totalmente condannata da Gesù. Legge significa la legge di Dio, non i comandamenti degli uomini. Perciò, l’accusa degli scribi e dei farisei contro alcuni discepoli fu rovesciata contro di loro: essi erano trasgressori della legge. “E fate molte altre cose simili” (vs. 8).
Una di queste cose viene poi citata specificamente:
Disse loro ancora: “Voi siete abili nell’annullare il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosé infatti ha detto: ‘onora tuo padre e tua madre’ e: ‘chi maledice il padre o la madre sia messo a morte’. Ma voi dite: ‘Se un uomo dice a suo padre o a sua madre: Tutto quello con cui potrei assisterti è Corban cioè un’offerta a Dio’, non gli lasciate piú far nulla per suo padre o per sua madre, annullando cosí la parola di Dio con la vostra tradizione, che voi avete tramandata. E fate molte altre cose simili” (Mc. 7: 9-13).
La legge di Mosè (vs. 10) è identificata con “il comandamento di Dio” (vs. 9) e “la parola di Dio” (vs. 13). La legge di Mosè non può essere ridotta alla dimensione di una legge nazionale per il solo Israele, né ad una cosa di passaggio: è l’immutabile comandamento o parola del Dio immutabile. Gli scribi e i farisei sono accusati di aver alterato, rigettato e annullato la legge di Dio.
La legge di Dio richiede che si onorino i genitori e che li si sostengano economicamente nel loro bisogno. Maledire un genitore è incorrere nella pena di morte. Secondo Gesù, mancare di sostenerli economicamente è un modo di maledirli.
Gli scribi e i farisei invece esentavano gli uomini dall’obbligo di sostenere i genitori. Pronunciano Corban i propri mezzi di sostentamento tali uomini potevano specificare l’intero ammontare o una parte del loro reddito come dono al tempio o ai sacerdoti e ai leviti. “Che cose simili fossero permesse e plaudite può essere provato da certi detti del Talmud, e specialmente da una famosa disputa tra Rabbi Eliezer e i suoi fratelli, nella quale proprio l’azione qui descritta fu convalidata da quest’ultimi” [2]. La religione era dunque usata per condonare la violazione della legge di Dio (vs. 12). Gesù dichiarò nuovamente: “E fate molte altre cose simili” (vs.13). La loro violazione della legge di Dio non era occasionale: era basilare e radicale. Stavano annullando la legge di Dio con la loro tradizione.
Gli scribi e i farisei si gloriavano, ci informa san Paolo, di essere conduttori dei ciechi “guida di ciechi” (Ro. 2:19). Consideravano la loro tradizione come uno strumento importante nel guidare il cieco. Ora, informato che i farisei s’erano offesi per le sue constatazioni, Gesù spinse ulteriormente la questione:
Ma egli, rispondendo, disse: “Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata sarà sradicata. Lasciateli, sono ciechi guide di ciechi; e se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno nella fossa” (Mt. 15:13-14).
I farisei erano “ciechi guide di ciechi”, e il loro destino era la fossa. Ma ancor di più, Gesù rigettò con forza ogni legge eccetto quelle che erano state date da Dio: “Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata, sarà sradicata”. Poiché la faccenda in questione è la legge, il suo riferimento con “pianta” è chiaramente la legge, benché s’intenda di più perché si tratta di una generalizzazione. L’esempio particolare da cui è fatta la generalizzazione è la legge di Dio, e il significato principale è la legge. Pertanto, ogni ordine giuridico non piantato da Dio, non fondato fedelmente sulla legge di Dio: “sarà sradicato”. Non solo è condannato l’antinomismo ma anche il legalismo, che è la sostituzione della legge dell’uomo per quella di Dio.
Le cose che contaminano l’uomo, che lo rendono impuro davanti a Dio, provengono dall’interno. L’empietà è la sostituzione della via dell’uomo per quella di Dio, della legge dell’uomo per quella di Dio. L’empietà dichiara: “ha Dio veramente detto …?” (Ge. 3:1). L’azione esteriore d’empietà è il prodotto di una contaminazione interiore che poi contamina il mondo esterno con le sue azioni:
Disse ancora: «Ciò che esce dall’uomo, quello lo contamina. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, procedono pensieri malvagi, adultéri, fornicazioni, omicidi, furti, cupidigie, malizie, frodi, insolenza, invidia, bestemmia, orgoglio, stoltezza. Tutte queste cose malvagie escono dal di dentro dell’uomo e lo contaminano (Mc. 7:20-23).
I farisei erano come i moderni assertori della responsabilità dell’ambiente sociale: ciò che proviene dall’esterno contamina l’uomo. In contrapposizione, Gesù enfaticamente indicò il cuore dell’uomo come la scaturigine della contaminazione. Credere che il male provenga dalla società porta all’antinomismo perché nega la responsabilità in favore dei condizionamenti esterni. La legge di Dio evidenzia la responsabilità e non permette a nessun uomo di evaderla. La purezza, per i farisei, stava progressivamente diventando una questione cerimoniale, una questione di isolamento da un mondo contaminante. Però, secondo Gesù, ogni uomo è la propria fonte di contaminazione; “dal di dentro”, Egli dichiarò, in contrasto con i farisei, non dall’esterno, proviene la contaminazione. A causa di questo antinomismo, i farisei stavano logicamente sviluppando una nuova legge: la tradizione degli uomini, per sfuggire alla forza della responsabilità individuale della legge di Dio. I lavaggi cerimoniali perciò non erano innocui: con tali lavaggi assumevano che il mondo fosse la fonte di contaminazione, non la loro natura decaduta. Era perciò inevitabile che preferissero la loro tradizione alla legge di Dio. Nell’attaccare i farisei, Gesù stava perciò condannando ogni forma di antinomismo in ogni epoca. L’antinomismo non può perciò mai chiamarsi legittimamente cristiano.
Se il mondo è la fonte basilare di contaminazione, la logica della legge richiede un ricondizionamento dell’ambiente: il mondo deve essere ricreato per poter salvare l’uomo. Se la fonte basilare della contaminazione, come dichiarò Gesù è “dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini” allora la salvezza dell’uomo è la conversione o rigenerazione. L’uomo deve essere ri-creato se il mondo stesso debba essere salvato. Abbiamo in questo modo due opposte dottrine di salvezza e di legge.
Note:
1. Joseph Addison Alexander, Commentary on the Gospel of Mark; Grand Rapids: Zondervan, [1864], p. 185.
2. Ibid. p. 189.
4. LA TRASFIGURAZIONE
La relazione tra Gesù e Mosè è evidenziata dai vangeli. Come Mosè, Gesù promulga la legge da un monte. Mosè mediò tra Dio e Israele, esibendo con ciò la funzione del Mosè Maggiore. La profezia concernente il Messia era che sarebbe stato come Mosè (De. 18:18-19). Proprio come Mosè condusse il popolo di Dio dalla cattività alla libertà, così il Mosè Maggiore avrebbe condotto la razza pattizia di Dio.
Il paragone fatto tra Mosè e Cristo è particolarmente chiaro nel racconto della trasfigurazione (Mt. 17:1-9; Mc. 9:2-10; Lu. 9:28-36). Il paragone è marcato in diversi punti.
Prima di tutto, l’incidente avvenne su un monte. La maggior parte dei commentatori sono preoccupati d’identificare la montagna anziché analizzare il significato del fatto che si appartarono in montagna. La privacy sarebbe stata possibile anche in altri luoghi. È evidente che la scelta di una montagna invitava il paragone con Mosè, e Gesù, auto-consapevolmente adempì la profezia implicita nella tipologia. Proprio come Mosè salì sulla montagna, dopo il primo episodio disastroso, per tornare con rinnovate tavole della legge, ed egli stesso trasfigurato, così Gesù salì sul monte. Aveva già dato la legge da un monte, ovvero la sua conferma della legge nel Sermone sul Monte. Ora, come Mosè, sarebbe stato trasfigurato. Il Mosè trasfigurato diede le istruzioni per la costruzione del tabernacolo; il Cristo trasfigurato, in quanto Egli stesso la dimorante presenza di Dio, compì tutti i sacrifici del vecchio tabernacolo tipizzati. Il fatto che i discepoli tendessero ad aspettarsi la letterale restaurazione del potere politico d’Israele fu confermata dall’evento della trasfigurazione; nella cornice delle loro insistenti aspettative, la trasfigurazione sembrò confermare la loro speranza.
Secondo, Gesù fu “trasfigurato alla loro presenza”. Matteo ci dice che “la sua faccia risplendette come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (Mt. 17:2). Marco dice che “le sue vesti divennero bianchissime come neve; più bianche di ciò che potrebbe fare alcun lavandaio sulla terra” (Mc. 9:3), e Luca dice che “l’aspetto del suo volto cambiò e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lu. 9:29). La trasfigurazione di Mosè è pertanto ripetuta e superata.
Or Mosè, quando scese dal monte Sinai (scendendo dal monte Mosè aveva in mano le due tavole della testimonianza), non sapeva che la pelle del suo volto era divenuta raggiante, perché era stato a parlare con l’Eterno.Così, quando Aaronne e tutti i figli d’Israele videro Mosè, ecco che la pelle del suo volto era raggiante ed essi avevano paura di avvicinarsi a lui (Es. 34:29-30).
Come Mosè ebbe finito di parlare con loro, mise un velo sul suo volto. Quando però Mosè entrava davanti all’Eterno per parlare con lui, si toglieva il velo finché usciva fuori; uscendo fuori, diceva ai figli d’Israele ciò che gli era stato comandato. I figli d’Israele, guardando la faccia di Mosè, vedevano che la pelle di Mosè era raggiante; poi Mosè rimetteva il velo sul suo volto, fino a quando entrava a parlare con l’Eterno (Es. 29:33-35).
L’esperienza di Mosè è ripetuta sul monte per indicare Gesù come Mosè Maggiore.
Terzo, “Ed apparve loro Mosè con Elia, i quali conversavano con Gesù” (Mc. 9:4). In persona, la legge e i profeti resero testimonianza al Grande Legislatore e Supremo Profeta.
C’era, era ovvio, un unico accoppiamento in ciascun caso. Uno era il grande rappresentante della legge, il quale fu un “precettore” o “servo- tutore” nel portare uomini a Cristo, l’altro dell’intera considerevole compagnia dei profeti. Dell’uno era stato detto che “un profeta come lui” sarebbe venuto in un tempo successivo (De, xviii. 18), al quale tutti gli uomini avrebbero dovuto dare ascolto; dell’altro, che sarebbe venuto di nuovo per “far ritornare il cuore dei padri ai figli” (Ml. iv. 5). La conclusione del ministero di ciascuno non fu “secondo la morte comune a tutti gli uomini”. Nessuno conosceva la sepoltura di Mosè (De. xxxiv. 6), ed Elia era salito in cielo col carro e cavalli di fuoco (2 Re ii. 11). Ambedue erano associati nella mente degli uomini con la gloria del regno del Cristo. Il Targum di Gerusalemme (a Ex. xiii.) collega la venuta di Mosè con quella del Messia. Un’altra tradizione giudaica predice la sua comparsa con quella di Elia. La loro presenza era ora un’attestazione che la loro opera era finita, e che Cristo era venuto [1].
Però, anziché testimoniare che la loro opera era terminata, di cui il testo non dà indicazione, la presenza di Mosè ed Elia con Gesù attesta la loro unità. La loro opera e ministero era una parola e un ministero; non si può fare nessuna divisione tra Gesù e la legge e i profeti. Mosè ed Elia “apparvero in gloria” (Lu. 9:31), e Gesù stesso fu trasfigurato e glorificato talché i tre rivelano insieme la gloria di Dio.
Quarto, “Essi parlarono del suo decesso (dipartita, ND) che doveva compiere a Gerusalemme” (Lu. 9:31), letteralmente “il decesso o dipartita di Lui”. La parola tradotta “decesso” (dipartita) in greco è exodon, la nostra parola in italiano “esodo”. La scelta di parole di Luca non fu accidentale. Mosè condusse il popolo di Dio nel loro esodo dall’Egitto; Elia testimoniò della loro apostasia e dunque implicitamente dell’esodo a venire dalla terra promessa. Ora Gesù stava per compiere il vero esodo a Gerusalemme. Con la sua morte espiatrice e la sua resurrezione, Gesù avrebbe condotto il popolo di Dio dalla terra di schiavitù alla vera libertà. Ebrei 4 sviluppa questo stesso punto contrastando Giosuè e Gesù ciascuno nel suo condurre il popolo di Dio nel loro sabato o riposo. L’enfasi qui è nell’esodo che sta per compiersi a Gerusalemme, non nella visione in sé. Ecco perché quando Pietro cercò di concentrare l’attenzione sul fatto della visione piuttosto che sulla sua chiamata ad agire nella storia, la sua affermazione fu ignorata (Lu. 9:33).
Nixon ha richiamato l’attenzione sull’uso esteso del tema dell’esodo nel Nuovo Testamento. Alcuni dei molti eventi citati sono il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, una “rappresentazione sacramentale dell’esodo storico d’Israele e, allo stesso tempo, un’introduzione al nuovo esodo di salvezza”; i quaranta giorni della tentazione nel deserto “sono una miniatura dei quarant’anni che Israele trascorse nel deserto. … Le tentazioni poste a Cristo sono basilarmente quelle a cui Israele cedette”:
Ove furono insoddisfatti con la manna che Yahweh provvide, Gesù è tentato di trasformare le pietre in pane. Ove misero Dio alla prova a Massa richiedendo una prova della sua presenza e potere, Egli fu tentato di gettarsi dal pinnacolo del tempio per costringere Dio a onorare le sue promesse. Ove dimenticarono il Signore che li aveva fatti uscire dall’Egitto e lo sostituirono con un vitello fuso, Gesù è tentato di prostrarsi e adorare Satana. Cristo viene mostrato che affronta le tentazioni non arbitrariamente ma deliberatamente dal riassunto che Mosè fa in Deuteronomio della storia d’Israele nel deserto. Se Gesù era realmente il vero rappresentante del popolo di Dio, doveva essere mostrato che aveva avuto il suo viaggio nel deserto e aveva sostenuto il test che provò la sua persona, solo senza peccato [2] .
Anche l’invio dei settanta (Lu. 10:1 s.) è un eco dell’esperienza dell’Esodo (Nu. 11:16 s.). “Deve dunque esserci una nuova conquista di Canaan. Le sue città saranno distrutte in un giorno di giudizio (Mc. 8:12; Mt. 16:4; Mt. 12:39; Lu. 7:31 s.)” [3].
Quinto, Gesù fu comprovato dalla legge e dai profeti, e da Dio stesso, essere il Mosè Maggiore. La voce di Dio dalla nuvola (un simbolo di Dio in giudizio) dichiarò: “Questo è il mio amato Figlio in cui mi sono compiaciuto: ascoltatelo!” (Mt. 17:5). San Pietro ci dice esattamente ciò che questo significò:
Mosè stesso infatti disse ai padri: Il Signore Dio vostro susciterà per voi un profeta come me in mezzo ai vostri fratelli; ascoltatelo in tutte le cose che egli vi dirà. E avverrà che chiunque non ascolterà quel profeta, sarà distrutto tra il popolo (At.3:22-23).
Mosè diede la legge; quelli che rifiutarono di ascoltarlo rifiutarono di sottomettersi alla legge di Dio; rivelarono con ciò la loro natura non- rigenerata. Gesù assomiglia a Mosè; Egli è il grande e definitivo Legislatore incarnato. Ascoltare Lui è ascoltare tutta la legge e i profeti e molto di più. Rigettarlo è negare la legge e i profeti insieme alla sua persona. Ogni persona che non vuole ascoltarlo sarebbe stata “estirpato di mezzo al popolo (NR)”. In Deuteronomio 18:19, che Pietro citò, il testo dice: “io gliene domanderò conto”. La minaccia, o promessa di distruzione compare in Esodo 12:15, 19; Levitico 17; 4, 9, ecc. Il significato ultimo di “recisa” è richiesto qui ed è applicato da Pietro perché disobbedire la parola-legge di Gesù Cristo è essere una persona radicalmente senza-legge (empia).
L’ “Ascoltatelo” di Dio non chiamò ad ascoltare Gesù contrapposto a Mosè ed Elia, perché essi comparvero in gloria con lui. Il comando di ascoltare Gesù è di dare ascolto a Cristo, la cui parola è la totalità delle Scritture, in contrapposizione agli scribi e ai farisei, i capi del popolo. I discepoli devono ascoltare Gesù Cristo, che significa ascoltare Mosè ed Elia, contrapposti alle potenze di questo mondo, e contrapposti ai suoi filosofi e capi religiosi. Devono ascoltare Gesù anziché uomini di “una generazione incredula e perversa” (Lu. 9:41).
È pertanto una bestemmia separare la legge da Gesù Cristo. Il fatto che ciò venga fatto è un’evidenza di un declino religioso e di un collasso. Come evidenza di questo fatto, si prenda visione di una lettera di uno studente di primo anno di un prominente seminario che si gloria della propria “ortodossia”:
Il Dottor W. Colloca l’intera discussione (sull’aborto) nella sfera puramente accademica quando ha divorziato la moralità dalla società dicendo che siccome questa è una democrazia, lo stato sarebbe costretto a basare le proprie decisioni riguardo alle leggi sull’aborto sulla volontà della maggioranza delle persone. Se essi pensano che l’aborto danneggi la società, devono proibirlo, se no, lasciate che lei lo squarti!! Il suo antinomismo è raccapricciante.
Suppongo che quella sia la cosa che trovo più preoccupante qui (più negli studenti che nei professori, ma in quest’ultimi in una certa misura): l’antinomismo. La vecchia tiritera: “Io non mescolo mai religione e politica…” … Tra alcune delle persone è così terribile che quando ho cercato di discutere la legge di Dio in politica e nella società con uno degli studenti nella prima settimana che ero qui, lui mi ha detto che il problema con me è che sono troppo “bacchettone!”
Ora, ho associato parecchie cose col desiderio di osservare la legge di Dio, ma mai quella!
Una cosa che mi ha disturbato riguardo alla questione dell’aborto è stata che era più o meno presupposta da tutti qui, anche da quelli che osteggiano l’aborto generico, che l’aborto terapeutico sia moralmente giustificabile. …E dunque l’uccisione (di chiunque?) Per una “buona causa” è accettabile. È difficile capire perché non vedano la fallacia di questa cosa. L’omicidio è omicidio [4].
Una tale posizione è anti-biblica e anti-cristiana, come tutto l’antinomismo inevitabilmente è.
La salvezza è per grazia di Dio mediante la fede; la santificazione è mediante la legge di Dio. Quelli fuori dalla grazia sentono la legge come un’accusa; è una sentenza di morte contro di loro. Quelli che sono nel patto sono in un patto di grazia che è anche in patto di opere. La grazia li abilita a svolgere le opere che sono loro richieste. Il combattimento di Gesù non fu contro Mosè: fu contro gli scribi e i farisei che pervertivano Mosè. Separare la legge e i profeti da Gesù è una perversione delle Scritture. Il monte della trasfigurazione testimoniò della loro unità.
Foulkes ha giustamente indicato che il patto e la legge sono una unità, il patto in quanto principio della predizione, e anche base per la preghiera.
È significativo anche che per Israele la legge non è solamente un’affermazione di principi astratti, un codice di comportamento attentamente congegnato e formulato come tale. La legge è l’espressione della giustizia e della misericordia di Dio. È la dichiarazione dei principi del patto. La collocazione veterotestamentaria della legge è la promulgazione del patto al tempo dell’Esodo. Il Decalogo comincia: “Io sono il Signore Dio tuo che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù….”
La legge, pertanto, contiene non solo un codice che Israele doveva osservare, ma anche i principi che stanno alla base dell’azione di Dio nel passato, che rimangono gli stessi per il presente ed il futuro [5].
L’antinomismo ha favorito lo sviluppo di una legge umanistica, e la legge umanistica ha stimolato la crescita dell’antinomismo. Quando gli uomini hanno visto la legge umanistica assumere un carattere messianico e allo stesso tempo dissolvere le fondamenta della società, è stato facile per loro sviluppare un’ostilità teologica alla legge. Nelle Scritture, comunque, la legge è proclamata al popolo eletto, al patto di grazia; e il prologo della legge, come ha notato Foulked, celebra quella grazia.
Note:
1 C. J. Gloucester and Bristol, Commentary on Mattew XVII. 3, in Ellicott, VI, 104.
2 R. E. Nixon, The Exodous in the New Testament; London: The Tyndale Press, 1962, p. 14 s.
3 Ibid., p. 17.
4 Da una lettera del 17 ottobre, 1970. (Rispetto al caso dove ipoteticamente il dottore deva scegliere tra la vita della madre e la vita del bambino, non sono stato capace di trovare medici che potessero citare un caso del genere. Non posso credere che Dio metta mai un uomo in una situazione dove deve assumere il ruolo di Dio. L’intera questione dell’aborto terapeutico è un tentativo di creare situazioni dove l’uomo deve svolgere il ruolo di Dio. RJR)
5 Francis Foulkes, The Acts of God, a Study of the Basis of Typology in the Old Testament; London: The Tyndale Press, 1955, p. 17.