Teologia/La legge naturale nel pensiero della Riforma

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La Legge naturale nel pensiero della Riforma

Nell’etica cristiana il concetto di “legge naturale” o “legge di natura” e le sue implicazioni, è generalmente considerato “una maniera tipicamente cattolica” di pensare assente e contestata del pensiero della Riforma protestante. Non è così: si tratta di un pregiudizio la cui origine è facilmente tracciabile. L’esistenza di precise leggi naturali che riguardano la condotta umana e conoscibili indistintamente da tutti indipendentemente dalla rivelazione speciale, è ampiamente attestata nell’insegnamento biblico. Esso parla esplicitamente della consapevolezza che ha ogni creatura umana del suo Creatore e dei suoi doveri morali di base. Questo non solo è riconosciuto ed apprezzato nelle sue implicazioni dalle Confessioni di fede della Riforma classica, ma è discusso ed elaborato positivamente dai Riformatori e dalla maggior parte dei teologi protestanti che vi si attengono. Si può dire che la legge naturale sia una componente essenziale del pensiero teologico e morale della Riforma. Se pure vi è stato chi, in questo ambito, l’ha criticata o negata, essa è parte non accessoria dell’ortodossia riformata.

Che cos’è la legge naturale?

Per “legge naturale” non si intende la “legge della giungla” dove il forte leone si mangia la debole antilope, ma ciò che la sola ragione, riflettendo sulla natura umana e sul mondo circostante, può concluderne su Dio e sul modo in cui dovremmo comportarci. La questione è che è possibile conoscere che a Dio debba rendersi il culto o, per esempio, che rubare sia sbagliato anche senza la rivelazione speciale delle Sacre Scritture, essendo la ragione naturale sufficiente per conoscere tali cose. Questa legge è intesa come “naturale” distinguendola da quella messa per iscritto nelle Sacre Scritture. Per “legge naturale” o “legge di natura” intendiamo, così, la legge stabilita da Dio nella creazione e che definisce gli obblighi morali di base delle creature umane e le conseguenze della loro ubbidienza o disubbidienza. Essa è oggettivamente rivelata nel mondo naturale e può essere conosciuta soggettivamente da esseri umani razionali che si confrontano con il mondo naturale, per quanto siano peccaminosamente inclini a torcerne il significato.

Ne tratteremo in questo articolo iniziando con alcune considerazioni di carattere storico e poi ne concluderemo che la legge naturale faccia indubitabilmente parte del sistema della dottrina riformata così come è stata storicamente espressa ed intessuta intimamente nei Canoni di Westminster, la più importante definizione del contenuto della fede cristiana riformata ed in sintonia con le altre confessioni di fede. La questione che ci si pone come cristiani riformati non è quindi se concepiamo l’esistenza della legge di natura ma di quale tipo essa sia e quale ne sia la funzione. Nella seconda sezione di questa esposizione, poi, presenteremo sommariamente in che modo una buona teologia biblica riformata della legge naturale possa di fatto essere sviluppata in modo costruttivo.

Riflessioni storiche

Vi sono un certo numero di preoccupazioni che rendono i cristiani riformati piuttosto ansiosi o persino agitati quando odono un credente riformato loro compagno che si esprime in modo positivo sulla legge naturale. Di solito le argomentazioni critiche su pongono sulle seguenti linee. “L’idea di una legge naturale implica una concezione troppo elevata delle capacità della ragione umana, e conseguentemente una concezione troppo debole del peccato umano. Essa sottrae forza all’autorità suprema della Scrittura, e quindi compromette la dottrina del Sola Scriptura. Promuove una visione ell’etica basata sull’autonomia umana, e quindi non tiene conto la necessità di Dio.

Queste preoccupazioni, però, sarebbero fondate solo se si comprendesse la legge naturale nel modo in cui l’hanno compresa sempre di più i proponenti dell’Illuminismo. Dopo un lungo periodo di guerre di religione e di instabilità sociale nel periodo successivo alla Riforma, molti intellettuali europei desideravano trovare un modo per unire le persone al di là delle linee confessionali tradizionali attraverso i poteri universali e comuni della ragione umana senza l’ostacolo di dettagliate persuasioni teologiche. Adattano l’idea di legge naturale per servire ai loro scopi. La legge naturale diventa così uno strumento per costruire un’etica umana universale, sganciata dalle profonde dottrine teologiche che tradizionalmente i cristiani avevano usato per parlare della legge naturale. Questa prospettiva illuminista aveva indubbiamente una grande fiducia nella ragione, una concezione troppo bassa delle Scritture e promuoveva un’etica umana autonoma.

Le preoccupazioni espresse da molti cristiani riformati a proposito del concetto di legge naturale, però, non sono valide per quanto riguarda le concezioni riformate storiche su questo argomento. Sotto molti rispetti, esse non sono nemmeno giustificate rispetto alle idee prevalenti nel Medioevo. Affascina, inoltre, come molti teorici contemporanei della legge naturale - da diversi punti dello spettro teologico cristiano - dicano che come sia necessario allontanarci proprio da queste idee illuministe sulla legge naturale e ristabilire gli approcci precedenti che li ricollegavano all’insegnamento biblico ed a ricche dottrine teologiche.

La tradizione della legge naturale, che trova ispirazione in Romani 2:15 “essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda”, è stata meticolosamente sviluppata dai pensatori dello Scolasticismo, come Tommaso d’Aquino. Si sente spesso dire che la Riforma protestante abbia respinto la tradizione della legge naturale perché quest’ultima dava troppo credito alla capacità della ragione umana decaduta, e non abbastanza alla necessità della grazia. Sebbene la tradizione del Cattolicesimo romano non abbia mai affermato che la legge naturale sia sufficiente per la salvezza, si dice generalmente che i principali Riformatori protestanti pensassero che ciò che era stato elaborato sulla legge naturale non fosse sufficientemente cristiano. Il che non è affatto vero, anche se in molti ambienti questo viene fatto passare come un dato di fatto, soprattutto a causa dell’influenza esercitata dalla valutazione molto negativa della legge naturale esposta il secolo scorso da Karl Barth. Di fatto, Karl Barth e chi lo segue sono stati loro ad allontanarsi dal pensiero riformato storico. Calvino, Vermigli, Althusius ed altri, hanno ampiamente accettato e fatto un uso positivo della tradizione sulla legge naturale, e la cosa è facilmente documentabile.

Nel Medioevo, i teologi, i filosofi ed i giuristi riconoscono unanimemente la legge naturale e ne fanno uso. Sebbene disputassero su certi aspetti della legge naturale, vi era un consenso generalizzato su molti importanti punti. Essi concordavano sul fatto che una legge naturale esiste. Essi credevano che Dio stesso abbia creato l’ordinamento naturale e la coscienza umana che lo percepisce e vi risponde, e così credevano che l’ordinamento naturale sottoponga l’uomo ad un obbligo verso Dio. Questi pensatori medioevali insegnavano pure come il peccato abbia danneggiato la capacità della persona umana di comprendere e di seguire la legge naturale. Dall’aspetto pratico, essi comunemente parlavano della legge naturale come fondamento della legge civile (sebbene in maniera flessibile, richiedendo un’applicazione prudente in circostanze particolari). Essi credevano, infine, che la legge naturale e l’insegnamento morale biblico dovessero illuminarsi a vicenda, non essendo l’uno da considerarsi indipendente dall’altro. Certo la comprensione medioevale sulla legge naturale non era perfetta, ma i pensatori mediievali pensavano alla legge naturale in termini biblici e teologici. I Riformatori consideravano la legge naturale come parte della cristianità cattolica (universale) che, in sé stessa, non aveva bisogno di grandi riforme. Ovviamente, i Riformatori insegnavano che molti aspetti della dottrina cristiana avessero seriamente bisogno di essere seriamente riformati - questioni come la Giustificazione, i sacramenti, e il rapporto fra autorità biblica ed ecclesiastica, ci sono fra i più familiari. Essi, però, non consideravano in questo modo molti altri aspetti dell’eredità dottrinale che accolgono, quali, per esempio, la dottrina della Trinità e delle due nature di Cristo. La legge naturale, per loro, pare cadesse sotto quest’ultima categoria, quella, cioè, di dottrine fondamentali.

Questo non significa che, pur non prendendo la legge naturale come punto focale delle loro riforme, non vi dovessero essere dei cambiamenti di prospettiva al riguardo. In confronto con i loro precursori medioevali, essi avevano consapevolezza intensa degli spaventosi effetti del peccato e dei suoi effetti noetici, da cui un intenso senso della necessità della Scrittura per chiarire e correggere la loro interpretazione su ciò che rivela la legge naturale.

I Riformatori pure sviluppano la comprensione della coscienza verso nuove direzioni che, a loro volta, danno forma a certi aspetti della dottrina sulla legge naturale. In connessione con la dottrina dei due regni, inoltre, troviamo come i Riformatori rendano più chiara la distinzione fra il ruolo della legge naturale rispetto alle “cose terrene” ed il suo ruolo rispetto alle “cose celesti” (prendendo a prestito il linguaggio di Calvino. È così che la legge naturale assume un ruolo piuttosto positivo in queste ultime, mentre per le prime serve solo la funzione negativa di convincere le persone dei loro peccati e guidare le persone verso il Salvatore. In altre parole, Dio ha dato alla legge naturale il ruolo positivo di aiutarle a promuovere una certa misura di ordine sociale e di successi in questo mondo, ma non può costruttivamente far avanzare una persona di un solo passo verso un giusto rapporto con Dio o la vita eterna.

In effetti sarebbe ancora necessario lavorare per sviluppare ulteriormente una teologia riformata della legge naturale che sia biblicamente penetrante e coerente con i nostri principi dottrinali, ma vale la pena riflettere su come la legge naturale sia diventata parte integrante al sistema di dottrina e confessioni di fede riformate. I teologi riformati classici non hanno elaborato una teologia distintamente riformata della teologia naturale, ma essi tutti hanno di fatto affermato l'esistenza della legge naturale e l'hanno incorporata nella loro teologia. I Canoni di Westminster bene lo illustrano. Nei Canoni possono essere contati almeno tredici riferimenti alla legge naturale (in termini come "luce della natura", " la legge di Dio scritta nei loro cuori", e "legge di natura"), come pure riferimenti indiretti. Più significativo ancora dei riferimenti diretti alla legge di natura è il vasto arco di dottrine rifirmate che vi sono connesse. Questo vuol dire che non è possibile prescindere dalla legge naturale nell'insegnamento dei Canoni senza fondamentalmente pregiudicarlo. La legge naturale fa parte integrale del sistema di dottrina riformato storico.

Quali dottrine i Canoni di Westminster associano alla legge naturale, in un modo o in un altro? Una è l’esistenza stessa di Dio: “La luce stessa della natura nell'uomo, come pure le opere di Dio, manifestano splendidamente che c'è un Dio”[1] (Catechismo Maggiore, 2). Questo si riferisce più generalmente alla rivelazione naturale e non semplicemente alla legge di natura. Un’altra è la natura degli esseri umani in quanto creati sotto il Patto di opere. La Confessione di fede di Westminster 4:2 e il Catechismo Maggiore 17 descrivono i primi esseri umani come: “...con la Legge divina scritta nei loro cuo­ri, e con la capacità di adempier­la”[2]. I Canoni pure fanno appello alla Legge di natura per descrivere l’impegno morale fondamentale che continua a legare tutte le creature umane che cadono nel peccato: “La luce della natura rende evidente come vi sia un Dio, che ha signoria e dominio assoluto su ogni cosa; che è buono e fa del bene a tutti; e che quindi deve essere temuto, amato, lodato, invocato, creduto e servito con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la forza”[3] (CFW 21:1). Quella del Sabato è pure un’importante questione morale associata alla Legge di natura: “Com'è legge naturale che, in generale, si riservi un'idonea proporzione di tempo per celebrare il Culto di Dio, così Dio, nella Sua Parola, mediante un comandamento positivo, morale e perpetuo che obbliga tutti gli uomini di tutti i tempi, ha particolarmente stabilito un giorno su sette da santificarsi in Suo onore come Sabato”[4] (CFW 21:7).

I Canoni, naturalmente, sostengono pure come ogni creatura umana sia ribelle contro questa rivelazione naturale. Questo vuol dire che non vi è salvezza per alcuno indipendentemente dalla parola delle Scriitture: “Nemmeno coloro che non professano la fede cristiana possono essere salvati in qualsiasi altro modo, per quanto possano sforzarsi di impostare la loro vita secondo il lume naturale e le prescrizioni della religione che professano al di fuori dell'unica via di salvezza”[5] (CFW 10:4; CMW 60). Il CMW 151 parla pure della “luce della natura” quando spiega la gravità del peccato. La Legge di natura assicura il fatto che tutti dovranno rendere conto di sé stessi a Dio al giudizio finale: “La luce della natura e le opere della creazione e della provvidenza tanto manifestano la bontà, sapienza e potenza di Dio, da rendere gli uomini inescusabili”.

La Legge di natura, inoltre, assume un ruolo positivo per i credenti e la chiesa, secondo i Canoni di Westminster. Ci aiuta a comprendere i limiti della libertà cristiana. Per esempio, la libertà cristiana non ci permette di pubblicizzare “opinioni e persistere a praticare ciò che è contrario al lume della natura o ai principi noti della Cristianità”[6] (CFW 20:4). La Legge di natura è pure necessaria per ordinare il culto e il governo ecclesiastico. Nella sezione stessa dove si parla della sufficienza della Scrittura, la CFW afferma: “Ciononostante rimangono questioni concernenti il culto di Dio o il governo della Chiesa - comuni alle azioni umane ed alla società - che possono essere regolate alla luce della natura e della saggezza cristiana, secondo le regole generali della Parola, le quali devono essere osservate in perpetuo” (1:6).

La CFW ci rammenta utilmente che nella teologia riformata classica la dottrina del Sola Scrittura significa che non abbiamo bisogno di altre forme di rivelazione speciale, né che non abbiamo bisogno della rivelazione naturale. Alla luce di tutto questo, coloro che confessionalmente sono riformati non devono scegliere se o no affermare una robusta dottrina sulla Legge di natura. La nostra sfida, piuttosto, è sviluppare una teologia della Legge di natura dalla Scrittura che illumini nel modo migliore e ulteriormente raffini questo materiale confessionale.

Suggerimenti biblici

In che modo potrebbe essere sviluppata costruttivamente una teologia biblica della Legge di natura in modo da essere coerente con il sistema di dottrina riformato e sostenerlo?

In primo luogo, una teologia riformata sulla legge di natura dovrebbe essere radicata in una teologia della natura che, a sua volta, sia fondata nella nostra teologia dell’Alleanza.

Quando pensiamo ad una teologia della natura, ha senso considerare Genesi 1 e il Patto d’opere originale. Genesi 1 rende subito chiaro come l’attività creativa di Dio inquadra l'intero mondo naturale nell’ordine e nel proposito. La Sua creazione è oggettivamente significativa. Un’altra cosa che Genesi 1 insegna esplicitamente, è che Dio crea l’essere umano a Sua immagine e che questa immagine implica conoscenza, giustizia e santità (Efesini 4:24; Colossesi 3:10). Gli esseri umani erano così soggettivamente capaci di comprendere e di rispondere alla verità comunicata nella natura. Dire che l’ordinamento naturale è soggettivamente significativo e che gli esseri umani sono soggettivamente capaci di apprendere il suo significato, potrebbe sembrare un’affermazione ovvia per molti cristiani, ma si tratta di un fondamento di cruciale importanza per una teologia della legge di natura, ed emerge già in Genesi 1.

Osserviamo pure in Genesi 1 che Dio fa l’uomo a Sua immagine con il proposito di esercitare dominio nel mondo. Dio aveva esercitato dominio supremo nel creare il mondo e l’essere umano a Sua immagine e somiglianza, e l’essere umano, a Sua somiglianza, doveva governare il mondo sotto di Lui. Se l’uomo doveva dominare il mondo a somiglianza di Dio, egli non doveva farlo a caso, ma secondo un proposito, verso un fine, perché Dio stesso aveva operato e poi sottoposto l’opera al Suo giudizio (Genesi 1:31), e riposandosene al termine.

Genesi 1 non ci permette di separare la nostra dottrina sull’immagine di Dio dal Patto d’Opere, come se quest’ultimo fosse stato semplicemente aggiunto un qualche tempo dopo la creazione dell’uomo. Per natura Dio ha voluto che gli uomini lavorassero in questo mondo e poi raggiungessero un fine: la vita escatologica. È così che l’ordine originario della natura comunica non solo gli obblighi morali di base dell’uomo verso Dio, ma anche il fatto che Dio l’avrebbe giudicato in base alla sua risposta, rispettivamente retribuendolo o punendolo.

Alla luce della Caduta, però, non possiamo più semplicemente ora considerare la legge di natura attraverso la lente della Creazione originale. Si deve piuttosto considerare la legge di natura nel mondo attuale alla luce del patto con Noè in Genesi 8:20-9:17, perché questo è il mezzo attraverso il quale ora Dio preserva e governa sia l’ambito cosmico che sociale. Questo patto (il Patto noachita) rende evidente come Dio ancora metta ordine al cosmo e lo renda oggettivamente significativo, e che Egli ancora tratti con tutti gli esseri umani, per quanto decaduti, come portatori della Sua immagine. Dio dà agli esseri umani responsabilità adatte ad un mondo decaduto, ma queste responsabilità assomigliano a quelle che vi erano nell’ambito dell’ordinamento creazionale originale. Dobbiamo fruttificare e moltiplicare, governare responsabilmente il mondo animale, e perseguire la giustizia (Genesi 9:1-7). Dio non impone questi obblighi in modo arbitrario; essi corrispondono alla natura con la quale Egli ci ha creato. Il mandato stesso di operare e fare giustizia è radicato nella natura umana: “Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell'uomo sarà sparso dall'uomo, perché Dio ha fatto l'uomo a sua immagine” (Genesi 9:6).

L’opera originale per la quale Dio ha creato il mondo ed il Suo governo provvidenziale del mondo decaduto nell’ambito del patto noachita[7], quindi, forniscono il fondamento d’importanza cruciale per sviluppare una teologia della legge naturale. In che modo, però, il resto della Scrittura parla della legge naturale e dei suoi propositi?

Funzioni della legge naturale per i non credenti

Vi sono almeno tre importanti funzioni della legge naturale rispetto ai non credenti.

In primo luogo, la legge naturale è uno strumento della grazia comune per la preservazione della società umana. Questo corrisponde a ciò che spesso viene definito come “il secondo uso della Legge”. Il racconto su Abramo ed Abimelech in Genesi 20 ne fornisce una buona illustrazione. Soggiornando a Gherar, Abramo inganna il re Abimelech facendo passare Sara per sua sorella, e Abimelech subito la prende in casa sua. Informato da Dio in sogno sulla reale situazione, Abimelech interpella prontamente Abramo il mattino dopo. Sebbene i due provengano da luoghi, culture e religioni diverse, Abimelech lo accusa con queste parole: “Che ci hai fatto? In che cosa ti ho offeso, ché tu abbia attirato su di me e sul mio regno questo grande peccato? Tu mi hai fatto cose che non si debbono fare” (20:9). Questo pagano riconosceva un criterio universale di moralità che andava oltre a ogni differenza culturale ed etnica, che una persona possa aspettarsi un’altra che lo riconosca. La risposta di Abramo: “L'ho fatto, perché dicevo tra me: ‘Certo, in questo luogo non c'è timor di Dio e mi uccideranno a causa di mia moglie’” (20:11) dimostra come egli abbia giudicato male Gherar. Indubbiamente in questo luogo vi era un timore di Dio non redentore che conteneva il diffondersi del peccato. La legge naturale è uno strumento della grazia comune.

In secondo luogo, la legge naturale è un mezzo per sottoporre l’intera umanità al giudizio universale di Dio. Romani 1 fornisce un chiaro esempio. In 1:18-21 Paolo insegna che tutta l’umanità non può accampare scusa alcuna di fronte a Dio e sono sottoposti alla Sua ira perché ciò che può essere conosciuto di lui è evidente dalle cose che Egli ha creato. Attraverso il creato stesso essi conoscono Dio, sebbene costantemente distorcano questa conoscenza. Fra i peccati che lo manifestano è che essi “hanno cambiato l'uso naturale in quello che è contro natura” (1:26).

Paolo, inoltre, afferma che attraverso questa rivelazione naturale essi “conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette” (1:32).

Il quadro descritto non è assolutamente negativo, perché Paolo più avanti aggiunge “Infatti quando degli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a se stessi” (2:14). Questa conoscenza interiore della legge di Dio, però, implica giudizi della coscienza che servono come anticipazione del giudizio finale: “essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda. Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo” (2:15-16).

In terzo luogo, la legge naturale è importante per i non credenti perché pone il necessario fondamento per la proclamazione dell’Evangelo. Questo corrisponde al cosiddetto “primo uso della legge”. I versetti precedentemente citati di Romani 1-2, naturalmente, sono una componente dell’insegnamento fondamentale di Paolo in preparazione alla sua spiegazione della giustificazione e degli altri benefici della salvezza, ad iniziare da Romani 3:21. In breve, senza la legge non vi può essere Evangelo. Senza convinzione di peccato non vi può essere né fede né ravvedimento. Richiamare l’attenzione alla testimonianza della legge naturale, quindi, promuove l’effettiva predicazione della salvezza in Cristo.

Funzioni della legge naturale per i cristiani

C’é da parlare, infine, dell’importanza della legge naturale per i credenti. Anche in questo caso vi sono tre considerazione di base da fare.

In primo luogo, la legge naturale, quando noi erriamo ci riprende. La funzione della legge naturale descritta in Romani 2:14-15 non cessa interamente quando si giunge alla fede, perché continua a sollecitare la nostra coscienza e renderci attenti ai peccati che commettiamo. I profeti dell’Antico Testamento facevano frequente appello alla conoscenza che aveva Israele del mondo naturale per aiutare le persone a comprendere quanto fosse ridicola la loro ribellione contro Dio (es. Isaia 1:2-3; Geremia 8:7). E’ comprensibile che vi siano pochi esempi di questo nel Nuovo Testamento, ma considerate l’affermazione di Paolo: “Si ode addirittura affermare che vi è tra di voi fornicazione, una tale fornicazione che non si trova neppure fra i pagani; al punto che uno si tiene la moglie di suo padre!” (1 Corinzi 5:1). Il suo commento ha senso solo se si presuppone che i pagani siano consapevoli di una verità morale universale. Paolo risveglia le coscienze dei credenti portandoli a vergognarsi dei loro peccati sulla base della legge naturale.

In secondo luogo, la legge naturale mostra ai credenti come si possa vivere bene in un mondo pericoloso. Le Scritture evidenziano come la vita morale non sia solo memorizzare delle regole, ma anche osservare il mondo, imparare come le cose funzionano, e trarne le conclusioni morali appropriate. La sapienza promossa nel libro dei Proverbi sarebbe inconcepibile senza legge naturale. La struttura dell’universo è pervasa dalla sapienza di Dio che l’ha creato (Proverbi 8:22-31) ed è percipendo e seguendo questa sapienza che le creature umane conseguono successo e benedizioni in questo mondo (8:15-21,32-36). L’osservazione del mondo dovrebbe condurre i credenti a precise conclusioni su come esso opera e, a sua volta, esso esige che si giunga a conclusioni morali certe. Per esempio, osservando le formiche (6:6-8) e “campo del pigro e presso la vigna dell'uomo privo di senno” (24:30-34) troviamo altrettanto precisi ammonimenti contro la pigrizia.

In terzo luogo, la legge naturale spiega e rafforza per noi, credenti nel Nuovo Testamento il perché continuiamo ad onorare e a partecipare alle istituzioni naturali di questo mondo (come la famiglia e lo stato), e questo benché noi si sia cittadini del regno dei cieli, condizione dove tali istituzioni non vi sono.

L’unica istituzione che il Signore Gesù Cristo abbia costituito è la chiesa. Egli non ha introdotto nuovi obblighi verso la famiglia o lo stato. Al riguardo di quest’ultime istituzioni, il Nuovo Testamento conferma e rafforza gli obblighi già presenti nella legge naturale (per quanto noi li si debba vivere “in Cristo”). Che la famiglia abbia per fondamento l’unione fra un uomo ed una donna, che essi debbano reciprocamente essere fedeli, che abbiano la responsabilità di educare ed istruire dei figli, che si debba promuovere la giustizia ed onorare coloro che sono stabiliti come autorità nella società umana, non sono principi arbitrari e relativi, ma sono appropriati al tipo di persone che Dio ci ha fatti per natura. Romani 13:1-7, per esempio, riflette l’ordinamento naturale preservato nell’ambito del patto noachita, nel quale Dio prescrive l’uso “della spada” da parte di coloro che portano la Sua immagine per eseguire la giustizia contro i malfattori (Genesi 9:6).

Inoltre, sia Gesù che Paolo si appellano all’ordinamento creazionale per spiegare le loro esortazioni sul matrimonio e sulla morale sessuale (Matteo 19:3-9; Marco 10:2-12; 1 Corinzi 1:12-16). È vero, e bisogna sempre rammentarlo, che i cristiani sono sempre chiamati a testimoniare con la loro condotta che essenzialmente essi appartengono alla nuova creazione, dove l’ordinamento naturale, nella forma che oggi lo conosciamo, non esisterà più. La nostra disciplina ecclesiastica, non retributiva e che persegue la riconciliazione, che appare così diversa dal modo in cui lo stato tratta il crimine, ne è un buon esempio. Fintanto che però viviamo nell’epoca attuale, la realtà della legge naturale spiega il nostro obbligo durevole di onorare le istituzioni naturali.

Conclusione

Al termine di queste riflessioni storiche e teologiche, si potrebbe concludere con almeno quattro ragioni di base per le quali dovremmo ricuperare, apprezzare e avvalerci di una teologia riformata sulla legge naturale.

Dovremmo farlo, in primo luogo, per rimanere fedeli alle Confessioni di fede classiche della Riforma, confessioni che definiscono la nostra identità e mostrano come non siamo “altro” rispetto alla Chiesa cattolica (universale), ma ne siamo eredi autentici.

In secondo luogo, dovremmo ricuperare una teologia riformata della legge naturale per essere meglio in grado di insegnare l’intero consiglio di Dio dalle Sacre Scritture.

In terzo luogo, questo sforzo ci aiuterà a comprendere meglio i modi in cui Dio sostiene e preserva la società umana attraverso la Sua grazia comune, e quindi comprendere meglio come muoverci in questo mondo e proclamarvi fedelmente l’Evangelo.

Infine, la legge naturale offre al cristiano impegnato un vocabolario che bene si adatta ad esercitare la sua vocazione a contribuire al bene comune della società. Sia esso la questione del matrimonio che della giustizia penale o, mettiamo, del gioco d’azzardo, per il mondo non è abbastanza persuasivo appoggiarci esclusivamente sulla rivelazione biblica. Di fatto, il mondo incredulo potrebbe facilmente svicolare (e vediamo farlo costantemente) dalla questione sostenendo tipicamente che si tratterebbe solo delle nostre opinioni e pensiero, mentre di fatto, la legge di Dio è una realtà oggettiva alla quale rende testimonianza la coscienza di ogni creatura umana e la pratica universale, per quanto parziale o corrotta possa essere. La legge naturale provvede una via che i cristiani possono, anzi, devono percorrere nel dibattito pubblico, precisamente come cittadini senza dover chiedere speciali privilegi per la rivelazione cristiana.

Note