Letteratura/Da Pietro al papato/Capitolo Terzo
CAPITOLO TERZO: IL «TU SEI PIETRO» NEL BRANO MATTAICO
L'elogio di Pietro Dapprima Gesù lodò la professione di fede petrina attribuendola non a deduzioni di puro ragionamento umano, bensì a rivelazione divina (apokàlupsis); non fu infatti la «carne e il sangue» (1), vale a dire la persona umana di Pietro con le sue facoltà raziocinanti, a scoprire tale fatto, bensì una diretta comunicazione di Dio. Tale professione costituisce quindi una svolta decisiva nella vita apostolica di Gesù.
Già prima di quel momento i discepoli avevano proclamato che Gesù era Figliuol di Dio, ma lo avevano fatto sotto l'impulso di fenomeni miracolosi, come la tempesta sedata (Matteo 14, 33); lo avevano già asserito anche i démoni, ma Gesù non volle mai accogliere la loro testimonianza (Matteo 8, 29). Ora, invece, è l'apostolo Simone che a sangue freddo, senza l'eccitazione di alcun prodigio, afferma a nome degli apostoli che Gesù non è un semplice mortale come tutti gli altri, bensì l'atteso Messia, appartenente quindi, in modo del tutto speciale, alla sfera del divino. Tuttavia per impedire che gli animi degli Ebrei si eccitassero e gli attribuissero la missione puramente terrena di debellare i dominatori romani, Gesù ordinò agli apostoli di non rivelare ad alcuno tale sua prerogativa.
Simone viene chiamato Barjona, epiteto che, probabilmente, equivale a «rivoluzionario», nel senso di uno bramoso di eliminare i dominatori romani (2) simpatizzante perciò con gli zeloti e quindi un galileo bramoso di libertà nazionale. Data questa sua tendenza nazionalista Pietro non poteva spontaneamente immaginarsi che Gesù, alieno da tali ideali, fosse davvero il Cristo atteso. Ciò doveva essere frutto di particolare rivelazione divina.
Pietro: il nuovo epiteto di Simone Dopo l'elogio della sua professione di fede, Gesù impone all'apostolo l'epiteto di «Cefa» dicendo:
«Io pure (kagò) ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'Ades non la vinceranno» (v. 18)
La particella congiuntiva «io pure» mette le parole di Gesù in un necessario rapporto logico con la precedente confessione petrina: «Siccome tu hai chiamato me: il Cristo, il Figlio di Dio, palesando così la mia vera natura, anch'io ti annuncio il tuo vero nome, che da ora in avanti sarà: Pietro e non più: Simone».
Secondo la concezione ebraica chi riceve il nome da un altro diviene sottoposto all'altro ed entra in una particolare relazione con lui. I tre discepoli più intimi di Gesù sono appunto coloro che ricevettero dal Cristo uno nome nuovo: Simone, chiamato Pietro; Giacomo e Giovanni chiamati «figli del Tuono» (3). Per gli Ebrei il nome non era qualcosa di accessorio all'individuo, ma ne esprimeva l'intima essenza. I figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, per la loro impetuosità pronta a scagliare anatemi a destra e a manca, sono detti «Boanerges» («Figli di Tuono»), in quanto i fulmini, secondo la poetica espressione ebraica, sono i «Figli del Tuono».
A Simone Gesù impose l'epiteto aramaico «Cefa»(4) il cui senso pare sia quello di «roccia» (5). Nell'originale aramaico – come risulta dal giovanneo Kefa – il gioco di parole era naturale, poiché in esso si ripeteva due volte detta parola significante «roccia»: «Tu sei roccia (kefa) e su questa roccia (Kefa) io edificherò la mia Chiesa». Tale ricostruzione sembra richiesta dal pronome «questa» che ricollega la seconda «roccia» alla prima immediatamente precedente.
Siccome il termine Kefa fu tradotto in greco con «Pétros», appare che almeno all'inizio esso non era sentito come nome proprio, bensì come semplice appellativo; poiché i nomi propri non si traducono, ma si conservano come suonano. Nella traduzione dell'aramaico è logico che l'appellativo dovesse assumere una desinenza maschile, dato che si riferiva ad un uomo e non a una donna; di qui l'espressione «Simone Pietro», vale a dire «Simone, la roccia» «Simone il roccioso» (6).
Più tardi tale appellativo divenne il nome proprio dell'apostolo, che nel territorio di lingua semita o presso gli scrittori semiti (come ad esempio Paolo), fu chiamato prevalentemente con il nome di «Kefa» (7), mentre nelle regioni di lingua greca fu detto «Pietro», termine che poteva equivalere tanto a «sasso» che a «roccia» (8).
Quando Matteo compose il suo Vangelo, probabilmente in Siria verso l'80 d.C., nel tradurre il «loghion» (detto) di Gesù, si trovò costretto ad usare nella sua prima parte il vocabolo «Pietro» perché con questo nome l'apostolo era già noto, pur conservando nella seconda parte il termine «pietra» che meglio si adeguava alla funzione di fondamento per la Chiesa nascente (9). Il rapporto di identità tra i due termini fu però reso evidente al lettore dall'uso dell'aggettivo «questa», che obbliga a riferire la «pietra» proprio al Pietro prima riferito.
Simbolismo insito nel termine Pietro Perché mai Simone meritò il soprannome di Pietro? Dal contesto vediamo che ciò fu dovuto alla professione di fede attuata poco prima dall'apostolo. Per questa professione di fede nella missione di Gesù, Simone partecipava già alla fortezza e grandezza di Cristo, meritando così di essere chiamato la prima pietra in ordine di tempo, su cui sarebbe poggiato il futuro edificio della Chiesa (10), Perciò l'epiteto «Pietro» nell'intento di Gesù era solo un mezzo per esaltare l'importanza della sua professione di fede.
Gesù amava infatti concretizzare in persone o situazioni i suoi insegnamenti, per evitare da buon semita e da buon psicologo ogni idea astratta. Dall'episodio dei Galilei fatti massacrare da Pilato, e dai diciotto individui su cui era caduta la torre di Siloe a Gerusalemme, Gesù trasse lo spunto per insegnare la necessità del ravvedimento, pena, in caso contrario, la condanna simile morte (Luca 13, 1-5); per proclamare l'umile e fedele accettazione degli insegnamenti divini, Gesù preso un bimbo, ordinò ai discepoli di farsi simili a lui (Matteo 18, 1-4); per esaltare la veracità del suo insegnamento si proclamò Via, Verità e Vita (Giovanni 14, 6). Gesù, se non ha dinanzi delle persone concrete, le crea con la sua fantasia mediante suggestive parabole; così per insegnare che occorre credere a lui come all'inviato dal Padre, dice che bisogna «mangiare la sua carme e bere il suo sangue» (Giovanni 6, 53). Per mostrare al popolo ebraico che ha solo poco tempo per ravvedersi se non vuole perire del tutto, presenta la parabola del fico sterile al quale, prima del taglio definitivo, si concede un'ultima concimazione e scalzatura (Luca 13, 6-9). Per dire che bisogna ascoltare e praticare la parola di Dio, presenta la parabola del seminatore; per mettere in guardia i credenti dal ricadere nel male, paragona la Chiesa a un campo di frumento nel quale il nemico getta il seme della zizzania (Matteo 13). Quando gli si chiede chi sia il «prossimo», Gesù non fa delle disquisizioni astratte, ma racconta la parabola del Samaritano, il quale si prende cura persino dell'odiato ebreo, che trova seminudo e semimorto sulla via di Gerico (Luca 10, 30).
E' quindi naturale che volendo inculcare la necessità di far propria la fede proclamata da Pietro per chiunque intenda entrare nella Chiesa, presenti il Simone confessante, come la «rupe» della Chiesa di Dio (Matteo 16, 16). Si possono perciò ripetere le parole del Barnes:
«Con la tua confessione, i Simone, sei la rupe già pronta per gettare il fondamento della Chiesa. Su di te io la voglio costruire. Tu sarai molto onorato, sarai infatti il primo a far conoscere l'Evangelo sia ai Giudei che ai Gentili» (11).
Al primo confessore in ordine di tempo Gesù affida una parte di primo piano nella edificazione della Chiesa, in quanto lascia a lui l'annuncio delle decisioni fondamentali riguardanti l'ingresso nella Chiesa, rendendo così l'apostolo una specie di sostegno permanente, in quanto sempre tutti i credenti che vogliono entrare nella famiglia di Dio, dovranno far propria la professione di fede compiuta da Pietro e ubbidire alle norme da lui sancite una volta per sempre: battesimo senza la circoncisione(11bis).
Va poi notato che il simbolismo qui usato da Gesù non era una novità incomprensibile ai suoi uditori. Gli stessi rabbini per esaltare le doti morali di un individuo usavano il simbolismo di edificare un edificio su di lui. Per glorificare la fede mirabile di Abramo, pronto ad uccidere lo stesso proprio figlio unigenito per ubbidire a Dio (cfr Eb 11, 8-10), lo presentano come la «rupe» (roccia) che sorregge l'universo. Nel commento rabbinico al passo «Lo vedo dalla cima della rupe» (Numeri 23, 9) si narra l'episodio di un re che, volendo costruire un edificio, scavò a lungo in un luogo paludoso fino a trovare una roccia e poi si disse: «Su questo luogo il costruirò e getterò le fondamenta!»
«Così l'Unico, ossia Dio, volendo creare il mondo, gettò uno sguardo sulle generazioni di Enoc e del diluvio e disse: Come posso io creare il mondo, mentre questi uomini empi cercano solo di provocarmi? Ma appena s'accorse che sarebbe sorto Abramo, egli disse: Ecco io ho trovato la pietra su cui edificare e gettare le fondamenta. Perciò egli chiamò Abramo la «Roccia» (çur) come è detto: Guardate alla roccia da cui siete stati recisi. Guardate ad Abramo vostro padre (Isaia 51, 1-2)» (12)
Da questo parallelo si deduce che l'aver chiamato Simone con l'epiteto di «Roccia, rupe» non equivale affatto a renderlo capo della Chiesa da sostituirsi poi con dei successori al suo governo. Anche Abramo era chiamato «Roccia», ma solo per la sua fede eroica; il mondo si poteva dire creato su di lui, ma solo perché la sua vita d'eroismo ubbidiente suppliva a tutti i mali dell'umanità corrotta e perché a lui gli Ebrei dovevano guardare per riprodurne la fede eroica e così nascere spiritualmente da lui (Eb 11, 8.10.17-19). Ma con ciò Abramo non era ritenuto il capo degli Ebrei; i dirigenti del popolo ebraico – giudici o re – non erano successori del patriarca. Questi rimaneva una persona unica, alla quale dovevano guardare come a fulgido esempio tutti i membri più fedeli del popolo di Dio.
Anche A Pietro «Roccia» della Chiesa dovevano guardare i credenti, non perché egli sia il loro capo da sostituirsi con il papa dopo la sua morte, ma solo come al fulgido esempio dei cristiani per la sua fede nel Cristo. A lui essi devono guardare per fare propria la sua professione di fede e per ubbidire ai comandi da lui dati a riguardo dell'ingresso nella Chiesa, così come i Giudei obbedivano ai comandi della circoncisione per far parte del popolo della promessa.
A conferma di quanto è stato detto precedentemente devo aggiungere che l'edificatore della Chiesa non è Pietro, bensì Gesù, e che la Chiesa non appartiene a Pietro, bensì a Cristo: «Su di questa pietra edificherò la mia Chiesa»(13). Si noti pure che la funzione di Pietro è un'attività connessa con l'edificazione della Chiesa, fatto che si avverrò una volta sola nella storia del mondo(13bis). Una volta fondata, la Chiesa, poggia su Pietro solo in quanto il Simone di Cesarea attraverso l'ispirata pagina di Matteo continua a proclamare che la sua professione di fede è indispensabile per entrare nella Chiesa. Morirà il Simone uomo, il Simone carnale; ma il Simone confessante è vivo per sempre in quanto lo Spirito Santo ha voluto che la sua professione di fede entrasse a far parte dell'eterno messaggio evangelico. Udire il nome di Pietro, equivale a riudire Simone che confessa la messianicità di Gesù e la filiazione divina di Gesù; il che deve essere imitato da chiunque intenda entrare nella grande famiglia di Dio, che è la Chiesa.
Le porte dell'Ades non prevarranno Il verbo «prevalere» (katiskúo) indica l'attacco che le «porte» dell'Ades, ossia dell'Averno o del soggiorno dei morti sferreranno contro la Chiesa. Ma riesce assai difficile capire come mai le «porte», adatte per la difesa, possano combattere il popolo di Dio, per cui alcuni esegeti hanno pensato che l'assaltante fosse la Chiesa alla quale le porte dell'Ades, non potendo resistere, saranno costrette a cedere i loro morti(14). I credenti non resteranno per sempre in balia della morte, ma saranno un giorno liberati per la potenza della Chiesa. «E il mare rese i morti che erano in esso, e la morte e l'Ades resero i loro morti, ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere» (Apocalisse 20, 13). Cristo, e quindi anche la Chiesa che ne è il suo corpo, ha le «chiavi» dell'Ades evidentemente per farne uscire i morti (Apocalisse 1, 13). La morte (e l'Ades che ne costituisce il regno) è debellata dalla fede in Cristo: «Chi crede in me ha la vita eterna; anche se nuore vive» (Giovanni 11, 25; cfr 1 Corinti 15, 26). Tuttavia il verbo «katiskúo» indica piuttosto l'azione offensiva dell'assalto e non la resistenza puramente passiva all'attacco della Chiesa; ma in tal caso non si riesce a capire come mai delle «porte», che sono qualcosa di statico, possano essere presentate come avversari che si lancino all'attacco della Chiesa.
Per tale ragioni si è pensato di mutare le «porte» in «portieri», poggiando sul fatto che l'aramaico originale, mancando di vocali, poteva facilmente causare tale confusione, riscontrabile anche altrove nella Bibbia (15). I portieri dell'Ades sono infatti raffigurati sotto forma di feroci e paurosi dragoni dall'apocrifo slavo di Enoc. Tuttavia anche i «portieri» sono più adatti alla difesa che non all'attacco, per cui la correzione precedente non raggiunge lo scopo che si era prefisso.
Per conto mio penso che il contesto simbolico del passo renda logico attribuire anche alle «porte» un simbolismo corrispondente al verbo «prevalere». La porta (o le porte) delle città orientali avevano una piazza antistante nella quali si esercitava la giustizia, si ordivano i complotti e le macchinazioni (16). Le stesse guerre si decidevano alla «porta» della città: è alla porta di Samaria che i falsi profeti aulici tranquillizzavano Acab, re di Israele e Giosafat re di Giuda, invitandoli a salire contro Ramot di Galaad per distruggerla (1 Re 22, 10-12). In tal caso le «porte» sul labbro di Gesù indicherebbero tutte le macchinazioni che le potenze del male (Ades) avrebbero attuato contro la Chiesa, senza però riuscire a soffocarla e a distruggerla(17), poiché essa sta saldamente ancorata alla fede nel Cristo, personificata in modo concreto dal Pietro confessore.
Il plurale «porte» si può forse spiegare con il fatto che originariamente si pensava che molte porte, una dopo l'altra (come nelle odierne prigioni), chiudessero l'ingresso nell'Ades. Nel poemetto babilonese, La discesa di Istar nel soggiorno dei morti, la dea deve passare attraverso sette porte e lasciare dinanzi a ciascuna di esse un pezzo del suo abbigliamento (17bis). Oppure si può pensare ad un plurale rafforzativo per indicare l'immane potenza del male, che si sarebbe scatenata tutta, ma senza frutto, contro la Chiesa di Cristo, perché questa poggia sulla potenza del Risorto..
Il potere delle chiavi Dopo la presentazione di Pietro come elemento di primissimo piano nella costituzione della Chiesa, Gesù passò a descrivere con altri simbolismi la sua funzione specifica: «Io ti darò le chiavi del regno dei cieli». Le chiavi simboleggiano diversi fatti nella Bibbia, per cui occorre stabilire bene il senso che vi attribuisce Gesù.
a) Potere del maggiordomo (visir) in un regno
Tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento, le chiavi, specialmente nell'espressione «chiavi di Davide» indicano la funzione del Visir, del sostituto regale. Tale simbolismo deriva dal fatto che il maggiordomo portava appesa alle spalle la «chiave» fatta di legno vistoso, della reggia alla quale era preposto (18). Isaia per profetizzare la destituzione del maggiordomo Scebna, sostituto di Eliachim, dice a questi:
«Ti porrò sulle spalle le chiavi della casa di Davide» (19).
Riferendosi al passo precedente, Giovanni afferma nella sua Apocalisse che Gesù Cristo ha «la chiave di Davide» per cui può aprire e chiudere, senza che alcun altro lo possa fare indipendentemente da lui (Apocalisse 3, 7). Anche l'angelo, che il veggente vide scendere dal cielo aveva «le chiavi dell'abisso» vale a dire possedeva il dominio su Satana e i suoi angeli (Apocalisse 9, 1; 20, 1).
b) Il simbolismo delle chiavi nel pensiero di Gesù
Occorre tuttavia vedere quale simbolismo Gesù Cristo ricolleghi al concetto di «chiavi». Che non vi attribuisca quello di autorità vicaria, risulta da molti altri passi biblici su cui torneremo in seguito(20). Sul labbro di Gesù le «chiavi» indicano l'autorità del predicare l'Evangelo, la via della salvezza e di indicare il mezzo con cui entrare nel Regno dei Cieli. Ciò è chiaramente visibile nel Vangelo di Luca, dove sta scritto: «Guai a voi dottori della Legge, poiché avete tolto la chiave della scienza! Voi non siete entrati e avete impedito quelli che entravano» (Luca 11, 52). Qui la chiave simboleggia l'insegnamento degli Scribi (= dottori della Legge) che riserbandosi il monopolio dell'interpretazione della Legge, con la loro dottrina, non solo non sono entrati nel Regno, ma ne hanno impedito l'accesso anche agli altri che vi volevano penetrare.
Il medesimo concetto – con il richiamo indiretto alle chiavi implicito nel verbo «serrare» (le porte si serrano con le chiavi) – si trova pure nel passo parallelo di Matteo:
«Guai a voi, Scrivi e Farisei ipocriti, perché serrate il regno dei Cieli dinanzi alla gente perché ne vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano d'entrarvi» (Matteo 23, 13).
Al posto dei «dottori della legge» (Scribi), che con la loro dottrina impedivano di accogliere Gesù come Figlio di Dio e di entrare così nel Regno dei Cieli, Gesù pone il confessore Pietro perché con la sua fede allora dimostrata, apra il Regno dei Cieli a chi vuole entrarvi.
Non gli Scrivi, ma gli Apostoli (qui impersonati da Pietro), saranno gli araldi della Parola di Dio, i nuovi profeti del Cristianesimo(21). Tale missione si esplicherà tuttavia più tardi, al momento fissato dal Cristo, poiché per ora essi devono tacere e non rivelare ad alcuno che Gesù è l'atteso Messia.
Legare e sciogliere I verbi «legare» e «sciogliere» sono due termini di, che assumono significati opposti secondo che si riferiscono da una «proibizione» o ad un «obbligo» (21bis)
Nel caso della proibizione si «lega» quando si proibisce una cosa ad una persona (j Ber. 6 c), mentre si «scioglie» quando si toglie una proibizione, permettendo ciò che prima era proibito (j. San. 28 d).
Nel caso dell'obbligo si «lega» quando si stabilisce un obbligo e si «scioglie» al contrario quando si elimina tale obbligo. Un esempio di questo «legare» ricorre già nell'Antico Testamento, dove si legge che una ragazza dopo aver pronunciato un voto, è «legata» ad esso, vale a dire è «obbligata» a osservarlo, qualora il padre (se è nubile) o lo sposo (se è sposata) non vi si oppongano (Numeri 30, 10-14). Uno che per malia è costretto a fare una cosa, si dice «legato», noi diremmo oggi «stregato» (22).
Al contrario «sciogliere» indica l'eliminazione dell'obbligo: Simeone ben Lakish (ca. 260 a.C.), volendo imprecare contro dei ladri di frutta, che avevano svaligiato il suo orto, disse: «Quella gente sia maledetta!», Ma quelli risposero: «Quell'uomo sia maledetto!». Allora egli corse da loro e disse: «Scioglietemi»; ma quelli risposero: «Prima sciogli tu noi e noi scioglieremo te!» (23).
Anche l'eliminazione di un incantesimo si esprime con lo stesso verbo «sciogliere» (24). Il verbo «sciogliere» può pure acquistare il senso di «perdonare», vale a dire «slegare» la colpa dell'individuo. Dio è colui che «scioglie», vale a dire che «perdona», «toglie» i peccati (25).
E' appunto questo il senso che assumono i due vocaboli sul labbro di Gesù: «Ciò che tu Pietro, scioglierai... e ciò che legherai sarà "sciolto" e "legato" in cielo». Tali parole in un contesto che riguarda l'uso delle chiavi per entrare nel Regno dei Cieli, devono riferirsi all'ingresso nella Chiesa, a qualcosa cioè di necessario o non necessario per chi vuole entrare in essa. Nel libro degli Atti, che è come un commento alla profezia di Cristo, risulta che proprio Pietro ha reso obbligatorio una volta per sempre il Battesimo per entrare nella Chiesa («legato»), mentre ha dispensato dall'obbligatorietà della circoncisione («sciolto»).
Pietro ha «legato» il battesimo cristiano nel giorno di Pentecoste, quando, dopo aver proclamato che Gesù con la sua resurrezione era stato dimostrato Cristo e Signore, continuò: «Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (Atti 2, 38). Con tale comando Pietro «legò» ossia stabilì, una volta per sempre, l'obbligatorietà del battesimo, ricevuto da adulti, come mezzo per entrare nella Chiesa e ricevere la salvezza. Quelli dunque i quali accettarono la sua parola vennero battezzati e furono aggiunti al gruppo dei discepoli (Atti 2, 41).
Pietro «slegò» la circoncisione, che gran parte dei primi cristiani pretendeva mantenere (26). Siccome il contatto con i Gentili era considerato qualcosa di impuro, Pietro dovette ricevere una visione apposita per essere indotto a recarsi da Cornelio, centurione della coorte italica (Atti 10, 9-16.20). Pietro comprese allora che «Dio non ha riguardo alle persone; ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è accettevole» (Atti 10, 34-35.44-48). La discesa dello Spirito Santo, durante il suo ammaestramento, lo indusse a far battezzare anche quei Gentili benché fossero incirconcisi (Atti 10, 47-48). Pietro ne fu rimproverato dai giudeo-cristiani, da «quelli cioè della circoncisione» con le parole: «Tu sei entrato da uomini incirconcisi e hai mangiato con loro»; l'apostolo per placarli dovette raccontare loro come Dio stesso l'avesse forzato a seguire tale via(27).
Ma l'opposizione giudeo cristiana, sopita per quel momento, si fece di nuovo sentire e fu eliminata dal cosiddetto «concilio» di Gerusalemme; quivi Pietro, all'inizio del suo discorso, ricordò come egli fosse stato proprio il prescelto da Dio per accogliere i Gentili nella Chiesa: «Fratelli, voi sapete che fin dai primi giorni Iddio scelse fra voi me, affinché dalla bocca mia i Gentili udissero la parola del Vangelo e credessero» (Atti 15, 7). Questa scelta era proprio stata profetizzata da Gesù nel colloquio di Cesarea con le parole: «Ciò che legherai e ciò che scioglierai sulla terra, sarà legato e sciolto nei cieli». Con il suo gesto Pietro, ancora prima di Paolo, sganciava il Cristianesimo dalla religione giudaica, «slegava» i Gentili dall'obbligo della circoncisione e stabiliva su solide basi internazionali la Chiesa (28). Coloro che non accolsero il suo parere divennero la setta dei Nazarei, destinata a scomparire ben presto dall'orizzonte ecclesiastico.
«Legare» e «sciogliere» in Matteo 18 Di solito si connette questo brano con Matteo 16, ma il contesto è ben diverso: mentre a Pietro Gesù conferì la missione di aprire il Regno dei Cieli (= la Chiesa) alle persone indicando loro ciò che era necessario attuare per entrarvi, qui Matteo – riferendosi a un altro detto di Gesù – suggerisce come ci si debba comportare nel caso della disciplina ecclesiastica verso un peccatore(29). La correzione deve seguire tre stadi: il fratello che ne è al corrente deve prima parlare a tu per tu con il colpevole nella speranza di convertirlo. Se tale tentativo fallisce, egli deve riprovare una seconda volta alla presenza di due o tre testimoni; in caso di ulteriore fallimento tutta l'assemblea locale deve rivolgersi al peccatore per un ultimo tentativo di ravvedimento. Ma se questi persiste nel male, allora il renitente va ritenuto come un pagano, slegato dalla Chiesa.
«Io vi dico in verità che tutte le cose che avrete legate sulla terra saranno legate in cielo, e tutte le cose che avrete slegate sulla terra saranno slegate in cielo» (v. 18).
A chi si rivolge il Cristo con il «voi»? Si è pensato agli apostoli come ai detentori della gerarchia ecclesiastica, oppure individualmente a ciascun cristiano. Il contesto suggerisce di vedervi l'insieme dei «discepoli» che costituiscono la comunità cristiana locale (30). Le parole di Gesù sono quindi adattate da Matteo ai discepoli costituenti le singole comunità, quali già esistevano all'epoca in cui Matteo scrisse il suo Vangelo (ca. 80 d.C.?).
Il «legare» e lo «slegare» (sciogliere) in questo contesto non può più indicare ciò che è obbligatorio o libero per un credente, e nemmeno determinare ciò che per lui è lecito o non lecito secondo la già ricordata casistica rabbinica. Trattandosi di peccati significa che la Chiesa può «slegare» o «legare» le colpe dell'individuo. Quando il peccatore accetta il consiglio della Chiesa, si ravvede e conseguentemente la Chiesa lo mantiene nella sua comunione, il peccato è da essa «slegato», ossia eliminato, in quanto Dio sancisce ciò che la Chiesa attua. Ma se il peccatore si ostina nella colpa senza ascoltare il suggerimento dei «fratelli» («Chiesa»), allora la «Chiesa» considerando il colpevole come un pagano non più unito ad essa, «lega» tale peccato su di lui. Si consideri l'esempio sopra riferito in cui il rabbino Simeone ben Lakish e i ladri legano e slegano su di loro la mutua maledizione. Seguendo tale noma d'amore e mediante la correzione fraterna (non mediante l'assoluzione) la Chiesa (non i capi di essa) slega o lega le colpe dei rispettivi membri.
J. Jeremias pensa che qui si tratti di una scomunica o espulsione definitiva dalla Chiesa in contrasto con la rottura provvisoria delle relazioni personali suggerita altrove (31). Il Bonnard con più verosimiglianza la intende come una espulsione limitata e temporanea quale era frequente anche presso gli Esseni (32). In Matteo 18 vi è quindi il concetto fondamentale di fissare («legare») i peccati su di uno o toglierli da lui ad opera della Chiesa («slegare»), così come in Matteo 16 vi è quello di legare «un obbligo» alla persona («legare») o toglierlo («slegare») da esso.
A questo potere di «legare» e di «sciogliere» possono ricollegarsi i due casi di Pietro e di Paolo che rispettivamente puniscono di morte Anania e Saffira e danno in mano di Satana – perché sia tormentato forse dalla malattia – l'incestuoso di Corinto(33). Questi due episodi – ora irripetibili – non rientrano nella normale disciplina ecclesiastica, bensì nei doni carismatici riservati agli apostoli (dono di miracoli). Non sono quindi qualcosa di permanente conferito ai cristiani, così come non era qualcosa di permanente la missione di Pietro, che si limitò ad indicare nel momento della costituzione della Chiesa e una volta per sempre, la regola necessaria e permanente per l'ingresso dei credenti nella Chiesa.
Pietro fu stabilito capo della Chiesa? Da parte cattolica – insistendo sul fatto che Pietro viene proclamato «rupe, roccia» – si vuole andare oltre all'interpretazione precedentemente asserita in base al contesto e ai paralleli, per dedurre che Pietro fu allora profetizzato come il futuro capo supremo della Chiesa e vicario di Cristo (34).
Va innanzitutto notato che il contesto si riferisce a un punto particolare della storia della Chiesa, vale a dire alla sua fondazione: «Io fonderò la mia Chiesa». E' dunque in quel preciso momento che deve svolgersi – come già notammo – l'attività di Pietro, il che esclude sia la funzione di capo, sia la persistenza di tale funzione per tutta la storia della Chiesa.
Tutto l'insegnamento del Nuovo Testamento esclude che Pietro sia stato il capo della Chiesa e il vicario di Cristo. Pietro vi appare sempre aureolato da una certa grandezza nel collegio apostolico, ma mai come suo capo. In tutte le pagine bibliche il capo della Chiesa è Cristo, solo ed esclusivamente il cristo (Efesini 1, 10.22s; 4, 11-15; 5, 23). E' lui che edifica la Chiesa, non attraverso un vicario umano, bensì tramite l'attività dello Spirito Santo (1 Corinti 12, 13.27-28; Efesini 4, 11). Nel simbolismo apocalittico non si sottolinea mai la superiore bellezza di una pietra simboleggiante il capo degli apostoli, ma si parla sempre di dodici pietre presentate tutte allo stesso modo come il fondamento della celeste Gerusalemme e quindi come sua difesa di fronte agli assalti dell'errore (Apocalisse 21, 14). Questo è logico perché Gesù non è venuto a stabilire dei capi o dei principi, ma solo dei «ministri» dei «servitori» dediti al servizio dei fratelli (Luca 22, 24-27). Tale concetto profondamente cristiano, era stato ben capito da Paolo il quale, conoscendo a Corinto l'esistenza di vari partiti, tra cui uno che si rifaceva a Cefa (Pietro), li biasima dicendo che solo Gesù Cristo era stato crocifisso per i credenti e suggeriva che i cristiani non devono appartenere a un uomo – sia pure questo un Pietro – ma solo a Cristo (35). In un modo ancora più chiaro Paolo afferma: «Nessuno dunque su glori degli uomini perché ogni cosa è vostra: e Paolo, e Apollo e Cefa... tutto è vostro e voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio» (1 Corinti 3, 21-23).
Contro l interpretazione cattolica del passo «Tu sei Pietro», sta la discussione degli apostoli che, nulla avendo compreso del concetto cristiano di servizio verso il prossimo, si andavano chiedendo chi mai tra loro fosse il primo, il maggiore (Marco 9, 33-35); Luca 22, 24-27), lasciando capire che per loro non era stato stabilito come tale Pietro. Gli stessi cugini di Gesù, Giacomo e Giovanni, aspirando a tale privilegio d'indole terrestre, fanno perfino intervenire la loro madre Salomé, probabile Zia di Gesù, per ottenere i primi posti nel regno (36), segno quindi che essi non riconoscevano già decisa la superiorità di Pietro su di loro. Contro l'autorità di Pietro quale vicario di Cristo milita inoltre tutto l'insegnamento paolino, specialmente nella lettera ai Galati, come avremo occasione di vedere più avanti studiando il prestigio di Pietro nella Chiesa nascente (37).
Lo stesso Pietro, parlando di se stesso, non esalta la propria superiorità sugli apostoli, anzi nemmeno sui presbiteri, ma si afferma pure lui «un compresbitero» pari a loro, la cui unica superiorità consiste nel poter testimoniare la realtà di quel Cristo con il quale era convissuto (38).
Non è lecito ad uno studioso addurre il solo passo simbolico – e quindi non giuridico di Matteo (16, 18) – per difendere una dottrina contraddetta chiaramente da tutti gli altri passi biblici privi di metafora.
Osservazioni su altre interpretazioni a) Sino a non molti anni fa in campo protestante dominava l'ipotesi che l'espressione «Su questa pietra», si riferisse a Gesù e non a Pietro. Si sosteneva tale idea con due ragioni principali: la diversità di genere tra Pietro (maschile) e Pietra (femminile) suppone una diversità di persone; di più nel Nuovo Testamento Gesù è presentato coma la «pietra» fondamentale della Chiesa, per cui anche qui questo termine deve riferirsi a Gesù. E si concludeva: Pietro è un piccolo sasso incapace di sorreggere la Chiesa, solo Cristo ne è il fondamento sicuro, la solida pietra rocciosa.
E' evidente che il fondamento della Chiesa non può essere un uomo, ma solo il Cristo; anche nella interpretazione sopra presentata si è mostrato che la Chiesa sarebbe stata fondata su – vale a dire, tramite – Pietro confessante la messianicità e la figliolanza divina del Cristo accolto come Figlio di Dio. A Pietro dovranno guardare i cristiani non per divenire sudditi di tale capo (da sostituirsi in seguito con il papa), bensì per ammettere che la salvezza viene dal,Cristo accolto per fede quale «Figlio di Dio». Pietro, come lo saranno poi anche gli altri apostoli (Efesini 2, 20), è fondamento solo perché il suo insegnamento ci presenta il Cristo che dobbiamo accogliere con la medesima fede del Simone di Cesarea. La missione fondamentale degli apostoli è quella di fungere da intermediari per insegnarci che Gesù è l'unico «fondamento» essenziale della Chiesa (1 Corinti 3, 11).
L'unica questione possibile è questa: qui Gesù è presentato come il fondamento della Chiesa in modo diretto o solo indiretto tramite il fondamento di Pietro, così come lo è pure tramite tutti gli apostoli per Paolo (Efesini 2, 20)?
Tra questa duplice possibilità mi sembra più logica e aderente al contesto solo la seconda soluzione.
Infatti la parola «pietra» non necessariamente ci fa pensare subito e in modo esclusivo al Cristo. In tutto il Nuovo Testamento la parola «pietra» è riferita al Cristo solo in tre passi, senza alcun riferimento all'erezione di un edificio. Pietro e Paolo la pongono due volte in parallelismo con «sasso» (lithos), il che prova la intercambiabilità dei due termini (1 Pietro 2, 8; Rm 9, 33). Nel terzo passo indica la roccia mobile da cui sgorgò l'acqua zampillante che, secondo una tradizione rabbinica, accompagnava gli Ebrei nel deserto sinaitico ed era simbolo di Cristo che dà l'acqua della vita. Quivi ancora una volta manca ogni allusione al fondamento di un edificio (39). Di solito nel Nuovo Testamento Gesù è presentato come un «sasso» (lithos) spregevole agli occhi degli Ebrei e quindi gettato via dagli edificatori come buono a nulla, mentre Dio ne fa la «pietra angolare» (akrogònaios)(40). Dal termine «pietra» non si può quindi concludere che essa si riferisca direttamente a Gesù.
Di più il contesto di elogio che si incentra su Pietro confessore rende difficile, per non dire impossibile, il cambiamento di soggetto e la presentazione improvvisa di Gesù quale fondamento della Chiesa. Sembra duro, guardando al contesto e alle leggi grammaticali, pensare che Gesù abbia detto: «Tu sei be
ato Simone, poiché hai affermato una verità sacrosanta; però tu sei solo un sasso, ma è su di me, vera rupe della Chiesa, che io edificherò la mia Chiesa». Sarebbe poi strano questo ragionamento anche per il fatto che Gesù presenterebbe se stesso contemporaneamente come architetto edificatore e come fondamento, creando un simbolismo incongruente. Quando Gesù è presentato come «sasso» su cui si edifica la Chiesa, è Dio, non lui, che costruisce tale edificio spirituale. Anche dopo queste parole Gesù continua ad affidare una missione a Pietro – simboleggiata dalle chiavi, dal legare e dallo sciogliere – che chiariscono il modo con cui Pietro sarebbe stato usato da Cristo come «sostegno» della Chiesa nascente. Fuori metafora le parole di Gesù vogliono solo indicare che Gesù avrebbe edificato la sua Chiesa, utilizzando degli uomini, vale a dire gli apostoli, tra cui in prima linea il Simone, detto Pietro, scelto per questa missione specifica perché egli, per primo, sotto l'ispirazione divina e quindi come profeta di Dio, aveva professato la vera fede nel Cristo.
b) Secondo altri esegeti la pietra su cui poggia la Chiesa sarebbe direttamente la confessione di fede in Cristo considerato come Figlio di Dio. E' l'interpretazione che fu sostenuta non molto tempo fa dal Billerbeck, che così scrive:
L'intera frase va così interpretata: «Ma anch'io ti dico: Tu sei Pietro; tu ti sei manifestato quale roccia, quando per primo, da credente, hai confessato la mia dignità messianica e la mia divina figliolanza. Su questa roccia, ossia sul fatto da te confessato della mia dignità messianica e della mia figliolanza divina, io edifico la mia Chiesa» (41).
L'interpretazione qui ricordata è in armonia con il contesto, in quanto poco prima precede proprio la confessione di Pietro che è appunto riferita da Gesù ad una rivelazione divina. Di più è evidente che solo la fede è il fondamento della Chiesa, proprio perché senza fede è impossibile piacere a Dio e perché solo la fede è sorgente di vita (Eb 11, 5; Giovanni 3, 15-16). Non è vero battesimo – secondo l'insegnamento apostolico – quello che non include la fede, unica potenza capace di dare valore e risonanza eterna a quest'atto di ubbidienza a Cristo. Si può logicamente concludere che la fede è proprio il fondamento immancabile della Chiesa: togli la fede e la Chiesa crolla. Infatti – se ben si osserva – anche l'interpretazione da me sopra difesa del passo, vuole appunto far risaltare l'importanza della fede impersonata da Simone.
Tuttavia il riferimento diretto alla fede ha il difetto di esaltare una virtù astratta – la fede in Cristo, Figlio di Dio e Messia atteso – mentre di solito Gesù ama presentare l'idea concretizzata in una persona visibile, nel nostro caso il Simone confessante; inoltre il pronome usato dall'evangelista «questa» (tautê) mal si applica alla precedente confessione di Pietro. In tal caso sarebbe stato più logico dire: «Tu sei Pietro, ma su quella (ekeiné) confessione che tu hai poco fa pronunciata, io edificherò la mia Chiesa». Di più tutto l'elogio di Pietro, la missione a lui conferita, obbligano a riferire a Pietro anche le precedenti parole: «Su questa Pietra». Tutto ciò si verifica assai bene nell'interpretazione da noi sopra enunciata; il pronome «questa» si riferisce alla persona di Pietro poco prima riferita; ma con le sue parole Gesù intende esaltare non tanto la sua persona umana, quanto piuttosto la professione di fede in lui concretizzata. Proprio in quel momento, per la sua fede, egli, benché la Chiesa ancora non esistesse, era già la pietra pronta per sostenerla al suo apparire. Proprio per questa sua professione, anteriore a quella di tutti gli altri apostoli, Pietro sarà scelto a predicare per primo la buona novella ai Giudei e ai Gentili e determinerà una volta per sempre il modo con cui si entra nella Chiesa (chiavi), con il battesimo da lui fissato (legato), senza l'obbligatorietà dalla circoncisione (slegata).
Mi sia permesso concludere con le parole del Cullmann:
I riformatori, è vero, fecero degli sforzi per mostrare che la frase del Cristo era stata rivolta da Gesù a Pietro; ma la relazione che essi cercano di stabilire tra la parola Pietro e la fede anzichè con la persona dell'apostolo, non può essere accolta da un esegeta imparziale. Essa tradisce l'influsso eccessivo che la tendenza polemica esercitò su di loro per poter così togliere al papa ogni possibile superiorità. Le parole furono rivolte alla persona dell'apostolo e solo a lui., in quanto che la fondazione della Chiesa è un fatto attuatosi una sola volta nel tempo. Infatti una casa è fondata una volta sola al suo inizio (42).
Sono espressioni che dovremmo meditare tutti. Solo uno studio imparziale e senza preconcetti può farci penetrare più a fondo nel messaggio del Vangelo. Ma è bene sottolineare che, pur riferendo la parola «pietra» a Pietro, Gesù vuole solo presentarlo come «portavoce di questa fede» (43).
SINTESI ESEGETICA DI MATTEO 16, 18.19
La discussione precedente si può sintetizzare in queste brevi parole: l'elogio di Gesù va ripartito in tre strofe:
a) Prima strofa (v. 18 Tu sei Pietro) : esaltazione della fede proclamata da Simone profeta e simboleggiata dalla persona concreta di Pietro. La fede biblica non è mai fede astratta, ma una fede esistente in un individuo, in un essere personale. La «persona credente di Pietro» sarà utilizzata da Cristo, il vero fondatore della Chiesa, come punto di appoggio su cui fondare la Chiesa, come il mezzo principale usato da Cristo per edificare questo edificio spirituale.
b) Seconda strofa (v. 19 le chiavi) : Cristo utilizzerà Pietro conferendogli la predicazione della missione salvifica del Cristo, vero figlio di Dio, esaltato come Signore al di sopra di tutto il creato. La sua predicazione è espressa con il simbolismo delle «chiavi» che sul labbro di Gesù indicano la predicazione del Vangelo, ossia della buona novella con cui si apre il Regno di Dio a chi crede; ma lo si chiude a chi non crede. Per ora Pietro (e gli altri apostoli) deve tacere; solo dopo la Pentecoste Pietro sarà il primo a parlare e ad evangelizzare gli Ebrei (Atti 2).
c) Terza strofa (v. 19 legare...sciogliere) : Nella sua predicazione Pietro legherà una volta per sempre il battesimo, stabilendone la sua necessità per l'ingresso nella Chiesa, slegherà una volta per sempre la circoncisione, togliendone l'obbligatorietà.
I vescovi non possono essere suoi successori perché non possono cambiare nulla di ciò che Pietro ha fissato; essi devono solo sorvegliare le chiese perché non scostino dal fondamento simboleggiato da Pietro, vale a dire dalla fede in Cristo, figlio di Dio e attuino il battesimo così come egli lo ha imposto.
a) Pietro = Simone confessante: Tu sei il Cristo il Figlio di Dio vivente.
b) Le chiavi = la predicazione della precedente grande verità salvifica
c) Legare = imporre l'obbligo del battesimo attuato con fede; slegare = togliere l'obbligo della circoncisione.
NOTE
- 1. Questa espressione che non si rinviene nell'A.T., e nemmeno nell'aramaico usuale (si trova tuttavia in un antico Targum su Ester 2, 24), era abituale presso i rabbini e presso gli scritti di Paolo (cfr 1 Corinti 15, 50; Efesini 6, 12; Ga 1, 16; Eb 2, 14; Giovanni 1, 12 s). Tale espressione è posta anche sul labbro di Gesù anche da Giovanni nel cosiddetto sermone su il «Pane di vita» tenuto a Cafarnao, dove il mangiare «la sua carne e bere il suo sangue» significa riconoscere per fede che la persona passibile di Gesù era stata inviata dal Padre celeste (cfr f. Salvoni, Eucarestia in discussione, Lanterna, Genova 1969, pp. 10-55).
- 2. Così Eliezer ben Jehuda, Thesaurus totius hebraitatis, II p. 623 seguito pure da Robert Eisler, Jesous Basileus ou basileusas, Heidelberg 1929, pp. 67 s. Cfr G. Dalman, Aramaisch-neuhebräisches Wörterbuch, 1922, ed 2a, p. 65. Il nome di probabile origine accadica corrisponde all'ebraico moderno «birion». Con questo non si vuol accedere all'ipotesi di Eisler che fa di Gesù un rivoluzionario fallito. Se l'ipotesi precedente fosse vera vorrebbe solo dire che Pietro avrebbe fatto parte, o almeno simpatizzato con gli zeloti, il che si accorderebbe anche con il suo carattere impetuoso. Cfr pure la radice ebr. inh con il senso di «oppressore» (Gr 46, 16; 50, 16; Zc 3, 1; Sl 123, 4; Es 22, 20, ecc.). L'interpretazione tradizionale che lo traduce con «figlio di Giona», non si accorda bene con il «figlio di Giovanni» asserito dal quarto evangelo. Cfr sopra il 1° capitolo.
- 3. Si tratta di Pietro, Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, che in Marco 3, 17 si ebbero il nome mutato in Boanerges «figli del tuono». Abramo si vide mutato il nome in Abrahamo, vale a dire padre di una moltitudine (Ge 17, 5); Giacobbe fu chiamato Israele perché vinse la lotta con Dio e divenne così il capostipite del popolo eletto (Ge 32, 28). Gesù fu chiamato in tal modo dall'angelo perché doveva salvare il popolo ebraico (Matteo 1, 21). Simone fu detto Cefa perché doveva essere una «rupe», una «roccia» della Chiesa primitiva (Matteo 16, 18).
- 4. Cfr Giovanni 1, 42. Il nome Kefah è una parola aramaica e non ebraica, che A. Dell (Matteo 16, 17-19 in «Zeitschrift f. nt. Wissenschaft» 15, 1914, 1-49) riteneva fosse di genere femminile, ma che ora la critica, basandosi sui Targum palestinesi e sul Targum samaritano, riconosce di genere maschile e quindi applicabile a un uomo. (Cfr J. Ringger, Petrus der Fels. Das Felsenvert. Zur Sinnedeutung von Matteo 16, 18 vor allem im lichte der Symbolgeschichte, in «Begegnung der Christen», Stuttgart-Frankfurt 1959, pp. 271-347; specialmente p. 275). Che tutto il brano sia in aramaico risulta oltre che dal nome Kefa (Giovanni 1, 42), da espressioni tipicamente semitiche come «carne e sangue». chiavi. legare e sciogliere, ecc.
- 5. Alcuni sono esitanti tra il significato di «pietra». «sasso» e «roccia» (Lagrange, Evangile selon Matthieu, «Etudes Bibliques», Paris 1948, p. 324). Propendono per «pietra» E. Schweitlzer, Das Leben des Herrn, Zürich 1946; A. Schlatter, Mattaeuskommenta r, Stuttgart 1929, p.507. Oggi, tuttavia domina il senso di «roccia»; così il già citato J. Ringger (p. 275); J. Jeremias, Golgotha und die heilge Felsen, Leipizig 1926, p. 109 nota 6; H. Clavier, Pètros kai pètra, Studien für R. Bultmann, Berlin 1945, pp. 94-109; J. Betz, Christus, Petra, petrus in Kirche und Ueberlieferung, Festschrift J.R. Gaiselmann ; Freiburg in Brisg. 1960, p. 1-21.
- 6. Un procedimento simile fu attuato nel greco classico quando per dare ad una donna il nome del fiore omonimo, se ne trasformò l'originaria forma neutra Ròdon (rosa) nel femminile «Ròde» o Rosa (cfr Atti 12, 13).
- 7. 1 Corinti 1, 12; 9, 5.
- 8. Sofocle nel suo Edipo a Colono v. 1595 parla di o thorìkion pétros equivalente a «rupe Torichia». Un simile passaggio semantico si nota pure nel Gran Sasso, che designa un monte dal nudo cocuzzolo e non un semplice sasso grosso, come direbbe la parola nel suo valore etimologico.
- 9. per la funzione di «pietra» come «rupe» su cui erigere il fondamento di un edificio cfr Matteo 7, 24 «ha edificato la sua casa sopra la roccia «petra», ma specialmente Luca 6, 48 «ha posto il fondamento (themélios) sulla roccia (petra). Originariamente petra significava «rupe», anche se talora poté indicare un semplice sasso (cfr Omero, Odissea, 9, 243; Esiodo, Teogonia 675; Sapienza di Salomone 17, 17 LXX). Lo scambio dei nomi è affermato per il II secolo d.C. dall'anatomista Claudio Galeno (XII, 194).
- 10. Va ricordato, che altrove, quando non è Cristo l'edificatore come qui, bensì gli apostoli, allora il fondamento posto da costoro è lo stesso Cristo e lui solo (1 Corinti 3, 10-11). Quando Dio è il costruttore il fondamento della Chiesa sono gli apostoli e il Cristo «la pietra angolare» più preziosa (Efesini 2, 20). In questo contesto in cui l'edificatore della Chiesa è il Cristo, l'apostolo Simone diviene il «fondamento» in quanto lui solo aveva professato in quel momento la fede indispensabile per entrare nella vivente Chiesa di Dio (Matteo 16, 18; 1 Pietro 2, 4).
- 11. Barnes, Commentary to Matthew, o.c., p. 170.
- 11bis. Ammettono una priorità solo cronologica di Pietro: Th. Zahn, Matthäus, Leipzig 1922, p. 540; G. Wehrung. Kirche nach evangelischen Verständnis, Gütersloh 1947; J. Horst, Kirchengedanke bei Matthäus, in «Zeitschr. f. System Theologie» 20 (1943), pp. 127-145. Che l'attività di Pietro riguardi l'edificazione della Chiesa e non la sua continuazione è sostenuto da J. Leenhardt, Etudes sur l'Eglise dans le N. Testament, Genève 1940, pp. 28 s; oltreché dal già citato O. Cullmann. Penso che l'attività di Pietro-roccia riguardi in modo particolare la formazione della Chiesa (cfr lo studio sulle «chiavi» e «lo slegare e il legare», benché anche ora egli continui ad additarci dalle pagine del Vangelo mattaico l'unico mezzo per entrare nella Chiesa: fede in Gesù Cristo quale figlio di Dio. Per le idee più o meno simili cfr J. Jeremias, Golgotha und der heilige Fels, Leipzig 1926; H. Schmidt, Der heilige Fels in Jerusalem, Tübingen 1933 ;O. Betz, Felsenmann und Felsegemeinde. Eine Parallele zu Matteo 16, 13-19 in den Qumrânpsalmen, in «Zeitschr. f. nt. Wissenschaft» 48 (1957), pp. 49-77. Questo non significa che gli apostoli siano esaltati esclusivamente per la loro funzione di scrittori, come ci accusa P. Benoit, bensì per la loro funzione di testimoni, la cui testimonianza dura sempre nella Chiesa attraverso gli scritti che la contengono.
- 12. Yalcut 1, 766; cfr Taylor, Sayings of the Jewish Fathers, p. 160; K.G. Goetz, Petrus als Grunder und Oberhaupt der Kirche, Leipzig 1927 e in «Zeitschr. nt. Woss.» 1921 p. 165 ss. Dal simbolismo non si deduce che Abramo fosse il «capo» di Israele; egli, per la sua fede, fu solo l'antenato, il capostipite del popolo eletto. Anche Pietro è il capostipite per la sua fede; l'antenato da cui proviene il nuovo popolo di Dio. Come il popolo ebraico per sussistere doveva guardare alla fede di Abramo, imitarlo e seguirne le norme (circoncisione, cfr Rm 4, 16-25), così anche il nuovo popolo di Dio deve guardare a Pietro per imitarne la fede e seguirne gli insegnamenti (battesimo).
- 13. Si noti come al posto di Dio che edifica, qui sia presentato il Cristo edificatore, come plenipotenziario di Dio. Anche la comunità di Qumrân attribuiva a Dio la sua fondazione: «Sei tu, o Dio, che hai posto la fondazione sulla roccia» (1 Qumrân, Hodayoth 6, 26). Ma in 4 Qumrân Pesher Sal 37, 11.16 l'edificatore è il Maestro giusto (di giustizia); cfr M. Delcor, Les Hymnes de Qumrân, Paris 1962, p. 33. In questo caso l'accordo con l'immagine usata da Gesù sarebbe più evidente.
- 13bis Cfr nota 11 bis.
- 14. Cfr J. Dutlin, The Gates of the Ades, in «The Expository Times» 1916, pp. 401 ss.
- 15. Sh'r può essere letto sha'arê «porte» (Gb 38, 17 TM), oppure sho'arê «portieri» (Gb 38, 17 LXX pularòi). Così R. Eppel in un interessante articolo (L'interpretation de Matthieu 16, 18, in «Mélanges Offerts à M. Coguel», Neuchâtel.Paris 1950, pp. 71-73).
- 16. Cfr «alle porte» Gr 1, 15; 14, 2; Sl 127, 5, ecc.
- 17. Cfr Atti 4, 24-31.
- 17 bis Ad ognuna delle porte la dea Ishtar dice: «Apri la porta, apri la porta, sì che io possa entrare; io spezzerò la porta». Il soggiorno dei morti è chiamato: «Le sette porte della terra senza ritorno» (7 babu irsiti la tari, linea 14). Cfr Anet 106-109; F. Vattioni, Porte o portieri dell'inferno, in «Rivista Biblica» 8 (1960), pp. 251-255. Il rabbino Aqivà parlava di 40.000 porte.
- 18. Si confronti ancor oggi il dono delle chiavi simboliche della città a un personaggio importante e che deriva dal fatto che nel Medio Evo chi conquistava una città ne riceveva le «chiavi» in segno di sottomissione. Cfr F. Salvoni, Le chiavi del Regno, in «Il Seme del Regno» 7 (1960). pp. 15-21. 65-70.
- 19. Isaia 22, 22. I LXX (versione greca) parafrasano queste parole con «Gli darò la gloria di Davide» (B), Il Sinaitico ha: «E darò pure a lui le chiavi della casa di Davide». Il cod A assomma le due lezioni. Per i poteri del Gran Visir cfr Isaia 36, 3.22; 37, 2; 1 Re 4, 2-6; 18, 3; 2 Re 15, 5; 19, 2; 2 Cr 28, 7. Su questa interpretazione del passo cfr P. Benoit, St. Pierre d'après O. Cullmann, in Exegèse et Théologie, vol. II, Paris 1961, p. 302; A.M. Dubarle, La primauté de Pierre dans Matthieu 16, 17-19. Quelques references à l'Ancient Testament, in «Istina» 2 (1954), pp. 335-338: cfr H. von Campenhausen, Kirchliches Amt und Geschichte Vollmacht in den erster drei Jahrunderten, Tübingen 1953, p. 138. Sui poteri del Maestro del Palazzo cfr R. De Vaux, Les institutions de l'A.T., T. I. Paris 1958, pp. 199-200.
- 20. Cfr Matteo 23, 7 e più avanti il paragrafo speciale: Pietro fu stabilito capo della Chiesa? Il concetto di «capo» della Chiesa esula dal contesto, che parla di «fondamento» non di autorità; che presenta Gesù personalmente come il «costruttore» e quindi «capo» della «sua» Chiesa.
- 21. Altri passi estenderanno ciò agli altri apostoli e discepoli (cfr Matteo 18, 18; Giovanni 20, 22 ss). Che le chiavi riguardino la predicazione di Pietro è ammesso, tra gli altri, da W: Wischer, Der evangelische Gemeindeordnung. Matth. 16, 19-20 augeslegt, Zürich 1951, p. 24.
- 21bis. Cfr J.A. Emerton, Binding and Loosing-Forgiving and Retaining, in «Journal Theological Studies» 13 (1962), pp. 325-330.
- 22. b. Sabb. 81 b e le «legature» nella terminologia magica.
- 23. j. Moed Katan 81 d. «Legare» riproduce il greco dèô (ebr. âsàr) e «sciogliere» traduce il greco lùô, ebr hittîr, aram. she ra'.
- 24. sh era' b. Sabb. 81 b e j Sanh. 25 d.
- 25. Dio è she rê l echôvîn: «colui che scioglie i peccati» Jer I Numeri 14, 18. Sul valore dei verbi «legare» e «sciogliere» cfr G. Dalmann, Die Worte Jesu, vol. I, Leipzig 1898, pp. 174-178.
- 26. Per questo i primi cristiani godevano il favore del popolo (Atti 2, 47). I primi tentativi di sganciamento operato dagli Ellenisti finirono con il martirio di Stefano e la dispersione degli altri, mentre gli apostoli e i giudaizzanti rimasero indisturbati a Gerusalemme (Atti 7, 1-60; 8 1, 3-4).
- 27. Atti 11, 3.4-18.
- 28. Che questa sia una delle missioni di Simone, in quanto Pietro, ossia in quanto «roccia» della Chiesa primitiva, appare pure dal fatto che in Atti 10, 13; 11, 7, contrariamente all'uso solito, Simone è chiamato Pietro anche nelle parole che l'angelo gli rivolge. Negli altri dialoghi il nome è regolarmente taciuto o è detto Simone (cfr Atti 15).
- 29. Il «contro di te» presentato da alcuni Mss è derivato da Luca 17, 4, non è genuino in quanto mal s'addice al contesto che parla di peccato in genere e non di offese personali. Perciò la maggioranza dei Mss non ha tale lezione.
- 30. Si cfr u vv. 1.19.12.14, dove riappare il medesimo «voi» comunitario assai diffuso nelle lettere paoline.
- 31. Theol. Worterbuch zum Neuen Testament III, 751. Cita come passi paralleli 2 Te 3, 14; 1 Corinti 5, 4-11.
- 32. Pierre Bonnard, L'Evangile selon St. Matthieu, Neuchâtel 1963, pp. 275 ss. Secondo K. Stendhal (Matthieu Peake's Commentary of the Bible, London 1962, pp. 787-788) Matteo 16 si riferirebbe alla impostazione di certe leggi (potere legislativo), mentre Matteo 18 si riferirebbe alla disciplina della comunità. torna la testo
- 33. Atti 5, 1-11; 1 Corinti 5, 5.
- 34. Tale interpretazione fu suggerita dal Concilio Vaticano I dove si disse: «Se alcuno avrà detto che il beato Pietro Apostolo non è stato costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli e Capo visibile di tutta la chiesa militante, ovvero che il medesimo ha ricevuto soltanto un primato d'onore e non un primato di vera e propria giurisdizione direttamente e immediatamente dallo stesso Nostro Signore Gesù Cristo, sia scomunicato» (Conc. Vaticano I, sess. IV, Can. 1). Denzinger-Bannewart, Enchiridion Symbolorum n. 1823; cfr G. Casali, Somma di teologia dogmatica, Edizioni Regnum Christi, Lucca 1964, pp. 132-134.
- 35. 1 Corinti 1, 12-16. I cattolici dicono ora che si può essere di Pietro anche solo implicitamente, nel senso che volendo essere di Cristo, si è pure del papa, perché tale è la volontà di Cristo.. Ma in modo esplicito (come lo fa un cattolico) o in modo implicito (come lo fa un acattolico) occorre essere di Pietro per essere di Cristo, dicono i cattolici. Posizione questa del tutto antitetica a quella paolina.
- 36. Matteo 20, 20-28. Per la relazione di parentela tra Giacomo, Giovanni e Salomé, cfr F. Salvoni, Verginità di Maria, Lanterna, Genova 1969, pp. 57-68.
- 37. Cfr sotto il capitolo quinto.
- 38. 1 Pietro 5, 1-4. Cfr E. Obrist o.c. München 1961; James Bales, Was Peter Pope?, senza data, pp. 12-13.
- 39. 1 Corinti 10, 4 e Tosefta Sukka 3, 11 (Ediz. Zuckermandel, Pasewalk 1880, p. 196, 1, 25 e p. 107 1, 1: «Così era la sorgente che fu con Israele nel deserto, simile a una roccia... che saliva con loro sulla montagna e discendeva con loro nelle valli, nel luogo in cui si trovava Israele, essa si trovava parimenti di fronte a loro». Es 17, 6 parla solo di una «rupe» fissa; ma Paolo prende lo spunto dalla tradizione rabbinica, per presentare un simbolo di Cristo e della Cena del Signore. La «pietra» che accompagnava (pétra akolouthoûsa) è in parallelo con la «nube» che li seguiva. La parola «petra» assume valori diversi nei diversi contesti e può anche indicare svariati oggetti. Anche la parola themélios, «fondamento», indica Cristo in 1 Corinti 3, 11, gli apostoli in Efesini 2, 20 e il fondamento del ravvedimento dei morti in Eb 6, 11. Attenti, quindi, ai falsi parallelismi. Un passo della Bibbia spiega un altro, ma solo quando i contesti sono i medesimi.
- 40. Sull'identificazione del Messia-sasso già usata nel giudaismo cfr Bertil Gaertner, Talfa als Messiasbezeichnung, in «Svenk Exegetik Arbok», 1953, pp. 98-108. E' paragonato a un «sasso», «ciottolo» (lithos) in Matteo 21, 42; Atti 4, 11; 1 Pietro 2, 4-7; è detto «pietra angolare» in Efesini 2, 20 ecc. J. Jeremias intende questo termine non come pietra posta all'angolo di un fondamento, ma come pietra più bella e preziosa che si poneva alla sommità del portale. Se questo senso è possibili in alcuni passi biblici, mi sembra escluso in Efesini 2, 20 dove necessariamente significa la pietra angolare posta per prima nel fondamento e che determina la posizione dell'edificio. Il passo va tradotto: «Voi siete edificati sul fondamento degli apostoli-profeti di cui Cristo Gesù è la pietra angolare su cui ogni edificio costruito cresce... su cui anche voi siete edificati». K. Th. Schaefer (in Neutestamentliche Aufsätze, für Prof. J. Schmidt zum 70 Geburstag. hrg. Blitzer-O. Kuss-F. Mussner, Regensburg, Pustet 1963, pp. 218-274) sostiene che questa interpretazione si adatta meglio alla metafora, collima con Isaia 28, 6 (qui citato, alla sua interpretazione in Rm 9, 33, ai due altri testi in cui ricorre tale parola 1 Pietro 2, 6 e Barnaba 6, 2, al posto che compete a Cristo nella Chiesa. Secondo 1 Pietro 2, 4.7 Cristo «pietra vivente» (lithon zònta), sprezzata come materia senza valore sulla croce, diverrà una pietra preziosa ed eletta che Dio pose all'angolo (vv. 4, 7). Perciò tale «pietra» è stata gettata via divenendo così «petra skandálou» («pietra d'intoppo») che fa cadere chi in essa inciampa. In Atti 4, 11 (tratto da Sl 118, 21). Marco 17, 10s e Matteo 21, 42 non vi è alcun contrasto con l'ipotesi precedente; Marco 21, 44 è generico; se si cade su una pietra vuol dire che è in terra, ma se essa cade su di un altro significa che è in alto. Non ci si può basare su questo passo per sostenere che la «pietra angolare» costituisca sempre il vertice del portale.
- 41. Strack-Billerbeck, kommentar zum Neuen Testament aus den Talmud und Midrash, 1 Berlin, 1922, p. 731. Egli tuttavia nella stessa pagina suppone che la traduzione greca dell'originale aramaico sia errata; questo sarebbe stato: gan ani omer leka l'attah petros da tradursi un «Anch'io dico a te, sì a te, o Pietro: su questa pietra (= sua confessione di fede) io edificherò la mia Chiesa» dove lo 'attah sarebbe un rafforzativo del precedente «a te» (cfr Ag 1, 4). Il traduttore biblico al contrario avrebbe inteso lo 'attah come soggetto della nuova frase, con il verbo sottinteso (come se fosse 'attah hû Petros) con il senso «Tu sei Pietro». La correzione è superflua come è inutile usare «Petros» quando sappiamo da Giovanni 1, 42 che il nome aramaico era Kefah. La stessa opinione, benché senza le correzioni precedenti al testo, è ammessa pura da I. Minestroni, Tu sarai chiamato Pietro, Edizioni Risveglio (Via C. Mayr 148) Ferrara 1967. Contro la precedente opinione cfr G. Salmon, L'infallibilità della Chiesa, Roma 1960, pp. 336-339 (testo inglese pp. 339-341), e specialmente W.G. Kümmel, Kirchenbegriff und Geschichtbewusstein in der Urgemeinde und bei Jesus, Uppsala 1943, p. 22; J.L. Kljin, Die Wörter «Stein» und «Felsen» in der syrischen Uebersetzung des Neuen Testaments, in «Zetschr. f. nt. Wissench.» 50 (1959), pp. 102 s.
°42. O. Cullmann, Christ et le Temps, Neuchâtel 1947, p. 123 (traduzione italiana). Per l'influsso della polemica va ricordato che una sessione speciale della Landeskirche di Würtemberg nel 1953 ha addirittura condannato R. Baunamm (Das Petrus Bekenntnis und Schlüssel, Stuttgart 1950) per aver ammesso che Pietro fondamento deve significare qualcosa di durevole nella Chiesa!
- 43. Cfr A. Argyle, The Gospel According to Matthew, in «The Cambridge Bible Commentary», Cambridge 1963, p. 126.