Discussione:Teologia/Immortalità dell'anima: differenze tra le versioni

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== Risposta ad alcuini testi che sembrerebbero affermare la mortalità dell'anima ==
== &nbsp;Salmo 6:5&nbsp; ==
“Poiché nella morte non c'è memoria di te; chi ti celebrerà nel soggiorno dei morti?” (Salmo 6:5).
Il sostantivo ebraico זֵכֶר ( zekher , "ricordo") qui si riferisce al nome del Signore invocato nella liturgia e nella lode. Cfr. Sal 30:4;97:12. "Morte" qui si riferisce al regno della morte in cui risiedono i morti. Sheol era il luogo in cui i credenti dell'Antico Testamento credevano che andassero gli spiriti dei morti. Questo termine ricorre spesso nell'Antico Testamento come sinonimo di morte e tomba.
La domanda retorica anticipa la risposta, “nessuno”. Nello Sheol chi ti rende grazie? Secondo l'Antico Testamento, coloro che scendono nel regno della morte (Sceol) sono tagliati fuori dalle potenti azioni di Dio e dalla comunità dell'alleanza adorante che sperimenta l'intervento divino (Salmi 30:9;88:10-12; Isaia 38:18). Nel suo sforzo di suscitare una risposta divina positiva, il salmista ricorda a Dio che non riceverà alcuna lode o gloria se permetterà al salmista di morire. I morti non lodano Dio!
Se fosse morto, Davide non avrebbe potuto elogiare pubblicamente Dio per averlo liberato, e Dio quindi non avrebbe ricevuto onore tra il Suo popolo come avrebbe fatto se avesse risparmiato la vita di Davide. I credenti al tempo di Davide ebbero comunque qualche rivelazione della vita dopo la morte (cfr. Giobbe 19:25).
L'espressione di Davide qui non nega quella conoscenza e non si presta di per sé a speculazioni metafisiche. Se lo si usa per far quello, si esce dal contesto in cui Davide qui usa quest’espressione. Non era quella la sua finalità. Stava solo dicendo che Dio avrebbe perso la lode tra i vivi se Davide fosse morto. E’ come se dicesse: “Se io morissi, non potrei più stare in mezzo ai miei fratelli e sorelle per lodare Dio e proclamare pubblicamente le tue virtù”.
== Ecclesiaste 3:19-20&nbsp; ==
“Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l'uno, così muore l'altra; hanno tutti uno stesso soffio e l'uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere” (Ecclesiaste 3:19-20).
Un fenomeno che rende molto difficile per noi comprendere le vie di Dio e rispondere adeguatamente ad esse è il problema dell'ingiustizia in questa vita. Salomone credeva che Dio alla fine avrebbe bilanciato la bilancia della giustizia (v. 17) e che usasse l'ingiustizia per i propri scopi (v. 18). Probabilmente Salomone credeva che il giudizio avrebbe avuto luogo sulla terra (Proverbi 22:22-23), anche se non lo disse esplicitamente. Dio usa l'ingiustizia per ricordarci la nostra bestialità finita, tra le altre cose. Ci comportiamo come bestie e moriamo come loro (vv. 18-20 ). «Lo stesso luogo» (v. 20 ) è il sepolcro (cfr 6,6), non che il futuro dell'uomo sia identico a quello di un animale. Nessuno può osservare alcuna differenza tra il futuro dell'uomo e degli animali, ma Dio ha rivelato queste differenze. In vista di queste cose Salomone ripeté il suo consiglio (v. 22 ).
Dio, ovviamente, ci ha permesso di vedere cosa accadrà dopo la nostra morte dandoci ulteriori rivelazioni dopo il tempo di Salomone. La risposta alternativa a quella propugnata da Salomone è la disperazione, che la riflessione sull'ingiusta oppressione provoca ( 4:1-3 ).
Senza il timore del Signore, l'uomo non è che vanità; nemmeno i giudici usano bene il loro potere. Ma c'è un altro Giudice che ci attende. Con Dio c'è un tempo per essere giudicati, anche se non ci crediamo. Salomone sembra esprimere il sentimento che gli uomini percepiscono quando, scegliendo questo mondo come il loro tutto, si abbassano allo stesso livello delle bestie, senza essere veramente liberi da vessazioni presenti e dal giudizio futuro. Entrambi ritornano alla polvere da cui sono stati tratti. Siamo così poco ragionevoli se pensiamo di essere fieri del nostro corpo o delle sue conquiste! Eppure nessuno comprende fino in fondo, tranne pochi, la differenza che c'è tra l'anima razionale dell'uomo e lo spirito o la vita della bestia. Lo spirito dell'uomo va verso l'alto, per essere giudicato, e si fisserà in uno stato immutabile di felicità o infelicità. Ed è altrettanto certo che lo spirito della bestia va verso il basso, alla terra e perisce al momento della morte. Sicuramente la situazione degli empi è deprecabile perché il risultato delle loro speranze e desideri è di morire come le bestie. Cerchiamo di investigare se l'eternità può essere per noi una eternità di godimento? A questo risponde il grande disegno della rivelazione. Gesù si rivela come il Figlio di Dio e la speranza dei peccatori.
== Ecclesiaste 9:5-6&nbsp; ==
“Infatti i viventi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla e per loro non c'è più alcun salario, perché la loro memoria è dimenticata. Il loro amore, come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai nessuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole” (Ecclesiaste 9:5-6).
“I morti non sanno nulla” non significa che siano insensibili. La rivelazione successiva indica che i morti sono consapevoli dei loro sentimenti, del passato, delle altre persone e di altre cose (cfr . Matteo 25:46; Luca 16:19-31 ; et al.). Nel contesto questi versetti l’affermazione significa che i morti non hanno la capacità di godersi la vita come lo possono fare i vivi. Il riferimento qui è che coloro che sono morti sono oltre alle cose di questo mondo, le passioni terrene non li riguardano più. Quelle cose che ora ci colpiscono così tanto e ci riempiono, di cui siamo così preoccupati e di cui siamo così gelosi, saranno finite.
I versetti 4-6 non contraddicono 4:2-3 dove Salomone disse che i morti stanno meglio dei vivi. Una persona che stia soffrendo l'oppressione può sentire che è preferibile essere morta (4:1), ma quando una persona è morta le sue opportunità di godimento terreno non esistono (9:4-6).

Versione delle 14:19, 2 feb 2023

Esponenti cristiani che hanno negato l'immortalità dell'anima

di Arthur C. Custance

È importante riconoscere questa corrente conflittuale della tradizione ebraica e greca perché la speranza cristiana si basa su un principio completamente diverso da quello che sta alla base di tutte le altre fedi religiose. La fede nel mondo a venire non è affatto unicamente cristiana, ma la fede in un mondo a venire in cui una risurrezione del proprio corpo è tanto essenziale per l'identità personale quanto uno spirito rianimato, è davvero unicamente cristiana. Gran parte della letteratura visionaria della cristianità riguardante la beatitudine dei santi in uno stato disincarnato tra la morte e la risurrezione è poco più che un riflesso battezzato della visione pagana della questione.

Giustino Martire (c. 100-165), nato solo pochi anni dopo la morte dell'apostolo Giovanni e quindi rappresentante di una tradizione quasi apostolica, contestò il concetto greco dell'intrinseca immortalità dell'anima. Nel suoDialogo con Trifone, un ebreo,in una sezione intitolata “L'anima non è per sua natura immortale”, scriveva che l'anima partecipa alla vita “nella misura in cui Dio vuole che viva”.(4)

Taziano (c. 110-172), suo contemporaneo, sembra essere preoccupato che l'influenza greca stesse diventando troppo forte nel processo di formulazione della teologia della Chiesa primitiva. Scrisse un trattato noto comeDiscorso ai Greci. Di solito è datato intorno al 160 d.C. In questo dice chiaramente: "L'anima stessa non è immortale, o Greci, ma mortale."(5)

Ireneo († 195) sosteneva che non esiste l'immortalità naturale dell'anima. Tutto dipende dal piacere di Dio. Come la venuta all'esistenza dell'anima dipendeva dalla volontà di Dio, così anche la sua continuazione.(6)

Fu solo dopo il Rinascimento, quando le opere dei filosofi greci iniziarono il loro fermento umanistico di teologia cristiana, che il concetto dell'immortalità intrinseca dell'anima entrò a far parte della fede comune della cristianità. Fino ad allora, la Chiesa sembra essersi accontentata di limitare i suoi pronunciamenti al fatto della realtà della vita eterna e della risurrezione del corpo. Berkouwer parla di questa «notevole prudenza da parte dell'autorità dottrinale della Chiesa cattolica che insegnava che si poteva provare la spiritualità dell'anima ma non la sua immortalità».(7)

Secondo Basil FC Atkinson, Martin Lutero elencò come l'ultimo dei cinque errori cardinali della Chiesa papale l'immortalità dell'anima, e fu seguito in questa visione da William Tyndale.(8) Lutero, nella suaAsserzione di tutti gli articoli erroneamente condannati nella Bolla Romana del 29 novembre 1520,respinse questa dottrina cattolica romana, definendo tale idea una “opinione mostruosa” dal “letamaio romano delle decretali”!

Nel 1548 Giovanni Calvino pubblicò il suo commento alla prima lettera di Paolo a Timoteo. Osservò (in 1 Timoteo 6:16(9)) che la venuta all'esistenza dell'anima e la sua continuazione dipendono interamente da Dio, così che “propriamente parlando, essa non ha una natura immortale”; e a sostegno di ciò citò Atti 17:28.(10)

Però c'è chi contesta questo! "No, Martin Lutero e Giovanni Calvino non hanno negato l'immortalità dell'anima. Al contrario, entrambi hanno sostenuto l'idea dell'immortalità dell'anima e hanno enfatizzato l'importanza della vita spirituale nella loro teologia. Tuttavia, hanno anche sviluppato alcune idee distinte sulla natura e sul destino dell'anima, che sono state influenti nel protestantesimo riformato. Lutero ha sostenuto l'idea di un'anima immortale che viene salvata o perduta in base alla fede in Gesù Cristo, mentre Calvino ha sviluppato una dottrina più sistematica della predestinazione che ha compreso l'idea dell'immortalità dell'anima. In entrambi i casi, l'immortalità dell'anima è stata considerata una parte integrante della loro teologia."

Nel 1893 James Orr scrisse a lungo su questo argomento e concluse che "la Bibbia non sa nulla di un'immortalità astratta dell'anima, come ne parlano le scuole [medievali]". con il corpo come una persona intera, c'è l'immortalità; e questo solo perché sarà per sempre sostenuto da Dio stesso.

Nel 1901, Herman Bavinck sostenne in modo convincente che la Scrittura adotta una posizione che, per usare le sue stesse parole, "a prima vista non può che stupirci". Anche se l'importanza della dottrina dell'immortalità dell'anima sembra fondamentale per il cristiano, tuttavia Bavinck sostiene che la Scrittura non ne tratta mai specificamente, non la annuncia mai come una verità rivelata, non la pone mai in primo piano e non fa mai alcun tentativo per mantenere la sua verità contro gli avversari. Eppure lo stesso Bavinck nonnegaesso. Solo che, obiettivamente, nega che sia una dottrina strettamente biblica. Più avanti osserva che «la Scrittura non nega ma neppure insegna specificamente l'immortalità dell'anima: e non intende certo, come sosteneva il deismo, farci conoscere questa immortalità come una delle verità più importanti della religione .”(12)

Thomas B. Strong nel suoManuale di teologiascriveva nel 1903: «La dottrina dell'immortalità dell'anima è precaria e oscura in un grado molto alto».(13)

Nel 1915, quando James Orr contribuì con l'articolo sull'immortalità nell'InternationalStandard'Bible Encyclopedia(Vol. 3, p. 1459), non aveva cambiato le sue opinioni precedenti:

In quasi nessuna materia è più necessario stare attenti nella definizione dei termini e nella chiara distinzione delle idee, specialmente quando si tratta della dottrina biblica, che in questa questione dell'"immortalità".

Per "immortalità" si intende spesso semplicemente la sopravvivenza dell'anima o della parte spirituale dell'uomo, dopo la morte del corpo. È l'affermazione del fatto che la morte non pone fine a tutto. L'anima sopravvive. Questo è comunemente ciò che si intende quando si parla di “una vita futura”, “uno stato futuro”, “un aldilà”….

[Tra i pagani] è uno stato peculiare della “morte”; nella maggior parte dei casi ombroso, inerte, debole, dipendente, senza gioia; uno stato da temere e da cui rifuggire, non uno da sperare…. Tra i pagani [più avanzati] è concepito come, per alcuni, uno stato di felicità - lo zoccolo del corpo che viene scrollato di dosso - e questo produce l'idea, che è passata in gran parte del nostro pensiero moderno di una "immortalità di l'anima”, un'imperitura della parte spirituale… un'intrinseca indistruttibilità.

Man mano che avanziamo, si vedrà che la visione biblica è diversa da tutte queste... Per la Bibbia, "l'immortalità" non è semplicemente la sopravvivenza dell'anima... L'“immortalità” contemplata dalla Bibbia è un'immortalitàdell'intera persona– corpo e anima insieme. Non è una condizione semplicemente di ulteriore esistenza, per quanto prolungata, ma uno stato di beatitudine, dovuto alla redenzione e al possesso della “vita eterna” nell'anima; include la risurrezione e la vita perfettasianell'anima che nel corpo….

Un uso che i Greci fecero dell'argomentazione metafisica fu quello di provare l'indistruttibilitàdell'anima — la sua immortalità nel senso di non avere inizio né fine. Questa non è la dottrina cristiana. L'anima non ha tale indistruttibilità.

Come ha osservato Orr, l'anima dipende interamente da Dio per la sua creazione, “e per la sua continua esistenza come ogni altra cosa. Se avesse ritirato il suo potere di sostegno, esso avrebbe cessato di esistere... Il contrasto tra la visione biblica dell'immortalità e quella del paganesimo e dei [filosofi] sarà ora evidente. Non è una mera esistenza futura; non una nudaastrattaimmortalità dell'anima; è il risultato della redenzione e del rinnovamento dello spirito di Dio; abbraccia l'intera personalità, anima e corpo. [enfasi mia](14)

E nel 1962 GC Berkouwer non trova nella Scrittura l'immortalità “naturale” o l'“indistruttibilità dell'anima”. L'anima è una creazione di Dio e rimane dipendente dal suo beneplacito. Il punto di vista opposto, osserva, è un'eredità della filosofia greca, principalmente attraverso il platonismo. "La prospettiva cristiana è la risurrezione, non l'immortalità dell'anima."(15)

David Kerr, nel 1960, in un articolo sull'immortalità nelBaker's Dictionary of Theology, osservava:(16)

Si può dire che l'immortalità in senso biblico è una condizione in cui l'individuo non è soggetto alla morte o ad alcuna influenza che possa portare alla morte. Dio è unicamente immortale in quanto è senza inizio né fine…. L'uomo, invece, è immortale solo per derivazione e quando il suo corpo mortale è stato sostituito da uno immortale….

L'idea biblica dell'immortalità differisce quindi da tutte le altre per alcuni aspetti importanti. Uno di questi è che nell'insegnamentonon biblico l'uomo è'intrinsecamenteimmortale. Un altro è che solo l'aspetto spirituale della natura umana è pensato per essere immortale…. Nel pensiero biblico l'uomo non è intrinsecamente immortale: è l'intero uomo, corpo e anima, che è immortale anche se il corpo deve subire una trasformazione per raggiungere l'immortalità. [Sottolineatura mia]

Vediamo quindi dall'evidenza della Scrittura che è l'uomo intero che deve raggiungere l'immortalità, e QUESTO SOLO A RAGIONE DELLA RISURREZIONE DEL CORPO. In questo processo anche il corpo subisce una trasformazione, proprio come con la rinascita anche lo spirito è stato trasformato.

Come osserva Kerr: “Nell'Antico Testamento così come nel Nuovo, l'uomo è un essere completo solo quando il suo corpo e il suo spirito sono uniti. Egli è quindi un'anima o una persona vivente (Genesi 2:7(17))…. L'immortalità, per il cristiano, comporta la risurrezione e può essere pienamente raggiunta solo dopo di essa».

Franz Delitzsch sottolinea il fatto che il corpo e l'anima o lo spirito vivono o muoionoinsieme.(18)

Dove la Scrittura parla della morte come di unacondanna(κρίμα) comune agli uomini, ovunque è l'uomo tutto intero che la subisce. La morte è una disgregazione della sostanza divinamente ordinata di un essere vivente. Corpo e spirito si staccano l'uno dall'altro, e lo spirito si trova, in quanto disincarnato, nella condizione della morte. Anche degli spiriti dei Giusti resi perfetti questo è il caso…. La risurrezione è una restaurazione della condizione personale che viene dissolta dalla morte.

Delitzsch si preoccupa di sottolineare che la morte non è solo morte del corpo. Anche lo spirito soffre. Eppure, nonostante tutto ciò, l'insulto allo spirito da cui viene derubato del suo mezzo di espressione non pone fine alla sua esistenza. Lo zittisce solo efficacemente. Perché, come dice, “lamortee l'annientamentonon sono affatto idee coincidenti.L'effettivacontinuazione dell'essere e la continuazioneautocoscientedell'essere sono tutt'altro che necessariamente correlate.”(19) [corsivo mio]

Il punto è molto importante. L'anima può avere continuità dopo la morte, ma ciò non richiede una continuitàcosciente .L'assenza di coscienza non deve essere presa come prova di annientamento. Quando un paziente si riprende dalla totale incoscienza dell'anestesia profonda in sala operatoria, dà tutte le indicazioni che non era affatto inesistente durante l'intervallo, né ha rinunciato alla sua identità, sia vista introspettivamente che nota ai suoi amici . Non si sa per quantotempouna tale condizione possa perdurare senza gravi turbamenti dell'identità personale, ma certamente il mero fatto dell'interposizione di un periodo di incoscienza non è in alcun modo equiparabile all'automatico annientamento dell'identità personale.

Lo stesso vale per il corpo che deve “dormire nella polvere” (Daniele 12:2(20)). La sua identità sarà sicuramente recuperata come lo fu l'identità del corpo di Lazzaro nonostante la sua incipiente disintegrazione. Dio può restaurarlo in modo riconoscibile: o, come ci è assicurato che lo farà nell'ultimo Giorno, puòricrearlo di nuovo- in modo riconoscibile, nonostante la sua disintegrazione.

L'esistenza inconscia è ancora esistenza reale se Dio lo vuole. Lo spirito che ritorna a Dio non avrebbe bisogno di avere coscienza nell'intervallo tra la morte e la risurrezione del corpo perché la sua identità sia preservata. Dio preserva sia la sua identità che l'identità del corpo; ed è in suo potere e scopo elevare entrambi a una continuazione molto più gloriosa di quell'identità. Se c'è un periodo di incoscienza mentre l'anima o lo spirito attendono il corpo, non può essere conosciuto dall'individuo: non esiste uno stato di incoscienza cosciente! Quindi, dal punto di vista esperienziale, l'interim è sconosciuto perché non potrebbe mai esserci una consapevolezza di esso fintanto che il corpo e lo spirito sono separati.


Esponenti cristiani che hanno negato l'immortalità dell'anima

di Arthur C. Custance

È importante riconoscere questa corrente conflittuale della tradizione ebraica e greca perché la speranza cristiana si basa su un principio completamente diverso da quello che sta alla base di tutte le altre fedi religiose. La fede nel mondo a venire non è affatto unicamente cristiana, ma la fede in un mondo a venire in cui una risurrezione del proprio corpo è tanto essenziale per l'identità personale quanto uno spirito rianimato, è davvero unicamente cristiana. Gran parte della letteratura visionaria della cristianità riguardante la beatitudine dei santi in uno stato disincarnato tra la morte e la risurrezione è poco più che un riflesso battezzato della visione pagana della questione.

Giustino Martire (c. 100-165), nato solo pochi anni dopo la morte dell'apostolo Giovanni e quindi rappresentante di una tradizione quasi apostolica, contestò il concetto greco dell'intrinseca immortalità dell'anima. Nel suoDialogo con Trifone, un ebreo,in una sezione intitolata “L'anima non è per sua natura immortale”, scriveva che l'anima partecipa alla vita “nella misura in cui Dio vuole che viva”.(4)

Taziano (c. 110-172), suo contemporaneo, sembra essere preoccupato che l'influenza greca stesse diventando troppo forte nel processo di formulazione della teologia della Chiesa primitiva. Scrisse un trattato noto comeDiscorso ai Greci. Di solito è datato intorno al 160 d.C. In questo dice chiaramente: "L'anima stessa non è immortale, o Greci, ma mortale."(5)

Ireneo († 195) sosteneva che non esiste l'immortalità naturale dell'anima. Tutto dipende dal piacere di Dio. Come la venuta all'esistenza dell'anima dipendeva dalla volontà di Dio, così anche la sua continuazione.(6)

Fu solo dopo il Rinascimento, quando le opere dei filosofi greci iniziarono il loro fermento umanistico di teologia cristiana, che il concetto dell'immortalità intrinseca dell'anima entrò a far parte della fede comune della cristianità. Fino ad allora, la Chiesa sembra essersi accontentata di limitare i suoi pronunciamenti al fatto della realtà della vita eterna e della risurrezione del corpo. Berkouwer parla di questa «notevole prudenza da parte dell'autorità dottrinale della Chiesa cattolica che insegnava che si poteva provare la spiritualità dell'anima ma non la sua immortalità».(7)

Secondo Basil FC Atkinson, Martin Lutero elencò come l'ultimo dei cinque errori cardinali della Chiesa papale l'immortalità dell'anima, e fu seguito in questa visione da William Tyndale.(8) Lutero, nella suaAsserzione di tutti gli articoli erroneamente condannati nella Bolla Romana del 29 novembre 1520,respinse questa dottrina cattolica romana, definendo tale idea una “opinione mostruosa” dal “letamaio romano delle decretali”!

Nel 1548 Giovanni Calvino pubblicò il suo commento alla prima lettera di Paolo a Timoteo. Osservò (in 1 Timoteo 6:16(9)) che la venuta all'esistenza dell'anima e la sua continuazione dipendono interamente da Dio, così che “propriamente parlando, essa non ha una natura immortale”; e a sostegno di ciò citò Atti 17:28.(10)

Però c'è chi contesta questo! "No, Martin Lutero e Giovanni Calvino non hanno negato l'immortalità dell'anima. Al contrario, entrambi hanno sostenuto l'idea dell'immortalità dell'anima e hanno enfatizzato l'importanza della vita spirituale nella loro teologia. Tuttavia, hanno anche sviluppato alcune idee distinte sulla natura e sul destino dell'anima, che sono state influenti nel protestantesimo riformato. Lutero ha sostenuto l'idea di un'anima immortale che viene salvata o perduta in base alla fede in Gesù Cristo, mentre Calvino ha sviluppato una dottrina più sistematica della predestinazione che ha compreso l'idea dell'immortalità dell'anima. In entrambi i casi, l'immortalità dell'anima è stata considerata una parte integrante della loro teologia."

Nel 1893 James Orr scrisse a lungo su questo argomento e concluse che "la Bibbia non sa nulla di un'immortalità astratta dell'anima, come ne parlano le scuole [medievali]". con il corpo come una persona intera, c'è l'immortalità; e questo solo perché sarà per sempre sostenuto da Dio stesso.

Nel 1901, Herman Bavinck sostenne in modo convincente che la Scrittura adotta una posizione che, per usare le sue stesse parole, "a prima vista non può che stupirci". Anche se l'importanza della dottrina dell'immortalità dell'anima sembra fondamentale per il cristiano, tuttavia Bavinck sostiene che la Scrittura non ne tratta mai specificamente, non la annuncia mai come una verità rivelata, non la pone mai in primo piano e non fa mai alcun tentativo per mantenere la sua verità contro gli avversari. Eppure lo stesso Bavinck nonnegaesso. Solo che, obiettivamente, nega che sia una dottrina strettamente biblica. Più avanti osserva che «la Scrittura non nega ma neppure insegna specificamente l'immortalità dell'anima: e non intende certo, come sosteneva il deismo, farci conoscere questa immortalità come una delle verità più importanti della religione .”(12)

Thomas B. Strong nel suoManuale di teologiascriveva nel 1903: «La dottrina dell'immortalità dell'anima è precaria e oscura in un grado molto alto».(13)

Nel 1915, quando James Orr contribuì con l'articolo sull'immortalità nell'InternationalStandard'Bible Encyclopedia(Vol. 3, p. 1459), non aveva cambiato le sue opinioni precedenti:

In quasi nessuna materia è più necessario stare attenti nella definizione dei termini e nella chiara distinzione delle idee, specialmente quando si tratta della dottrina biblica, che in questa questione dell'"immortalità".

Per "immortalità" si intende spesso semplicemente la sopravvivenza dell'anima o della parte spirituale dell'uomo, dopo la morte del corpo. È l'affermazione del fatto che la morte non pone fine a tutto. L'anima sopravvive. Questo è comunemente ciò che si intende quando si parla di “una vita futura”, “uno stato futuro”, “un aldilà”….

[Tra i pagani] è uno stato peculiare della “morte”; nella maggior parte dei casi ombroso, inerte, debole, dipendente, senza gioia; uno stato da temere e da cui rifuggire, non uno da sperare…. Tra i pagani [più avanzati] è concepito come, per alcuni, uno stato di felicità - lo zoccolo del corpo che viene scrollato di dosso - e questo produce l'idea, che è passata in gran parte del nostro pensiero moderno di una "immortalità di l'anima”, un'imperitura della parte spirituale… un'intrinseca indistruttibilità.

Man mano che avanziamo, si vedrà che la visione biblica è diversa da tutte queste... Per la Bibbia, "l'immortalità" non è semplicemente la sopravvivenza dell'anima... L'“immortalità” contemplata dalla Bibbia è un'immortalitàdell'intera persona– corpo e anima insieme. Non è una condizione semplicemente di ulteriore esistenza, per quanto prolungata, ma uno stato di beatitudine, dovuto alla redenzione e al possesso della “vita eterna” nell'anima; include la risurrezione e la vita perfettasianell'anima che nel corpo….

Un uso che i Greci fecero dell'argomentazione metafisica fu quello di provare l'indistruttibilitàdell'anima — la sua immortalità nel senso di non avere inizio né fine. Questa non è la dottrina cristiana. L'anima non ha tale indistruttibilità.

Come ha osservato Orr, l'anima dipende interamente da Dio per la sua creazione, “e per la sua continua esistenza come ogni altra cosa. Se avesse ritirato il suo potere di sostegno, esso avrebbe cessato di esistere... Il contrasto tra la visione biblica dell'immortalità e quella del paganesimo e dei [filosofi] sarà ora evidente. Non è una mera esistenza futura; non una nudaastrattaimmortalità dell'anima; è il risultato della redenzione e del rinnovamento dello spirito di Dio; abbraccia l'intera personalità, anima e corpo. [enfasi mia](14)

E nel 1962 GC Berkouwer non trova nella Scrittura l'immortalità “naturale” o l'“indistruttibilità dell'anima”. L'anima è una creazione di Dio e rimane dipendente dal suo beneplacito. Il punto di vista opposto, osserva, è un'eredità della filosofia greca, principalmente attraverso il platonismo. "La prospettiva cristiana è la risurrezione, non l'immortalità dell'anima."(15)

David Kerr, nel 1960, in un articolo sull'immortalità nelBaker's Dictionary of Theology, osservava:(16)

Si può dire che l'immortalità in senso biblico è una condizione in cui l'individuo non è soggetto alla morte o ad alcuna influenza che possa portare alla morte. Dio è unicamente immortale in quanto è senza inizio né fine…. L'uomo, invece, è immortale solo per derivazione e quando il suo corpo mortale è stato sostituito da uno immortale….

L'idea biblica dell'immortalità differisce quindi da tutte le altre per alcuni aspetti importanti. Uno di questi è che nell'insegnamentonon biblico l'uomo è'intrinsecamenteimmortale. Un altro è che solo l'aspetto spirituale della natura umana è pensato per essere immortale…. Nel pensiero biblico l'uomo non è intrinsecamente immortale: è l'intero uomo, corpo e anima, che è immortale anche se il corpo deve subire una trasformazione per raggiungere l'immortalità. [Sottolineatura mia]

Vediamo quindi dall'evidenza della Scrittura che è l'uomo intero che deve raggiungere l'immortalità, e QUESTO SOLO A RAGIONE DELLA RISURREZIONE DEL CORPO. In questo processo anche il corpo subisce una trasformazione, proprio come con la rinascita anche lo spirito è stato trasformato.

Come osserva Kerr: “Nell'Antico Testamento così come nel Nuovo, l'uomo è un essere completo solo quando il suo corpo e il suo spirito sono uniti. Egli è quindi un'anima o una persona vivente (Genesi 2:7(17))…. L'immortalità, per il cristiano, comporta la risurrezione e può essere pienamente raggiunta solo dopo di essa».

Franz Delitzsch sottolinea il fatto che il corpo e l'anima o lo spirito vivono o muoionoinsieme.(18)

Dove la Scrittura parla della morte come di unacondanna(κρίμα) comune agli uomini, ovunque è l'uomo tutto intero che la subisce. La morte è una disgregazione della sostanza divinamente ordinata di un essere vivente. Corpo e spirito si staccano l'uno dall'altro, e lo spirito si trova, in quanto disincarnato, nella condizione della morte. Anche degli spiriti dei Giusti resi perfetti questo è il caso…. La risurrezione è una restaurazione della condizione personale che viene dissolta dalla morte.

Delitzsch si preoccupa di sottolineare che la morte non è solo morte del corpo. Anche lo spirito soffre. Eppure, nonostante tutto ciò, l'insulto allo spirito da cui viene derubato del suo mezzo di espressione non pone fine alla sua esistenza. Lo zittisce solo efficacemente. Perché, come dice, “lamortee l'annientamentonon sono affatto idee coincidenti.L'effettivacontinuazione dell'essere e la continuazioneautocoscientedell'essere sono tutt'altro che necessariamente correlate.”(19) [corsivo mio]

Il punto è molto importante. L'anima può avere continuità dopo la morte, ma ciò non richiede una continuitàcosciente .L'assenza di coscienza non deve essere presa come prova di annientamento. Quando un paziente si riprende dalla totale incoscienza dell'anestesia profonda in sala operatoria, dà tutte le indicazioni che non era affatto inesistente durante l'intervallo, né ha rinunciato alla sua identità, sia vista introspettivamente che nota ai suoi amici . Non si sa per quantotempouna tale condizione possa perdurare senza gravi turbamenti dell'identità personale, ma certamente il mero fatto dell'interposizione di un periodo di incoscienza non è in alcun modo equiparabile all'automatico annientamento dell'identità personale.

Lo stesso vale per il corpo che deve “dormire nella polvere” (Daniele 12:2(20)). La sua identità sarà sicuramente recuperata come lo fu l'identità del corpo di Lazzaro nonostante la sua incipiente disintegrazione. Dio può restaurarlo in modo riconoscibile: o, come ci è assicurato che lo farà nell'ultimo Giorno, puòricrearlo di nuovo- in modo riconoscibile, nonostante la sua disintegrazione.

L'esistenza inconscia è ancora esistenza reale se Dio lo vuole. Lo spirito che ritorna a Dio non avrebbe bisogno di avere coscienza nell'intervallo tra la morte e la risurrezione del corpo perché la sua identità sia preservata. Dio preserva sia la sua identità che l'identità del corpo; ed è in suo potere e scopo elevare entrambi a una continuazione molto più gloriosa di quell'identità. Se c'è un periodo di incoscienza mentre l'anima o lo spirito attendono il corpo, non può essere conosciuto dall'individuo: non esiste uno stato di incoscienza cosciente! Quindi, dal punto di vista esperienziale, l'interim è sconosciuto perché non potrebbe mai esserci una consapevolezza di esso fintanto che il corpo e lo spirito sono separati.

Risposta ad alcuini testi che sembrerebbero affermare la mortalità dell'anima

 Salmo 6:5 

“Poiché nella morte non c'è memoria di te; chi ti celebrerà nel soggiorno dei morti?” (Salmo 6:5).

Il sostantivo ebraico זֵכֶר ( zekher , "ricordo") qui si riferisce al nome del Signore invocato nella liturgia e nella lode. Cfr. Sal 30:4;97:12. "Morte" qui si riferisce al regno della morte in cui risiedono i morti. Sheol era il luogo in cui i credenti dell'Antico Testamento credevano che andassero gli spiriti dei morti. Questo termine ricorre spesso nell'Antico Testamento come sinonimo di morte e tomba.

La domanda retorica anticipa la risposta, “nessuno”. Nello Sheol chi ti rende grazie? Secondo l'Antico Testamento, coloro che scendono nel regno della morte (Sceol) sono tagliati fuori dalle potenti azioni di Dio e dalla comunità dell'alleanza adorante che sperimenta l'intervento divino (Salmi 30:9;88:10-12; Isaia 38:18). Nel suo sforzo di suscitare una risposta divina positiva, il salmista ricorda a Dio che non riceverà alcuna lode o gloria se permetterà al salmista di morire. I morti non lodano Dio!

Se fosse morto, Davide non avrebbe potuto elogiare pubblicamente Dio per averlo liberato, e Dio quindi non avrebbe ricevuto onore tra il Suo popolo come avrebbe fatto se avesse risparmiato la vita di Davide. I credenti al tempo di Davide ebbero comunque qualche rivelazione della vita dopo la morte (cfr. Giobbe 19:25).

L'espressione di Davide qui non nega quella conoscenza e non si presta di per sé a speculazioni metafisiche. Se lo si usa per far quello, si esce dal contesto in cui Davide qui usa quest’espressione. Non era quella la sua finalità. Stava solo dicendo che Dio avrebbe perso la lode tra i vivi se Davide fosse morto. E’ come se dicesse: “Se io morissi, non potrei più stare in mezzo ai miei fratelli e sorelle per lodare Dio e proclamare pubblicamente le tue virtù”.

Ecclesiaste 3:19-20 

“Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l'uno, così muore l'altra; hanno tutti uno stesso soffio e l'uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere e tutti ritornano alla polvere” (Ecclesiaste 3:19-20).

Un fenomeno che rende molto difficile per noi comprendere le vie di Dio e rispondere adeguatamente ad esse è il problema dell'ingiustizia in questa vita. Salomone credeva che Dio alla fine avrebbe bilanciato la bilancia della giustizia (v. 17) e che usasse l'ingiustizia per i propri scopi (v. 18). Probabilmente Salomone credeva che il giudizio avrebbe avuto luogo sulla terra (Proverbi 22:22-23), anche se non lo disse esplicitamente. Dio usa l'ingiustizia per ricordarci la nostra bestialità finita, tra le altre cose. Ci comportiamo come bestie e moriamo come loro (vv. 18-20 ). «Lo stesso luogo» (v. 20 ) è il sepolcro (cfr 6,6), non che il futuro dell'uomo sia identico a quello di un animale. Nessuno può osservare alcuna differenza tra il futuro dell'uomo e degli animali, ma Dio ha rivelato queste differenze. In vista di queste cose Salomone ripeté il suo consiglio (v. 22 ).

Dio, ovviamente, ci ha permesso di vedere cosa accadrà dopo la nostra morte dandoci ulteriori rivelazioni dopo il tempo di Salomone. La risposta alternativa a quella propugnata da Salomone è la disperazione, che la riflessione sull'ingiusta oppressione provoca ( 4:1-3 ).

Senza il timore del Signore, l'uomo non è che vanità; nemmeno i giudici usano bene il loro potere. Ma c'è un altro Giudice che ci attende. Con Dio c'è un tempo per essere giudicati, anche se non ci crediamo. Salomone sembra esprimere il sentimento che gli uomini percepiscono quando, scegliendo questo mondo come il loro tutto, si abbassano allo stesso livello delle bestie, senza essere veramente liberi da vessazioni presenti e dal giudizio futuro. Entrambi ritornano alla polvere da cui sono stati tratti. Siamo così poco ragionevoli se pensiamo di essere fieri del nostro corpo o delle sue conquiste! Eppure nessuno comprende fino in fondo, tranne pochi, la differenza che c'è tra l'anima razionale dell'uomo e lo spirito o la vita della bestia. Lo spirito dell'uomo va verso l'alto, per essere giudicato, e si fisserà in uno stato immutabile di felicità o infelicità. Ed è altrettanto certo che lo spirito della bestia va verso il basso, alla terra e perisce al momento della morte. Sicuramente la situazione degli empi è deprecabile perché il risultato delle loro speranze e desideri è di morire come le bestie. Cerchiamo di investigare se l'eternità può essere per noi una eternità di godimento? A questo risponde il grande disegno della rivelazione. Gesù si rivela come il Figlio di Dio e la speranza dei peccatori.

Ecclesiaste 9:5-6 

“Infatti i viventi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla e per loro non c'è più alcun salario, perché la loro memoria è dimenticata. Il loro amore, come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai nessuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole” (Ecclesiaste 9:5-6).

“I morti non sanno nulla” non significa che siano insensibili. La rivelazione successiva indica che i morti sono consapevoli dei loro sentimenti, del passato, delle altre persone e di altre cose (cfr . Matteo 25:46; Luca 16:19-31 ; et al.). Nel contesto questi versetti l’affermazione significa che i morti non hanno la capacità di godersi la vita come lo possono fare i vivi. Il riferimento qui è che coloro che sono morti sono oltre alle cose di questo mondo, le passioni terrene non li riguardano più. Quelle cose che ora ci colpiscono così tanto e ci riempiono, di cui siamo così preoccupati e di cui siamo così gelosi, saranno finite.

I versetti 4-6 non contraddicono 4:2-3 dove Salomone disse che i morti stanno meglio dei vivi. Una persona che stia soffrendo l'oppressione può sentire che è preferibile essere morta (4:1), ma quando una persona è morta le sue opportunità di godimento terreno non esistono (9:4-6).