Storia/Sottomissione incondizionata alle autorità: differenze tra le versioni
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Un discorso sulla presunta necessità di sottomettersi incondizionatamente e di non opporre resistenza alle autorità superiori
di Jonathan Mayhew, 31 dicembre 1750
Introduzione
Jonathan Mayhew (8 ottobre 1720 - 9 luglio 1766) è stato un noto ministro congregazionalista americano presso la Old West Church, Boston, Massachusetts. Era famoso, in parte, per i suoi sermoni elettorali del 1750 e del 1754 che sposavano i diritti americani: la causa della libertà e il diritto e il dovere di resistere alla tirannia. I suoi sermoni e scritti furono una potente influenza nello sviluppo del movimento per la libertà e l'indipendenza. Questo sermone fu pronunciato nel centesimo anniversario dell'esecuzione di Carlo I durante la Rivoluzione inglese, e nel contesto di quelli che sembravano essere rinnovati sforzi della Corona per affermare l'uniformità religiosa nelle colonie. Nel commemorare la storia del regicidio, Mayhew ricorda al suo pubblico la lunga tradizione dissidente inglese in cui si ritiene che i cristiani abbiano non solo il diritto ma il dovere di resistere ai governi ogni volta che non riescono a garantire il bene pubblico. In tal modo, Mayhew tacitamente afferma il diritto della coscienza individuale a prevalere su altri obblighi sociali, una posizione che persino lui riconosceva aveva il potenziale per portare al caos politico. Mayhew respinge queste preoccupazioni sulla base del fatto che la verità di un principio non dipende dalla sua probabilità di abuso, una posizione che, anche se vera, fa ben poco per affrontare le conseguenze pratiche di una resistenza politica disordinata o illegittima. Tuttavia, nel contesto delle turbolenze tra la corona e le colonie negli anni Cinquanta del Settecento, il sermone di Mayhew fu un immediato successo editoriale sia in patria che a Londra. In effetti, riflettendo sulle origini della Rivoluzione americana al suo ritiro, John Adams ha attribuito al sermone di Mayhew il merito di aver contribuito a plasmare l'opinione pubblica sulla necessità e sulla legittimità della resistenza politica.
Il testo del sermone di Mayhew, Romani 13:1-7, è questo:
“Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori; perché non v'è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono ordinate da Dio; talché chi resiste all'autorità, si oppone all'ordine di Dio; e quelli che vi si oppongono, si attireranno addosso una pena; poiché i magistrati non son di spavento alle opere buone, ma alle cattive. Vuoi tu non aver paura dell'autorità? Fa' quel ch'è bene, e avrai lode da essa; perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai quel ch'è male, temi, perché egli non porta la spada invano; poiché egli è un ministro di Dio, per infliggere una giusta punizione contro colui che fa il male. Perciò è necessario star soggetti non soltanto a motivo della punizione, ma anche per motivo di coscienza. Poiché è anche per questa ragione che voi pagate i tributi; perché si tratta di ministri di Dio, i quali attendono del continuo a quest'ufficio. Rendete a tutti quel che dovete loro: il tributo a chi dovete il tributo; la gabella a chi la gabella; il timore a chi il timore; l'onore a chi l'onore”.
…Tracciamo ora il ragionamento dell'apostolo a favore della sottomissione alle autorità superiori, un po' più particolarmente ed esattamente. Poiché da questo apparirà, da un lato, quanto sia buono e decisivo per la sottomissione a quei governanti che esercitano il loro potere in modo appropriato: e, dall'altro, quanto sia debole, insignificante e sconnesso, se è dovrebbe essere inteso dall'apostolo per mostrare l'obbligo e il dovere di obbedienza ai governanti tirannici e oppressivi, in comune con altri di carattere diverso.
L'apostolo entra così nel suo soggetto: “Ogni persona sia sottoposta alle autorità superiori; perché non v'è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono ordinate da Dio”. Qui sollecita il dovere di obbedienza da questo argomento di discussione, che i governanti civili, poiché dovrebbero adempiere il beneplacito di Dio, sono ordinanza di Dio. Ma come è questo un argomento per obbedire a quei governanti che non compiono il beneplacito di Dio, facendo il bene? ma il beneplacito del diavolo, facendo il male; e tali che non sono dunque ministri di Dio, ma del diavolo! “Chi dunque resiste al potere, resiste all'ordinanza di Dio; e quelli che resistono, riceveranno a se stessi la dannazione”.
Qui l'apostolo sostiene che coloro che resistono a un'autorità ragionevole e giusta, che è conforme alla volontà di Dio, resistono davvero alla volontà di Dio stesso; e perciò sarà da lui punito. Ma come prova questo che coloro che resistono a un potere illegale, irragionevole, che è contrario alla volontà di Dio, resistono in essa alla volontà e all'ordinanza di Dio? Resistere a coloro che resistono alla volontà di Dio è la stessa cosa con resistere a Dio? O coloro che lo fanno, riceveranno a se stessi la dannazione! “poiché i magistrati non son di spavento alle opere buone, ma alle cattive. Vuoi tu non aver paura dell'autorità? Fa' quel ch'è bene, e avrai lode da essa; perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene”. Qui l'apostolo argomenta più esplicitamente di quanto non avesse fatto prima, per riverire e sottomettersi alla magistratura, da questa considerazione, che coloro che realmente adempiono il dovere di magistrati, sarebbero nemici solo delle azioni malvagie degli uomini, e farebbero amicizia e incoraggerebbero il bene; e quindi essere una benedizione comune per la società.
Ma come è questo un argomento, che dobbiamo onorare e sottomettere a magistrati che non sono nemici delle azioni malvagie degli uomini, ma del bene? e tali che non sono una benedizione comune, ma una maledizione comune, per la società! “Ma se fai ciò che è male, abbi timore: poiché egli è ministro di Dio, un vendicatore, per esercitare l'ira su colui che fa il male”. Qui l'apostolo sostiene dalla natura e dal fine della magistratura, che chi ha fatto il male, (e solo tale) aveva motivo di temere i poteri superiori; fa parte del loro ufficio punire i malfattori, non meno che difendere e incoraggiare coloro che fanno bene. Ma se i magistrati sono ingiusti; se sono rispettosi delle persone; se sono parziali nell'amministrazione della giustizia; allora quelli che fanno bene hanno altrettanta ragione di temere, come quelli che fanno il male: non può esserci salvezza per il bene, né alcun particolare motivo di terrore per gli indisciplinati e dannosi. In modo che in questo caso, il fine principale del governo civile sarà frustrato. E che motivo c'è per sottomettersi a quel governo, che non risponde affatto al disegno di governo? "Perciò è necessario star soggetti non soltanto a motivo della punizione, ma anche per motivo di coscienza". Qui l'apostolo argomenta il dovere di una sottomissione volenterosa e coscienziosa al governo civile, per la natura e il fine della magistratura come prima l'aveva stabilita, cioè perché il suo scopo era punire i malfattori, e sostenere e incoraggiare coloro che fare bene; e come deve, se così esercitato, essere conforme alla volontà di Dio. Ma in che modo ciò che dice qui dimostra il dovere di una soggezione volenterosa e coscienziosa a coloro che perdono il carattere di governanti? A coloro che incoraggiano il male,
L'argomento qui utilizzato non dimostra che è un peccato resistere a tali governanti, più di quanto non lo sia, resistere al diavolo affinché possa fuggire da noi. Perché uno è veramente ministro di Dio come l'altro. “Poiché è anche per questa ragione che voi pagate i tributi; perché si tratta di ministri di Dio, i quali attendono del continuo a quest'ufficio”. Qui l'apostolo argomenta il dovere di pagare le tasse, da questa considerazione che coloro che svolgono il dovere di governanti, sono continuamente attenti al benessere pubblico. Ma come si conclude questo argomento per pagare le tasse a quei principi che cercano continuamente di rovinare il pubblico? E soprattutto quando tale pagamento faciliterebbe e promuoverebbe questo disegno malvagio! “Rendete a tutti quel che dovete loro: il tributo a chi dovete il tributo; la gabella a chi la gabella; il timore a chi il timore; l'onore a chi l'onore”. Qui l'apostolo riassume quanto aveva detto circa il dovere dei sudditi verso i governanti. E la sua argomentazione sta così: “Poiché i magistrati che svolgono bene il loro ufficio, sono benefattori comuni alla società e possono, a questo riguardo, essere propriamente chiamati ministri e ordinanza di Dio; e siccome sono costantemente impiegati al servizio del pubblico, sta a te rendergli tributo e consuetudine; e di riverire, onorare e sottomettersi a loro nell'esecuzione dei loro rispettivi uffici”. Questo è apparentemente un buon ragionamento. Ma questo argomento conclude per il dovere di rendere omaggio, costume, riverenza, onore e obbedienza a persone che (sebbene portino il titolo di governanti) usano tutto il loro potere per ferire e ferire il pubblico? Quali non sono i ministri di Dio, ma quelli di Satana? Quelli che non si prendono cura e badano all'interesse pubblico, ma loro, alla rovina del pubblico? cioè, in breve, a coloro che non hanno alcuna pretesa naturale e giusta di tributo, consuetudine, riverenza, onore e obbedienza?
C'è da sperare che coloro che hanno qualche riguardo per il carattere dell'apostolo come scrittore ispirato, o anche come uomo di comune intelligenza, non lo presentino come ragionamento in modo così disinvolto e incoerente; e traendo conclusioni che non hanno la minima relazione con le sue premesse. Perché cosa può esserci di più assurdo di un argomento così formulato? “I governanti sono, per il loro ufficio, tenuti a garantire il bene pubblico e il bene della società: quindi sei tenuto a renderli tributi, onorarli e sottometterli ad essi, anche quando distruggono il bene pubblico e sono una peste comune alla società, agendo in diretta contraddizione con la natura e il fine del loro ufficio”. Alla rovina del pubblico? cioè, in breve, a coloro che non hanno alcuna pretesa naturale e giusta di tributo, consuetudine, riverenza, onore e obbedienza? distruggono il bene pubblico e sono una peste comune alla società, agendo in diretta contraddizione con la natura e il fine del loro ufficio”. onore e obbedienza?
Così, dopo un'attento esame del ragionamento dell'apostolo in questo passaggio, sembra che i suoi argomenti per imporre la sottomissione siano di natura tale da concludere solo a favore della sottomissione a quei governanti come lui stesso descrive; cioè come regola per il bene della società, che è l'unico fine della loro istituzione. I tiranni comuni, e i pubblici oppressori, non hanno diritto all'obbedienza dei loro sudditi, in virtù di quanto qui stabilito dall'ispirato apostolo.
Aggiungo ora inoltre che l'argomento dell'apostolo è così lontano dal dimostrare che è dovere delle persone obbedire e sottomettersi a quei governanti che agiscono in contraddizione con il bene pubblico, e quindi con il disegno del loro ufficio, che prova il diretto contrario. Perché, per favore, si osservi: se il fine di ogni governo civile, sia il bene della società; se questa è la cosa che mira a costituire i governanti civili; e se il motivo e l'argomento della sottomissione al governo, sono presi dall'apparente utilità dell'autorità civile, ne segue che quando non si può rispondere a un simile fine buono con la sottomissione, non rimane alcun argomento o motivo per farlo valere; se invece di ottenere questo fine buono con la sottomissione, si realizza un fine contrario, e da essa si produce la rovina e la miseria della società; ecco una ragione chiara e positiva contro la sottomissione in tutti questi casi, se mai dovessero accadere. E quindi, in tali casi, un riguardo al bene pubblico, dovrebbe farci negare ai nostri governanti quell'obbedienza e quella sudditanza che sarebbe, altrimenti, nostro dovere rendere loro.
Se è nostro dovere, ad esempio, obbedire al nostro re, solo per questo motivo che egli governa per il bene pubblico, (che è l'unico argomento di cui si avvale l'apostolo) ne consegue, per parità di ragione, che quando si fa tiranno e fa dei suoi sudditi una preda da divorare e da distruggere, invece di difendere e custodire il suo incarico, siamo tenuti a rinunciare alla nostra fedeltà a lui e a resistere; e che secondo il tenore dell'argomento dell'apostolo in questo passaggio. Non interrompere la nostra fedeltà, in questo caso, significherebbe unirsi al sovrano nel promuovere la schiavitù e la miseria di quella società, il cui benessere, noi stessi, così come il nostro sovrano, siamo obbligati a garantire e promuovere, come per quanto in noi sta. È vero che l'apostolo non fa caso di un principe così tirannico; ma fondando la sua argomentazione per la sottomissione interamente sul bene della società civile; è chiaro che autorizza implicitamente, e addirittura ci impone di opporre resistenza, ogniqualvolta ciò sia necessario per la sicurezza e la felicità pubblica.
Permettetemi di utilizzare questa similitudine facile e familiare per illustrare il punto in questione: supponiamo che Dio richieda una famiglia di figli, che obbedisca al padre e non gli resista; e fa rispettare il suo comando con questo argomento; che la sovrintendenza e la cura e l'autorità di un genitore giusto e gentile, contribuiranno alla felicità di tutta la famiglia; così che dovrebbero ubbidirgli più per se stessi che per il suo: supponiamo che questo genitore alla fine si distragga e cerchi, nel suo impeto, di tagliare la gola a tutti i suoi figli: ora, in questo caso, non è il motivo prima assegnato, perché questi figli dovrebbero ubbidire al loro genitore mentre egli resta sano di mente, cioè il loro bene comune, motivo ugualmente determinante per disobbedirgli e resistergli, poiché è diventato delirante e tenta la loro rovina? Non cambia argomento, se questo genitore, propriamente parlando, perde la ragione, o fa mentre conserva la sua comprensione, ciò che è fatale nelle sue conseguenze, come qualsiasi cosa che potrebbe fare, se davvero ne fosse privato. Questa similitudine non ha bisogno di un'applicazione formale. Ciò che è fatale nelle sue conseguenze, come qualsiasi cosa potrebbe fare, se ne fosse davvero privato.
Ma si deve ricordare, che se il dovere di obbedienza universale e di non resistenza al nostro re o principe può essere argomentato da questo passaggio, la stessa sottomissione illimitata sotto un repubblicano, o qualsiasi altra forma di governo; e anche a tutti i poteri subordinati in uno stato particolare, può essere provato anche da esso: il che è più di coloro che lo adducono allo scopo menzionato, sarebbero disposti a dedurlo. In modo che questo passaggio non risponde al loro scopo; ma davvero lo rovescia e lo confuta. Questa questione merita di essere considerata più particolarmente.
I fautori della sottomissione illimitata e dell'obbedienza passiva, se non sbaglio, parlano sempre in riferimento al governo regale o monarchico, come distinto da tutte le altre forme; e, con riferimento alla sottomissione alla volontà del re, in distinzione da tutti gli ufficiali subordinati, che agiscono al di fuori del loro incarico, e dell'autorità che hanno ricevuto dalla corona. Non si pretende che nessuno, oltre ai re, abbia un diritto divino di fare ciò che vuole, affinché nessuno possa resistergli, senza incorrere nella colpa della faziosità e della ribellione. Se qualche altro potere supremo opprime il popolo, è generalmente consentito che il popolo possa ottenere riparazione, con la resistenza, se altri metodi si rivelano inefficaci. E se qualche ufficiale in un governo regale, va oltre i limiti di quel potere che ha derivato dalla corona, (la presunta fonte originaria di ogni potere e autorità nello stato) e tenta, illegalmente, di portare via le proprietà e le vite dei loro compagni sudditi, possono essere resistiti con la forza, almeno fino a quando non sarà possibile applicarla alla corona. Ma quanto allo stesso sovrano, non si può in alcun caso resistergli; né ha alcuno dei suoi ufficiali, mentre si confinano entro i limiti che egli ha loro prescritto. Questo è, credo, un vero abbozzo dei principi di coloro che difendono la dottrina dell'obbedienza passiva e della non resistenza.
Ora non c'è nulla nelle scritture che supporti questo schema di principi politici. Quanto al brano in esame, l'apostolo qui parla di governanti civili in generale: di tutte le persone comuni, investite di autorità per il bene della società, senza alcun riferimento particolare ad una forma di governo, più che ad un'altra; o al potere supremo in uno stato particolare, più che ai poteri subordinati. L'apostolo non si preoccupa delle diverse forme di governo. Questo egli suppone lasciato interamente alla prudenza e alla discrezione umana. Ora la conseguenza di ciò è che l'obbedienza illimitata e passiva non è più ingiunto in questo passaggio, sotto il governo monarchico; o al potere supremo in qualsiasi stato, che sotto tutte le altre specie di governo, che rispondono al fine del governo; o, a tutti i gradi subordinati dell'autorità civile, dal più alto al più basso. Coloro, dunque, che da questo passo dedurrebbero la colpa di resistere ai re, in ogni caso, pur agendo così contrariamente al disegno del loro ufficio, devono, se vogliono essere coerenti, andare molto più lontano, e dedurne il colpa di resistenza sotto tutte le altre forme di governo; e di resistere a qualsiasi sottufficiale dello stato pur agendo al di fuori del suo incarico, nel modo più arbitrario e illegale possibile.
Tutti i governanti civili, in quanto tali, sono ordinanza e ministri di Dio; e sono tutti, per la natura del loro ufficio, e nelle loro rispettive sfere e stazioni, tenuti a consultare il pubblico benessere. Con la stessa ragione quindi, che alcuno nega che l'obbedienza illimitata e passiva sia qui ingiunta sotto una repubblica o aristocrazia, o qualsiasi altra forma stabilita di governo civile; o a poteri subordinati, agendo in modo illegale e oppressivo; (per la stessa ragione) altri possono negare che tale obbedienza sia ingiunta a un re o monarca, o a qualsiasi potere civile. Infatti l'apostolo non dice nulla che sia peculiare dei re; ciò che dice, si estende ugualmente a tutte le altre persone qualunque, e investite di qualsiasi ufficio civile. Sono tutti, esattamente nello stesso senso, l'ordinanza di Dio; e i ministri di Dio; ed è ugualmente ingiunto di obbedire a tutti loro. Perché, come si esprime l'apostolo, «non c'è POTENZA se non di Dio: E noi siamo tenuti a rendere a TUTTI i loro DEBITI; e non PIÙ dei loro DOVUTI”. E quali siano questi debiti, e a chi devono essere corrisposti, l'apostolo non dice; ma lascia decidere alla ragione e alla coscienza degli uomini.
Così sembra, che l'argomento comune, fondato su questo passaggio, a favore dell'obbedienza universale e passiva, in realtà si rovescia, dimostrando troppo, se prova qualcosa; vale a dire, che nessun ufficiale pubblico, in ogni caso, deve essere contrastato, sebbene agisca in espressa contraddizione con il disegno del suo ufficio; che nessun uomo, nei suoi sensi, ha mai fatto o può affermare.
Se consideriamo con calma la natura della cosa stessa, nulla si può ben immaginare più direttamente contrario al buon senso, che supporre che milioni di persone debbano essere soggette al beneplacito arbitrario e precario di un solo uomo; (che naturalmente non ha superiorità su di loro in termini di autorità) in modo che i loro beni, e tutto ciò che è prezioso nella vita, e anche la loro vita, siano assolutamente a sua disposizione, se capita di essere abbastanza sfrenato e capriccioso da richiederli. Quale uomo senza pregiudizi può pensare, che Dio ha fatto TUTTI così sottomessi al beneplacito illegale e alla frenesia di UNO, così che sarà sempre un peccato resistergli! Nient'altro che la più chiara ed esplicita rivelazione dal cielo potrebbe far credere a un uomo sobrio e imparziale una dottrina così mostruosa e irresponsabile, e, in effetti, la cosa stessa,
Al momento, nelle scritture non c'è la minima sillaba che le dia un aspetto. Il diritto ereditario, indefettibile, divino dei re, e la dottrina della non resistenza, che è costruita sulla supposizione di un tale diritto, sono del tutto favolose e chimeriche come la transustanziazione; o una qualsiasi delle più assurde fantasticherie di visionari antichi o moderni. Queste nozioni non sono tratte né dalla rivelazione divina, né dalla ragione umana; e se non derivano da nessuna di queste fonti, non importa da dove vengano, o dove vadano. Solo che è un peccato che tali dottrine debbano essere propagate nella società, per suscitare fazioni e ribellioni, come vediamo, infatti, sono state sia nell'ultimo, sia nell'attuale REGNO.
Ma allora, se la sottomissione illimitata e l'obbedienza passiva ai poteri superiori, in tutti i casi possibili, non sono un dovere, ci si chiederà: “fino a che punto siamo obbligati a sottometterci? Se possiamo innocentemente disobbedire e resistere in alcuni casi, perché non in tutti? Dove ci fermiamo? Qual è la misura del nostro dovere? Questa dottrina tende alla totale dissoluzione del governo civile; e per introdurre tali scene di selvaggia anarchia e confusione, che sono più fatali per la società del peggio della tirannia.
In questo modo, alcuni uomini obiettano; e, in effetti, questa è la cosa più plausibile che si possa dire a favore di una sottomissione così assoluta come chiedono. Ma il peggio (o meglio, il meglio) è che c'è pochissima forza o solidità in esso. Difficoltà simili possono infatti sorgere riguardo a quasi tutti i doveri della religione naturale e rivelata. — Ad esempio solo in due, i quali sono entrambi quasi simili, e anzi esattamente paralleli, al caso che abbiamo davanti. È indiscutibilmente dovere dei figli sottomettersi ai genitori; e dei servi, ai loro padroni. Ma nessuno afferma che è loro dovere obbedire e sottomettersi ad essi, in tutti i casi possibili; o universalmente, un peccato resistergli. Ora questo tende a sovvertire la giusta autorità dei genitori e dei padroni? O per introdurre confusione e anarchia nelle famiglie private? No. In che modo allora lo stesso principio tende a scardinare il governo di quella famiglia più numerosa, il corpo politico? Sappiamo, in generale, che i figli e la servitù sono obbligati a obbedire rispettivamente ai genitori e ai padroni. Sappiamo anche, con altrettanta certezza, che non sono obbligati a sottomettersi ad esse in ogni cosa, senza eccezione; ma può, in alcuni casi, ragionevolmente, e quindi innocentemente, resistergli. Questi principi sono riconosciuti da tutte le mani, qualunque sia la difficoltà che può esserci nel fissare i limiti esatti della sottomissione. in alcuni casi, ragionevolmente, e quindi innocentemente, resistergli.
Ora c'è almeno altrettanta difficoltà a stabilire la misura del dovere in questi due casi, come nel caso dei governanti e dei sudditi. In modo che questa non sia davvero un'obiezione, almeno non ragionevole, contro la resistenza alle autorità superiori: o, se lo è, reggerà ugualmente contro la resistenza negli altri casi menzionati. — È proprio vero che uomini turbolenti e dalla mente malvagia possono trarre vantaggio da questo principio, che i loro governanti possono, in alcuni casi, essere legittimamente contrastati, per sollevare fazioni e disordini nello stato; e di fare resistenza là dove la resistenza è inutile, e quindi peccaminosa. Ma non è altrettanto vero che i figli e i servitori dalle menti turbolente e viziose possono prendere occasione da questo principio, che genitori e padroni possono, in alcuni casi, essere legittimamente contrastati, per resistere quando la resistenza non è necessaria, e quindi, penale? Il principio in entrambi i casi è falso in sé, semplicemente perché può essere abusato? e applicato alla legittima disobbedienza e resistenza in quei casi, a cui non dovrebbe essere applicato? Secondo questo modo di argomentare, non ci saranno veri principi nel mondo; poiché non c'è altro che ciò che può essere strappato e pervertito per servire scopi cattivi, o attraverso la debolezza o la malvagità degli uomini...
La domanda successiva che sorge spontanea è: se questa resistenza che è stata fatta al re dal Parlamento, fosse propriamente ribellione o no? La risposta alla quale è chiara, che non lo era; ma una posizione giustissima e gloriosa, fatta in difesa dei diritti naturali e legali del popolo, contro l'innaturale ed illegale usurpazione dell'arbitrario potere. Né questa fu un'opposizione avventata e troppo improvvisa: la nazione era stata paziente sotto le oppressioni della corona, anche a lunghe sofferenze; — per un corso di molti anni; e non c'era speranza razionale di riparazione in nessun altro modo. — La resistenza era assolutamente necessaria per preservare la nazione dalla schiavitù, dalla miseria e dalla rovina. E chi è così appropriato da fare questa resistenza, come i Lords e i Comuni; - l'intero corpo rappresentativo del popolo; - i guardiani del benessere pubblico; e ciascuno dei quali, era, dal punto di vista legislativo, investito di un potere eguale, coordinato, con quello della corona? Qui c'erano due rami della legislatura contro uno: due dei quali, avevano diritto ed equità, e la costituzione dalla loro parte, contro uno che tentava empiamente di capovolgere legge ed equità, e la costituzione; ed esercitare una sovranità sfrenata e licenziosa sulle proprietà, le coscienze e la vita di tutto il popolo: — Una tale sovranità che alcuni sconsideratamente attribuiscono al Supremo Governatore del mondo. — Dico, senza riguardo; perché Dio stesso non governa in maniera assolutamente arbitraria e dispotica. Il potere di questo Re Onnipotente (lo dico non senza cautela e riverenza; il potere di questo Re Onnipotente) è limitato dalla legge; non, infatti, per atti del parlamento, ma per la legge eterna come di verità, sapienza ed equità; e le tavole eterne della retta ragione; tavole che non si possono abrogare, né abbattere e spezzare come quelle di Mosè…