Teopedia/Teonomia/Radici Ricostruzione/Comunione e comunicazioni: differenze tra le versioni

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Salve a tutti. Sono Giorgio Modolo, per l’angolo della teonomia oggi toccherò ancora in parte l’argomento dell’istruzione dei figli e di adulti e del ruolo dell’arte da una prospettiva biblica e nel loro collegamento con la santa cena. Per i prossimi 20 minuti vi parlerò di: 
Salve a tutti. Sono Giorgio Modolo, per l’angolo della teonomia oggi toccherò ancora in parte l’argomento dell’istruzione dei figli e di adulti e del ruolo dell’arte da una prospettiva biblica e nel loro collegamento con la santa cena. Per i prossimi 20 minuti vi parlerò di: 

Versione delle 19:25, 17 dic 2020

Ritorno


23.Comunione e comunicazioni

Salve a tutti. Sono Giorgio Modolo, per l’angolo della teonomia oggi toccherò ancora in parte l’argomento dell’istruzione dei figli e di adulti e del ruolo dell’arte da una prospettiva biblica e nel loro collegamento con la santa cena. Per i prossimi 20 minuti vi parlerò di: 

Noi non siamo abituati ad associare comunione e comunicazioni. Per noi, la comunione è un sacramento o un’ordinanza della chiesa, mentre “comunicazioni” fa riferimento ai media, allo scambio d’idee tra persone, a telefoni, radio, televisioni e così via. Rimane il fatto che le due parole hanno una comune radice in latino e sono strettamente correlate. Comunicazione proviene da comunicatio, un rendere comune, un’impartire, talvolta un consultare gli ascoltatori. Comunione proviene dal latino communio conmunio, a seconda del contesto, può significare anche fortificare, rendere sicuro, rafforzare o garantire. Si potrebbe forse dire che comunione e comunicazione sono perciò non solo mezzi di condivisione ma anche di consolidamento e di rafforzamento di tutti quelli che vi sono coinvolti.

Oggi è comune parlare del gap (divario) comunicativo. Il gap esiste in vari quartieri. Il gap generazionale è un esempio, l’incapacità di vecchi e giovani di comunicare tra loro in certi segmenti del nostro mondo. Il gap esiste anche tra il governanti e i governati in quasi tutte le nazioni; gli alti e potenti, si dice, “non parlano la stessa lingua” del resto di tutti noi, perché il loro potere li colloca su un diverso livello di comunicazione che può variare da quello intellettuale a quello volutamente ermetico del politichese. In un’area di vita dopo l’altra esiste il gap comunicativo. Le persone possono lavorare a stretto contatto eppure essere lontanissimi nella loro vita essenziale.

Il fatto puro e semplice è che non può esserci comunicazione dove non c’è comunione. La vicinanza o un comune retroterra non sono le risposte. Mariti e mogli, e genitori e figli, possono coabitare nella stessa casa e non avere comunicazioni che siano significative. In una tale famiglia, un membro una volta mi rimarcò che gli sforzi fatti occasionalmente per avere dell’intimità erano dolorosi perché richiamavano l’attenzione alla distanza molto seria e alle differenze che c’erano tra loro; vivere senza comunicare era più facile.

Come risultato, un fatto della vita moderna è la disponibilità delle persone a vivere in isolamento, senza una stretta amicizia con altri, perché una tale vita di comunità significa problemi e anche responsabilità. Molti membri di chiesa sono pronti a dare per missioni lontane piuttosto che ministrare a bisogni vicini. Ci sono “valide” ragioni per questo: tutte le persone sono nate peccatrici e, anche quando convertite, sono lontane dall’essere perfette nella grazia. Di conseguenza, i contatti stretti con la gente sono contatti stretti col peccato. Naturalmente, tutti noi troviamo che i nostri peccati sono amabili, e quelli degli altri intollerabili! Di qui, un ritiro dalla comunità diventa molto attraente per l’uomo moderno.

Allo stesso tempo questa ritirata esige una penalità. L’uomo fu creato da Dio perché avesse comunione con Dio e con l’uomo. Ritirarsi dalla comunità è perciò ritirarsi dalla vita come Dio l’ha ordinata. Abbiamo così il paradosso di persone che evitano la comunità mentre si lagnano del gap comunicativo.

Nel frattempo, l’educazione moderna, poiché è umanistica, ha perso la capacità di favorire o di creare comunità. Insegnando il radicale valore ultimo dell’uomo, la scuola umanista isola l’individuo da Dio e dalla società.  La scuola statale, normalmente un grande strumento per la comunicazione e la comunità, ne è invece stata distruttiva.

Una storica funzione comunicativa della scuola è stata ora spezzata: la comunicazione col passato. Lo studente che legge Shakespeare, Milton, Tolstoy, Dostoyevsky, Agostino, Anselmo, Fielding, Dante ed altri, entra in comunicazione col passato e ne viene informato, arricchito, o stimolato. La comunicazione col passato è una parte essenziale della scolarizzazione dell’uomo, non solo nella scuola formale, ma nella famiglia, la chiesa e la comunità. La vita famigliare dovrebbe collegare il passato al presente e al futuro. Quando i genitori lascino ad altri la cura e l’insegnamento dei figli, viene spezzato un anello vitale. Similmente, la fede della chiesa ha nel passato radici profonde, ed è quella che un antico inno anglosassone celebrava come la “Fede dei nostri Padri, ancora vivente”[1] — Faith of our fathers  living still — Tale fede non può vivere se il passato non è insegnato ed è invece ignorato. Quel passato fondamentale è la bibbia e la sua storia, ed è da solo il futuro della chiesa. Se la bibbia è una miniera in cui si scava solo con scopi salvifici (e la salvezza per tali persone è piuttosto un’assicurazione sulla vita stipulata nell’agenzia assicurativa di chiesa), allora la maggior parte della bibbia sarà ignorata. Allo stesso tempo invece, il linguaggio della traduzioni basilari del mondo occidentale (in Inglese la versione King James), in italiano la vecchia Diodati, è anch’esso un linguaggio che apre le porte del nostro passato. Ragazzi che siano allevati sulla vecchia Diodati possono leggere letteratura del passato con una facilità che manca agli altri coetanei. La “comunità” dei nostri giorni ha perso il proprio senso del valore delle celebrazioni storiche del passato di una nazione; ciò è in parte dovuto alle vie malvagie dello stato moderno che celebra se stesso e oscura le celebrazioni religiose, e degli uomini che si ritirano dalle cose verso cui una volta erano fedeli. 

Le varie forme di arte moderna hanno anch’esse cessato d’essere mezzi di comunicazione.  Il loro tema è l’espressione piuttosto ché la comunicazione, e l’espressione è troppo spesso espressione si disprezzo, odio, invidia e rabbia. Come conseguenza, l’arte, storicamente uno dei grandi mezzi di comunicazione, sta cessando di comunicare. Già 30 anni fa Sting disse che la musica rock aveva smesso di veicolare valori. L’arte visiva aveva invece già ricevuto da Francis Schaeffer il suo certificato di morte, sono convinto che se l’avesse conosciuto avrebbe incluso anche Pasolini. L’arte di “successo” e che gode dell’approvazione della critica è ora elitista e ha un pubblico ristretto. Comunicare facilmente e ampiamente, cioè essere facilmente comprensibile, è considerato filisteismo e cattiva arte. In questo modo, l’arte moderna, per proprio stesso criterio, esclude il proposito e la funzione basilare dell’arte che è quella di comunicare. Una nuova scuola artistica fa decadere il proprio stile e cambia rapidamente non appena diviene popolare perché un tale risveglio di consapevolezza da parte della comunità è anatema per l’artista. Alla base dell’arte d’avanguardia c’è un ostilità verso qualsiasi reale comunicazione con le masse. L’antipoesia di Nicanor Parra (1960) dice tutto già nel titolo. Anziché comunicare, l’arte moderna è diventata esclusiva ed esoterica, che è un altro modo per dire che ha cessato d’essere arte. Infatti, il carattere esclusivo ed esoterico dell’arte moderna è una negazione del significato stesso di arte. La poesia ermetica di Ungaretti, Montale, ecc.  rappresenta una tale negazione.

Abbiamo un problema di comunicazione, e abbiamo un declino dell’arte, perché abbiamo un declino nella comunione, e abbiamo un declino nella comunione come relazione, perché abbiamo un declino nella centralità della comunione come sacramento. Al cuore della vita della chiesa c’è la celebrazione della comunione, la celebrazione del grande fatto centrale della storia, l’espiazione da parte di Gesù Cristo. L’uomo creato da Dio perché avesse comunione con Lui e lavorasse sotto di Lui come vice-reggente su tutta la terra, si è ribellato contro Dio ed ha cercato di essere il proprio dio, stabilendo e determinando le proprie leggi e le propria idea di bene e di male (Ge.3:5). La caduta dell’uomo ha significato la rottura della comunione con Dio; ha significato che al suo posto la comunione dell’uomo è ora col peccato e con la morte, e con se stesso che ha preferito a quella con Dio. Questo uomo decaduto ha cercato di creare la propria forma di comunione per mezzo di un ordine mondiale, una Torre di Babele, ma il verdetto di Dio e il fattore della sua propria natura decaduta conducono quella speranza alla confusione e alla distruzione. Lungo tutta la storia fino al presente, gli uomini hanno cercato di costruire le loro Torri di Babele, regolarmente con drastiche conseguenze. Virtualmente, tutte le nazioni moderne sono delle Babele, ed hanno pertanto un futuro prevedibile ordinato ab antico. L’uomo decaduto ha un gap di comunicazione, con Dio, con altri uomini e con se stesso. Non c’è soluzione a questo problema fuori da Gesù Cristo.

Il Signore, con la sua espiazione, ci ristabilisce nella comunione col Dio trino. Abbiamo pace con Dio per mezzo di Cristo, e perciò abbiamo il principio della pace con altri uomini e con noi stessi in Cristo nostro Signore.

Mano a mano che l’uomo cresce nella grazia, si sposta dal mondo di peccato e di morte e dal relativo isolamento, dentro al mondo della comunione. L’inferno è la consumazione dell’isolamento, ciascuna persona il proprio dio ed universo che vive in separazione totale da tutte le altre persone. Il cielo, dall’altra parte, è la consumazione della comunione e della comunità, della vita in pace e perfetta comunione con Dio, con l’uomo, con la natura e con noi stessi.

Il rito della comunione celebra dunque una futura perfezione, ed è un nutrimento per il compito presente che è di sviluppare quella comunione qui ed ora. In questo modo la comunione, quando è veramente tale, è un trionfo presente e un fatto futuro. Dichiara che siamo un corpo in Cristo. Questo significa che noi cerchiamo di essere governati non dalla nostra volontà ma dalla sua. Il regno di cui siamo membri e che serviamo non è di questo mondo ma del Signore: è il Regno di Dio.

Noi siamo perciò chiamati in comunione per morire a noi stessi, al nostro vecchio uomo, e a vivere in Cristo: “E per essere rivestiti dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e santità della verità. Perciò, messa da parte la menzogna ciascuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri (Ef. 4:24-25). Noi traslochiamo dalla legge del nostro essere decaduto dentro la legge di Dio, ora scritta in tutto il nostro essere per la sua grazia.

La comunione pertanto celebra il fatto della crescita della nuova vita e della nuova potenza, il cui proposito è di portare tutte le cose prigioni di Cristo e la loro nuova creazione in Lui. L’obbiettivo è riassunto nel proclama celeste: “I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli” (Ap. 11:15). Partecipare con fede alla tavola del Signore è pertanto partecipare della vita, crescita, potenza e vittoria. Significa che diventiamo parte del grande esercito del Signore, e il nostro scopo è la conquista di tutte le cose per Cristo nostro Re. Tutti i popoli, culture, sfere di vita e di pensiero, in tutti i tempi, devono essere portati sotto il suo dominio.

Significa anche che la comunione mette fine al problema di comunicazione. San Paolo dice: “La fede vien dall’udire e l’udire dalla parola di Dio” (Ro. 10:17). Tutte le cose furono create dalla parola creatrice di Dio (Gv. 1:3), e tutte le cose furono fatte per ascoltare e ubbidire quella sovrana parola-legge. La parola di Dio pertanto, è la parola che penetra dentro al cuore di ogni uomo. E la sola parola che può penetrare sotto la pelle e dentro al sangue e alle ossa dell’uomo non rigenerato. È la parola di potenza, e lo Spirito santo opera con essa, sempre.

Ci è stato detto con chiarezza: “Se il Signore non edifica la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sl. 127:1). Senza di Lui non c’è comunione, comunità e neppure comunicazione. I fondamenti del nostro ordine politico ed economico devono quindi essere nella sua parola-legge. L’istruzione senza di Lui cessa di comunicare qualsiasi cosa eccetto peccato e morte, e la nostra istruzione statalista oggi offre abbondanti evidenze della devastazione prodotta dall’umanesimo.

In una società senza comunione, il peccato e la morte sono i fattori dominanti in ogni area di vita, incluse la famiglia, le arti, e le scienze. Fin troppi scienziati oggi trattano l’uomo come un animale da sperimentazione; essendo governati da peccato e morte, possono produrre poco altro. Aborto e omosessualità sono simboli calzanti per l’uomo del ventesimo secolo, e per il secolo di guerre mondiali, droghe e suicidi. Avendo perduto la comunione, l’uomo perde la capacità di comunicare e, infine, la voglia di vivere. Suicidi, personali e culturali, danno evidenze del fallimento e del rifiuto di comunicare con Dio e con l’uomo; essi sono, semplicemente, il rigetto della vita perché il Signore della vita per primo è rigettato. (Non includo qui i suicidi di quelle persone cui sono somministrati medicinali che sconvolgono la mente: questi sono più vicini all’omicidio.)

L’epoca moderna sta morendo perché non ha comunione. Ha abbandonato la fede nel Signore che solo è Vita e la fonte di vita, e ha scelto la morte (Pr. 8:36) piuttosto che la vita. Per noi che siamo i viventi, è perciò urgentissimo un tempo di comunione, crescita e ricostruzione.

“Questo è il giorno che l’Eterno ha fatto; rallegriamoci ed esultiamo in esso” (Sl. 118:24). 

(Luglio, 1983) GM novembre 2020

Note:

[1] “Faith of Our Fathers, Living Still” si tratta di un celeberrimo inno cristiano del mondo anglosassone.