Letteratura/Grazia che abbonda/12: differenze tra le versioni

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Versione delle 21:37, 24 giu 2020

Indice generale

GRAZIA CHE ABBONDA AL PRIMO DEI PECCATORI (di John Bunyan, 1666)

Capitoli: 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12

 

RELAZIONE SULL'IMPRIGIONAMENTO DI MR. JOHN BUNYAN MINISTRO DEL VANGELO A BEDFORD - NOVEMBRE 1660


Relazione sul mio incarceramento nel mese di novembre 1660, quando, con l'aiuto propizio del mio Dio, già da cinque o sei anni, senza grandi interruzioni, predicavo liberamente il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo; ed inoltre avevo ricevuto, attraverso la sua santa grazia, qualche incoraggiamento dal fatto che egli aveva benedetto il mio ministero. Il demonio, quel vecchio nemico della salvezza dell'uomo, colse l'occasione per infiammare i cuori dei suoi servi contro di me, tanto che alla fine fui tolto di mezzo dal mandato di un giudice, e fui condotto in prigione. Eccone il racconto.

Il 12 del mese di Novembre 1660, alcuni amici del posto mi invitarono ad andare a predicare a Samsell, nei pressi di Harlington, nel Bedfordshire. Ed io promisi loro che, piacendo al Signore, sarei stato da loro alla data stabilita.

Il giudice, venuto a conoscenza di ciò (il suo nome è Francis Wingate), emise immediatamente un mandato di comparizione contro di me, con l'ordine di comparire davanti a lui; nello stesso tempo, ordinò di sorvegliare strettamente la casa dove doveva tenersi la riunione, come se noi che dovevamo incontrarci in quel posto avessimo intenzione di compiere qualche atto terribile per la distruzione del paese.

Quando l'agente di polizia arrivò, ci trovò solo con la Bibbia in mano, pronti a pronunciare e ad ascoltare la parola di Dio: infatti stavamo proprio per iniziare il nostro esercizio. Sì, avevamo incominciato con una preghiera, per impetrare la benedizione di Dio sulla nostra riunione, con l'intenzione di predicare la Parola del Signore ai presenti: ma l'arrivo dell'agente ce lo impedì. Io fui preso e costretto a lasciare la stanza. Ma se non avessi temuto di essere scambiato per codardo, avrei potuto liberarmi e fuggire. Infatti, mentre andavo alla casa dei miei amici, avevo sentito mormorare che quel giorno sarei stato arrestato, perché c'era un mandato contro di me; e quando uno dei miei amici lo venne a sapere, in preda al timore, si domandò se era meglio tenere la riunione oppure no; e se non era meglio che io partissi, per timore che mi arrestassero e mi conducessero davanti al giudice, per poi mandarmi in prigione (infatti il mio amico conosceva meglio di me le loro intenzioni, dal momento che viveva sul posto). Io gli risposi: «Per nessuna ragione mi lascerò influenzare, e neppure annullerò la riunione. Suvvia, coraggio, non lasciamoci intimidire, la nostra causa è buona, non dobbiamo vergognarci di predicare la Parola di Dio; è un'opera così buona, che noi saremo ricompensati se soffriremo per essa o per il suo fine» (ma credo che il mio amico temesse più per me che per se stesso).

Dopo di che, mi avviai verso il luogo della riunione; e mentre consideravo seriamente la questione, mi venne alla mente questo pensiero: Io mi ero mostrato sincero e coraggioso nella mia predicazione e, sia benedetta la grazia, mi ero fatto un dovere di incoraggiare gli altri; perciò pensavo: «Se ora dovessi correre e fare una fuga, sarei molto mal considerato nel paese. Infatti, che cosa ne penserebbero i miei fragili fratelli appena convertiti? Che non sono così forte nei fatti come lo sono a parole». Temevo anche che se fossi fuggito ora che c'era un mandato contro di me, li avrei resi pavidi anche solo di fronte alla eventualità di udir pronunciare parole di minaccia. Inoltre pensavo che, poiché Dio nella sua misericordia mi aveva scelto per far rinascere la speranza in questo paese (cioè, per essere il primo ad opporsi, in nome del Vangelo, alla sua disperata situazione), se fossi fuggito, avrei con il mio esempio scoraggiato tutti quelli che sarebbero seguiti. Ed ancora, io pensavo che il mondo avrebbe tratto occasione dalla mia vigliaccheria per bestemmiare il Vangelo, e trovare qualche ragione per dubitare di me e della mia professione più di quanto io non meritassi.

Dopo aver preso in considerazione queste ed altre cose, ritornai in casa, con la ferma decisione di tenere la riunione e di non andar via, sebbene avessi potuto svignarmela un'ora prima che l'agente mi catturasse; ma non volli, perché ero deciso a constatare quanto potevano dirmi o farmi: infatti, sia benedetto Iddio, sapevo di non aver fatto o detto alcun male. E così, come ho detto prima, incominciai la riunione; tuttavia non potei procedere, essendomi stato impedito dall'arrivo dell'agente con il mandato. Ma prima di andarmene, rivolsi alcune parole di consiglio e di incoraggiamento ai presenti, dichiarando loro che, come tutti potevano vedere, noi eravamo stati privati dell'opportunità di parlare e di ascoltare la Parola di Dio, e che era probabile che per essa dovessimo soffrire; e mi auguravo che essi non fossero scoraggiati, poiché era un segno di misericordia soffrire per una causa così giusta; infatti noi potevamo essere arrestati come ladri o assassini, o per qualche altra malvagità, ma, ringraziando Iddio, non eravamo niente di tutto questo: noi soffrivano come cristiani per avere ben operato. Ed era molto meglio per noi essere i perseguitati, piuttosto che i persecutori. Ma l'agente e l'incaricato del giudice che ci sorvegliavano non ebbero pace finché non mi portarono via da quella casa; ma poiché il giudice non era in sede quel giorno, un mio amico si impegnò per me a poartarmi dall'agente il mattino successivo. Altrimenti l'agente avrebbe dovuto sorvegliarmi, o mettermi al sicuro in qualche altro modo, dato che il mio crimine era così grande.

Così il mattino seguente andammo dall'agente, e poi dal giudice. Egli chiese all'agente che cosa avevamo fatto, dove ci eravamo radunati, che cosa avevamo con noi. Io credo che intendesse se avevamo armi o no; ma quando l'agente gli disse che ci eravamo riuniti per predicare ed ascoltare la Parola, e che non c'era traccia di altre cose, egli non seppe cosa dire; tuttavia, dal momento che mi aveva fatto arrestare, arrischiò alcune domande di questo tenore: Che cosa facevo là? E perché non mi accontentavo di fare il mio mestiere? Poiché era contro la legge che io mi mettessi a fare quello che facevo.

JOHN BUNYAN - Al che io risposi che l'intento che mi aveva spinto qui e in altri posti era quello di istruire e di consigliare le persone a dimenticare i loro peccati, ed avvicinarsi a Cristo, se non volevano perire miseramente; e che io potevo fare senza confusione entrambe le cose: fare il mio mestiere, e predicare la Parola.

A queste parole, il giudice parve stizzirsi, poiché disse che avrebbe spezzato il collo alle nostre riunioni.

BUN. - Io dissi che questo poteva accadere. Allora egli mi augurò di trovarmi dei garanti, altrimenti mi avrebbe mandato in prigione. Poiché i miei garanti erano pronti, li feci entrare; e quando ebbero versato la cauzione per la mia persona, egli disse loro che erano obbligati a tenermi lontano dalla predicazione; e che, se io predicavo, la loro cauzione sarebbe stata confiscata. Al che io risposi che avrei infranto i patti, poiché non avrei smesso di predicare la Parola di Dio, allo scopo di consigliare, confortare, esortare ed ammaestrare la gente in mezzo alla quale andavo; inoltre, pensavo che questo era un lavoro che non recava nessun danno, e che era più degno di lode che di biasimo.

WINGATE - Ed egli mi rispose che se i miei garanti non si impegnavano, si doveva emettere il mio mandato di cattura, e mi si doveva mandare in prigione, ad attendere le sessioni trimestrali. Ora, mentre veniva preparato il mio mandato di cattura, il giudice si ritirò; ed ecco entrare un vecchio nemico della verità, il dott. Lindale, il quale incominciò ad ingiuriarmi con espressioni oltraggiose.

BUN. - Io gli risposi che non ero venuto qui per parlare con lui, ma con il giudice. Ed egli, supponendo che io non avessi niente da dire a mia discolpa, esultò come se avesse ottenuto vittoria, incolpandomi e condannandomi per essermi immischiato in cose per le quali non potevo offrire garanzie. E mi chiese se avevo prestato giuramento; e se no, era un peccato che dovessi essere mandato in prigione, ecc. Io gli dissi che, se volevo, potevo rispondere a qualsiasi sensata domanda egli mi facesse. Allora egli mi incalzò di nuovo, sfoggiando una gran sicurezza di vincere, con questa domanda: come potevo provare che io predicassi legalmente. Ma alla fine, affinché si rendesse conto che potevo rispondergli se volevo, gli citai quel passo di Pietro che dice: «Ciascuno di voi metta al servizio degli altri il dono ricevuto, ecc. ».

LINDALE - A chi, disse, sono rivolte queste parole ?

BUN. - A chi? risposi io, ebbene ad ogni uomo che abbia ricevuto un dono da Dio. Badate che l'Apostolo dice: «Chiunque abbia ricevuto un dono da Dio». Ed ancora: «Voi potete tutti interpretare le Scritture, una dopo l'altra». Al che l'uomo si arrestò un attimo, e poi procedette più cautamente; ma non essendo disposto a perdere, ricominciò a dire:

LIND. - Veramente ricordo di aver letto di un certo Alessandro, un calderaio, che si oppose agli Apostoli e li disturbò (con una chiara allusione a me, che facevo lo stagnino).

BUN. - Al che io risposi che anch'io avevo letto di molti sacerdoti e farisei, che avevano macchiato le loro mani nel sangue di nostro Signore Gesù Cristo.

LIND. - E voi, disse, siete uno di quegli scribi e farisei, poiché, con un pretesto, fate lunghe preghiere per divorare le case delle vedove.

BUN. - Io risposi che se egli non avesse ricavato dalla predicazione e dalla preghiera più di quanto non avessi fatto io, non sarebbe stato ricco com'era. Ma, essendomi venuto alla mente quel passo biblico che dice: «Non rispondere ad un folle secondo la sua follia», mi risolsi a risparmiare per quanto possibile le parole, senza pregiudicare tuttavia la verità.

Nel frattempo, il mio mandato di cattura era stato redatto, ed io fui affidato all'agente per essere condotto alla prigione di Bedford. Ma per strada mi imbattei in due miei fratelli, che chiesero all'agente di fermarsi, pensando di poter convincere il giudice, per l'intervento di un preteso amico, a lasciarmi libero. Così noi ci fermammo, mentre essi andavano dal giudice; e dopo che essi ebbero a lungo conferito con lui, si giunse a questa conclusione: che se io fossi ritornato da lui e gli avessi detto certe parole, sarei stato rilasciato. Dopo averli ascoltati, io dissi che se quelle parole erano tali da poter essere pronunciate in buona coscienza, lo averi fatto, altrimenti no. Così, dietro alle loro insistenze, io tornai indietro, senza tuttavia credere che sarei stato rilasciato: infatti temevo che il loro intendimento fosse troppo contrario alla verità per lasciarmi andare, a meno che in qualche modo non disonorassi il mio Dio e ferissi la mia coscienza. Perciò, cammin facendo, innalzai il mio cuore a Dio per chiedergli la luce e la forza di non far qualcosa che potesse disonorare lui, o danneggiare la mia anima, o causare dolore o scoraggiamento in chi propendeva per Cristo. Ebbene, quando giunsi di nuovo davanti al giudice, c'era Mr. Zoster di Bedford, il quale, venendo da un'altra stanza e scorgendomi alla luce di una candela (era notte fonda, quando giunsi là), mi disse: «Chi c'è, John Bunyan?», dimostrando un tale affetto, come se avesse voluto saltarmi al collo e baciarmi. Io mi meravigliai molto che un uomo come lui, con il quale io avevo così poca familiarità e che, inoltre, era sempre stato un fermo oppositore delle vie del Signore, dovesse mostrare tanto amore per me; ma più tardi, dopo aver visto quello che aveva fatto, mi vennero in mente questi detti: «Le loro lingue sono più lisce dell'olio, ma le loro parole sono spade sguainate»; ed anche: «guardati dagli uomini, ecc ». Quando gli ebbi detto che, grazie a Dio, stavo bene, mi chiese: «Qual è la ragione per la quale siete qui?», o qualcosa del genere. Ed io gli risposi che ero ad una riunione di fedeli, poco lontana da lì, con l'intenzione di dir loro una parola di esortazione; e poiché il giudice lo aveva saputo, si era compiaciuto di mandare il suo mandato, e di farmi comparire davanti a lui, ecc.

FOSTER - Capisco, disse: ebbene, se voi promettete di non convocare più la gente, sarete libero di ritornare a casa, poiché il mio collega non vi manderà in prigione, se vi lascerete consigliare.

BUN. - Signore, dissi, vi prego di dirmi che cosa intendete per convocare la gente. Il mio compito non ha niente a che fare con il fatto che le persone siano riunite, ma è di esortarle a cercare la salvezza dell'anima, ecc.

FOST. - Ora, dice, non dobbiamo addentrarci in spiegazioni o discussioni; ma se voi direte che non radunerete più la gente, potrete riavere la vostra libertà; altrimenti, dovrete andare in prigione.

BUN. - Signore, dissi io, non forzerò né costringerò nessuno ad ascoltarmi; tuttavia, se venissi a trovarmi in un posto dove c'è della gente riunita, io, impiegando il meglio della mia capacità e della mia saggezza, li esorterei e li consiglierei di aspirare al Signore Gesù Cristo per la salvezza della lor anima.

FOST. - Egli disse che non era compito mio; che dovevo fare il mio mestiere, e che se avessi smesso di predicare, limitandomi a fare il mio mestiere, avrei ottenuto l'indulgenza del giudice, e sarei stato liberato immediatamente.

BUN. - Io gli risposi che potevo fare il mio mestiere e nello stesso tempo predicare la Parola di Dio; e consideravo mio dovere dedicarmi ad entrambe le cose, quando ne avevo l'occasione.

FOST. - Disse che era contro la legge tenere quelle riunioni, perciò mi avrebbe costretto a smettere e a dire che non avrei più radunato la gente.

BUN. - Gli risposi che non osavo fare promesse per il futuro, perché la mia coscienza non me lo permetteva. Ed inoltre, che io consideravo mio dovere fare tutto il bene possibile, non solo nel mio mestiere, ma anche comunicando alla gente, dovunque andassi, quanto di meglio conoscevo della Parola di Dio.

FOST. - Mi disse che ero più vicino ai Papisti di chiunque altro, e me lo avrebbe provato immediatamente.

BUN. - Gli chiesi in che cosa.

FOST. - Nel fatto, rispose, che avevamo interpretato le Scritture letteralmente.

BUN. - Gli dissi che noi interpretavamo letteralmente quelle che così dovevano essere interpretate; ma ci sforzavamo di interpretare in maniera diversa quelle che dovevano essere interpretate diversamente.

FOST. - Mi chiese quali Scritture interpretassi letteralmente.

BUN. - Io gli risposi, questa: «Colui che crede sarà salvato». Questa doveva essere interpretata così come si presentava, e cioè che chiunque crede in Cristo sarà salvato, secondo le semplici e piane parole del testo.

FOST. - Mi disse che ero ignorante, e che non capivo le Scritture: «e come, disse, potreste capirle, se non conoscete il greco originale?».

BUN. - Gli risposi che se era sua opinione che nessuno, se non quelli che conoscevano il greco originale, poteva capire le Scritture, allora pochissimi fra quelli di umile condizione potevano essere salvati; tuttavia (e queste sono state parole dure) la Bibbia dice: «Dio nasconde le sue cose ai saggi e ai prudenti (cioé alle persone istruite di questa terra), e le rivela ai bimbi e ai lattanti».

FOST. - Disse che non c'era nessuno che mi ascoltasse, tranne una compagnia di sciocchi.

BUN. - Io gli risposi che mi ascoltavano sia i saggi che gli sciocchi; ed inoltre; che quelli che sono comunemente ritenuti sciocchi nel mondo, sono i più saggi agli occhi di Dio. E gli dissi anche che Dio aveva respinto i saggi, i potenti e i nobili, e aveva scelto gli sciocchi e gli umili.

FOST. - Mi accusò di incitare la gente a trascurate le sue occupazioni; e mi fece notare che Dio aveva ordinato agli uomini di lavorare sei giorni, e di servirlo il settimo.

BUN. - Gli risposi che era dovere di tutti (dei ricchi come dei poveri) di occuparsi della loro anima in quei giorni, così come si occupavano del loro corpo; e che Dio voleva che il suo popolo si esortasse a vicenda ogni giorno, senza aspettare il domani.

FOST. - Egli disse allora che nessun altro se non una compagnia di poveri ignoranti mi veniva ad ascoltare.

BUN. - Ed io gli risposi che gli sciocchi e gli ignoranti avevano gran bisogno di essere istruiti e informati; e che perciò era utile che io proseguissi per quella strada.

FOST. - Bene disse, per concludere, promettete che non radunerete più la gente? Allora potete essere rilasciato, e andare a casa.

BUN. - Gli risposi che non osavo dire di più di quanto non avessi detto, poiché non osavo rinunciare all'opera alla quale Dio mi aveva chiamato. Allora egli si allontanò, e vennero da me parecchi messi del giudice a dirmi che mi impuntavo troppo su una sottigliezza. Mi dissero che il giudice era disposto a lasciarmi andare, e se soltanto avessi detto che non avrei più radunato la gente, avrei avuto la mia libertà.

BUN. - Io risposi loro che ci sono molti modi secondo i quali si può dire che qualcuno raduna la gente. Per esempio, se uno va sulla piazza del mercato, e si mette a leggere un libro, o qualcosa del genere, sebbene non dica alla gente: «Signori, venite qui ad ascoltare», se essi si avvicinano perché lui legge, si può dire che egli, leggendo, raduna la gente; poiché essi non sarebbero stati lì ad ascoltare, se egli non fosse stato lì a leggere. E vedendo che questo potrebbe essere definito una convocazione di persone, io non osavo dire che non lo avrei fatto: infatti, allo stesso modo, la mia predicazione poteva essere considerata una chiamata a raccolta di gente.

WING. e FOST. - Allora ritornarono da me il giudice e Mr. Foster (avemmo ancora una piccola discussione sulla predicazione, ma poiché non mi rammento l'ordine in cui avvenne, la tralascio), e quando videro che restavo fermo nella mia opinione, senza lasciarmi smuovere né persuadere, Mr. Foster disse al giudice che allora doveva mandarmi in prigione. Ed inoltre, che faceva bene a convocare tutti quelli che erano la causa della mia partecipazione alle riunioni. Così ci separammo. E veramente, mentre mi apprestavo ad uscire, dovetti farmi violenza per non dir loro che io portavo la pace di Dio con me; ma mi trattenni e, sia benedetto il Signore, me ne andai in prigione con il conforto di Dio nella mia povera anima.

Quand'ero in prigione da cinque o sei giorni, i fedeli di Bedford cercarono altri mezzi per farmi uscire (poiché il mio mandato di cattura prevedeva che io dovessi restare in prigione finché non trovavo garanzie). Andarono da un giudice di Elstow, un certo Mr. Crumpton, a pregarlo di difendermi alle sessioni trimestrali. Dapprima egli disse loro che accettava, ma poi sollevò delle obbiezioni, e volle prima vedere il mio mandato che si esprimeva in questi termini: che io frequentavo diverse conventicole in questa contea, con gran discredito dell'ordinamento della Chiesa d'Inghilterra, ecc. Quando lo ebbe visto, disse che poteva esserci contro di me qualcosa di più di quanto non comparisse nel mandato; e che egli era un giovane, e che perciò non osava assumersi l'incarico. Questo mi riferì il mio carceriere.

Al che io non fui scoraggiato, ma piuttosto lieto, perché evidentemente il Signore mi aveva ascoltato; infatti, prima di andare dal giudice, avevo implorato da Dio, che se potevo fare più bene in libertà che in prigione, mi liberasse; ma se no, che fosse fatta la sua volontà. Io non ero del tutto privo di speranza che il mio imprigionamento potesse costituire un motivo di risveglio per le pie persone del posto, e perciò non sapevo bene che cosa scegliere. In questo modo, io rimettevo tutto nelle mani di Dio. Ed invero, al mio ritorno in prigione, vi incontrai di nuovo dolcemente il mio Signore, che mi confortava e mi rassicurava che era per sua volontà ed intenzione che io mi trovavo lì.

Quando fui ritornato in prigione, mentre meditavo sulla fiacca risposta del giudice, mi caddero sul cuore, con una certa forza, queste parole: «Poiché egli sapeva che lo avevano liberato per invidia».

Così, in breve, ho esposto il modo e l'occasione del mio imprigionamento, per il quale io giaccio aspettando la santa volontà di Dio nei miei confronti, ben sapendo che neppure un capello può cadermi dalla testa senza la volontà del Padre mio che è nei Cieli.

Per quanto grande possa essere la rabbia e la malvagità degli uomini, essi non possono fare di più, o andare più lontano di quanto Dio permetta loro; ma quando avranno fatto il peggio, sappiamo che tutto si tramuterà in bene per quelli che amano Dio. Addio.

Questa é la ricapitolazione del mio interrogatorio, davanti ai giudici Keelin, Chester, Blundale, Beecher, Snagg, ecc.
Quand'ero in prigione già da circa sette settimane, si dovevano tenere le sessioni trimestrali a Bedford per tutta la contea relativa; e a queste io dovevo essere condotto. Quando il carceriere mi ebbe condotto davanti ai giudici suddetti, trovai un atto d'accusa presentato contro di me, del seguente tenore: John Bunyan di Bedford, manovale, persona di questa e quest'altra condizione, a partire da tale data si è diabolicamente e in modo dannoso astenuto dal frequentare la Chiesa per udirvi il servizio divino, ed è un abituale promotore di parecchie conventicole e riunioni illegali, con gran turbamento e distrazione dei buoni sudditi di questo regno, in opposizione alle leggi del Re nostro Signore sovrano, ecc.

CANCELLIERE - Quando la lettura fu terminata, mi chiese : «Che cosa avete da obbiettare?».

BUN. - Gli risposi che, quanto alla prima parte, io ero un abituale frequentatore della Chiesa di Dio. E che, per grazia, ero anche un membro di quel popolo di cui Cristo è capo.

KEELIN (che era il presidente di quel tribunale) mi chiese: «Andate in Chiesa, sapete cosa intendo, alla chiesa parrocchiale, ad ascoltare il servizio divino ? ».

BUN. - Risposi di no.

KEEL. - Mi chiese perché.

BUN. - Risposi, perché non trovavo che Dio lo avesse comandato nel Vangelo.

KEEL. - Disse che noi eravamo obbligati a pregare.

BUN. - Io risposi: ma non secondo il rituale della Chiesa Anglicana.

KEEL. - Mi chiese: e come allora?

BUN. - Risposi: con lo spirito. Come dice l'Apostolo «Pregherò con lo spirito, e anche con la mente» (1 Cor. 14.15).

KEEL. - Disse, si può pregare con lo spirito, con la mente, ed anche secondo il rituale della Chiesa Anglicana.

BUN. - Gli risposi che le preghiere secondo il rituale anglicano erano state fatte da altri uomini, e non ad opera dello Spirito Santo, all'interno del nostro cuore; e come avevo già detto, l'Apostolo dice che pregherà con lo spirito e con la mente, non con lo spirito e secondo il rituale della Chiesa Anglicana.

UN ALTRO GIUDICE - Che cosa intendete per preghiera? Pensate che sia dire qualche parola davanti o in mezzo alla gente?

BUN. - Risposi di no, poiché gli uomini possono dire molte eleganti o eccellenti parole, e tuttavia non pregare affatto; ma quando un uomo prega, egli, attraverso la percezione delle cose di cui ha bisogno (percezione che è generata dallo spirito) riversa il suo cuore in Dio per mezzo di Cristo, sebbene le sue parole non siano così numerose e così eccellenti come tante altre.

GIUDICI - Dissero che era vero.

BUN. - Io aggiunsi che questo si poteva fare indipendentemente dal rituale della Chiesa Anglicana.

UN ALTRO DI LORO - (penso che fosse il giudice Blundale, o il giudice Snagg): «Come possiamo sapere che voi non scriviate prima le vostre preghiere, e che poi le leggiate alla gente?». E lo disse con intenzione di scherno.

BUN. - Risposi che non è nostra abitudine prendere carta e penna, scrivere alcune parole, e poi andare a leggerle a un gruppo di persone. Ma come possiamo saperlo? disse egli.

BUN. - Signore, non è nostra abitudine, risposi.

KEEL. - Allora il giudice Keelin disse che è consentito pregare secondo il rituale della Chiesa Anglicana e altri simili; poiché Cristo ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Ed inoltre, disse, non può un uomo insegnare ad un altro a pregare? La fede giunge ascoltando; ed un uomo può convincere un altro che ha peccato, perciò le preghiere scritte dagli uomini, e poi lette, vanno bene per ammaestrare gli uomini, ed aiutarli a pregare.

Mentre stava così parlando, Dio mi fece giungere alla mente l'ottavo passo di Romani al verso 26: dico che Dio me lo fece giungere, perché prima non ci pensavo; ma mentre il giudice parlava, quelle parole mi si presentarono così vivide alla mente, e mi si posero innanzi con tanta evidenza, che fu come se quella Scrittura avesse detto: «Prendimi, prendimi». Così, quando egli ebbe finito di parlare.

BUN. - Signore, dissi, le Scritture dicono che «è lo Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza», poiché non sappiamo per che cosa pregare come dovremmo; ma lo stesso Spirito intercede per noi, con sospiri e lamenti che non si possono esprimere. Badate, aggiunsi, la Bibbia non dice che è la liturgia anglicana che ci insegna a pregare, bensì lo spirito. Ed è lo spirito che viene in soccorso alla nostra debolezza, dice l'Apostolo; e non dice che sia il rituale della liturgia anglicana. Quanto alla preghiera di nostro Signore, sebbene sia facile dire « Padre nostro, ecc. » con la bocca, pure sono molto pochi quelli che, con lo spirito, possono dire le prime due parole di quella preghiera; cioè, che possono chiamare Dio loro Padre, ben sapendo che cosa significa essere nati una seconda volta, ed essere stati generati dallo spirito di Dio; e se non lo sanno, il loro è nient'altro che balbettare.

KEEL. - Disse che era vero.

BUN. - Ed io aggiunsi: voi dite che un uomo può convincere un altro di aver peccato, e che la fede sopraggiunge ascoltando, e che uno può dire ad un altro come deve pregare, ecc. ; ebbene, io rispondo che gli uomini possono dirsi a vicenda i loro peccati, ma è lo spirito che li deve convincere. E sebbene si dica che la fede sopraggiunge ascoltando, è tuttavia lo spirito che fa nascere la fede nel cuore che ascolta, altrimenti «la parola che essi hanno udito non giova loro a nulla» (Eb. 4:2). E sebbene un uomo possa dire a un altro come deve pregare, pure, come ho detto prima, questo ultimo non può pregare, né aprire il suo cuore a Dio, se non lo aiuta lo spirito. Non è il rituale della liturgia anglicana che può dare questo. «È lo spirito che mostra i nostri peccati» (Gv. 15:16) e «che ci mostra il Salvatore» (Mt. 13,16.17). E lo spirito che si agita nel nostro cuore, anela a Dio, per le cose di cui abbiamo bisogno, che la nostra anima implora da lui con «lamenti che non si possono esprimere». Con altre parole, ma con lo stesso scopo. Questo parve rintuzzare le loro argomentazioni.

KEEL. - Mi chiede: che cosa avete contro il rituale della Chiesa anglicana?

BUN. - Gli rispondo: Signore, se vorrete ascoltarmi, vi esporrò le mie obbiezioni ad esso.

KEEL. - Dice che posso parlare liberamente; ma prima, dice, lasciate che vi faccia una raccomandazione: badate di non parlarne con irriverenza, perché, se lo farete, potrete danneggiarvi grandemente.

BUN. - Così io continuai, e dissi che la mia prima obbiezione era la seguente: non era previsto dal Vangelo, e perciò io non lo prendevo in considerazione.

UN ALTRO DI LORO - Dove trovate, chiese, nelle Scritture che voi dovete andare a Elstow o a Bedford ? Eppure è legittimo andare in entrambi i posti, non è vero?

BUN. - Risposi che andare a Elstow o a Bedford era una questione civile e non sostanziale, e per questo non prevista dal Vangelo; tuttavia la Parola di Dio mi consentiva di portare in giro il mio mestiere: e se esso si trovava in un posto, là dovevo andare. Ma pregare è una parte importante del culto divino, e perciò deve essere attuata in conformità alle regole della Parola di Dio.

UN ALTRO - Sta per recar danno, disse, non lasciatelo più parlare.

GIUD. KEEL. - No, disse, non abbiate paura di lui, noi siamo in una posizione più salda; non può recar danno, noi sappiamo che il rituale della liturgia anglicana esiste sin dal tempo degli Apostoli, ed è legittimo usarlo in Chiesa.

BUN. - Io risposi: mostratemi il luogo delle Epistole dove sia scritto, o un solo testo delle Scritture che mi ordini di seguirlo, e io lo seguirò. Tuttavia, aggiunsi, quelli che hanno intenzione di servirsene, sono liberi di farlo, cioé io non lo impedirei loro; ma, per quanto ci riguarda, noi possiamo pregare Dio indipendentemente da esso. Sia benedetto il Suo nome.

Al che uno di loro chiese: Chi è il vostro Dio? Belzebù? Inoltre, essi dissero più volte che io ero posseduto da uno spirito ingannatore e diabolico. Io non raccolsi nessuna delle loro parole, il Signore li perdoni! Ed inoltre dissi: Sia benedetto Iddio perché noi siamo stati incoraggiati a riunirci, a pregare, ad esortarci a vicenda; poiché abbiamo avuto la confortevole presenza di Dio in mezzo a noi, sia benedetto per sempre il suo santo nome.

KEEL. - Lo chiama gergo da ladri, e dice che devo smetterla con le mie chiacchiere. Il Signore gli apra gli occhi!

BUN. - Ho detto, aggiungo, che dovremmo esortarci a vicenda quotidianamente, senza aspettare il domani, ecc.

KEEL. - Ribatté che non dovevo predicare. E mi chiese dov'era la mia autorizzazione, e altre cose del genere.

BUN. - Risposi che avrei dimostrato che era legale che io, tal quale sono, predicassi la Parola di Dio.

KEEL. - Mi chiese: Secondo quale Scrittura?

BUN. - Risposi: secondo la I'Epistola di Pietro, cap. 4, verso 11; secondo il 18 capitolo degli Atti degli Apostoli, ed altri passi biblici che egli non mi permise di citare. Ma disse: Badate, non tutti; quel è il primo?».

BUN. - Risposi: questo: «Se uno ha ricevuto un dono, lo mette al servizio degli altri, come si conviene aibuoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio; se uno ha il dono della parola, ne usi come chi sa di annunziare gli oracoli di Dio, ecc.».

KEEL. - Rispose: lasciate che ve lo spieghi io: «Se uno ha ricevuto un dono» è come dire, se uno ha ricevuto un mestiere, lo eserciti. Se uno ha ricevuto il dono di fare il calderaio, che lo faccia. E così dicasi degli altri mestieri. Ed allo stesso modo l'uomo di fede faccia il suo mestiere.

BUN. - No, Signore, dissi io; è oltremodo chiaro che l'Apostolo qui parla di predicare la Parola; se paragonate i due versi, vedrete che quello successivo spiega di che dono si tratta: «Se uno ha il dono della parola, ne usi come chi sa di annunziare gli oracoli di Dio, ecc. » Perciò è chiaro che lo Spirito Santo qui non esorta alle professioni civili, quanto piuttosto all'esercizio di quei doni che abbiamo ricevuto da Dio. Avrei voluto continuare, ma egli non me lo consentì.

KEEL. - Disse che potevamo farlo nell'ambito delle nostre famiglie, ma non altrimenti.

BUN. - Risposi che se era legittimo fare del bene a qualcuno, era anche legittimo fare del bene a un maggior numero di persone. Se era un buon dovere esortare le nostre famiglie, era bene esortare anche gli altri. Ma se loro consideravano peccato riunirsi per cercare il volto di Dio, ed esortarsi a vicenda di seguire Cristo, io avrei continuato a peccare: perché così avremmo continuato a fare.

KELL. - Disse di non essere abbastanza versato nelle Scritture da discuterne. Ed aggiunse che non potevano perdere altro tempo con me, e mi chiese: Allora vi riconoscete colpevole, non è vero? Allora, e solo allora, mi resi conto che ero messo in stato d'accusa.

BUN. - Dissi: questo io confesso, che abbiamo fatto molte riunioni, per pregare Dio ed esortarci a vicenda, e che abbiamo avuto la confortante presenza di Dio fra noi, ad incoraggiarci; e per questo sia benedetto il suo nome. Di null'altro mi confessai colpevole.

KEEL. - Allora disse: Ascoltate la vostra condanna. Dovete ritornare in prigione, e restarvi tre mesi consecutivi; terminati i quali, se voi non vi sottometterete a frequentare la Chiesa per ascoltare il servizio divino, e a smettere di predicare, sarete bandito dal regno. E se, dopo il giorno che vi sarà destinato per l'allontanamento, sarete trovato in questo regno, ecc., o se vi ritornerete senza una speciale licenza del Re, sarete impiccato, ve lo dico chiaro. Poi disse al carceriere di portarmi via.

BUN. - Io gli risposi che, quanto a questo, una cosa era certa: se fossi uscito di prigione oggi, domani avrei ricominciato a predicare il Vangelo, con l'aiuto di Dio.

UN ALTRO - Disse qualcosa; ma poiché il mio carceriere mi spingeva fuori, non potrei dire che cosa.

Così mi separai da loro; e posso dire in verità, e benedico Gesù Cristo per questo, che il mio cuore fu dolcemente rinfrancato durante tutto il mio interrogatorio, ed anche dopo, al mio ritorno in prigione; cosicché constatai l'importanza delle parole di Cristo, quando dice che «darà una bocca e una saggezza tali che tutti gli avversari non potranno resistere né contraddire ». E questa pace che ci viene da lui, nessun uomo ce la può togliere.

Così vi ho esposto l'essenza del mio interrogatorio. Il Signore renda queste parole utili a tutti quelli che le leggeranno o le ascolteranno. Addio.

Punti essenziali della conversazione che ho avuto con il giudice di pace, quando venne ad ammonirmi, secondo la prassi di quella legge per la quale eio in prigione.

Ero in prigione da dodici settimane, e senza sapere che cosa intendessero fare di me, quando, il 3 di Aprile, venne da me Mr. Cobb, mandato (come mi disse) dai giudici ad ammonirmi e a chiedermi sottomissione alla Chiesa d'Inghilterra, ecc.
I1 tenore della nostra conversazione fu il seguente

COBB - Giunto alla prigione, mi fece uscire dalla cella, e, quando fui in sua presenza, mi disse: amico Bunyan, come state?

BUN. - Grazie, Signore, risposi, molto bene, sia lode a Dio.

COBB - Dice: Vengo a dirvi che si auspica che voi vi sottomettiate alle leggi del paese, o altrimenti alla prossima sessione vi andrà peggio: potreste persino essere mandato fuori dalla nazione, o anche peggio.

BUN. - Risposi che io desideravo comportarmi su questa terra come si conviene a un uomo e a un cristiano.

COBB - Ma, dice, dovete sottomettervi alle leggi della nazione, e smettere le riunioni che eravate solito tenere: infatti la legge statutaria è assolutamente contraria ad esse; ed io sono stato mandato dai giudici per dirvi che essi intendono perseguirvi, se non vi sottomettete.

BUN. - Signore, dissi, io ritengo che quella legge, per la quale sono ora in prigione, non colpisce o condanna né me, né le riunioni a cui partecipo; questa legge è stata fatta per coloro i quali, proponendosi di fare del male nelle loro riunioni, prendono a pretesto l'esercizio della religione per mascherare la loro malvagità. Ma non vieta le riunioni private di quelli che hanno come unico scopo semplicemente di venerare il Signore, e di esortarsi e vicenda all'edificazione. Il fine che mi propongo in queste riunioni è semplicemente di fare tutto il bene che posso, con l'esortazione e i consigli, secondo quella piccola porzione di luce che Dio mi ha concesso, e non di turbare la pace della nazione.

COBB - Tutti dicono la stessa cosa, dice, guardate l'ultima insurrezione di Londra con quali gloriosi pretesti fu fatta, eppure non intendevano altro che la rovina del regno e del Commonwealth.

BUN. - Io aborro questi loro sistemi, risposi; tuttavia non ne deriva che, poiché essi si sono comportati così, tutti gli altri debbano fare lo stesso. Io considero mio dovere comportarmi secondo le leggi del Re, come si conviene a un uomo e a un cristiano; e se mi fosse offerta l'occasione, volentieri manifesterei la mia lealtà al Principe, sia a parole che con i fatti.

COBB - Bene, disse, non pretendo di essere un uomo abile nella discussione; ma questo vi dico sinceramente, amico Bunyan: vorrei che voi consideraste seriamente questa faccenda, e vi sottometteste; potreste avere la libertà di esortare il vostro vicino con discorsi in privato, e, così facendo, non convochereste riunioni di persone; e veramente potreste fare molto bene per la Chiesa di Cristo, così facendo: questo lo potreste fare, e la legge non ve lo impedirebbe. È alle vostre riunioni che la legge è contraria.

BUN. - Signore, risposi, se io posso far bene a una persona con il mio discorso, perché non posso far bene a due? E se a due, perché non a quattro, a otto, ecc. ?

COBB - Certo, dice, e anche a cento, ve lo assicuro.

BUN. - Sì, Signore, dissi io, penso che non mi si dovrebbe impedire di fare tutto il bene che posso.

COBB - Ma, dice, può darsi che pretendiate di fare solo del bene, e tuttavia facciate del male, corrompendo la gente; perciò vi si proibisce di radunare così tante persone insieme, per timore che rechiate danno.

BUN. - E tuttavia, dissi io, voi dite che la legge tollera che io discorra con il mio vicino; certamente non c'è nessuna legge che mi permetta di corrompere qualcuno; perciò, se io posso per legge discorrere con uno, certamente è per fargli del bene; e se, discorrendo, posso far bene a uno, certamente, in forza della stessa legge, posso far bene a molti.

COBB - La legge, replica, vi proibisce espressamente le vostre riunioni private, e perciò esse non possono essere tollerate.

BUN. - Gli risposi che non volevo imputare al Parlamento del 35mo anno di regno di Elisabetta, o alla stessa Regina, un così scarso senso di carità da farmi pensare che, con quella legge, intendessero opprimere qualche decreto divino, od ostacolare chiunque avesse intrapreso la via del Signore; ma che, considerando la legge in se stessa, vedevo che combatteva solo quelli che tendevano al male nelle loro intenzioni e nelle loro riunioni, facendo della religione nient'altro che un pretesto e una bandiera: infatti le parole dello statuto dicono: «Qualunque riunione, sotto la bandiera e il pretesto della religione, ecc. ».

COBB - Molto bene, risponde; perciò il Re, vedendo che la gente è abbastanza solita prendere la religione a pretesto, proibisce, e la legge lo ha fatto prima di lui, queste riunioni private, e permette solo quelle pubbliche; voi potete riunirvi in pubblico.

BUN. - Signore, dissi, lasciate che vi risponda con una similitudine: ponete il caso che, a quell'angolo di bosco, si siano solitamente radunati dei ladri per far del male: si deve per questo fare una legge che chiunque esca da quel posto sia ucciso? Non possono uscire di là tanto gli uomini probi che i ladri ? E così è in questo caso: penso che ci siano molte riunioni che si propongono la distruzione del Commonwealth; ma non ne deriva necessariamente che tutte le riunioni private siano illegali. Siano puniti quelli che trasgrediscono la legge; e se io stesso, in qualche occasione, dovessi comportarmi nelle mie conversazioni in maniera disdicevole per un uomo e un cristiano, che sia sottoposto a punizione. E quanto a far riunioni pubbliche, come dite voi, se mi fosse consentito, le farei volentieri; lasciatemi tenere abbastanza riunioni in pubblico, e mi importerà meno di tenerle in privato. Non faccio riunioni private per il timore di farle in pubblico. Io rendo grazie al Signore che il mio cuore è saldo su questo punto: se qualcuno mi incolpasse di qualcosa, sia per quanto riguarda la dottrina che la pratica, che potesse risultare errore o eresia, sarei pronto a sconfessarlo persino sulla piazza del mercato. Ma se fosse verità, sarei pronto a sostenerlo fino all'ultima goccia di sangue. E, Signore, aggiunsi, voi dovreste lodarmi per questo. Errare, ed essere un eretico, sono due cose differenti : io non sono un eretico, perché non mi ostino a difendere qualcosa che sia contraria al Verbo divino; ma provatemi che è un errore una cosa che sostengo, e io la ritratterò.

COBB - Ma benedetto uomo, disse, mi pare che non sia necessario che voi siate tanto rigoroso su questo punto delle riunioni pubbliche. Non potete far atto di sottomissione, e fare ugualmente tutto il bene che potete, da buon vicino, senza fare riunioni?

BUN. - In verità, Signore, io non desidero lodarmi, ma piuttosto considerarmi poco; tuttavia, quando maggiormente mi disprezzo, se mi rendo conto di quella piccola porzione di luce che Dio mi ha dato, e anche del fatto che il popolo del Signore (per sua stessa ammissione) ne è edificato; inoltre, quando vedo che il Signore, per mezzo della grazia, ha in qualche modo benedetto la mia fatica, non oso far altro che esercitare il dono che Dio mi ha fatto, per il bene degli altri. E aggiunsi che avrei tanto voluto parlare in pubblico, se avessi potuto.

COBB - Rispose che potevo andare alle riunioni pubbliche ed ascoltare. E anche se non predicate? Potete stare a sentire. Non crediate di essere così illuminato e di aver ricevuto un dono tanto superiore agli altri da non poter ascoltare la predicazione di altri uomini, o qualcosa del genere.

BUN. - Gli dissi che ero altrettanto disposto ad essere ammaestrato che ad insegnare, e che consideravo il mio dovere fare entrambe le cose: infatti, dissi, colui che ammaestra può a sua volta imparare da un altro che insegna; come dice l'Apostolo: « Voi potete tutti interpretare le Scritture una dopo l'altra, cosicché tutti possano imparare». Cioè, ogni uomo che abbia ricevuto un dono da Dio, può distribuirlo, affinché gli altri ne traggano conforto; e quando lo ha fatto, può ascoltare, imparare, ed essere confortato a sua volta da altri.

COBB - E cosa ne dite di interrompere per un po', e stare tranquillo, finché non vedrete come andranno le cose?

BUN. - Signore, risposi, Wickliffe dice che quello che interrompe di predicare e di ascoltare la Parola di Dio per timore della scomunica da parte degli uomini, è già scomunicato da Dio, e nel giorno del giudizio sarà considerato un traditore di Cristo.

COBB - E anche quelli che non ascoltano saranno giudicati in quel modo; perciò ascoltate.

BUN. - Ma Signore, risposi, egli parla di colui che interrompe di predicare o di ascoltare ecc. Cioè, colui che ha ricevuto un dono a scopo di edificazione, pecca se non lo impiega per esortare e consigliare, secondo la misura del dono ricevuto; e così pure se contemporaneamente non ascolta gli altri predicare.

COBB - Ma, disse, come possiamo sapere che hai ricevuto un dono?

BUN. - Chiunque, risposi, può ascoltare, indagare e verificare la dottrina secondo la Bibbia.

COBB - Ma, disse, siete disposto a che due persone imparziali decidano il vostro caso? E ve ne starete al loro giudizio?

BUN. - Chiesi : Sono infallibili?

COBB - Rispose di no.

BUN. - Allora dissi, è possibile che il mio giudizio valga quanto il loro; li escluderò entrambi, e in questa faccenda vorrò essere giudicato dalle Scritture. Sono sicuro che esse sono infallibili, e che non possono sbagliare.

COBB - Ma, obbiettò, chi sarà giudice tra di voi, dal momento che voi interpretate le Scritture in un modo, e altri in un altro ?

BUN. - La Bibbia potrebbe, risposi; basterebbe paragonare le Scritture fra loro: infatti la Bibbia si manifesterà chiaramente, se sarà interpretata in modo giusto. Per esempio, se vogliamo conoscere l'esatta 'interpretazione della parola «Mediatore», le Scritture ce la danno, e ci dicono che chi è mediatore deve agire fra due persone, e non può essere mediatore di uno solo: «ma Dio è uno, e c'è un mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo». Così le Scritture chiamano Cristo «completo», ossia perfetto, o abile «sommo sacerdote». Questo risulta chiaro dal fatto che egli è chiamato uomo, e anche Dio. Inoltre è palese che il suo sangue è oltremodo efficace per le stesse cose. Così le Scritture, toccando l'argomento delle riunioni, si palesano sufficientemente e scoprono le loro intenzioni.

COBB - Ma siete disposto, disse, a sottostare al giudizio della Chiesa?

BUN. - Sì, Signore, risposi, alla approvazione della Chiesa di Dio: il giudizio della Chiesa è meglio espresso nelle Scritture. Ho già avuto con qualcun'altro una lunga conversazione, che ora non ricordo bene, sulle leggi della nazione, e sulla sottomissione alle norme: a questo proposito io dissi che mi ritenevo obbligato in coscienza a comportarmi secondo leggi giuste, sia che ci fosse un Re o no; e se facevo qualcosa contraria alla legge, consideravo mio dovere sopportare pazientemente i rigori della legge che erano previsticontro i trasgressori; e avevo aggiunto moltealtre parole sull'argomento. Inoltre aggiunsi che,per togliere di mezzo ogni possibilità di sospetto,per quanto riguardava l'innocuità della mia dottrina in privato, volentieri mi sarei sottoposto a dare a chiunque le note di tutti i miei sermoni; poiché io desideravo sinceramente di vivere in pace nel mio paese, e di sottomettermi all'autorità.

COBB - Bene amico Bunyan, disse, veramente vorrei che voi consideraste seriamente tutte queste cose da ora alla prossima sessione trimestrale, e che decideste di fare atto di sottomissione. Potete fare ancora molto bene se continuate a restare nel paese. Ma ahimé, quale beneficio verrà ai vostri amici, o che bene potrete far loro, se verrete mandato oltremare, in Spagna, a Costantinopoli, o in qualche altra remota parte del mondo? Vi prego, lasciatevi guidare.

CARCERIERE - Davvero, Signore, spero che si farà convincere.

BUN. - Io vorrò con tutto me stesso, dissi, in piena buona fede e onestà, comportarmi bene nel mio paese, finché ci sarò. E se dovrò essere trattato nel modo che dite, spero che Dio mi aiuterà a sopportare quello che mi infliggeranno. Non conosco nessun male che io possa aver fatto a questo proposito, da essere trattato così. Lo dico come se fossi alla presenza di Dio.

COBB - Sapete che la Bibbia dice: «I poteri che ci sono, sono stati stabiliti da Dio?».

Buri. - Risposi che lo sapevo, e che dovevo sottomettermi al Re, come capo supremo, e ai governanti, in quanto inviati da lui.

COBB - Bene, allora, disse, il Re vi ordina di non fare più riunioni private: è contrario alle sue leggi, ed è stabilito da Dio, perciò voi non ne dovete fare.

BUN. - Gli risposi che Paolo ai suoi tempi aveva dei poteri che gli derivavano da Dio; e tuttavia, proprio per questo, fu spesse volte in prigione. Inoltre, sebbene Gesù Cristo avesse detto a Pilato che non aveva poteri contro di lui, se non gli provenivano da Dio, pure morì proprio sotto Pilato. E spero, aggiunsi, che non direte che sia Paolo che Cristo furono tali da non riconoscere la magistratura, e che perciò peccarono contro Dio, disprezzando la legge. Signore, la legge mi fornisce due possibilità di obbedienza: l'una consiste nel fare ciò che in coscienza ritengo di dover fare, attivamente; e quando non posso obbedire attivamente, sono disposto a subire e a sopportare quello che mi faranno.

Nell'udire ciò, egli rimase immobile e non aggiunse altro; ed io lo ringraziai per la conversazione così civile e mite che aveva avuto con me: così ci separammo. Oh! Spero che possiamo incontrarci in Cielo.

Addio. J. B.

Segue la conversazione fra mia moglie e i giudici, ed altri, a proposito della mia liberazione alle Assise successive, come io la ricevetti dalle sue stesse labbra.

Dopo che mi era stato minacciato l'esilio o la condanna a morte, e dopo la precedente ammonizione che riguardava la determinazione dei giudici a procedere contro di me, se non ritrattavo, avvicinandosi il tempo in cui avrei dovuto abiurare, o peggio (come mi aveva consigliato Mr. Cobb), venne il giorno in cui il Re (Carlo II) doveva essere incoronato. Ora, in occasione dell'incoronazione dei re, c'era di solito la scarcerazione di molti prigionieri, proprio in virtù dell'incoronazione; ed anch'io avrei dovuto essere tra i privilegiati. Ma poiché mi consideravo un condannato, a meno che non inpetrassi la grazia (come la chiamavano), non avrei potuto aver nessun beneficio. Tuttavia, poiché il proclama dell'incoronazione concedeva l'opportunità di chiedere la grazia dal giorno in cui il re veniva incoronato, fino allo stesso giorno dell'anno successivo, sebbene non mi avessero fatto uscire di prigione, come avevano fatto con migliaia di prigionieri, non potevano comunque dare esecuzione alla loro sentenza, a causa della libertà che avevano offerto di chiedere la grazia. Per cui io continuai a restare in prigione sino alle Assise successive, chiamate Assise estive, che si tennero nell'agosto del 1661. A quelle Assise, non volendo lasciare intentato nulla che fosse legittimo, presentai, per mezzo di mia moglie, una petizione ai giudici tre volte, affinché mi si ascoltasse, e si volesse prendere in considerazione il mio caso di imparzialità.

La prima volta, mia moglie la presentò al giudice Hales, che la ricevette dalle sue mani con molta benevolenza, dicendole che avrebbe fatto per me e per lei il meglio che poteva; ma temeva, disse, di non poter far nulla. Il giorno dopo, per timore che, a causa della gran mole di lavoro, potessero dimenticarsi di me, gettammo un'altra petizione nella carrozza del giudice Twisdon; ed egli, quando la vide, si infuriò con mia moglie, e le disse rabbiosamente che io ero incriminato, e non potevo essere rilasciato, a meno che non promettessi di non predicare più, ecc.

Ciò nonostante, ella ne presentò un'altra al giudice Hales quando questi era già sul suo seggio del tribunale, poiché sembrava che egli fosse disposto a darle udienza. Solo che il giudice Chester, che era presente, balzò in piedi, e disse che ero incriminato, e che ero un tipo esaltato (o qualcosa di simile) per cui il giudice Hales respinse la petizione, e non volle immischiarsi.

Tuttavia mia moglie, incoraggiata dal cancelliere capo, osò presentarsi ancora una volta a loro (come fece la povera vedova con il giudice ingiusto), per tentare tutto il possibile per ottenermi la libertà, prima che essi lasciassero la città. Il posto dove li raggiunse era la sala della locanda del Cigno, dove i due giudici e i maggiorenti del paese si erano radunati. Dopo essere entrata nella sala con il volto segnato e il cuore tremante, rivolse loro la sua petizione con queste parole:

DONNA - Mio Signore (rivolgendosi al giudice Hales), ho l'ardire di presentarmi di nuovo a Vostra Signoria per sapere che cosa si può fare per mio marito.

GIUDICE HALES - Donna, le rispose, ti ho detto prima che non posso far nulla; quello che tuo marito ha detto nella sessione precedente è stato preso per un'ammissione di colpa; e, a meno che non ci sia qualcosa che possa annullarla, non posso far nulla per te.

DONNA - Mio Signore, disse, egli è tenuto in prigione ingiustamente, ve lo hanno rinchiuso prima che ci fosse un qualunque bando contro le riunioni; anche l'imputazione è falsa. Inoltre, non gli hanno mai chiesto se fosse colpevole o no; ed egli non ha mai riconosciuto l'imputazione.

UNO DEI GIUDICI - Allora uno dei giudici che era presente, ma che mia moglie non conosceva, disse: Signore, è stato incriminato secondo giustizia.

DONNA - È falso; poiché quando gli dissero: riconoscete la vostra colpa?, egli rispose soltanto che era stato a diverse riunioni, dove si predicava la Parola di Dio e si pregava, e che fra loro c'era la presenza di Dio.

GIUDICE TWISDON - (Rabbiosamente): Come, voi credete che noi possiamo fare quello che ci pare; vostro marito è un perturbatore della pace, ed è stato incriminato secondo la legge, ecc.

Al che il giudice Hales mandò a prendere il libro delle leggi approvate dal Parlamento.

DONNA - Ma egli, mio Signore, non è stato condannato secondo la legge.

CHESTER - Signore, egli è stato condannato secondo la legge.

DONNA - È falso; essi parlarono soltanto di condanna (come il lettore già sa).

CHESTER - È tutto a verbale. E deve essere per forza vero perché è stato messo a verbale. Con queste parole tentò spesso di chiuderle la bocca, non avendo altro argomento che questo per convincerla.

DONNA - Mio Signore, disse, ero poco tempo fa a Londra, per vedere se potevo ottenere la libertà per mio marito; parlai con Lord Barkwood, della Camera dei Lords, e gli consegnai una petizione. Egli la prese e la presentò a qualche membro della Camera dei Lords, per cercare di ottenere il rilascio di mio marito; ed essi, quando la ebbero vista, dissero che non potevano rilasciarlo, ma che avevano devoluto il suo rilascio ai giudici, alle prossime assise. Questo mi disse; ora io son venuta da voi per vedere se si può far qualcosa, e voi non concedete né rilascio, né aiuto. Al che essi non risposero, ma si comportarono come se non l'avessero udita.

CHESTER - Solo lui ripeteva spesso; Egli è incriminato, è tutto a verbale.

DONNA - Se è così, è tutto falso.

CHESTER - Mio Signore, disse, quell'uomo è un essere nocivo, non ce n'è un altro come lui nel paese.

TWIS. - Ebbene, vostro marito rinuncerà a predicare? Se così farà, allora mandatelo a chiamare.

DONNA - Mio Signore, egli non oserà smettere di predicare, finché avrà fiato per parlare.

TWIS. - E allora, perché dovremmo continuare a parlare di quell'individuo? Dobbiamo forse fare quello che vuole? È un perturbatore della pace.

DONNA - Gli ripeté che suo marito desiderava vivere in pace, e fare il suo mestiere, in modo da potere mantenere la famiglia; ed aggiunse: mio Signore, ho quattro bambini piccoli, che non possono badare a se stessi, e una di essi è cieca; non hanno niente di cui vivere, se non la carità della brava gente.

HALES - Hai quattro bambini?, chiese. Sei ancora giovane per avere quattro figli.

DONNA - Io sono solo la loro matrigna, avendo sposato il loro padre due anni fa. Veramente aspettavo un figlio quando mio marito fu arrestato; ma poiché ero giovane e poco esperta di queste cose, per lo spavento fui colta dalle doglie, che mi durarono otto giorni; poi partorii, ma il mio bambino morì.

HALES - (considerando la cosa con gran serietà) : Povera donna! disse.

TWIS. - Ma il giudice Twisdon le disse che ostentava la sua povertà come una bandiera; ed aggiunse che sapeva che mi mantenevo meglio andando in giro a predicare, che facendo il mio mestiere.

HALES - Qual è il suo mestiere ?

Risposta (da parte di qualcuno dei presenti) : Fa il calderaio, mio Signore.

DONNA - Sì, disse, e poiché è un calderaio e un povero uomo, è disprezzato e non può avere giustizia.

HALES - Rispose con molta benevolenza: Ti dico, donna, che hanno preso per un'ammissione di colpa quello che tuo marito ha detto. Tu puoi rivolgerti al Re, o presentare istanza di grazia, o cercare di ottenere un riconoscimento di errore giudiziario.

CHEST. - Ma quando il giudice Chester lo udì darle questi consigli, specialmente sentendo parlare di errore giudiziario, reagì con l'aria molto offesa, dicendo: Mio Signore, quell'uomo predicherà e farà qual che gli pare.

DONNA - Egli non predica altro che la Parola di Dio, disse.

TWIS. - Predica la Parola di Dio! (e con questo pensava di colpirla). Corre su e giù a far danni!

DONNA - No, mio Signore, non è così; Dio è sceso in lui, e per mezzo suo ha fatto molto bene.

TWIS. - Dio! La sua dottrina è quella del demonio!

DONNA - Mio Signore, quando verrà il giudice imparziale, si saprà che la dottrina professata da mio marito non era quella del demonio.

TWIS. - Signore, disse rivolto al giudice Hales, non datele retta, mandatela via.

HALES - Allora disse : Mi dispiace donna, di non poterti aiutare. Tu devi fare una di quelle tre cose che ti ho detto prima, e cioè: rivolgerti al Re, presentare istanza di grazia, o cercare di ottenere un riconoscimento di errore giudiziario; questa ultima è la cosa meno costosa.

DONNA - Al che Chester sembrò di nuovo alterarsi, si tolse il cappello, e secondo mia moglie, scosse la testa in preda all'ira. Allora ella vide che non c'era possibilità di far venire suo marito, in modo che potesse parlare in sua difesa, e disse loro: Egli avrebbe potuto dar loro più soddisfazione di quanto non possa fare io, in quello che volevano sapere da lui; e aggiunse molte altre cose che ha dimenticato. Solo questo rammenta, che sebbene fosse alquanto timorosa appena entrata in quella stanza, prima di uscirne non poté trattenersi dallo scoppiare in lacrime, non tanto perché erano stati così spietati con lei e suo marito, ma al pensiero che quelle povere creature avrebbero dovuto rendere un amaro conto alla venuta del Signore, quando avessero dovuto rispondere di tutto quello, buono o cattivo che fosse, che avevano fatto durante la loro vita terrena. E quando ella si fu allontanata, si fecero portare la raccolta delle leggi approvate dal Parlamento, ma non sa proprio quali conclusioni ne trassero, e non ebbe mai più loro notizie.

Alcune accuse contro di me da parte degli avversari della verità divina, alle Assise del 19 Gennaio 1552.

Tralascio quello che successe fra le due assise, come io potei ottenere, più che alla prima di esse, una certa libertà dal mio carceriere, e come proseguii il mio abituale corso di predicazioni, cogliendo tutte le occasioni che mi si presentavano per visitare il popolo di Dio, ed esortarlo ad essere saldo nella fede di Gesù Cristo, e a badare bene di non basarsi sul rituale della liturgia anglicana, ecc., ma di tener presente la Parola divina, che indirizza il cristiano in ogni sua necessità, avendo il potere di rendere l'uomo di Dio perfetto in tutte le cose per mezzo della fede in Gesù Cristo, e di predisporre alle buone opere. Inoltre, godendo di una maggior libertà, andai a visitare i nostri fratelli cristiani di Londra; e quando i miei nemici lo seppero, si adirarono a tal punto che quasi scacciarono dal suo posto il mio carceriere, minacciando di incriminarlo, e di fare tutto quello che potevano contro di lui. Inoltre accusarono me di essere andato a Londra a tramare un complotto, a suscitare discordia, e a fare un'insurrezione, la qual cosa, Dio lo sa, era una calunnia; perciò la mia libertà fu ancora più limitata di prima, tanto che non potevo neppure guardare fuori dalla porta.

Ebbene, quando fu il tempo della sessione successiva, intorno al 10 di Novembre, io mi aspettavo di essere trattato molto severamente. Ma essi mi passarono oltre, e non mi convocarono, cosicché io dovetti aspettare la sessione d'Assise, che si teneva il 19 gennaio dell'anno successivo. Avvicinandosi quella data, poiché desideravo essere condotto davanti al giudice, pregai il mio carceriere di metter il mio nome in calendario in mezzo a quello dei criminali, e mi feci amico del giudice e del cancelliere capo, che mi promisero che sarei stato chiamato; e così io pensavo che quello che avevo fatto servisse al mio scopo. Ma tutto fu vano: infatti venne il giorno dell'Assise, e sebbene il mio nome fosse in Calendario, e sebbene sia il giudice che il cancelliere mi avessero promesso che sarei comparso di fronte a loro, tuttavia i giudici ordinari e il giudice di pace fecero tanto che il mio caso fu differito, ed io non potei comparire. Io non conosco tutte le accuse che mi hanno fatto, so soltanto che il giudice di pace si rivelò uno dei miei più feroci oppositori. Infatti, prima andò dal mio carceriere, e gli disse che io non dovevo presentarmi al giudice, e che perciò non mi doveva mettere in calendario; il mio carceriere gli rispose che c'ero già. Allora egli gli chiese di cancellarmi, e il mio carceriere gli rispose che non poteva, poiché aveva dato al giudice e al cancelliere una copia ciascuno del calendario. Egli ne fu molto contrariato, e volle vedere la copia del calendario che aveva il mio carceriere; e quando l'ebbe vista, disse che era falsa, inoltre cancellò la mia imputazione, come era stata scritta dal carceriere (e non so quale fosse, proprio perché fu cancellata in quell'occasione); poi scrisse di suo pugno parole di questo tenore : John Bunyan era in prigione, perché leggittimamente accusato di aver tenuto riunioni e conventicole illegali, ecc.

Nonostante tutto questo, per timore che non fosse sufficiente quello che aveva fatto, prima si precipitò dal Presidente delle Assise, poi dai giudici, ed infine, per non lasciare nulla di intentato contro di me, ritornò dal mio carceriere, e gli disse che se io fossi comparso davanti al giudice, e fossi stato rilasciato, avrebbe fatto pagare a lui gli onorari che secondo lui gli dovevo; ed inoltre gli disse che si sarebbe lamentato di lui alla prossima sessione trimestrale, per aver fatto falsi calendari, sebbene proprio il mio carceriere, come appresi in seguito, avesse steso la mia imputazione in termini peggiori di quanto non fosse in realtà.

E così mi si impedì anche di comparire davanti al giudice, e mi si lasciò in prigione.

Addio J. B.     


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GRAZIA CHE ABBONDA AL PRIMO DEI PECCATORI (di John Bunyan, 1666)

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