Etica/Perché mai occuparsi di filosofia?: differenze tra le versioni

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Versione attuale delle 09:50, 31 dic 2022

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Perché mai interessarsi di filosofia?

Che cos'ha a che fare Gerusalemme con Atene? Ecco la domanda che spesso i cristiani si sono posti e si pongono ancora al riguardo della filosofia. Non è infatti raro, in circoli cristiani, un atteggiamento negativo verso la filosofia, verso una qualunque tradizione filosofica sviluppata indipendentemente dalla rivelazione cristiana. Si pensa che "Gerusalemme" (simbolo della fede ebraica e cristiana) ed "Atene" (simbolo delle filosofie di questo mondo) non abbiano nulla in comune. Si ritiene che la fede cristiana non abbia a che fare con "la ragione" e sostituisca la filosofia.

Alcuni evangelici sono indubbiamente in pericolo di considerare la filosofia qualcosa che non riguardi il credente e guardano con sospetto quei cristiani che se ne interessano come se questi ultimi pericolosamente scivolassero verso il baratro del "liberalismo". Dato che abbiamo la Parola di Dio ispirata nell'Antico e nel Nuovo Testamento, vi sono, così, cristiani bene-intenzionati che ritengono che la Bibbia sia sufficiente e cosi cercano nelle Scritture la risposta a complessi problemi filosofici e scientifici. Che bisogno abbiamo della sapienza di questo mondo, dicono, quando già abbiamo le Sacre Scritture? Certo, la Bibbia è sufficiente, ma bisogna spiegare esattamente per che cosa e come.

I cristiani non hanno motivo di avere un atteggiamento pregiudiziale verso la filosofia: di fatto non ne possono fare a meno! Ogni qual volta, infatti, si fa un qualsiasi ragionamento (complessivo ed analitico sulla realtà) si "fa filosofia". Inoltre, qualunque nostra affermazione, per essere intellegibile, comporta dei presupposti filosofici che devono essere spiegati. Si prenda, per esempio, il ben noto ed amato versetto biblico: "Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna" (Giovanni 3:16). Che cosa significa? Che cosa intendiamo per "Dio"? Che cosa significa dire che Dio "ha dato"? Dio non e forse immutabile? Come si può, allora, attribuirgli una qualsiasi azione? Inoltre, dato che Dio è eterno, come si può parlare di Lui con un verbo al passato? Che cosa significa, poi, dire "il suo unigenito Figlio"? Che significa "unigenito"? In che senso, poi, Dio può avere un "figlio"?

Ogni qual volta facciamo uso di parole come tempo e creazione, ogni qual volta applichiamo a Dio dei nomi, ed ogni qual volta parliamo del rapporto fra anima e corpo, ci immergiamo nel più bel mezzo di problemi teologici e filosofici. Di fatto, se non siamo in grado di filosofare in modo intellegibile siamo suscettibili ad errori piuttosto gravi. Il problema non e "la filosofia" in quanto tale ma il modo in cui ragioniamo e su quali presupposti. Possiamo ragionare in modo giusto ed in modo sbagliato, possiamo avere presupposti giusti e presupposti sbagliati, ma ragionare intellegibilmente dobbiamo ed allora, inevitabilmente, "facciamo filosofia". Le nostre non saranno le filosofie di "Atene", ma sicuramente dobbiamo avere la filosofia di "Gerusalemme" ed avere idee chiare al riguardo, altrimenti quel che diciamo sarà incomprensibile, incoerente, caotico, insensato come il bla-bla incoerente di chi "parla in lingue". L'apostolo Paolo, però, che era in grado di confrontarsi con i filosofi di Atene, diceva: "preferisco dire cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua"  che nessuno comprende (1 Corinzi 14:19).
 
Possiamo e dobbiamo avere una chiara, coerente e bene strutturata concezione del mondo, possiamo e dobbiamo avere una chiara, coerente e bene strutturata filosofia cristiana fondata fondata e dedotta dall'insegnamento delle Sacre Scritture, ed è quello che ci proponiamo di esporre in queste pagine.