Letteratura/Istituzione/3-23: differenze tra le versioni

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Ma non bisogna dimenticare quel che aggiunge: "Poiché non sappiamo chi appartiene o no al numero e alla compagnia dei predestinati, dobbiamo essere inclini ad augurare la salvezza di tutti. Se le cose stanno così, cercheremo di rendere partecipi della nostra pace tutti coloro che incontriamo. Per il resto, essa non riposerà che su coloro che sono figli di pace. In breve, per quanto sta in noi, dobbiamo usare, come medicina, una correzione salubre e severa verso tutti, affinché non periscano o perdano gli altri; ma spetta a Dio rendere la nostra correzione utile a coloro che Egli ha predestinato ".
Ma non bisogna dimenticare quel che aggiunge: "Poiché non sappiamo chi appartiene o no al numero e alla compagnia dei predestinati, dobbiamo essere inclini ad augurare la salvezza di tutti. Se le cose stanno così, cercheremo di rendere partecipi della nostra pace tutti coloro che incontriamo. Per il resto, essa non riposerà che su coloro che sono figli di pace. In breve, per quanto sta in noi, dobbiamo usare, come medicina, una correzione salubre e severa verso tutti, affinché non periscano o perdano gli altri; ma spetta a Dio rendere la nostra correzione utile a coloro che Egli ha predestinato ".
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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO 23.

CONFUTAZIONE DELLE CALUNNIE CON CUI, A TORTO, SI È SEMPRE DEPREZZATA QUESTA DOTTRINA

1. Quando la mente umana ode questi discorsi non riesce, nella sua intemperanza, a dominare turbamenti ed emozioni, come se una tromba avesse dato il segnale dell'assalto.

Parecchi, fingendo di tutelare l'onore di Dio, perché non sia a torto calpestato, ammettono sì l'elezione, ma negano l'esistenza dei reprobi: tesi sciocca e puerile, visto che l'elezione non esisterebbe se non si trovasse all'opposto della reiezione. È detto che Dio separa quelli che adotta per salvarli; é dunque sciocchezza eccessiva l'affermare che coloro, che non sono eletti, ottengono fortuitamente o acquistano con la loro iniziativa quel che è dato dall'alto soltanto a poche persone. Pertanto, quelli che Dio lascia da parte scegliendo gli altri, li respinge, e per il solo motivo che li vuole escludere dall'eredità che ha predestinato ai suoi figli.

Del resto, l'arroganza degli uomini non è sopportabile, quando non accetta di essere imbrigliata dalla parola di Dio, trattandosi della sua decisione incomprensibile, che perfino gli angeli adorano. Orbene, abbiamo poco fa udito 2che anche l'induramento, come la misericordia, deriva dalla decisione e dalla libertà di Dio. Infatti abbiamo anche visto che san Paolo non si preoccupa, come quei teorici, di giustificare Dio mediante la menzogna. Si limita ad affermare che non è lecito ad un vaso di terra argomentare contro chi lo ha plasmato (Ro 9.20).

Inoltre, coloro che non possono tollerare che Dio ne riprovi alcuni, come si libereranno dall'affermazione di Cristo: "Ogni albero che il Padre mio non avrà piantato, sarà sradicato "? (Mt. 15.13). Odono che tutti coloro che il Padre non si è degnato di piantare nel suo campo come alberi sacri, sono apertamente destinati a perdizione. Se negano che questo sia segno di reprobazione, non vi sarà niente di così chiaro che per loro non sia oscuro.

Anche se costoro non smettono di abbaiare o di mormorare, la nostra fede si attenga sobriamente all'avvertimento di san Paolo: che non c'è di che argomentare contro Dio se, da un lato, volendo mostrare la sua collera e manifestare la sua potenza, egli sopporta con grande pazienza e dolcezza gli strumenti di ira destinati a perdizione; e, d'altro lato, mostra le ricchezze della sua gloria verso gli strumenti di misericordia, che ha preparati per la gloria (Ro 9.22). Notiamo bene che san Paolo, per tagliar corto ad ogni maldicenza e mormorio, assegna alla collera e alla potenza di Dio un potere sovrano, essendo troppo sragionevole chieder conto dei giudizi profondi di Dio, i quali sommergono tutti i nostri sensi.

La risposta che danno è futile: Dio cioè non respinge del tutto coloro che indurisce con dolcezza, ma sospende il suo amore verso di loro, per vedere se per avventura si pentiranno. Come se san Paolo attribuisse a Dio una pazienza grazie alla quale aspetti la conversione di coloro che dice destinati a morire. E sant'Agostino, commentando questo passo, afferma con saggezza che quando la pazienza di Dio è unita alla sua potenza, non solo permette, ma governa realmente

3. I nostri contraddittori replicano: san Paolo, dicendo che gli strumenti di collera sono destinati a perdizione, aggiunge che Dio ha destinato a salvezza gli strumenti di misericordia, come se, con queste parole, intendesse dire che Dio è autore della salvezza dei credenti, e che la lode spetta a lui, ma che coloro che periscono vi si accingono da soli e con il loro libero arbitrio, senza essere riprovati da lui. Pur concedendo loro che san Paolo ha voluto, con queste parole, addolcire quanto poteva parere duro di primo acchito, tuttavia non c'è motivo di leggervi che i reprobi sarebbero destinati a perire per un motivo diverso dal volere segreto di Dio. San Paolo lo aveva già affermato in quello stesso passo, dicendo che Dio ha suscitato Faraone e che indura chi vuole; ne consegue che il volere incomprensibile di Dio è causa dell'indurimento.

Questo punto è comune con sant'Agostino e mi servirò delle sue parole per esprimerlo: Dio, facendo diventare pecore i lupi, li forma di nuovo con una grazia più forte, per domare la loro durezza; allo stesso modo gli ostinati non si convertono, perché Dio non spiega nei loro confronti una simile grazia, di cui pure non è privo, se volesse servirsene.

2. Questo basterà a tutti coloro che temono Dio con modestia, e che si ricordano di essere uomini; ma poiché quei cani che mormorano contro Dio vomitano varie specie di bestemmie, dovremo rispondere ad ognuno. Gli uomini che agiscono secondo la carne, pieni di follia argomentano su questo punto in vari modi contro Dio, come se potessero sottometterlo alle loro recriminazioni.

Anzitutto, chiedono perché Dio si adira contro le sue creature, che non l'hanno provocato con nessuna offesa. Poiché il perdere e mandare in rovina quelli che gli pare, è cosa che si addice meglio alla crudeltà di un tiranno che alla dirittura di un giudice. Perciò pare loro che gli uomini abbiano giustificato motivo di lamentarsi di Dio se, per suo volere, senza loro merito, sono predestinati alla morte eterna.

Se tali pensieri vengono talvolta in mente ai credenti, essi saranno sufficientemente armati per respingerli, se solo considereranno quale temerità sia l'indagare le cause della volontà di Dio, visto che essa è, e a buon diritto deve essere la causa di tutte le cose che accadono. Ma se essa ha qualche causa, bisogna che quella causa preceda, e che essa vi sia come legata, cosa che non è lecito immaginare. La volontà di Dio è a tal punto regola suprema e sovrana di giustizia, che tutto quel che egli vuole, bisogna considerarlo giusto per il fatto che egli lo vuole. È Quando dunque si chiede: perché Dio ha fatto così? Bisogna rispondere: perché lo ha voluto. Se si va oltre e si chiede: perché lo ha voluto? Questo significa chiedere una cosa più grande e più alta della volontà di Dio, che non si può indagare. La temerità umana si moderi dunque, e non cerchi quel che non c'è, per paura di non trovare quello che c'è. Questa briglia sarà opportuna per trattenere tutti coloro che vorranno meditare i segreti di Dio con rispetto. Dagli iniqui, che non hanno paura di maledire Dio apertamente, il Signore si difenderà lui stesso, con la sua giustizia, senza che gli facciamo da avvocati: toglierà alle loro coscienze ogni scappatoia, le incalzerà e le convincerà, senza che possano sfuggire.

Con questo però non approviamo le fantasticherie dei teologi papisti, concernenti la potenza assoluta di Dio; poiché quel che ne blaterano è profano, e perciò lo dobbiamo detestare. E neppure immaginiamo un Dio che non abbia legge alcuna, visto che egli è legge a se stesso. Infatti, come dice Platone, gli uomini, soggetti a cattive cupidigie, hanno bisogno di legge; ma la volontà di Dio, essendo pura da ogni peccato e regola sovrana di perfezione, e la legge di tutte le leggi. Insistiamo nel dire che Dio non deve renderci conto di quello che fa. E d'altra parte non siamo giudici idonei né competenti per pronunciarci su questo argomento secondo il nostro modo di sentire. Pertanto, se andiamo oltre quel che ci è lecito, dobbiamo temere la minaccia del Salmo, che dice che Dio rimarrà vincitore quando sarà giudicato dagli uomini mortali (Sl. 51.6).

3. Ecco in che modo Dio può reprimere i suoi nemici, tacendo; ma affinché non tolleriamo che essi si facciano beffe del suo nome, ci dà delle armi nella sua parola, per resistere ai loro assalti.

Di conseguenza, se qualcuno ci assale chiedendoci perché Dio ne ha predestinati alcuni alla condanna, i quali non l'avevano meritata visto che non esistevano ancora, gli chiederemo, d'altra parte, in che cosa ritenga che Dio sia debitore all'uomo, se lo considera nella sua natura. Poiché siamo tutti corrotti e contaminati da peccati, Dio non può che averci in odio, e non per crudeltà tirannica, ma per ragionevole giustizia. Dato che ogni uomo, per sua condizione naturale, è colpevole di condanna mortale, di quale iniquità, vi prego, si lamenteranno coloro che Dio ha predestinati a morte? Si facciano avanti tutti i figli di Adamo per contestare e discutere Cl. Loro Creatore il fatto che per sua eterna provvidenza sono stati destinati, prima di nascere, ad una calamità perpetua; ma quando Dio li avrà condotti a riconoscersi, che cosa potranno mormorare contro ciò? Se fanno tutti parte di una massa corrotta, non fa meraviglia che siano soggetti a condanna. Non accusino dunque Dio di iniquità, se per suo eterno giudizio sono destinati ad una condanna a cui la loro stessa natura li conduce; e lo sentono, per quanto malvolentieri. Da ciò appare quanto sia perversa la loro inclinazione a rivoltarsi, visto che coscientemente sopprimono quel che sono costretti a riconoscere: che cioè trovano la causa della loro condanna in loro stessi. Perciò, per quanto cerchino di giustificare, non possono essere assolti.

Anche quando avrò affermato loro cento volte la verità, che cioè Dio è autore della loro condanna, non per questo cancelleranno la loro colpa, che è incisa nella loro coscienza e viene loro del continuo dinanzi agli occhi.

4. Replicano daccapo, chiedendosi se non erano stati predestinati dal volere di Dio alla corruzione che noi diciamo causa della loro rovina. Se è così, il perire nella loro corruzione altro non è se non lo scontare la pena della calamità in cui Adamo è caduto per volere di Dio, ed in cui ha trascinato tutti i suoi successori. Dio non sarebbe dunque ingiusto, prendendosi gioco così crudelmente delle sue creature?

In risposta, ammetto che è stato per volere di Dio che tutti i figli di Adamo sono caduti in quella miseria in cui si trovano ora ad essere detenuti. Ed è quel che dicevo all'inizio, che bisogna sempre tornare al solo volere di Dio, di cui egli tiene la causa nascosta in se stesso; ma non ne deriva che si possa denigrare così Dio perché, con san Paolo, preverremo una tal accusa dicendo: "O uomo, chi sei, che tu possa contestare Dio? Il vaso chiederà forse al vasaio perché lo ha plasmato così? Il vasaio non ha forse il potere di fare di una stessa massa di terra un vaso onorevole e l'altro spregevole "? (Ro 9.20). Diranno che, così, la giustizia di Dio non è rettamente difesa, ma che è un sotterfugio caro a coloro che non hanno argomenti validi; infatti sembra poco, dire che la potenza di Dio non può essere impedita di fare tutto quel che le piace.

Dico che si tratta di ben altro. Quale argomentazione più ferma e più solida possiamo dare, se non ammonirci a considerare chi è Dio? Colui che è giudice del mondo potrebbe forse commettere qualche iniquità? Se il far giustizia è la caratteristica della sua natura, egli ama per natura la giustizia, e odia l'iniquità. Di conseguenza, l'Apostolo non ha cercato sotterfugi, come se fosse stato sorpreso senza via d'uscita; ma ha voluto far vedere che la giustizia di Dio è così alta ed eccelsa da non poter essere ridotta alla misura umana, o essere compresa nella piccolezza della mente umana. Riconosco che i giudizi di Dio hanno una profondità che inghiotte, come un abisso, la capacità di intendere degli uomini, quando ardiscono inoltrarvisi. Non è però sragionevole voler vituperare le opere di Dio quando non sappiamo capirne la ragione?

C'è a questo proposito una affermazione degna di nota in Salomone, che pochi capiscono: "Il Creatore di tutti "dice "è grande: darà ai pazzi ed ai trasgressori la loro ricompensa " (Pr 26.10). Esclama, stupito per la grandezza di Dio, che e in suo potere punire i pazzi ed i trasgressori, non avendoli resi partecipi del suo Spirito. Infatti è un desiderio pazzesco degli uomini, pretendere rinchiudere quel che è infinito ed incomprensibile in una misura così piccola come la loro mente.

San Paolo chiama "eletti "gli angeli che hanno conservato la loro integrità (1 Ti. 5.21). Se la loro costanza e fermezza è stata fondata sul volere di Dio, la rivolta dei demoni indica che non sono stati trattenuti, ma piuttosto lasciati andare: e di questo non si può dare altra giustificazione che la riprovazione, nascosta nel segreto volere di Dio.

5. Si faccia dunque avanti qualcuno dei manichei, o dei celestini, o qualche altro eretico, per calunniare la provvidenza di Dio: dico con san Paolo che non è necessario renderne ragione, dato che con la sua grandezza essa sorpassa interamente la nostra intelligenza. Che assurdità c'è in questo? Vorranno forse che la potenza di Dio sia tanto limitata da non poter fare altro all'infuori di quel che il nostro spirito potrà capire? Ripeto con sant'Agostino, che Dio ne ha creati molti, per i quali prevedeva la condanna eterna; e ciò è stato fatto perché egli lo ha voluto. E perché lo abbia voluto, non tocca a noi chiederne la ragione, visto che non possiamo capirla d'altra parte non conviene che discutiamo se la volontà di Dio è giusta o no, poiché quando se ne parla bisogna intendere con questo nome una regola infallibile di giustizia. Perché ci si chiede con dubbio se c'è iniquità laddove la giustizia appare chiaramente? Non vergogniamoci dunque di chiudere la bocca agli iniqui, come fa san Paolo, e di replicare loro, ogniqualvolta oseranno abbaiare come cani: chi siete voi, poveri miserabili, che accusate Dio senza ragione, solo perché non ha abbassato la grandezza delle sue opere al livello della vostra ignoranza, quasi il suo operare fosse iniquo perché ci è nascosto? L'altezza sconfinata dei giudizi di Dio vi deve essere abbastanza nota in base alle definizioni che ce ne dà. Sapete che sono detti: abisso profondo (Sl. 36.7); valutate ora la vostra piccolezza, per sapere se essa comprenderà quel che Dio ha decretato in se stesso. A che vi giova ingolfarvi con rabbiosa curiosità in quell'abisso che, a ragione, prevedete vi debba essere mortale? Come mai, quel che è scritto intorno alla incomprensibile sapienza di Dio e alla sua potenza, per noi spaventevole, tanto nella storia di Giobbe quanto nei Profeti, non vi trattiene incutendovi un po' di paura e timore? Se i vostri spiriti si dibattono in qualche problema, seguite senza vergognarvene l'affermazione di sant'Agostino: "o uomo "dice "aspetti tu risposta da me? Ma anch'io sono uomo; perciò ascoltiamo entrambi colui che ci dice: "O uomo, chi sei tu? "Certo, l'ignoranza di chi crede è preferibile ad una conoscenza temeraria. Cerca dei meriti, non troverai che punizione. Quale altezza! Pietro rinnega Gesù Cristo: il brigante crede in lui. Quale altezza! Vuoi cercare la ragione di queste cose? Io, invece, mi meraviglierei della loro grandezza. Tu, cerca pure finché vuoi, io, invece, mi meraviglierò. Discuti, da parte tua, e io crederò. Vedo l'altezza di tali cose: non riesco a raggiungere la loro profondità. Paolo ha trovato il modo di riposarsi, mettendosi in ammirazione. Afferma che i giudizi di Dio sono al di fuori di ogni conoscenza, e tu li vuoi sondare! Dice che le sue vie non si possono scrutare, e tu vuoi seguirne il tracciato!".

È inutile insistere, perché non soddisferemo la loro petulanza. E d'altra parte, Dio non ha bisogno di altra difesa all'infuori di quella di cui si è valso per mezzo del suo Spirito, parlando per bocca di san Paolo; inoltre, quando non parliamo secondo Dio, disimpariamo a parlare rettamente.

6. Vi è un'altra obiezione fatta dagli empi, la quale tende non tanto a biasimare Dio quanto a scusare il peccatore, sebbene a dire il vero il peccatore non si possa giustificare senza ignominia del giudice. Tuttavia, vediamo di che si tratta.

Perché, dicono, Dio imputerebbe a peccato agli uomini le cose di cui ha imposto loro la necessità attraverso la sua predestinazione? Infatti, che altro potrebbero fare? Potrebbero resistere ai suoi decreti? Sarebbe invano, anzi non potrebbero neppur farlo. Dio non ha dunque diritto di punire le cose la cui causa prima risiede nella sua predestinazione.

Non utilizzerò qui l'argomento di cui si valgono abitualmente i dottori della Chiesa: che, cioè, la preconoscenza di Dio non impedisce che l'uomo debba essere ritenuto peccatore riguardo ai peccati che commette lui, non Dio, che solo li prevede. La gente in cerca di cavilli non si accontenterebbe di questa risposta, ma andrebbe oltre, dicendo che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto ovviare ai mali che ha previsti; se non lo ha fatto, è perché ha deliberatamente creato l'uomo onde si comportasse in quel modo. Se l'uomo è stato messo in una condizione tale da dover fare tutto quel che fa, non gli si possono imputare a colpa le cose che non può evitare e a cui è costretto dal volere di Dio. Vediamo dunque come risolvere questa difficoltà.

Anzitutto, dobbiamo tener per certo quel che dice Salomone, che Dio ha creato tutte le cose a motivo di se stesso, anzi, l'iniquo per il giorno della sua perdizione (Pr 16.4). Pertanto, poiché Dio dispone di ogni cosa e può mandare la vita o la morte a suo piacimento, dispensa e ordina per suo volere che taluni, fin dal seno materno, siano con certezza destinati a morte eterna, onde glorificare il suo nome nella loro perdizione.

Se qualcuno, per scusare Dio, afferma che la sua prescienza non impone loro alcuna necessità ma che, vedendo di quale malvagità saranno, li crea in quella condizione, costui dirà sì qualcosa, ma non tutto. Gli antichi dottori si valevano talvolta di questa soluzione, ma è un po' come dubitare. Quelli della Sorbona vi si attengono del tutto, come se non vi fossero obiezioni possibili .

Per parte mia, ammetterò che la prescienza, da sola, non ha carattere di necessità per le creature, sebbene non tutti lo ammettano, poiché vi sono persone che la considerano causa di ogni cosa. Ma mi pare che Lorenzo Valla, per altro uomo non molto esperto nella Scrittura, abbia fatto una distinzione più sottile. Dimostra che questa disputa è vana, in quanto la vita e la morte sono azioni della volontà di Dio piuttosto che della sua prescienza. Se Dio si limitasse a prevedere quel che accade agli uomini, senza disporlo e ordinarlo come gli piace, sorgerebbe il problema di sapere quale necessità la prescienza di Dio imporrebbe agli uomini. Ma poiché egli vede le cose future unicamente perché ha deciso che avvengano, è follia disputare e discutere quel che fa la sua prescienza, quando è chiaro che tutto accade per suo ordine e disposizione.

7. Gli avversari sostengono che non c'è dichiarazione testuale riguardo ad una decisione di Dio perché Adamo dovesse cadere in rovina mortale. Ma la Scrittura ci attesta che egli fa tutte le cose che vuole, perciò è impensabile che abbia creato la più nobile di tutte le sue creature senza prevedere a quale fine e a quale condizione la creava.

Dicono che Adamo è stato creato Cl. Suo libero arbitrio, per darsi la sorte che voleva, e che Dio non aveva deciso nulla a suo riguardo, se non di trattarlo secondo i suoi meriti. Se si accetta una così misera soluzione, dove andrà a finire la potenza infinita di Dio, per mezzo della quale egli dispone tutte le cose in base alla sua volontà segreta, la quale dipende soltanto da lui?

Malgrado la loro opposizione accanita la predestinazione di Dio si rivela in tutta la discendenza di Adamo, poiché non è accaduto per via naturale che tutti scadano dalla loro salvezza per colpa di uno solo. Che cosa impedisce loro di riconoscere per il primo uomo quel che, loro malgrado, sono costretti ad ammettere per tutto il genere umano? Perché affaticarsi a trovar scuse? La Scrittura dice chiaramente che tutte le creature mortali sono state asservite alla morte nella persona di un solo uomo. Ciò non può essere attribuito alla natura, bisogna dunque che sia derivato dalla decisione mirabile di Dio. Gravissimo abbaglio per quegli avvocati preoccupati di difendere la giustizia di Dio il fermarsi di botto dinanzi ad una pagliuzza e saltare al di sopra di grosse travi. Chiedo loro di nuovo come mai la caduta di Adamo ha coinvolto tanti popoli con i loro figli, e senza alcun rimedio, se non perché così è piaciuto a Dio. Bisogna che quelle lingue così abili a cianciare si facciano mute, su questo punto. Riconosco che un tal decreto ci deve spaventare, tuttavia non si può negare che Dio abbia previsto, prima di creare l'uomo, la meta cui sarebbe pervenuto; e che l'abbia previsto perché così aveva voluto nella sua decisione.

Se qualcuno accusa qui la prescienza di Dio, lo fa temerariamente. Infatti, con che criterio si biasimerà il giudice celeste di non aver ignorato le cose che dovevano accadere? Se dunque vi è critica, giusta o di qualche consistenza, si rivolge piuttosto a quel che Dio ha disposto. Quello che dico, dunque, non deve sembrare strano: Dio non solo ha previsto la caduta del primo uomo, e in essa la rovina di tutta la sua posterità, ma ha voluto che così fosse. Infatti, come è caratteristico della sua sapienza conoscere in anticipo tutte le cose future, così appartiene alla sua potenza il reggere e governare tutto con la sua mano. Sant'Agostino decide e risolve molto bene questo problema, come molti altri: "Noi confessiamo che la nostra salvezza poggia su quel che crediamo rettamente, che Dio, signore e padrone di tutte le cose, le ha tutte create buone, sapendo che il male proverrebbe dal bene, e che era in potere della sua bontà la capacità di volgere il male in bene; piuttosto che di non permettere che esistesse il male, ha disposto la vita degli angeli e degli uomini in modo da mostrare in primo luogo quel che il libero arbitrio poteva, e in seguito quel che potevano il beneficio della sua grazia ed il suo giusto giudizio ".

8. Alcuni ricorrono qui alla distinzione fra volontà e permesso, affermando che gli iniqui periscono perché Dio lo permette, non perché lo vuole. Ma perché dovrebbe permetterlo, se non perché lo vuole? Non è verosimile che l'uomo si sia acquistato la condanna solo perché Dio lo ha permesso e non perché lo ha voluto, come se Dio non avesse ordinato quale voleva che fosse la condizione della sua creatura più nobile ed importante. Non esito dunque a riconoscere semplicemente, con sant'Agostino, che la volontà di Dio è la ragione necessaria di ogni cosa, e che necessariamente bisogna che quel che ha ordinato e voluto accada, così come certamente accadrà tutto quel che ha previsto.

Se i Pelagiani o i Manichei o gli Anabattisti o gli Epicurei (poiché trattando di questo argomento abbiamo a che fare con queste sette ) ricorrono, per scusarsi, al carattere necessitante della predestinazione di Dio, non giovano alla loro causa. Se la predestinazione altro non è che l'ordine e la manifestazione della giustizia divina, irreprensibile benché occulta, essendo chiaro che erano meritevoli di una tal condanna, è altrettanto evidente che la rovina in cui cadono per la predestinazione di Dio è giusta ed equa. La loro perdizione è così connessa con la predestinazione di Dio, di modo che la causa e il motivo si devono cercare in loro stessi. Il primo uomo è caduto, perché Dio aveva giudicato questo opportuno. Ma il motivo del suo giudizio ci è sconosciuto. È comunque certo che lo ha deciso perché ciò contribuiva alla gloria del suo nome Quando menzioniamo la gloria di Dio, pensiamo anche alla sua giustizia, poiché bisogna che quel che merita lode risulti giusto.

L'uomo dunque cade secondo quel che era stato preordinato da Dio: ma cade per sua colpa. Il Signore aveva affermato poco prima che tutte le cose da lui create erano molto buone (Ge 1.31); da dove deriva dunque la perversità dell'uomo, se non dall'essersi allontanato dal suo Dio? Onde non si pensasse che derivava dalla sua creazione, il Signore aveva approvato con la sua testimonianza tutto quel che aveva messo nell'uomo. Questi dunque ha corrotto con la sua malizia la natura buona che aveva ricevuto dal Signore. E così, con la sua caduta, ha trascinato con se nella rovina tutta la sua discendenza.

Contempliamo pertanto nella natura corrotta dell'uomo la causa, evidente, della sua condanna, piuttosto che cercarla nella predestinazione di Dio, dove è nascosta e totalmente incomprensibile. E non ci dispiaccia sottomettere il nostro intelletto all'infinita sapienza di Dio, affidandoci a lui in molte cose, che per noi sono incomprensibili. Quanto alle cose che non è possibile né lecito sapere, l'ignoranza è dotta; il desiderio di conoscerle è follia.

9. Qualcuno dirà che non ho ancora avanzato una ragione valida per demolire la tesi blasfema che condanno. Questo è impossibile perché l'empietà mormora e schernisce sempre: tuttavia mi pare di aver detto abbastanza per togliere all'uomo non solo ogni motivo di mormorare, ma anche ogni scusa.

I reprobi vogliono essere considerati degni di scusa anche se peccano, perché non possono sfuggire alla necessità di peccare, soprattutto poiché essa procede dall'ordine e dal volere di Dio. Nego, al contrario, che ciò li possa scusare, in quanto l'ordine di Dio del quale si lamentano è un ordine equo. Benché il motivo di tale equità ci sia sconosciuto, essa è tuttavia indubbia; perciò concludiamo che le pene che sopportano sono loro imposte dal giustissimo giudizio di Dio.

Insegniamo anche che è atteggiamento perverso, da parte loro, voler comprendere i segreti di Dio, che sono impenetrabili, per cercare l'origine della loro condanna, lasciando da parte la corruzione della loro natura, da cui invece essa deriva. Che questa corruzione non debba essere imputata a Dio, appare dal fatto che egli ha riconosciuta per buona la sua creazione. Benché l'uomo sia stato creato dalla provvidenza eterna di Dio per poi arrivare alla condizione di miseria in cui si trova, egli ne ha tuttavia tratto da se stesso la sostanza, e non da Dio. Infatti è perito unicamente perché, dalla pura natura che Dio gli aveva dato, è degenerato in una condizione di perversità.

10. Gli avversari di Dio si valgono ancora di un'altra assurdità per diffamare la sua predestinazione. Quantunque parlando di coloro che il nostro Signore ritrae dalla condizione universale degli uomini per farli eredi del suo Regno, non attribuiamo ciò ad altra causa all'infuori del suo volere, essi deducono che vi è dunque preferenza di persone da parte di Dio, cosa che la Scrittura nega sempre; di conseguenza bisogna dire che o la Scrittura si contraddice, o che Dio guarda ai meriti di coloro che sceglie

Anzitutto, quel che la Scrittura dice, che cioè Dio non ha preferenza di persone, è da intendere in un senso diverso da come loro lo intendono. Infatti con il vocabolo "persone "essa non intende l'uomo, ma le cose che, nell'uomo, danno nell'occhio per acquistargli favore, grazia, dignità, o al contrario odio, disprezzo o vergogna, come le ricchezze, la considerazione, la nobiltà, le cariche che conferiscono prestigio, il paese, la bellezza fisica e simili; oppure la povertà, l'essere di oscuri natali o privo di considerazione e di onori ecc. . .

In tal senso san Pietro e san Paolo indicano che Dio non ha riguardi personali (At. 10.34; Ro 2.10) , poiché non fa distinzione fra il Greco ed il Giudeo (Ga 3.28) per gradire l'uno e respingere l'altro soltanto in base alla nazione. San Giacomo si vale delle stesse parole quando dice che Dio, nel suo giudizio, non tiene conto delle ricchezze (Gm. 2.5). San Paolo se ne vale anche in un altro passo, volendo indicare che Dio non fa differenza fra padrone e servitore, dovendo giudicare l'uno e l'altro (Cl. 3.25; Ef. 6.9). Perciò non esiterò a dire che Dio elegge chi gli pare secondo il suo piacere, senza alcun merito da parte degli eletti, mentre respinge e riprova gli altri.

Tuttavia, per dare più completa soddisfazione esporrò così la cosa. Essi chiedono come mai, fra due uomini, che non differiscono in nulla in quanto a meriti, Dio ne sceglie uno e lascia indietro l'altro. Chiedo loro per parte mia se pensano vi sia in chi è eletto qualcosa che possa inclinare il cuore di Dio ad amarlo. Se riconoscono che non vi è nulla, e non possono fare altrimenti, ne deriverà che Dio non considera l'uomo, ma attinge nella sua propria bontà il motivo per fargli del bene. Che Dio ne scelga uno respingendo l'altro, non deriva dal fatto che Dio prende in considerazione l'uomo. Ma dalla sua sola misericordia, in base alla quale egli è libero di rivelarsi dove e quando gli pare opportuno. Abbiamo anzi già visto che, inizialmente, Dio non ha eletto molti nobili, saggi, ricchi ed eccellenti (1 Co. 1.26) , per umiliare l'orgoglio della carne, poiché il suo favore è lungi dal badare a certe apparenze.

11. Alcuni accusano dunque falsamente e malvagiamente Dio di non essere equo nella sua giustizia, per il fatto che nella sua predestinazione non tratta allo stesso modo tutti gli uomini. Se Dio, dicono, trova tutti gli uomini colpevoli, li punisca tutti allo stesso modo; se li trova innocenti, li assolva tutti.

Ma trattano Dio come se gli fosse proibito usare misericordia; oppure, se la vuol fare, come se fosse costretto a rinunciare interamente al suo giudizio. Infatti che altro chiedono, quando vogliono che se tutti hanno offeso tutti siano ugualmente puniti? Riconosciamo che l'offesa è universale, ma diciamo che la misericordia di Dio viene in aiuto ad alcuni. Venga dunque in aiuto a tutti, dicono. Ma noi replichiamo che è più che motivato il suo dimostrarsi anche giusto giudice, Cl. Punire. Con la loro intolleranza, non si sforzano forse di togliere a Dio il diritto di usare misericordia, oppure di concederglielo a condizione che rinunci al giudizio?

Queste affermazioni di sant'Agostino sono particolarmente calzanti: "Benché la massa universale del genere umano sia, in Adamo, incorsa nella condanna, gli uomini scelti per essere posti in onore non sono strumenti della loro giustizia, ma della misericordia di Dio. Altri, sono considerati degni di obbrobrio unicamente per suo giudizio, senza che per questo noi lo tacciamo di iniquità ". E "Il fatto che Dio renda a coloro che ha riprovati la punizione loro dovuta, e che dia a coloro che ha eletti la grazia che non era loro dovuta può essere indicato come giusto ed irreprensibile dal paragone con un creditore, cui piace rimettere il debito all'uno e richiederlo all'altro. Il Signore, dunque, può far grazia a chi vuole perché è misericordioso, e non farla a tutti perché è giusto giudice. Cl. Dare ad alcuni quel che non meritano, può dimostrare la sua grazia gratuita; col non darla a tutti, può dimostrare quel che tutti meritano ". E San Paolo, scrivendo che Dio ha incluso tutti gli uomini sotto il peccato al fine di far misericordia a tutti (Ro 11.32) , non manca di aggiungere immediatamente che egli non deve nulla a nessuno, poiché nessuno gli ha portato qualcosa di cui chiedergli ricompensa.

12. Gli avversari della verità ricorrono ancora ad un'altra calunnia per contestare la predestinazione: quando essa è stabilita, verrebbe meno ogni preoccupazione e sollecitudine a vivere bene. Infatti, dicono, chi sarà colui il quale udendo che morte o la vita gli è già stata decretata dall'immutabile consiglio di Dio, non pensi subito che il suo modo di vivere non ha importanza, visto che egli non può, con le sue opere impedire, o far avanzare la Predestinazione di Dio? Pertanto ciascuno si abbandonerà e si lascerà trasportare disordinatamente ovunque la sua cupidigia lo conduca.

Una tale affermazione non è falsa del tutto, poiché vi sono certi porci che infangando la dottrina della predestinazione di Dio con simili bestemmie, e si fanno beffe di ogni ammonimento e rimostranza. Dio, dicono, sa bene quel che ha una volta per tutte, deciso di fare di noi: se ha deciso di salvarci, ci condurrà a suo tempo alla salvezza, se ha deciso di perdonarci, ci tormenteremmo invano per salvarci.

Ma la Scrittura, indicando con quanta riverenza e timore dobbiamo pensare a questo mistero, educargli di Dio ad un sentimento ben diverso e condanna la presunzione e la violenza di questa gente. Infatti essa non ci parla di predestinazione per renderci gonfi di temerarietà o per incitarci a penetrare con un ardimento illecito i segreti inaccessibili di Dio; ma piuttosto perché in umiltà e modestia noi impariamo a temere il suo giudizio e a magnificare la sua misericordia. Tutti i credenti si impegneranno dunque a far questo.

Il grugnito di quei porci è messo a tacere da san Paolo. Essi affermano che possono benissimo vivere in maniera dissoluta perché, se sono nel numero degli eletti, i loro peccati non li impediranno di giungere alla salvezza; al contrario, san Paolo insegna che il fine della nostra elezione è che conduciamo una vita santa ed irreprensibile (Ef. 1.4). Se lo scopo della nostra elezione è di vivere santamente, essa ci deve piuttosto spingere e stimolare a meditare la santità che a cercare pretesto di indifferenza. Non sono forse alquanto diverse queste due cose: non preoccuparsi di compiere il bene perché l'elezione basta alla salvezza, e l'uomo è eletto per darsi al bene? Come sopporteremo dunque simili bestemmie che rovesciano così malvagiamente tutto l'ordine della predestinazione?

Quanto all'altra obiezione, che cioè il riprovato da Dio si affaticherebbe invano cercando di vivere puramente e con tutta innocenza, devono convincersi che si tratta di menzogna spudorata. Infatti, da dove deriverebbe un simile tentativo, se non dall'elezione di Dio? Poiché tutti coloro che sono nel numero dei reprobi, essendo strumenti di obbrobrio, non cessano di provocare la collera di Dio con infiniti misfatti, e di confermare con segni evidenti il giudizio di Dio decretato contro di loro: altro che resistervi invano!

13. Altri ancora calunniano malignamente ed impudentemente questa dottrina, come se essa annullasse tutte le esortazioni a vivere bene e santamente. Accusa di cui sant'Agostino è stato vittima a suo tempo; ma se ne è molto ben liberato nel libro a Valentino, intitolato Correzione e grazia, la cui lettura potrà tranquillizzare tutti coloro che temono Dio. Accennerò qui ad una parte di esso, e questo soddisferà gli spiriti sobri e non litigiosi.

Abbiamo già visto quale araldo sia stato san Paolo per annunciare ad alta voce l'elezione gratuita di Dio; è stato forse da ciò raffreddato al punto da non poter ammonire né esortare? Questa brava gente, piena di zelo, paragoni la sua vivacità a quella dell'apostolo; non si troverà che ghiaccio, in loro, a confronto dell'ammirevole ardore che è in lui. Di fatto, le affermazioni che non siamo chiamati ad impurità (1 Ts. 4.7) ma a che ciascuno abbia in onore il suo corpo, e che siamo opera di Dio, creati per le buone opere che egli ha preparate per farci camminare in esse (Ef. 2.10) , tolgono ogni dubbio. Insomma, chiunque abbia una certa dimestichezza con san Paolo, capirà come egli accordi le cose che quegli imbroglioni vogliono far credere

Contraddittorie. Gesù Cristo ordina che si creda in lui; tuttavia quando dice che nessuno può arrivarvi se non gli è dato dal Padre (Gv. 6.65) , non dice nulla che non sia vero.

La predicazione prosegua dunque secondo il suo corso per condurre gli uomini alla fede, radicarli in essa e farveli perseverare; non impedisca però che la predestinazione sia conosciuta, affinché coloro che ubbidiscono all'evangelo non si inorgogliscano, come se ciò venisse da loro, ma si gloriino in Dio. Non senza ragione Gesù Cristo afferma: "Chi ha orecchie per udire, oda " (Mt. 13.9). Così quando predichiamo ed esortiamo, coloro che hanno orecchie ubbidiscono volentieri; in quanto agli altri, si compie in loro quel che dice Isaia che, udendo, non odono (Is. 6.9). "E perché gli uni hanno orecchie "dice sant'Agostino "e gli altri no? Chi conosce la decisione del Signore? Bisogna dunque negare quel che è manifesto, quando non si può capire quel che è occulto? ".

Queste affermazioni sono tratte fedelmente da sant'Agostino; ma poiché le sue testuali parole avranno maggiore autorità delle mie, le citerò secondo le necessità. "Se alcuni "dice "divengono noncuranti e vili Cl. Pretesto della predestinazione, e si lasciano andare alle loro concupiscenze secondo la loro inclinazione, bisogna forse ritenere che quel che si afferma intorno alla predestinazione è falso? Se Dio ha previsto che saranno buoni, lo saranno, a qualunque malvagità siano ora dediti; e se ha previsto che saranno malvagi lo saranno, qualunque sia la bontà in cui oggi camminano. Bisogna dunque negare o nascondere quel che veramente ha da esser detto intorno alla prescienza di Dio, soprattutto quando, tacendo, si dà occasione ad altri errori? "E "Il sopprimere quel che è vero è cosa diversa dalla necessità di delucidarlo. Sarebbe lungo cercare tutti i motivi per tacerci la verità. Ve n'è uno fra gli altri: è affinché coloro che non odono non peggiorino, quando desideriamo istruire coloro che possono esserlo. Quelle persone, quando parleremo della predestinazione, non ne saranno rese più edotte, ma neanche peggioreranno. Posto il caso che la verità comporti che, quando la annunciamo, colui che non la può capire peggiori e che, se la teniamo sepolta, colui che la potrebbe capire ne abbia un danno, che cosa pensiamo si debba fare? Non bisognerà piuttosto dire quel che è vero, affinché coloro dai quali potrà essere inteso lo capiscano, piuttosto che tacere lasciando entrambi all'oscuro, e lasciare che chi è più in grado di capire peggiori a causa del nostro silenzio mentre, se ricevesse insegnamento, parecchi altri imparerebbero da lui? Rifiutiamo forse di dire quel che la Scrittura attesta essere lecito, Cl. Pretesto che temiamo che colui il quale non è in grado di avvantaggiarsene ne sia danneggiato? Ma non temiamo che colui il quale potrebbe capirlo cada in uno stato di falsità per colpa del nostro silenzio? ".

In seguito egli conferma con maggior chiarezza il suo dire con una breve conclusione: "Se gli Apostoli, dice, e i Dottori della Chiesa che li hanno seguiti hanno entrambi raccomandato di esporre chiaramente l'elezione eterna di Dio e di mantenere i credenti in una norma di vita santa, perché questi nuovi Dottori, costretti e convinti dalla forza invincibile della verità, affermano che non bisogna predicare al popolo la predestinazione, anche se quel che se ne dice è vero? Ma bisogna predicarla a qualunque costo, affinché coloro che hanno orecchie per udire odano. E chi le avrà, se non le riceve da colui che ha promesso di darle? Perciò colui che non ha ricevuto un tal dono respinga la buona dottrina, a condizione che colui che lo ha ricevuto l'accetti e ne beva, ne beva per viverne. Infatti, come bisogna predicare le buone opere affinché Dio sia servito come si conviene così bisogna predicare la predestinazione affinché colui che ha orecchie per udire si glorii in Dio e non in se ".

14. Tuttavia, questo santo dottore che aveva un singolare desiderio di edificare, avverte che è bene moderare alquanto il modo di insegnare la verità, onde guardarsi, per quanto possibile, dallo scandalizzare. Fa notare che quel che si dice in tutta verità, può ben essere conforme all'utilità: "Se taluno si rivolgesse al popolo in questi termini: "Se non credete, è perché siete predestinati a perire "non solo alimenterebbe la pigrizia, ma lusingherebbe anche la malvagità. Se poi andasse oltre, dicendo che se non crederanno neanche in futuro dimostreranno di esser riprovati, sarebbe un maledire anziché un insegnare ". Così sant'Agostino ammette che quelle persone siano da respingere come prive di idee e come motivo di turbamento per i semplici: tuttavia afferma che nessuno si avvantaggia nella correzione, se colui che può far avvantaggiare anche senza correzione non viene in aiuto con la sua compassione. In quanto al perché aiuta l'uno e non l'altro, non è argomento di cui l'argilla possa giudicare sostituendosi al vasaio. Aggiunge subito dopo: "Quando gli uomini, per mezzo della predicazione, vengono o tornano nella via della giustizia, chi opera nei loro cuori per dar loro salvezza, se non colui che fa crescere quando i ministri piantano o innaffiano? Orbene, se gli piace salvare, non c'è nessun libero arbitrio che gli resista. Perciò non vi è dubbio che le volontà degli uomini non possono resistere a quella di Dio, il quale fa tutto quel che vuole in cielo e in terra, e che anzi ha fatto quel che deve ancora venire, visto che fa quel che gli pare delle volontà degli uomini ". E ancora: "Quando vuole condurre gli uomini, forse li lega con dei legami corporei? Anzi, tiene i cuori dall'interno, li spinge e li tira per mezzo delle loro volontà, che egli ha formate in loro ".

Ma non bisogna dimenticare quel che aggiunge: "Poiché non sappiamo chi appartiene o no al numero e alla compagnia dei predestinati, dobbiamo essere inclini ad augurare la salvezza di tutti. Se le cose stanno così, cercheremo di rendere partecipi della nostra pace tutti coloro che incontriamo. Per il resto, essa non riposerà che su coloro che sono figli di pace. In breve, per quanto sta in noi, dobbiamo usare, come medicina, una correzione salubre e severa verso tutti, affinché non periscano o perdano gli altri; ma spetta a Dio rendere la nostra correzione utile a coloro che Egli ha predestinato ".