Etica/Il vero credo e la vera vita: differenze tra le versioni
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Horatius Bonar (1808-1889) ecclesiastico e poeta scozzese, nel capitolo 8 | ::Horatius Bonar (1808-1889) ecclesiastico e poeta scozzese, nel capitolo 8 "The True Creed and the True Life" del suo libro: "God's Way of Holiness", affronta il pericolo di un cristianesimo "effemminato". Egli avverte che c'è il rischio di scivolare verso una versione della fede troppo morbida e debole sotto il pretesto di una teologia elevata e eterea. Bonar descrive il cristianesimo come una pianta robusta, nata per resistere, non un esotico delicato, ma una pianta temprata dal vento freddo, non languida, infantile o codarda. Sostiene che il cristianesimo deve essere caratterizzato da una dignità e una forza morale vere, senza essere ostinato o capriccioso.. Horatius Bonar, "The True Creed and the True Life" in: God's Way of Holiness | ||
Matteo 12:49-50; Giovanni 14:21-23; 17:17-19; Romani 12:1; 1 Corinzi 1:7; 12:1-13; Efesini 4:15-16; Filippesi 3:10-14; 4:8. | [https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Matteo+12%3A49-50%3B+Giovanni+14%3A21-23%3B+17%3A17-19%3B+Romani+12%3A1%3B+1+Corinzi+1%3A7%3B+12%3A1-13%3B+Efesini+4%3A15-16%3B+Filippesi+3%3A10-14%3B+4%3A8&formato_rif=dv&versioni[]=Riveduta+2020 Matteo 12:49-50; Giovanni 14:21-23; 17:17-19; Romani 12:1; 1 Corinzi 1:7; 12:1-13; Efesini 4:15-16; Filippesi 3:10-14; 4:8.] | ||
L'alfabeto della verità del Vangelo è che ''"Cristo morì per i nostri peccati"'' (1 Corinzi 15:3). Per questo siamo salvati, ottenendo la pace con Dio e ''"accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi"'' (Romani 5:2). Ma chi crede in questo modo è anche reso partecipe di Cristo (Ebrei 3:14), partecipe della natura divina (2 Pietro 1:4), partecipe della chiamata celeste (Ebrei 3:1), partecipe dello Spirito Santo (Ebrei 6:4), partecipe della Sua santità (Ebrei 12:10). Nella Persona del suo Garante, egli è risorto oltre che morto; è asceso al trono, è seduto con Cristo nei luoghi celesti (Efesini 2:6); la sua vita è nascosta con Cristo in Dio (Colossesi 3:3). Ciò che egli deve essere nel giorno dell'apparizione del Signore, è considerato come se lo fosse ora, ed è trattato da Dio come tale. | L'alfabeto della verità del Vangelo è che ''"Cristo morì per i nostri peccati"'' (1 Corinzi 15:3). Per questo siamo salvati, ottenendo la pace con Dio e ''"accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi"'' (Romani 5:2). Ma chi crede in questo modo è anche reso partecipe di Cristo (Ebrei 3:14), partecipe della natura divina (2 Pietro 1:4), partecipe della chiamata celeste (Ebrei 3:1), partecipe dello Spirito Santo (Ebrei 6:4), partecipe della Sua santità (Ebrei 12:10). Nella Persona del suo Garante, egli è risorto oltre che morto; è asceso al trono, è seduto con Cristo nei luoghi celesti (Efesini 2:6); la sua vita è nascosta con Cristo in Dio (Colossesi 3:3). Ciò che egli deve essere nel giorno dell'apparizione del Signore, è considerato come se lo fosse ora, ed è trattato da Dio come tale. | ||
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Nel vivere per Cristo, dobbiamo seguirLo pienamente, non copiando una copia, ma copiando Lui stesso; altrimenti la nostra sarà una testimonianza imperfetta, una religione riflessa e debole, priva di facilità, semplicità e grazia, che porta i segni dell'imitazione e dell'arte, se non della falsificazione. | Nel vivere per Cristo, dobbiamo seguirLo pienamente, non copiando una copia, ma copiando Lui stesso; altrimenti la nostra sarà una testimonianza imperfetta, una religione riflessa e debole, priva di facilità, semplicità e grazia, che porta i segni dell'imitazione e dell'arte, se non della falsificazione. | ||
L'intero libro in inglese può essere trovato qui: https://books.google.co.uk/books?id=RuNrMN9LLKUC&printsec=frontcover&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q=effeminate&f=false | |||
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Il vero credo e la vera vita
- Horatius Bonar (1808-1889) ecclesiastico e poeta scozzese, nel capitolo 8 "The True Creed and the True Life" del suo libro: "God's Way of Holiness", affronta il pericolo di un cristianesimo "effemminato". Egli avverte che c'è il rischio di scivolare verso una versione della fede troppo morbida e debole sotto il pretesto di una teologia elevata e eterea. Bonar descrive il cristianesimo come una pianta robusta, nata per resistere, non un esotico delicato, ma una pianta temprata dal vento freddo, non languida, infantile o codarda. Sostiene che il cristianesimo deve essere caratterizzato da una dignità e una forza morale vere, senza essere ostinato o capriccioso.. Horatius Bonar, "The True Creed and the True Life" in: God's Way of Holiness
L'alfabeto della verità del Vangelo è che "Cristo morì per i nostri peccati" (1 Corinzi 15:3). Per questo siamo salvati, ottenendo la pace con Dio e "accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi" (Romani 5:2). Ma chi crede in questo modo è anche reso partecipe di Cristo (Ebrei 3:14), partecipe della natura divina (2 Pietro 1:4), partecipe della chiamata celeste (Ebrei 3:1), partecipe dello Spirito Santo (Ebrei 6:4), partecipe della Sua santità (Ebrei 12:10). Nella Persona del suo Garante, egli è risorto oltre che morto; è asceso al trono, è seduto con Cristo nei luoghi celesti (Efesini 2:6); la sua vita è nascosta con Cristo in Dio (Colossesi 3:3). Ciò che egli deve essere nel giorno dell'apparizione del Signore, è considerato come se lo fosse ora, ed è trattato da Dio come tale.
Coerenza
La fede, da un lato, gli chiede di guardare avanti alla gloria; dall'altro, gli chiede di guardare indietro a questa terra stanca come se avesse già terminato il suo pellegrinaggio: "Voi siete venuti al monte di Sion e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste, alla festante assemblea delle miriadi degli angeli" (Ebrei 12:22). Sicuramente, quindi, un cristiano è chiamato a essere coerente e deciso, oltre che gioioso, non conformato a questo mondo (Romani 12:2), ma a quel mondo a venire, in cui egli già dimora per fede, "quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà" (2 Pietro 3:11).
È stato motivo di lamentela più e più volte che alcuni di coloro che erano zelanti per queste "dottrine superiori", come sono state chiamate, non erano così attenti a "mantenere buone opere", o così attenti alla "morale minore" del cristianesimo come ci si sarebbe potuto aspettare. Non erano così magnanimi, non così aperti, né così generosi, né così umili, come molti la cui luce era più fioca; erano anche arroganti, inclini a disprezzare gli altri come oscuri e male istruiti, inclini a mostrare la loro consapevolezza di superiorità spirituale in modi o parole poco gentili. Questo non va bene. Maggiore conoscenza, minore amore! Dottrine più elevate, morale più bassa! Professano di essere seduti con Cristo nei luoghi celesti, eppure camminano nella carne, come se fossero orgogliosi della loro elevazione alla destra di Dio! Parlano della perfezione dell'uomo nuovo in loro, eppure esibendo alcune delle peggiori caratteristiche del vecchio!
Certamente, chi è "risorto con Cristo" dovrebbe essere come il Risorto. Ci si aspetterà che sia mite e umile, gentile e amorevole, semplice e franco, gentile e servizievole, liberale e generoso, non facilmente provocabile o offeso, trasparente e onesto, non egoista, ristretto, avido, presuntuoso, mondano, riluttante a essere istruito. La Scrittura è meravigliosamente equilibrata in tutte le sue parti; che il nostro studio di essa sia lo stesso, affinché possiamo essere persone ben equilibrate. Lo studio della parola profetica non deve sostituire quello dei Proverbi, né dobbiamo ricercare quest'ultimo semplicemente per scoprire le tracce delle "dottrine superiori" che possono essere trovate in quel libro.
Non dobbiamo trascurare il semplice, il piccolo e il comune; dobbiamo abbassarci alle meschine moralità, alle cortesie e alle onestà della vita più domestica, non trascurando quelle parti della Scrittura che trattano di queste come insulse o obsolete, ma applicandole a ogni passo del nostro cammino quotidiano, e dilettandoci in esse come la saggezza del solo Dio saggio.
C'è un gusto letterario viziato, che nasce non tanto dalla lettura di ciò che è cattivo, quanto dallo studio esclusivo di una classe di libri, e questi forse sono i più eccitanti. C'è anche un gusto spirituale viziato, che non nasce necessariamente dall'errore o dallo studio di libri non sani, ma dal favoritismo nella lettura della Scrittura, che si manifesta sia nella preferenza di certe parti rispetto ad altre, sia nella propensione a cercare queste altre solo per i loro riferimenti a certe verità preferite.
Lasciamo che l'intera anima sia nutrita dallo studio dell'intera Bibbia, affinché non ci siano irregolarità né disuguaglianze nella crescita delle sue parti e dei suoi poteri. Stiamo attenti alle orecchie e agli occhi "pruriginosi". È vero, non dobbiamo essere "bambini", incapaci di gustare cibi forti e non aveti "esperienza della parola della giustizia, perché è bambino" (Ebrei 5:13). Ma dobbiamo stare attenti alle esplosioni di una teologia sbilanciata e di un credo malinteso.
Il vero cristianesimo è sano e robusto, non molle, né malaticcio, né sentimentale; eppure, d'altra parte, non duro, né scarno, né sgradevole. "Fratelli, non siate fanciulli per senno; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto al ragionare siate uomini compiuti" (1 Corinzi 14:20). Non vogliamo semplicemente una teologia elevata e completa, ma vogliamo che la teologia si esprima nella vita, incarnata nobilmente nelle azioni quotidiane, senza nulla di ciò che il mondo chiama "ipocrisia" o "bigottismo". Più elevata è la teologia, più elevata e virile dovrebbe essere la vita che ne deriva. Dovrebbe conferire al carattere e al portamento cristiano una divina statura e semplicità; vera dignità di comportamento, senza orgoglio, rigidità o freddezza; vera forza di volontà, senza ostinazione, capriccio o caparbietà.
Quanto più elevata è la dottrina, tanto più dovrebbe metterci in contatto con la mente di Dio, che è “la verità”, e con la volontà di Dio, che è “la legge”. Chi conclude che, poiché ha raggiunto la regione delle “dottrine più elevate”, può librarsi al di sopra della Legge, o al di sopra dei credi, o al di sopra delle chiese, o al di sopra dei piccoli dettagli del dovere comune, dovrebbe stare in guardia contro una coscienza intorpidita, una religione fatta da sé e una vita traviata. Sebbene “posti in alto”, noi “consideriamo le cose umili” (vedere Salmi 138:6); apprezziamo l’elevato insegnamento delle Epistole, ma non apprezziamo di meno “la legge e i profeti”. Ascoltiamo la dottrina apostolica e impariamo a dire: “Sono stato crocifisso con Cristo, non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Galati 2:20); eppure non ci allontaniamo dai precetti apostolici come se fossero inferiori a noi: “Togliete via la menzogna”; “Ognuno dica la verità al suo prossimo”; “Chi rubava non rubi più”; “Ogni amarezza, ira, cruccio, clamore e maldicenza siano tolti via da voi con ogni sorta di cattiveria” (Efesini 4,25.28-29); “... come si addice a dei santi né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia sia neppure nominata fra voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti, ma piuttosto rendimento di grazie” (Efesini 5:3-4); “... deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, maldicenza e non vi escano di bocca parole disoneste. Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell'uomo vecchio con i suoi atti” (Colossesi 3:8-9).
Se ad alcuni sembra strano sentirsi dire che una persona redenta e risorta debba essere un osservatore della Legge, non sembri ancora più strano che uno a cui è affidato il ministero debba avere precetti così minuziosi come questi: “non dedito al vino né violento, ma sia mite, non litigioso, non amante del denaro” (1Timoteo 3:3)? Questi sono i comandamenti dello Spirito Santo, e sono Legge tanto quanto quella che fu proclamata in Horeb in mezzo al fuoco e all’oscurità. E la vera questione per noi (come abbiamo visto) non è se dobbiamo obbedire a questa o a quella legge, ma a qualsiasi legge. Se l'obbedienza alla Legge apostolica non è legalismo, allora non lo è neanche l'obbedienza alla Legge morale; e se la nostra comunione con Cristo ci esenta o ci disgiunge dalla Legge morale, ci esenta e ci disgiunge pure da ogni legge, in quanto tutto ciò che è contenuto nella Scrittura sotto forma di legge, precetto o comandamento proviene dall'unico Spirito di Dio, sia nel libro dell'Esodo che nell'epistola ai Romani.
Sappiamo, in effetti, che ciò che è semplicemente rituale o cerimoniale è scomparso, essendo stato esaurito e messo via da Cristo; ma ciò che è morale e spirituale rimane e deve rimanere per sempre; non un solo iota o apice di esso può fallire. Ciò che era morale o immorale quattromila anni fa è ancora lo stesso. Ciò che era morale o immorale per l'Ebreo lo è ancora per il Gentile. Un santo dell'Antico Testamento e un santo del Nuovo Testamento riposano sulla stessa roccia, sono lavati nello stesso sangue, mangiano lo stesso cibo spirituale e bevono la stessa bevanda spirituale (1 Corinzi 10:3-4), si sono rivestiti dello stesso Cristo, sono osservatori della stessa Legge, membri dello stesso corpo, eredi della stessa corona (Matteo 8:11; 21:43; Luca 13:28; Romani 11:18; Ebrei 11:40; Apocalisse 7:9-15). "Noi sappiamo che la legge è buona, se uno la usa legittimamente" (1 Timoteo 1:8), dice l'apostolo, ma secondo alcuni, l'unico modo lecito di usarla sarebbe non usarla affatto. È vero, “la legge non è fatta per l'uomo giusto” ma per “gli empi e i profani, per gli assassini... gli omicidi” (v. 9), e come un viaggiatore che si tiene a metà strada non entra mai in collisione con le recinzioni su entrambi i lati, così un cittadino tranquillo non ha bisogno di preoccuparsi delle leggi contro l'omicidio.
La legge dell'uomo non tocca chi la osserva, ma chi la infrange; eppure parla a tutti, è una guida per tutti, e i principi o le moralità della legge sono forgiati in tutti, e forgiati soprattutto in coloro per i quali “non è stata fatta”; così che coloro che non entrano mai in collisione con essa sono proprio coloro che inconsciamente, ma completamente, le obbediscono. La vita superiore, quindi, non è una vita contro la Legge, né una vita senza Legge, né una vita al di sopra della Legge, ma una vita come quella del grande adempitore della Legge, una vita in cui la Legge trova il suo sviluppo più pieno e perfetto. Fu così in Gesù; è così in noi, nella misura in cui gli somigliamo nello spirito e nel cammino. È una vita completamente coscienziosa, retta, onorevole. Alcuni, in effetti, sembrano identificare la coscienziosità con la schiavitù; ma tra le due non c'è somiglianza, salvo quando la coscienza non è illuminata, o è diventata malata e debole. Quando il sistema nervoso del corpo cade in disordine, allora Satana spesso (attraverso questa entrata) entra nell'anima e confonde la coscienza, ingrandendo il peccato immaginario e attenuando il peccato reale, facendo sì che gli uomini scambino una coscienza malata per una tenera. Ma questo non dovrebbe portare a disprezzare la completa coscienziosità in uno che è morto e risorto con Cristo; coscienziosità nelle piccole cose come nelle grandi, negli affari, nell'ordinare le nostre famiglie, nell'impiegare il nostro tempo e il nostro denaro, nell'adempiere gli impegni, nel mantenere le promesse, nell'adempiere i doveri, nel rendere testimonianza per Cristo, nel non conformarsi al mondo.
L'uomo che sa di essere risorto con Cristo e ha posto il suo affetto nelle cose di lassù, sarà un uomo giusto, fedele, semplice, altruista e veritiero. Egli aggiungerà "... alla fede vostra la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza l'autocontrollo, all'autocontrollo la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l'affetto fraterno e all'affetto fraterno l'amore" (2 Pietro 1:5-7). Cercherà di non essere "sterile né infruttuoso" (v. 8). “Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode siano oggetto dei vostri pensieri” (Filippesi 4:8), queste egli penserà e farà.
Cristianesimo debole
Perché c’è il pericolo di cadere in un cristianesimo debole, snervato e molle, sotto la scusa di una teologia elevata ed eterea. Il cristianesimo è nato per la resistenza; non una pianta esotica, ma una pianta robusta, sostenuta dal vento tagliente; non languido, infantile, né codardo. Cammina con passo fermo e corporatura eretta; è gentile, ma fermo e onesto; è calmo, ma non flessibile, facilmente persuaso al bene o al male; servizievole, ma non imbelle, vile; deciso, ma non scontroso e insensibile. Non teme di pronunciare la severa parola di condanna contro l’errore, né di alzare la voce contro i mali circostanti, con il pretesto che non è di questo mondo. Non si tira indietro dal dare un rimprovero onesto, per non essere accusato di mostrare uno spirito non cristiano. Chiama il peccato "peccato", su chiunque venga trovato, e preferirebbe rischiare l'accusa di essere mosso da uno spirito cattivo piuttosto che non assolvere un dovere esplicito.
Non giudichiamo male le parole forti usate in una controversia onesta. Da sotto la brace può uscire una vipera; ma noi ce la scrolliamo di dosso e non sentiamo alcun danno. La religione sia dell'Antico che del Nuovo Testamento è caratterizzata da fervide testimonianze schiette contro il male. Dire cose dolci in un caso del genere può essere sentimentalismo, ma non è cristianesimo. È un tradimento della causa della verità e della rettitudine. Se qualcuno dovesse essere franco, virile, onesto, allegro (non dico brusco o rozzo, perché un cristiano deve essere cortese e gentile), è colui che ha gustato che il Signore è clemente, e sta aspettando e affrettando la venuta del Giorno di Dio.
So che la carità copre una moltitudine di peccati; ma non chiama bene il male, perché un uomo buono lo ha fatto; non scusa le incoerenze, perché il fratello incoerente ha un nome alto e uno spirito fervente. La disonestà e la mondanità sono ancora disonestà e mondanità, sebbene esibite in uno che sembra non aver raggiunto un'altezza comune di conseguimento.
So anche che in questo mondo saremo maltrattati, e che è inutile tentare di rispondere a ogni accusa. Ma non lasciamo che un'accusa ci ponga addosso, con il pretesto che Dio si prenderà cura del nostro buon nome, quando forse la ragione segreta era che c'era qualche fondamento per la cattiva reputazione contro di noi, e che il nostro buon nome sarebbe stato meglio non essere portato a una prova troppo pubblica.
Difendiamoci quando si presenta l'opportunità o l'occasione lo richiede. Non è sbagliato essere gelosi del nostro buon nome e rispondere francamente alle giuste domande di amici o nemici. Ci sarà tempo a sufficienza per subire il martirio quando saremo effettivamente legati al rogo. È sciocco e debole cercare di diventare martiri prima del tempo. Paolo affrontò le accuse con coraggio e non avrebbe permesso che il suo bene fosse maledetto (Atti 28:17; 2 Corinzi 8:20-21; 11:9; 12:18-19). I nostri riformatori affrontarono i loro calunniatori con coraggio e, sebbene non riuscissero a fermare la penna del diffamatore, tuttavia fornirono materiale per rivendicare se stessi e la loro causa in modo molto ampio.
C'era solo Uno che era muto come una pecora davanti ai suoi tosatori, che non rispose una parola; e rimase in silenzio perché il castigo della nostra pace era su di Lui (vedi Isaia 53:5,7); ed essere reso "senza reputazione" (Filippesi 2:7) era una parte della pena che stava sopportando. Tuttavia, sappiamo quando tacere, così come quando parlare. Non è sempre giusto o decoroso rispondere a uno stolto secondo la sua stoltezza. Impariamo a sopportare e a trattenerci, senza dare "diamo motivo di scandalo in cosa alcuna, affinché il ministerio non sia biasimato" (2 Corinzi 6:3), né lasciando che diventiamo "oggetto di biasimo" (Romani 14:16), cercando le cose che contribuiscono alla pace e le cose con cui possiamo edificarci a vicenda, preoccupandoci di agire onestamente (2 Corinzi 8:21), non solo agli occhi di Dio, ma anche agli occhi degli uomini, avendo continuamente una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini (Atti 24:16, 20).
Piccoli mali?
Queste sono parole memorabili: "il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini" (Romani 14:17-18). Per molti di noi la vita cristiana non è giunta ancora alla maturità. "Voi correvate bene; chi vi ha fermati perché non ubbidiate alla verità?” (Galati 5:7). È stata un’opera ben iniziata, ma lasciata incompiuta; una battaglia intrapresa con audacia, ma combattuta solo a metà; un libro con solo la prefazione scritta, niente di più. Non è forse Cristo disonorato in questo modo? Non è forse il Suo Vangelo così travisato, la Sua Croce negata, la Sua Parola è stata disprezzata, il Suo esempio è stato disprezzato? Sono forse tramonti come quelli a cui abbiamo assistito troppo spesso le vere conclusioni delle albe luminose che abbiamo accolto? Devono i soli tramontare a mezzogiorno? Dovrebbero quelli di Efeso abbandonare il loro primo amore, Laodicea diventare tiepida e Sardi fredda? Sono questioni come queste inevitabili e universali? O non dovremmo protestare contro di esse come fallimenti, perversioni, crimini, del tutto inescusabili?
Se una vita santa consistesse in una o due azioni nobili, alcuni esemplari esemplari di azione o sopportazione, o sofferenza, potremmo giustificare il fallimento e considerare un piccolo disonore tornare indietro in un simile conflitto. Ma una vita santa è composta da una moltitudine di piccole cose. Sono le piccole cose dell'ora, e non le grandi cose dell'epoca, che riempiono una vita come quella di Paolo e Giovanni, come quella di Rutherford (1600-1661), o Brainerd (1718-1747), o Martyn (1781-1812).
Piccole parole, non discorsi o sermoni eloquenti, piccole azioni, non miracoli, né battaglie, né un grande atto eroico o un potente martirio, compongono la vera vita cristiana. Il piccolo raggio di sole costante, non il fulmine, “le acque di Siloe che scorrono lentamente” (Isaia 8:6) nella loro mite missione di ristoro, non "le acque del fiume, forti e numerose" (v. 8), che scorrono in un torrente rumoroso e impetuoso, sono i veri simboli di una vita santa. L'evitamento di piccoli mali, piccoli peccati, piccole incoerenze, piccole debolezze, piccole follie, piccole indiscrezioni e imprudenze, piccole debolezze, piccole indulgenze verso se stessi e la carne, piccoli atti di indolenza o indecisione o sciatteria o codardia, piccoli equivoci o aberrazioni da un'alta integrità, piccoli tocchi di meschinità e meschinità, piccoli frammenti di cupidigia e avarizia, piccole esibizioni di mondanità e allegria, piccole indifferenze verso i sentimenti o i desideri degli altri, piccoli scoppi di collera, o di stizza, o di egoismo, o di vanità: l'evitamento di piccole cose come queste contribuisce a costituire almeno la bellezza negativa di una vita santa.
E poi attenzione ai piccoli doveri del giorno e dell'ora, nelle transazioni pubbliche, o nei rapporti privati, o negli accordi familiari; a piccole parole, e sguardi, e toni; piccole benevolenze, o tolleranze, o tenerezze; piccole rinunce, autolimitazioni e dimenticanze di sé, piccoli progetti di quieta gentilezza e attenta considerazione per gli altri; alla puntualità, al metodo e al vero scopo nell'ordinare ogni giorno: questi sono gli sviluppi attivi di una vita santa, i ricchi e divini mosaici di cui è composta. Cosa rende quella verde collina così bella? Non la cima eccezionale o l'olmo maestoso, ma il prato luminoso che ne riveste i pendii, composto da innumerevoli fili d'erba sottile. È di piccole cose che è fatta una grande vita; e chi non riconoscerà nessuna vita come grande se non quella che è costruita di grandi cose, troverà poco nei personaggi della Bibbia da ammirare o copiare.
Redimere il tempo
Se vogliamo mirare a una vita santa e utile, impariamo a redimere il tempo.“Sono molto interessato a redimere il tempo”, dice Richard Baxter (1615-1691) nella Prefazione al suo Christian Directory, “perché in esso è inclusa la somma di una vita santa e obbediente”. Sì, redimiamo il tempo perché i giorni sono malvagi (Efesini 5:16; Colossesi 4:5). Una vita sprecata è il risultato di tempo non redento. Lavoro disordinato, donazioni impulsive, pianificazione discontinua, lettura irregolare, orari mal assortiti, esecuzione superficiale o non puntuale degli affari, fretta e confusione, indugio e impreparazione: queste, e simili, sono le cose che tolgono tutto il midollo e la potenza dalla vita, che ostacolano la santità e che corrodono come un cancro il nostro essere morale, che rendono il successo e il progresso un’impossibilità, sia per quanto riguarda noi stessi che per gli altri. Non c’è bisogno di routine, ma deve esserci regolarità; non dovrebbe esserci rigidità meccanica, ma deve esserci ordine; non ci può essere fretta, ma non si deve scherzare con il nostro tempo o con quello degli altri: "Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze" (Ecclesiaste 9:10).
Se la cosa vale la pena di essere fatta, vale la pena di essere fatta bene, e nelle piccole cose come nelle grandi dobbiamo dimostrare di essere seri. Non ci deve essere pigrizia, ma un cingere i lombi, un correre la corsa con pazienza, la guerra di una buona guerra, fermezza e perseveranza, "sempre abbondanti nell'opera del Signore" (1 Corinzi 15:58). I fiori sono costanti nella loro crescita; le stelle sono costanti nei loro corsi; i fiumi sono costanti nel loro scorrere; non perdono tempo. Così deve essere la nostra vita, non una di scatti o sussulti o impulsi casuali; non una di leggerezza o incostanza o volubili intrighi, ma ferma e risoluta: la vita di persone che conoscono la loro missione terrena e hanno gli occhi puntati sulla meta celeste.
Una vita santa nella stima dell'uomo può essere semplicemente una vita di benevolenza, o di austerità, o di puntuale devozione, o di gentile genialità, o di nobile rettitudine, o di liberale simpatia per tutti i credi, tutte le sette, tutte le verità e tutti gli errori. Ma una vita santa nella stima di Dio, e secondo l'insegnamento della Bibbia, deve essere fondata sulla verità, deve iniziare personalmente, in pace consapevole con Dio attraverso il sangue del patto eterno, deve crescere con l'aumento della verità e la liberazione dall'errore, deve essere mantenuta dalla comunione con Dio, in Cristo Gesù, attraverso la dimora dello "Spirito di santità" (Romani 1:4).
L'errore o la verità imperfetta ostacolano la santità. L'incertezza sulla nostra riconciliazione con Dio deve annuvolarci, angustiarci, incatenarci e quindi impedire la vera santità, oltre a favorire anche la falsa. La comunione deve essere preservata ininterrotta, affinché la trasmissione dell'elettricità celeste, in tutto il suo potere santificante e vivificante, possa continuare ininterrotta. Niente deve frapporsi: né il mondo, né l'io, né la carne, né la vanità, né gli idoli, né l'amore per la comodità e il piacere.
La Parola deve essere studiata in tutta la sua pienezza. Su tutta la sua lunghezza e larghezza dobbiamo diffonderci. Al di sopra di tutte le teologie, i credi, i catechismi, libri e innari, la Parola deve essere meditata, affinché possiamo crescere nella conoscenza di tutte le sue parti e nell'assimilazione ai suoi modelli. Le nostre anime devono essere immerse in essa, non in certe sue parti preferite, ma nel tutto. Dobbiamo conoscerla, non dal resoconto di altri, ma dalla nostra esperienza e visione, altrimenti la nostra vita sarà solo un'imitazione, la nostra religione di seconda mano e quindi di seconda categoria. Un altro non può respirare l'aria per noi, né mangiare per noi, né bere per noi. Dobbiamo fare queste cose per noi stessi. Quindi nessuno può fare la nostra religione per noi, né infonderci la vita di verità che può possedere. Queste non sono cose di procura o merce, o impartimento umano.
Dal Libro di Dio e dallo Spirito di Dio ognuno di noi deve essere istruito, altrimenti impariamo invano. Da qui l'eccessivo pericolo dell'influenza o dell'autorità umana. Un posto di influenza in tal caso diventa pericoloso allo stesso modo per il possessore dell'influenza e per coloro su cui tale dominio è esercitato. Anche quando è completamente dalla parte della verità, il suo risultato può essere solo un formalismo infruttuoso, una pietrificazione corretta, un'ortodossia intelligente, e sia coloro che possiedono l'influenza o sono sotto il suo potere dovrebbero stare molto in guardia affinché l'umano non soppianti il divino e il timore di Dio non sia "insegnato dal precetto degli uomini" (Isaia 29:13) - affinché non ne risulti una pietà artificiale, una mera religione facsimile, senza vitalità, senza conforto e senza influenza.
Chi ha "imparato da Cristo", chi "cammina con Dio", non sarà una persona artificiale, non una che recita una parte o sostiene un carattere. Sarà completamente naturale nei modi, nelle parole, nell'aspetto, nei toni e nelle abitudini. Sarà come la più naturale di tutte le creature, un bambino piccolo. Il cristianesimo diventa ripugnante nel momento in cui si sospetta che sia fittizio. La religione deve essere semplice. Nessuna affettazione, né pedanteria, né presunzione, né arie, né ciò che il mondo chiama “piagnisteo”, può servire la causa di Cristo, o dare peso al carattere, o vincere un avversario della Croce.
L'“epistola di Cristo”, per essere “conosciuta e letta da tutti gli uomini” (2 Corinzi 3:2) deve essere trasparente e naturale. Nel vivere per Cristo, dobbiamo seguirLo pienamente, non copiando una copia, ma copiando Lui stesso; altrimenti la nostra sarà una testimonianza imperfetta, una religione riflessa e debole, priva di facilità, semplicità e grazia, che porta i segni dell'imitazione e dell'arte, se non della falsificazione. Queste non sono cose di procura o di merce, o di trasmissione umana. Ognuno di noi deve essere istruito dal Libro di Dio e dallo Spirito di Dio, altrimenti impariamo invano. Da qui il pericolo eccessivo dell'influenza o dell'autorità umana.
Un posto di influenza in un caso del genere diventa pericoloso sia per il possessore dell'influenza che per coloro su cui tale potere è esercitato. Anche quando è completamente dalla parte della verità, il suo risultato può essere solo un formalismo infruttuoso, una pietrificazione corretta, un'ortodossia intelligente, ed entrambi coloro che possiedono l'influenza o sono sotto il suo potere dovrebbero stare molto in guardia affinché l'umano non soppianti il divino e il timore di Dio non sia "altro che un comandamento imparato dagli uomini" (Isaia 29:13) - affinché il risultato non sia una pietà artificiale, una mera religione facsimile, senza vitalità, senza conforto e senza influenza.
Chi ha "imparato da Cristo", chi "cammina con Dio", non sarà un uomo artificiale, non uno che recita una parte o sostiene un carattere. Sarà completamente naturale nei modi, nelle parole, nell'aspetto, nei toni e nelle abitudini. Sarà come la più naturale di tutte le creature, un bambino piccolo. Il cristianesimo diventa ripugnante nel momento in cui si sospetta che sia fittizio. La religione deve essere ingenua. Nessuna affettazione, né pedanteria, né presunzione, né arie, né ciò che il mondo chiama "lamento", può servire la causa di Cristo, o dare peso al carattere, o vincere un avversario della Croce. L'"epistola di Cristo", per essere "conosciuta e letta da tutti gli uomini" (2 Cor 3:2) deve essere trasparente e naturale. Nel vivere per Cristo, dobbiamo seguirLo pienamente, non copiando una copia, ma copiando Lui stesso; altrimenti la nostra sarà una testimonianza imperfetta, una religione riflessa e debole, priva di facilità, semplicità e grazia, che porta i segni dell'imitazione e dell'arte, se non della falsificazione.
Nel vivere per Cristo, dobbiamo seguirLo pienamente, non copiando una copia, ma copiando Lui stesso; altrimenti la nostra sarà una testimonianza imperfetta, una religione riflessa e debole, priva di facilità, semplicità e grazia, che porta i segni dell'imitazione e dell'arte, se non della falsificazione.
L'intero libro in inglese può essere trovato qui: https://books.google.co.uk/books?id=RuNrMN9LLKUC&printsec=frontcover&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q=effeminate&f=false