Teologia/Conseguenze buone e necessarie: differenze tra le versioni

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La teologia cristiana trae le proprie conoscenze non solo da affermazioni esplicite delle Sacre Scritture, ma anche da ciò che può derivarne come “conseguenza buona e necessaria”. Questo principio è espresso dalla Confessione di Fede di Westminster in questi termini:&nbsp;“L'intero consiglio di Dio al riguardo di tutte le cose necessarie alla Sua propria gloria, la salvezza degli uomini, la fede e la vita, è espressamente contenuto nella Scrittura, oppure può esserne derivato come conseguenza buona e necessaria. Ad esso nulla mai potrà essere aggiunto, né per nuove rivelazioni dello Spirito o per tradizio­ne umana”&nbsp;(CFW, 1:6<sup>[https://docs.google.com/document/d/1Ardq8lz4XLe5lGr13g5wbFRk9Z1Mj5YbR243eVb_bfs/pub#ftnt1 [1]]</sup>).
La teologia cristiana trae le proprie conoscenze non solo da affermazioni esplicite delle Sacre Scritture, ma anche da ciò che può derivarne come “conseguenza buona e necessaria”. Questo principio è espresso dalla Confessione di Fede di Westminster in questi termini:&nbsp;“L'intero consiglio di Dio al riguardo di tutte le cose necessarie alla Sua propria gloria, la salvezza degli uomini, la fede e la vita, è espressamente contenuto nella Scrittura, oppure può esserne derivato come conseguenza buona e necessaria. Ad esso nulla mai potrà essere aggiunto, né per nuove rivelazioni dello Spirito o per tradizio­ne umana”&nbsp;([[Confessioni_di_fede/Westminster/Confessione_di_fede/cfw01/cfw01-6|CFW, 1:6]]).


Per “conseguenza buona e necessaria” si indica il procedimento mediante il quale la teologia cristiana formula ed espone dottrine che devono considerarsi legittime anche quando di esse nella Bibbia non si trova esplicita menzione o un riferimento diretto nei testi, come ad esempio, quello della Santissima Trinità. Lo può fare attraverso ragionamenti deduttivi che intendono di fatto esplicitare (dimostrandolo) ciò che in essi è implicato o presupposto. Operare deduzioni (buone e necessarie) da uno o più testi biblici, oppure dalla loro somma, è un metodo ampiamente usato dagli stessi scrittori del Nuovo Testamento allorché, per esempio, dalle Sacre Scritture ebraiche (l’Antico Testamento) esse “trovano Cristo” (attraverso profezie o tipologie) oppure particolari dottrine, testi che letti superficialmente sembrerebbero non contenerle.
Per “conseguenza buona e necessaria” si indica il procedimento mediante il quale la teologia cristiana formula ed espone dottrine che devono considerarsi legittime anche quando di esse nella Bibbia non si trova esplicita menzione o un riferimento diretto nei testi, come ad esempio, quello della Santissima Trinità. Lo può fare attraverso ragionamenti deduttivi che intendono di fatto esplicitare (dimostrandolo) ciò che in essi è implicato o presupposto. Operare deduzioni (buone e necessarie) da uno o più testi biblici, oppure dalla loro somma, è un metodo ampiamente usato dagli stessi scrittori del Nuovo Testamento allorché, per esempio, dalle Sacre Scritture ebraiche (l’Antico Testamento) esse “trovano Cristo” (attraverso profezie o tipologie) oppure particolari dottrine, testi che letti superficialmente sembrerebbero non contenerle.
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[1] Con l'espressione latina&nbsp;non sequitur&nbsp;(letteralmente: non segue, non consegue), in logica si indica&nbsp;un errore di ragionamento, falsa causa; attiene alle fallacie di rilevanza, in particolare alle strategie diversive/diversioni. Un caso di non sequitur è quello che si indica con l'espressione "Post hoc ergo propter hoc" (dopo ciò, dunque a causa di ciò), ovvero considerare A causa di B solo perché B segue temporalmente A; in generale, però,&nbsp;si ha un non sequitur ogniqualvolta si ponga una erronea relazione di causalità, e questo indipendentemente dal fatto che A e B siano veri o falsi. È indicare artificiosamente un evento quale causa di un altro o&nbsp;motivare una conclusione con argomento forzatamente collegato ad essa&nbsp;(es.: "se non mi telefoni, vuol dire che non mi ami").
 
[https://docs.google.com/document/d/1Ardq8lz4XLe5lGr13g5wbFRk9Z1Mj5YbR243eVb_bfs/pub#ftnt_ref2 [2]]&nbsp;Con l'espressione latina&nbsp;non sequitur&nbsp;(letteralmente: non segue, non consegue), in logica si indica&nbsp;un errore di ragionamento, falsa causa; attiene alle fallacie di rilevanza, in particolare alle strategie diversive/diversioni. Un caso di non sequitur è quello che si indica con l'espressione "Post hoc ergo propter hoc" (dopo ciò, dunque a causa di ciò), ovvero considerare A causa di B solo perché B segue temporalmente A; in generale, però,&nbsp;si ha un non sequitur ogniqualvolta si ponga una erronea relazione di causalità, e questo indipendentemente dal fatto che A e B siano veri o falsi. È indicare artificiosamente un evento quale causa di un altro o&nbsp;motivare una conclusione con argomento forzatamente collegato ad essa&nbsp;(es.: "se non mi telefoni, vuol dire che non mi ami").


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Conseguenze buone e necessarie

La teologia cristiana trae le proprie conoscenze non solo da affermazioni esplicite delle Sacre Scritture, ma anche da ciò che può derivarne come “conseguenza buona e necessaria”. Questo principio è espresso dalla Confessione di Fede di Westminster in questi termini: “L'intero consiglio di Dio al riguardo di tutte le cose necessarie alla Sua propria gloria, la salvezza degli uomini, la fede e la vita, è espressamente contenuto nella Scrittura, oppure può esserne derivato come conseguenza buona e necessaria. Ad esso nulla mai potrà essere aggiunto, né per nuove rivelazioni dello Spirito o per tradizio­ne umana” (CFW, 1:6).

Per “conseguenza buona e necessaria” si indica il procedimento mediante il quale la teologia cristiana formula ed espone dottrine che devono considerarsi legittime anche quando di esse nella Bibbia non si trova esplicita menzione o un riferimento diretto nei testi, come ad esempio, quello della Santissima Trinità. Lo può fare attraverso ragionamenti deduttivi che intendono di fatto esplicitare (dimostrandolo) ciò che in essi è implicato o presupposto. Operare deduzioni (buone e necessarie) da uno o più testi biblici, oppure dalla loro somma, è un metodo ampiamente usato dagli stessi scrittori del Nuovo Testamento allorché, per esempio, dalle Sacre Scritture ebraiche (l’Antico Testamento) esse “trovano Cristo” (attraverso profezie o tipologie) oppure particolari dottrine, testi che letti superficialmente sembrerebbero non contenerle.

La dottrina della sufficienza delle Sacre Scritture, quindi, non si basa solo su affermazioni dirette e specifiche di particolari dottrine, ma anche su quanto da esse può esserne dedotto.

Essa afferma:

  • Che la Scrittura ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per conoscere quale sia la strada che porta alla salvezza e come può esservi conseguita.
  • Che la Scrittura ci dà tutto ciò di cui abbiamo bisogno per sapere come dare gloria a Dio nella nostra vita quotidiana: non abbiamo bisogno di alcuna parola supplementare o “sovrannaturale” oltre a quella che ci è data nelle Scritture.
  • Che le cose necessarie per dare gloria a Dio che non sono esplicite nella Scrittura ne possono essere dedotte per “conseguenza buona e necessaria” [consequentia bona et necessaria derivari potest a Scriptura].

Indubbiamente il terzo punto lascia spazio per discussione e dibattito, dato che ciò che per una persona è conseguenza buona e necessaria (un’argomentazione logicamente valida), può essere in non sequitur[2] di un altro. Se una “conseguenza” di un’affermazione della Scrittura è solo buona o solo necessaria, allora non si qualifica come qualcosa che glorifichi Dio. Indubbiamente vi sono state nella storia del cristianesimo, e vi sono ancora, dottrine e posizioni che si pretende derivare dalle Sacre Scritture, ma la loro bontà e necessità deve essere dimostrata e può essere dibattuta.

Un esempio banale di una buona conseguenza del comando di amare il prossimo (es. Levitico 19:18; Matteo 5:43) può essere che decidere di fare volontariato nell’assistenza sociale una volta la settimana. Quella è una conseguenza buona di chi così vuole dare gloria a Dio onorando la Sua Parola. In quanto, però, non si tratta per un cristiano di qualcosa di necessario, non può essere aggiunto in quanto tale alla lista di cose “comandate” per glorificare Dio. Può glorificare Dio, ma non è legittimo, con l’autorità delle Scritture, comandare in sé stesso di farlo, renderlo obbligatorio.

D’altro canto, conseguenza necessaria del fatto che Dio abbia scelto prima della fondazione del mondo a chi concedere la grazia della salvezza, è che esse saranno necessariamente salvate, perché Dio porta sempre a compimento ciò che ha deciso di fare. Qualcuno potrebbe concluderne che la predicazione dell’Evangelo, per la conversione di un peccatore, sia, così, solo un’opzione, dato che Dio ha già scelto i suoi e ve li porterà in modo certo e sicuro. Quella conseguenza, però, sebbene possa conseguire necessariamente dalla dottrina dell’elezione, non è una buona, soprattutto perché contraddirebbe un esplicito comandamento delle Scritture che comandano l’annuncio dell’Evangelo. Non può quindi essere qualcosa che glorifichi Dio non farlo, perché di fatto Dio ha scelto di operare salvezza attraverso l’annuncio dell’Evangelo ricevuto con fede.

L’insegnamento e l’esempio della Bibbia rende necessario questo principio. Esso è indispensabile nella teologia della chiesa ed è biblicamente sano. Senza un uso appropriato del trarre dalla Scrittura “conseguenze buone e necessarie” sarebbe impossibile stabilire dottrine bibliche di vitale importanza, applicare il Principio di Regolazione del Culto così come Dio l’ha inteso, discernere applicazioni necessarie che conseguono dall’insegnamento biblico, e comprendere il modo in cui gli autori del Nuovo Testamento fanno uso dell’Antico Testamento.

Discussione

Il principio delle “conseguenze buone e necessarie” (indicato da ora in avanti come CBN) è distinto dalle questioni (riguardanti la gloria di Dio, la salvezza dell’uomo, la fede e la vita) che sono “espressamente [esplicitamente] contenute nella Scrittura”. Questo include precetti diretti, proibizioni, affermazioni di verità ed esempi chiaramente approvati. Il termine CBN si riferisce, però, a dottrine e precetti che sono davvero contenuti ed intesi dall’Autore divino della Scrittura ma che non si trovano o non appaiono espressamente come tali nel testo delle Scritture, che possono essere legittimamente dedotti o derivati da uno o più passi della Scrittura. Tali deduzioni devono essere “buone”, o tratte legittimamente dal testo della Scrittura, e “necessarie”, cioè non imposte od arbitrare.

Ad es. Genesi 1:1 afferma: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra”. Le deduzioni che possono e devono essere tratte da questo brano sono: (1) Che Dio e natura sono distinti (in contrapposizione al Panteismo); (2) che la materia ha avuto un inizio e che Dio solo è eterno (in contrapposizione a varie forme di materialismo) e che (3) Dio ha creato la materia dal nulla, vale a dire senza fare uso di materiale preesistente (in contrapposizione a varie dottrine sulle emanazioni). Per assicurarci che le conclusioni ottenute facendo uso di questo principio siano veramente bibliche è che le premesse siano biblicamente certe. Nell’esempio dato è certo che Dio sia il Creatore dei cieli e della terra. La natura è inclusa nei “cieli e terra” che Dio ha fatto. Quindi, è una conclusione chiara e necessaria che Dio e natura siano distinti. 

Inoltre, l’uso appropriato delle deduzioni dalla Scrittura può essere chiarificato illustrandone gli abusi. Per esempio, nel libro di Giosuè leggiamo che Dio ha comandato al sole di “fermarsi” nel cielo. Possiamo quindi dire che è il sole a girare attorno alla terra e che ogni altra teoria debba considerarsi contraria alla verità delle Scritture? No. Il testo descrive semplicemente il sole dalla prospettiva umana legata alla terra, come oggi, pur sapendo che è la terra a girare attorno al sole, si continua a dire “il sorgere” ed il “calare” del sole, senza intendere che oggettivamente lo faccia. La Bibbia non nega né esige che si creda che il sole giri attorno alla terra. Essa va oltre questa questione. L’unico tipo di conclusioni necessarie che possono essere derivate da questo brano è che Dio è sovrano sulla progressione naturale del giorno e della notte e che Egli è in grado di alterarne il corso ogni qual volta lo ritenga opportuno.

Inoltre, il principio del CBN non è una licenza per allegorizzare la nostra interpretazione della Scrittura o imporle idee umane. Suo proposito, piuttosto, è riconoscere dal testo delle Scritture implicazioni inevitabili. Queste deduzioni riflettono ordinariamente il quadro teologico presupposto dai testi della Bibbia e rivelano semplicemente questi assunti sottostanti rendendoli espliciti.

Gli autori biblici stessi fanno uso del principio CBN quando, nel loro insegnamento, fanno uso dell’Antico Testamento, cosa notevole nella pratica stessa del Signore Gesù Cristo e prevalente negli apostoli.Gli esempi seguenti dimostrano come questo principio ermeneutico non solo sia permesso, ma necessario.

Esempi biblici

L’esempio più comunemente trattato di CBN è la risposta di Gesù ai Sadducei al riguardo della verità della risurrezione dei morti, così com’è riportata in Matteo 22:29-32. I Farisei, offesi dal comportamento di Gesù che aveva accolto un peccatore notorio in vista della sua redenzione, “si ritirarono e tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nelle sue parole” (Matteo 2:15). Gesù, però, “nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti” (Colossesi 2:3), confuta il loro attacco in tal modo tale da farli restare senza parole e, stupiti, se ne vanno (Matteo 22:22).  I Sadducei, che “dicono che non vi è risurrezione, né angelo, né spirito; mentre i farisei affermano l'una e l'altra” (Atti 23:8), immediatamente colgono l’opportunità per far meglio dei loro rivali e pongono a Gesù una domanda per la quale ritengono che non vi sia risposta. Con il pretesto di fare a Gesù una domanda onesta, incominciano con il citare il principio biblico che “Se dei fratelli staranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà fuori, con uno straniero; suo cognato verrà da lei e se la prenderà per moglie, compiendo così verso di lei il suo dovere di cognato” (Deuteronomio 25:5). Dopo aver presentato lo scenario in cui tutti i sette fratelli muoiono in successione dopo aver sposato la stessa donna, chiedono: “Alla risurrezione, dunque, di quale dei sette sarà ella moglie? Poiché tutti l'hanno avuta” (Matteo 22:28). Nella loro mente questo crea uno scenario insormontabile, rendendo la risurrezione dei morti un’assurdità logica. Gesù, rispondendo, dice loro: “Voi errate [lett. “vi ingannate” o “siete stati ingannati”], perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio” (v. 29).

L’accusa che fossero ignoranti di Scritture è particolarmente rilevante quando si considera la questione del CBN. Gesù nota come i Farisei avessero escluso dal loro ragionamento un’opzione vitale: “quelli che saranno ritenuti degni di aver parte al mondo avvenire e alla risurrezione dai morti, non prendono né danno moglie” (Luca 20:35). Procede poi a dimostrare come la risurrezione dei morti sia insegnata nelle Scritture in modo chiaro e convincente. Alcuni si sorprendono come mai Gesù non abbia citato passi espliciti sulla risurrezione come il Salmo 16, Isaia 26 o Giobbe, ma che scelga di citare il testo di Esodo sul roveto ardente (Marco 12:26; Esodo 3:6,15). in cui Dio dice “Io sono il Dio di Abraamo, di Isacco e Giacobbe”. Gesù ne conclude: “Egli non è il Dio dei morti, ma dei vivi” (Matteo 22:32). Gesù non risponde citando semplicemente e direttamente dei testi probanti la dottrina della risurrezione, ma trae una conclusione da un brano ben conosciuto, una deduzione che, per coglierla, implica lo sforzo di un ragionamento e di introspezione spirituale.

Gesù poggia la sua argomentazione soprattutto sul fatto che Dio ha detto (in un testo che era caro ai Sadducei) di essere il Dio di Abraamo, di Isacco e di Giacobbe, tempo presente, e non “Io sono stato il Dio di Abraamo ecc.’. Egli è ancora il loro Dio, al presente, perché essi ancora vivono in una dimensione diversa dalla nostra, nella quale pure hanno un corpo. Gesù afferma l’esistenza di un “corpo di risurrezione”. È una realtà tangibile, materiale, ma d’ordine diverso dalla nostra. È per questa ragione che il discepolo di Cristo è chiamato a servire Dio non solo con lo spirito ma anche con il corpo, perché è ugualmente importante e vivrà, anche se con caratteristiche diverse dalle attuali. Esiste una continuità fra il nostro essere attuale (anima e corpo) e quello a venire che legittima il discorso sulla risurrezione (cfr. 1 Corinzi 15). La cosa più notevole del testo evangelico che consideriamo ê che Gesù. con la sua argomentazione, mette a tacere i Sadducei (Matteo 22:34) perché il Suo ragionamento è incontestabile. Anche la folla che ascolta ne rimane impressionata (v. 33). La vergogna dei Sadducei è anche causata dall’essersi resi conto di un’implicazione del testo che gli era sfuggita. alla quale non avevano pensato. Gesù dimostra la risurrezione, perciò, non appellandosi a versetti biblici espliciti, ma rilevandone le implicazioni, i presupposti, quindi, da deduzioni buone e necessarie. I Sadducei giungono a riconoscere la verità della risurrezione sulla base di argomentazioni logiche. L’esempio di Matteo 22:23-29 è così decisivo che quand’anche fosse considerato da solo esso stabilisce l’uso legittimo delle conseguenze buone e necessarie.

Il nome di Gesù non è mai esplicitamente menzionato nella Legge e nei Profeti, eppure Gesù di aspettava che i suoi discepoli fossero in grado di identificarlo come il Servo sofferente in ogni parte dell’Antico Testamento. Quasi ogni citazione dell’AT nel Nuovo è un’applicazione del principio CBN. Nel suo discorso di Pentecoste, Pietro afferma la necessità della risurrezione di Cristo come una deduzione tratta dal fatto che non ogni parte del Salmo 16 è applicabile a Davide, dato che la sua tomba era ancora fra loro. Pietro fonda la sua linea argomentativa in grande dettaglio sul fatto che la sua argomentazione non è visibile sulla superficie del testo (Atti 2:25-31).

Nel primo capitolo di Ebrei, l’autore intesse un complicato ordito di implicazioni tratte da diversi brani dell’AT comprovando come il Figlio sia molto superiore agli angeli e che Egli è Dio, io cui trono è eterno. Con il metodo delle CBN essa fa riferimento sl Messia e non a Dio Padre e poi deduce che fosse stato Grsù a poggiare le fondazioni della terra (Ebrei 1:10-12).

Matteo 2:23 afferma: “...e venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno”; nell’Antico Testamento, però, non c’è alcuna profezia che dica esplicitamente che il Cristo sarebbe stato chiamato ‘il Nazareno’. Matteo sembra averlo dedotto dalla testimonianza complessiva dei profeti. È possibile che questo testo voglia essere un vago riferimento a Isaia 8:23: “Ma le tenebre non dureranno sempre sulla terra che è ora nell'angoscia. Come nei tempi passati Dio coprì di obbrobrio il paese di Zabulon e il paese di Neftali, così nei tempi a venire coprirà di gloria la terra vicina al mare, di là dal Giordano, la Galilea dei Gentili” eppure, anche se questo è il caso, non si menziona Nazareth per nome, ma solo la regione in cui si trova.

Il principio delle CBN è usato dagli autori della Bibbia su scala molto più vasta che le profezie messianiche. Ad esempio: sulla base del Salmo 109:8 “Siano pochi i suoi giorni: un altro prenda il suo posto” gli apostoli ne concludono che un altro rimpiazzi Giuda per completare il numero degli apostoli prima della Pentecoste (Atti 1:20-22).

Al fine di provare che i ministri dell’Evangelo hanno il diritto di essere pagati per il loro lavoro, Paolo cita Deuteronomio 25:4 “Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano”. Da questo estrapola un principio generale che non ha rapporto con i buoi, eppure è legittimamente derivato da quel brano: “Difatti, nella legge di Mosè è scritto: «Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano». Forse che Dio si dà pensiero dei buoi? O non dice così proprio per noi? Certo, per noi fu scritto così; perché chi ara deve arare con speranza e chi trebbia il grano deve trebbiarlo con la speranza di averne la sua parte” (1 Corinzi 9:9-10). Con questo brano Paolo fa un uso ardito del principio CBN fino a renderlo fondamentale nel NT. Paolo afferma che limitare il significato del testo a quello che afferma esplicitamente significa mancare di ricevere la sua lezione principale. 

La conclusione che ne fa non è né arbitraria né allegorica e, di fatto, chi pretende di attenersi al solo testo della Bibbia e respinge il ragionamento deduttivo sulle sue implicazioni non esplicite non solo si priva egli stesso del significato profondo dei testi, ma si contrappone a ciò che autorevolmente già fanno gli stessi autori del Nuovo Testamento.

Conclusione

Se potessimo personalmente chiedere a Cristo ed ai Suoi apostoli di comprovare varie dottrine dalle Scritture, saremmo sorpresi da alcune delle risposte che riceveremmo. Cristo ed i Suoi apostoli, infatti, non hanno sempre appoggiato le loro dottrine ad espliciti testi biblici dall’esegesi storico-grammaticale. Essi le stabilivano spesso sulla base di ragionamenti deduttivi. Gli esempi provveduti illustrano che le implicazioni tratte in maniera appropriata e legittima dalle Scritture non fanno violenza al testo ma ne illuminano il significato profondo. Nessuno, per altro, potrebbe giustificarsi nel non volerlo fare affermando che solo Cristo ed i Suoi apostoli lo potessero fare, dato che essi stessi si attendevano che sia i loro seguaci che i loro avversari pure lo facessero. Non è ironico che molti nemici di Cristo accettino i Suoi metodi di interpretazione biblica più facilmente di quanto spesso sono disposti a fare molti Suoi seguaci?

Note

[1] Con l'espressione latina non sequitur (letteralmente: non segue, non consegue), in logica si indica un errore di ragionamento, falsa causa; attiene alle fallacie di rilevanza, in particolare alle strategie diversive/diversioni. Un caso di non sequitur è quello che si indica con l'espressione "Post hoc ergo propter hoc" (dopo ciò, dunque a causa di ciò), ovvero considerare A causa di B solo perché B segue temporalmente A; in generale, però, si ha un non sequitur ogniqualvolta si ponga una erronea relazione di causalità, e questo indipendentemente dal fatto che A e B siano veri o falsi. È indicare artificiosamente un evento quale causa di un altro o motivare una conclusione con argomento forzatamente collegato ad essa (es.: "se non mi telefoni, vuol dire che non mi ami").