Sionismo/Documento Kairos dei cristiani palestinesi: differenze tra le versioni

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Il Documento Kairos è la parola dei cristiani palestinesi al mondo su ciò che sta accadendo in Palestina. “La nostra parola è un grido di speranza, con amore, preghiera e fede in Dio. Lo rivolgiamo innanzitutto a noi stessi e poi a tutte le Chiese e i cristiani del mondo, chiedendo loro di opporsi all’ingiustizia e all’apartheid, esortandoli a lavorare per una pace giusta”. Proclamiamo la nostra parola basata sulla nostra fede cristiana e sul nostro senso di appartenenza palestinese – una parola di fede, speranza e amore. Dichiariamo che l'occupazione militare della terra palestinese costituisce un peccato contro Dio e contro l'umanità. Qualsiasi teologia che legittima l’occupazione e giustifica i crimini perpetrati contro il popolo palestinese è lontana dagli insegnamenti cristiani. Esortiamo la comunità internazionale a sostenere il popolo palestinese nella sua lotta contro l’oppressione, lo sfollamento e l’apartheid. Chiediamo che tutte le persone, i leader politici e i decisori facciano pressione su Israele e adottino misure legali per obbligare il suo governo a porre fine all’oppressione e al disprezzo del diritto internazionale. Abbiamo una posizione chiara secondo cui la resistenza non violenta a questa ingiustizia è un diritto e un dovere per tutti i palestinesi, compresi i cristiani. Sosteniamo le organizzazioni della società civile palestinese, le ONG internazionali e le istituzioni religiose che invitano individui, aziende e stati a impegnarsi in boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni contro l’occupazione israeliana. “Tutto ciò che accade nella nostra terra, tutti coloro che vivono lì, tutti i dolori e le speranze, tutta l’ingiustizia e tutti gli sforzi per fermare questa ingiustizia, sono parte integrante della preghiera della Chiesa palestinese e del servizio di tutte le sue istituzioni.
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Documento Kairos

Il Documento Kairos è la parola dei cristiani palestinesi al mondo su ciò che sta accadendo in Palestina. “La nostra parola è un grido di speranza, con amore, preghiera e fede in Dio. Lo rivolgiamo innanzitutto a noi stessi e poi a tutte le Chiese e i cristiani del mondo, chiedendo loro di opporsi all’ingiustizia e all’apartheid, esortandoli a lavorare per una pace giusta”. Proclamiamo la nostra parola basata sulla nostra fede cristiana e sul nostro senso di appartenenza palestinese – una parola di fede, speranza e amore. Dichiariamo che l'occupazione militare della terra palestinese costituisce un peccato contro Dio e contro l'umanità. Qualsiasi teologia che legittima l’occupazione e giustifica i crimini perpetrati contro il popolo palestinese è lontana dagli insegnamenti cristiani. Esortiamo la comunità internazionale a sostenere il popolo palestinese nella sua lotta contro l’oppressione, lo sfollamento e l’apartheid. Chiediamo che tutte le persone, i leader politici e i decisori facciano pressione su Israele e adottino misure legali per obbligare il suo governo a porre fine all’oppressione e al disprezzo del diritto internazionale. Abbiamo una posizione chiara secondo cui la resistenza non violenta a questa ingiustizia è un diritto e un dovere per tutti i palestinesi, compresi i cristiani. Sosteniamo le organizzazioni della società civile palestinese, le ONG internazionali e le istituzioni religiose che invitano individui, aziende e stati a impegnarsi in boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni contro l’occupazione israeliana. “Tutto ciò che accade nella nostra terra, tutti coloro che vivono lì, tutti i dolori e le speranze, tutta l’ingiustizia e tutti gli sforzi per fermare questa ingiustizia, sono parte integrante della preghiera della Chiesa palestinese e del servizio di tutte le sue istituzioni.

https://www.kairospalestine.ps/index.php/about-kairos/kairos-palestine-document

Un momento di verità - Una parola di fede, speranza e amore dal cuore dei palestinesi sofferenti

Introduzione

Noi, gruppo di cristiani palestinesi, dopo la preghiera, la riflessione e uno scambio di opinioni, gridiamo dall'interno della sofferenza del nostro Paese, sotto l'occupazione israeliana, con un grido di speranza in assenza di ogni speranza, un grido pieno di preghiera e la fede in un Dio sempre vigile, nella divina provvidenza di Dio verso tutti gli abitanti di questa terra. Ispirati dal mistero dell'amore di Dio per tutti, dal mistero della presenza divina di Dio nella storia di tutti i popoli e, in modo particolare, nella storia del nostro Paese, proclamiamo la nostra parola a partire dalla nostra fede cristiana e dal nostro senso palestinese di appartenenza – una parola di fede, speranza e amore.

Perché ora? Perché oggi siamo arrivati ​​a un punto morto nella tragedia del popolo palestinese. I decisori si accontentano di gestire la crisi piuttosto che impegnarsi nel serio compito di trovare un modo per risolverla. I cuori dei fedeli sono pieni di dolore e di domande: cosa sta facendo la comunità internazionale? Cosa stanno facendo i leader politici in Palestina, in Israele e nel mondo arabo? Cosa sta facendo la Chiesa? Il problema non è solo politico. È una politica in cui si distrugge l’essere umano, e questo deve preoccupare la Chiesa.

Ci rivolgiamo ai nostri fratelli e sorelle, membri delle nostre Chiese in questa terra. Facciamo appello come cristiani e come palestinesi ai nostri leader religiosi e politici, alla nostra società palestinese e alla società israeliana, alla comunità internazionale e ai nostri fratelli e sorelle cristiani nelle Chiese di tutto il mondo.

1. La realtà sul campo

1.1 «Dicono: 'Pace, pace' quando pace non c'è” (Geremia 6,14). In questi giorni tutti parlano di pace in Medio Oriente e di processo di pace. Finora, però, queste sono semplicemente parole; la realtà è quella dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi, della privazione della nostra libertà e di tutto ciò che deriva da questa situazione:

1.1.1 Il muro di separazione eretto sul territorio palestinese, gran parte del quale è stato confiscato a questo scopo, ha trasformato le nostre città e i nostri villaggi in prigioni, separandoli gli uni dagli altri, rendendoli cantoni dispersi e divisi. Gaza, soprattutto dopo la crudele guerra lanciata da Israele contro di essa nel dicembre 2008 e nel gennaio 2009, continua a vivere in condizioni disumane, sotto un blocco permanente e tagliata fuori dagli altri territori palestinesi.

1.1.2 Gli insediamenti israeliani devastano la nostra terra in nome di Dio e in nome della forza, controllando le nostre risorse naturali, comprese l'acqua e i terreni agricoli, privando così centinaia di migliaia di palestinesi e costituendo un ostacolo a qualsiasi soluzione politica.

1.1.3 La realtà è l'umiliazione quotidiana a cui siamo sottoposti ai posti di blocco militari, mentre ci dirigiamo verso il lavoro, le scuole o gli ospedali.

1.1.4 La realtà è la separazione tra i membri di una stessa famiglia, che rende impossibile la vita familiare a migliaia di palestinesi, soprattutto quando uno dei coniugi non ha una carta d'identità israeliana.

1.1.5 La libertà religiosa è fortemente limitata; la libertà di accesso ai luoghi santi è negata con il pretesto della sicurezza. Gerusalemme e i suoi luoghi santi sono vietati a molti cristiani e musulmani della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Anche gli abitanti di Gerusalemme devono affrontare restrizioni durante le feste religiose. Ad alcuni membri del nostro clero arabo viene regolarmente impedito l’ingresso a Gerusalemme.

1.1.6 Anche i rifugiati fanno parte della nostra realtà. La maggior parte di loro vive ancora nei campi in circostanze difficili. Hanno aspettato il loro diritto al ritorno, generazione dopo generazione. Quale sarà il loro destino?

1.1.7 E i prigionieri? Le migliaia di prigionieri che languiscono nelle carceri israeliane fanno parte della nostra realtà. Gli israeliani muovono cielo e terra per ottenere il rilascio di un prigioniero, e quelle migliaia di prigionieri palestinesi, quando avranno la libertà?

1.1.8 Gerusalemme è il cuore della nostra realtà. È, allo stesso tempo, simbolo di pace e segno di conflitto. Mentre il muro di separazione divide i quartieri palestinesi, Gerusalemme continua ad essere svuotata dei suoi cittadini palestinesi, cristiani e musulmani. Le loro carte d'identità vengono confiscate, il che significa la perdita del diritto di risiedere a Gerusalemme. Le loro case vengono demolite o espropriate. Gerusalemme, città della riconciliazione, è diventata una città di discriminazione ed esclusione, fonte di lotta piuttosto che di pace.

1.2 Fa parte di questa realtà anche il disprezzo da parte di Israele del diritto internazionale e delle risoluzioni internazionali, nonché la paralisi del mondo arabo e della comunità internazionale di fronte a questo disprezzo. I diritti umani vengono violati e, nonostante le varie denunce delle organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani, l'ingiustizia continua.

1.2.1 I palestinesi all'interno dello Stato di Israele, che hanno subito un'ingiustizia storica, pur essendo cittadini e avendo i diritti e i doveri della cittadinanza, soffrono ancora di politiche discriminatorie. Anche loro aspettano di godere di pieni diritti e di uguaglianza come tutti gli altri cittadini dello Stato.

1.3 L'emigrazione è un altro elemento della nostra realtà. L’assenza di qualsiasi visione o scintilla di speranza per la pace e la libertà spinge i giovani, sia musulmani che cristiani, a emigrare. In questo modo il territorio viene privato della sua risorsa più importante e più ricca: la gioventù istruita. La diminuzione del numero dei cristiani, soprattutto in Palestina, è una delle conseguenze pericolose, sia di questo conflitto, sia della paralisi locale e internazionale e dell’incapacità di trovare una soluzione globale al problema.

1.4 Di fronte a questa realtà, Israele giustifica le sue azioni come autodifesa, compresa l'occupazione, la punizione collettiva e tutte le altre forme di ritorsione contro i palestinesi. A nostro avviso, questa visione è un ribaltamento della realtà. Sì, c’è resistenza palestinese all’occupazione. Tuttavia, se non ci fosse l’occupazione, non ci sarebbero resistenza, paura e insicurezza. Questa è la nostra comprensione della situazione. Chiediamo quindi agli israeliani di porre fine all’occupazione. Allora vedranno un mondo nuovo in cui non c’è paura, né minaccia, ma piuttosto sicurezza, giustizia e pace.

1.5 La risposta palestinese a questa realtà è stata diversa. Alcuni hanno risposto attraverso i negoziati: questa era la posizione ufficiale dell’Autorità Palestinese, ma non ha fatto avanzare il processo di pace. Alcuni partiti politici hanno seguito la via della resistenza armata. Israele ha utilizzato questo pretesto per accusare i palestinesi di essere terroristi ed è riuscito a distorcere la reale natura del conflitto, presentandolo come una guerra israeliana contro il terrorismo, piuttosto che come un’occupazione israeliana affrontata dalla resistenza legale palestinese volta a porvi fine.

1.5.1 La tragedia si è aggravata con il conflitto interno tra gli stessi palestinesi e con la separazione di Gaza dal resto del territorio palestinese. È interessante notare che, anche se la divisione è tra gli stessi palestinesi, la comunità internazionale ha un’importante responsabilità in quanto si è rifiutata di affrontare positivamente la volontà del popolo palestinese espressa nell’esito delle elezioni democratiche e legali del 2006.

Ancora una volta ripetiamo e proclamiamo che la nostra parola cristiana in mezzo a tutto questo, in mezzo alla nostra catastrofe, è una parola di fede, di speranza e di amore.

2. Una parola di fede

Crediamo in un solo Dio, un Dio buono e giusto

2.1 Crediamo in Dio, un solo Dio, Creatore dell'universo e dell'umanità. Crediamo in un Dio buono e giusto, che ama ciascuna delle sue creature. Crediamo che ogni essere umano sia creato a immagine e somiglianza di Dio e che la dignità di ognuno derivi dalla dignità dell'Onnipotente. Crediamo che questa dignità sia la stessa in ognuno di noi. Ciò significa per noi, qui e ora, in questa terra in particolare, che Dio ci ha creato non affinché potessimo impegnarci in lotte e conflitti, ma piuttosto affinché potessimo conoscerci e amarci l’un l’altro e insieme edificare la terra nell’amore. e rispetto reciproco.

2.1.1 Crediamo anche nella Parola eterna di Dio, il suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, che Dio ha mandato come Salvatore del mondo.

2.1.2 Crediamo nello Spirito Santo, che accompagna la Chiesa e tutta l'umanità nel suo cammino. È lo Spirito che ci aiuta a comprendere la Sacra Scrittura, sia l'Antico che il Nuovo Testamento, mostrando la loro unità, qui e ora. Lo Spirito rende manifesta la rivelazione di Dio all'umanità, passata, presente e futura.

Come comprendiamo la parola di Dio?

2.2 Crediamo che Dio ha parlato all'umanità, qui nel nostro Paese: "Dio, dopo aver molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi," (Ebrei 1:1-2)

2.2.1 Noi cristiani palestinesi crediamo, come tutti i cristiani del mondo, che Gesù Cristo è venuto per compiere la Legge e i Profeti. Egli è l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine, e nella sua luce e con la guida dello Spirito Santo leggiamo le Sacre Scritture. Meditiamo e interpretiamo la Scrittura proprio come fece Gesù Cristo con i due discepoli in cammino verso Emmaus. Come è scritto nel Vangelo secondo san Luca: «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano» (Luca 24:27).

2.2.2 Nostro Signore Gesù Cristo è venuto, annunciando che il Regno di Dio era vicino. Ha provocato una rivoluzione nella vita e nella fede di tutta l'umanità. È venuto con «una dottrina nuova» (Marco 1:27), gettando una luce nuova sull'Antico Testamento, sui temi che riguardano la nostra fede cristiana e la nostra vita quotidiana, temi come le promesse, l'elezione, il popolo di Dio e la terra. Crediamo che la Parola di Dio sia una Parola viva, che getta una luce particolare su ogni periodo della storia, manifestando ai credenti cristiani ciò che Dio ci dice qui e ora. Per questo è inaccettabile trasformare la Parola di Dio in lettere di pietra che pervertono l'amore di Dio e la sua provvidenza nella vita dei popoli e degli individui. Questo è proprio l'errore nell'interpretazione biblica fondamentalista che ci porta morte e distruzione quando la parola di Dio viene pietrificata e trasmessa di generazione in generazione come lettera morta. Questa lettera morta viene utilizzata come arma nella nostra storia attuale per privarci dei nostri diritti sulla nostra stessa terra.

La nostra terra ha una missione universale

2.3 Crediamo che la nostra terra abbia una missione universale. In questa universalità, il significato delle promesse, della terra, dell'elezione, del popolo di Dio si apre per includere tutta l'umanità, a partire da tutti i popoli di questa terra. Alla luce degli insegnamenti della Sacra Bibbia, la promessa della terra non è mai stata un programma politico, ma piuttosto il preludio alla completa salvezza universale. Era l'inizio del compimento del Regno di Dio sulla terra.

2.3.1 Dio ha inviato in questa terra i patriarchi, i profeti e gli apostoli perché portassero avanti una missione universale nel mondo. Oggi costituiamo tre religioni in questa terra, ebraismo, cristianesimo e islam. La nostra terra è la terra di Dio, come tutti i paesi del mondo. È santa in quanto Dio è presente in essa, perché solo Dio è santo e santificatore. È dovere di noi che viviamo qui rispettare la volontà di Dio per questa terra. È nostro dovere liberarlo dal male dell’ingiustizia e della guerra. È la terra di Dio e quindi deve essere una terra di riconciliazione, di pace e di amore. Questo è davvero possibile. Dio ci ha posto qui come due popoli, e Dio ci dà la capacità, se ne abbiamo la volontà, di convivere e di instaurare in essa la giustizia e la pace, rendendola realmente la terra di Dio: «Del Signore è la terra e tutto ciò che è in esso il mondo e i suoi abitanti» (Sal 24,1).

2.3.2 La nostra presenza in questa terra, come palestinesi cristiani e musulmani, non è casuale ma piuttosto profondamente radicata nella storia e nella geografia di questa terra, in risonanza con il legame di qualsiasi altro popolo con la terra in cui vive. È stata un'ingiustizia quando siamo stati cacciati. L’Occidente ha cercato di fare ammenda per ciò che gli ebrei avevano sopportato nei paesi europei, ma ha fatto ammenda per conto nostro e nella nostra terra. Hanno cercato di correggere un'ingiustizia e il risultato è stato una nuova ingiustizia.

2.3.3 Sappiamo inoltre che alcuni teologi in Occidente cercano di attribuire una legittimità biblica e teologica alla violazione dei nostri diritti. Pertanto, le promesse, secondo la loro interpretazione, sono diventate una minaccia per la nostra stessa esistenza. La “buona notizia” contenuta nell’Evangelo stesso è diventata per noi “un presagio di morte”. Invitiamo questi teologi ad approfondire la loro riflessione sulla Parola di Dio e a rettificare le loro interpretazioni affinché possano vedere nella Parola di Dio una fonte di vita per tutti i popoli.

2.3.4 Il nostro legame con questa terra è un diritto naturale. Non è solo una questione ideologica o teologica. È una questione di vita o di morte. C'è chi non è d'accordo con noi, definendoci addirittura nemici solo perché dichiariamo di voler vivere da persone libere nella nostra terra. Soffriamo per l'occupazione della nostra terra perché siamo palestinesi. E come cristiani palestinesi soffriamo dell’errata interpretazione di alcuni teologi. Di fronte a ciò, il nostro compito è custodire la Parola di Dio come fonte di vita e non di morte, affinché “la buona notizia” rimanga quello che è, “buona notizia” per noi e per tutti. Di fronte a coloro che usano la Bibbia per minacciare la nostra esistenza come palestinesi cristiani e musulmani, rinnoviamo la nostra fede in Dio perché sappiamo che la parola di Dio non può essere la fonte della nostra distruzione.

2.4 Pertanto, dichiariamo che qualsiasi uso della Bibbia per legittimare o sostenere opzioni e posizioni politiche basate sull'ingiustizia, imposte da una persona a un'altra, o da un popolo a un altro, trasforma la religione in ideologia umana e spoglia la Parola di Dio della sua santità, della sua universalità e verità.

2.5 Dichiariamo inoltre che l'occupazione israeliana della terra palestinese è un peccato contro Dio e contro l'umanità perché priva i palestinesi dei loro diritti umani fondamentali, conferiti da Dio. Distorce l’immagine di Dio nell’israeliano che è diventato un occupante così come distorce questa immagine nel palestinese che vive sotto occupazione. Dichiariamo che qualsiasi teologia, apparentemente basata sulla Bibbia o sulla fede o sulla storia, che legittima l’occupazione, è lontana dagli insegnamenti cristiani, perché invoca la violenza e la guerra santa in nome di Dio Onnipotente, subordinando Dio agli interessi umani temporanei, e distorcere l'immagine divina negli esseri umani che vivono sotto l'ingiustizia sia politica che teologica.

3. Speranza

3.1 Nonostante manchi anche solo un barlume di aspettativa positiva, la nostra speranza rimane forte. La situazione attuale non promette alcuna soluzione rapida o la fine dell’occupazione che ci viene imposta. Sì, le iniziative, i convegni, le visite e i negoziati si sono moltiplicati, ma non sono seguiti alcun cambiamento nella nostra situazione e nella nostra sofferenza. Anche la nuova posizione americana annunciata dal presidente Obama, con il desiderio manifesto di porre fine alla tragedia, non è riuscita a cambiare la nostra realtà. La chiara risposta israeliana, che rifiuta qualsiasi soluzione, non lascia spazio ad aspettative positive. Nonostante ciò, la nostra speranza resta forte, perché viene da Dio. Solo Dio è buono, onnipotente e amorevole e la Sua bontà un giorno sarà vittoriosa sul male in cui ci troviamo. Come diceva San Paolo: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (…) Chi ci separerà dall'amore di Cristo? La difficoltà, o l'angoscia, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada Come sta scritto: "Per causa tua tutto il giorno siamo messi a morte" (...) Poiché sono convinto che (niente) in tutta la creazione potrà separarci dall'amore di Dio" (Romani 8:31,35,36,39).

Qual è il significato della speranza?

3.2 La speranza dentro di noi significa innanzitutto la nostra fede in Dio e in secondo luogo la nostra attesa, nonostante tutto, di un futuro migliore. In terzo luogo, significa non rincorrere le illusioni: ci rendiamo conto che la liberazione non è a portata di mano. La speranza è la capacità di vedere Dio in mezzo alle difficoltà e di essere collaboratori dello Spirito Santo che abita in noi. Da questa visione deriva la forza per essere tenaci, rimanere saldi e lavorare per cambiare la realtà in cui ci troviamo. Speranza significa non cedere al male, ma piuttosto tenergli testa e continuare a resistergli. Non vediamo nulla nel presente e nel futuro tranne rovina e distruzione. Vediamo il sopravvento dei forti, il crescente orientamento verso la separazione razzista e l’imposizione di leggi che negano la nostra esistenza e la nostra dignità. Vediamo confusione e divisione nella posizione palestinese. Se, nonostante tutto ciò, oggi resistiamo a questa realtà e lavoriamo duro, forse la distruzione che incombe all’orizzonte potrebbe non raggiungerci.

Segni di speranza

3.3 La Chiesa nella nostra terra, i suoi leader e i suoi fedeli, nonostante la sua debolezza e le sue divisioni, mostrano alcuni segni di speranza. Le nostre comunità parrocchiali sono vivaci e la maggior parte dei nostri giovani sono apostoli attivi per la giustizia e la pace. Oltre all'impegno individuale, le nostre diverse istituzioni ecclesiali rendono attiva e presente la nostra fede nel servizio, nell'amore e nella preghiera.

3.3.1 Tra i segni di speranza ci sono i centri locali di teologia, a carattere religioso e sociale. Sono numerosi nelle nostre diverse Chiese. Lo spirito ecumenico, anche se ancora titubante, si manifesta sempre più negli incontri delle nostre diverse famiglie ecclesiali.

3.3.2 A ciò si aggiungono i numerosi incontri per il dialogo interreligioso, il dialogo cristiano-musulmano, che coinvolge i leader religiosi e una parte della popolazione. Certo, il dialogo è un processo lungo e si perfeziona attraverso lo sforzo quotidiano, poiché subiamo le stesse sofferenze e abbiamo le stesse attese. C'è anche il dialogo tra le tre religioni, ebraismo, cristianesimo e islam, così come diversi incontri di dialogo a livello accademico o sociale. Tutti cercano di sfondare i muri imposti dall'occupazione e si oppongono alla percezione distorta dell'essere umano nel cuore dei loro fratelli e sorelle.

3.3.3 Uno dei segni di speranza più importanti è la fermezza delle generazioni, la fede nella giustizia della loro causa e nella continuità della memoria, che non dimentica la "Nakba" (catastrofe) e il suo significato. Altrettanto significativo è la crescente consapevolezza di molte Chiese in tutto il mondo e il loro desiderio di conoscere la verità su ciò che sta accadendo qui.

3.3.4 Oltre a ciò, notiamo la determinazione di molti a superare i risentimenti del passato e ad essere pronti alla riconciliazione una volta ristabilita la giustizia. La consapevolezza pubblica della necessità di ripristinare i diritti politici dei palestinesi è in aumento, e le voci ebraiche e israeliane, a favore della pace e della giustizia, si levano a sostegno di ciò con l’approvazione della comunità internazionale. È vero, queste forze per la giustizia e la riconciliazione non sono ancora riuscite a trasformare la situazione di ingiustizia, ma hanno la loro influenza e possono abbreviare il tempo della sofferenza e accelerare il tempo della riconciliazione.

La missione della Chiesa

3.4 La nostra Chiesa è una Chiesa di persone che pregano e servono. Questa preghiera e questo servizio sono profetici e portano la voce di Dio nel presente e nel futuro. Tutto ciò che accade nella nostra terra, tutti coloro che vi abitano, tutti i dolori e le speranze, tutta l'ingiustizia e tutti gli sforzi per porre fine a questa ingiustizia, fanno parte integrante della preghiera della nostra Chiesa e del servizio di tutte le sue istituzioni. Grazie a Dio se la nostra Chiesa alza la voce contro l'ingiustizia nonostante alcuni desiderino che lei rimanga in silenzio, chiusa nelle sue devozioni religiose.

3.4.1 La missione della Chiesa è profetica: annunciare la Parola di Dio con coraggio, onestà e amore nel contesto locale e in mezzo agli eventi quotidiani. Se si schiera, è dalla parte degli oppressi, per stare al loro fianco, come Cristo nostro Signore è stato al fianco di ogni povero e di ogni peccatore, chiamandolo al pentimento, alla vita e al ripristino della dignità loro conferita. da Dio e che nessuno ha il diritto di spogliare.

3.4.2 La missione della Chiesa è annunciare il Regno di Dio, regno di giustizia, pace e dignità. La nostra vocazione come Chiesa vivente è testimoniare la bontà di Dio e la dignità dell'essere umano. Siamo chiamati a pregare e a far sentire la nostra voce quando annunciamo una nuova società in cui gli esseri umani credono nella propria dignità e in quella dei loro avversari.

3.4.3 La nostra Chiesa punta al Regno, che non può essere legato a nessun regno terreno. Gesù disse davanti a Pilato che egli era sì un re, ma «il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). San Paolo dice: "... perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Romani 14:17). Pertanto, la religione non può favorire o sostenere alcun regime politico ingiusto, ma deve piuttosto promuovere la giustizia, la verità e la dignità umana. Deve esercitare ogni sforzo per purificare i regimi in cui gli esseri umani subiscono ingiustizie e la dignità umana viene violata. Il Regno di Dio sulla terra non dipende da alcun orientamento politico, poiché è più grande e più inclusivo di qualsiasi sistema politico particolare.

3.4.4 Gesù Cristo ha detto: "Il Regno di Dio è in mezzo a voi" (Luca 17:21). Questo Regno che è presente tra noi e in noi è il prolungamento del mistero della salvezza. È la presenza di Dio tra noi e il senso di quella presenza in tutto ciò che facciamo e diciamo. È in questa presenza divina che faremo ciò che possiamo finché la giustizia non sarà raggiunta in questa terra.

3.4.5 Le circostanze crudeli in cui la Chiesa palestinese ha vissuto e continua a vivere hanno richiesto alla Chiesa di chiarire la sua fede e di identificare meglio la sua vocazione. Abbiamo studiato la nostra vocazione e l'abbiamo conosciuta meglio in mezzo alla sofferenza e al dolore: oggi portiamo la forza dell'amore più che quella della vendetta, una cultura della vita più che una cultura della morte. Questa è fonte di speranza per noi, per la Chiesa e per il mondo.

3.5 La Risurrezione è la fonte della nostra speranza. Come Cristo è risorto vittorioso sulla morte e sul male, così anche noi possiamo, come può ogni abitante di questa terra, sconfiggere il male della guerra. Rimarremo una Chiesa testimone, salda e attiva nella terra della Resurrezione.

4. Amore

Il comandamento dell'amore

4.1 Cristo nostro Signore ha detto: «Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri.» (Giovanni 13:34). Ci ha già mostrato come amare e come trattare i nostri nemici. Disse: "... affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se fate accoglienza soltanto ai vostri fratelli, che fate di singolare? Non fanno altrettanto anche i pagani?” (Matteo 5:45-47).

Anche San Paolo ha detto: "Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose buone davanti a tutti gli uomini" (Romani 12:17). E san Pietro diceva: «non rendete male per male od oltraggio per oltraggio ma, al contrario, benedite, poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione» (1 Pietro 3:9).

Resistenza

4.2 Questa parola è chiara. L'amore è il comandamento di Cristo nostro Signore per noi e comprende sia gli amici che i nemici. Questo deve essere chiaro quando ci troviamo in circostanze in cui dobbiamo resistere al male, di qualunque tipo.

4.2.1 L'amore è vedere il volto di Dio in ogni essere umano. Ogni persona è mio fratello o mia sorella. Tuttavia, vedere il volto di Dio in ognuno non significa accettare il male o l’aggressività da parte sua. Piuttosto, questo amore cerca di correggere il male e fermare l’aggressività.

L’aggressione contro il popolo palestinese, rappresentata dall’occupazione israeliana, è un male a cui bisogna resistere. È un male e un peccato a cui bisogna resistere e rimuovere. La responsabilità primaria di ciò ricade sugli stessi palestinesi che soffrono l’occupazione. L’amore cristiano ci invita a resistergli. L’amore però pone fine al male camminando sulle vie della giustizia. La responsabilità spetta anche alla comunità internazionale, perché oggi il diritto internazionale regola i rapporti tra i popoli. Infine la responsabilità ricade sugli autori dell'ingiustizia; devono liberarsi dal male che è in loro e dall'ingiustizia che hanno imposto agli altri.

4.2.2 Quando passiamo in rassegna la storia delle nazioni, vediamo molte guerre e molta resistenza alla guerra dopo la guerra, alla violenza dopo la violenza. Il popolo palestinese ha seguito la strada dei popoli, soprattutto nelle prime fasi della sua lotta contro l'occupazione israeliana. Tuttavia si impegnò anche nella lotta pacifica, soprattutto durante la prima Intifada. Riconosciamo che tutti i popoli devono trovare una nuova strada nelle loro relazioni reciproche e nella risoluzione dei loro conflitti. Le vie della forza devono lasciare il posto alle vie della giustizia. Ciò vale soprattutto per i popoli che sono militarmente forti, abbastanza potenti da imporre la loro ingiustizia ai più deboli.

4.2.3 Diciamo che la nostra opzione come cristiani di fronte all'occupazione israeliana è quella di resistere. La resistenza è un diritto e un dovere del cristiano. Ma è una resistenza che ha come logica l’amore. Si tratta quindi di una resistenza creativa perché deve trovare vie umane che coinvolgano l’umanità del nemico. Vedere l'immagine di Dio di fronte al nemico significa prendere posizione alla luce di questa visione di resistenza attiva per fermare l'ingiustizia e obbligare l'autore del reato a porre fine alla sua aggressione e raggiungere così l'obiettivo desiderato, che è riprendersi la terra, libertà, dignità e indipendenza.

4.2.4 Cristo nostro Signore ci ha lasciato un esempio che dobbiamo imitare. Dobbiamo resistere al male ma ci ha insegnato che non possiamo resistere al male con il male. Questo è un comandamento difficile, soprattutto quando il nemico è determinato a imporsi e a negare il nostro diritto di rimanere qui, nella nostra terra. È un comandamento difficile, ma solo esso può resistere alle chiare dichiarazioni delle autorità di occupazione che rifiutano la nostra esistenza e alle molte scuse che queste autorità usano per continuare a imporci l’occupazione.

4.2.5 La resistenza al male dell'occupazione si integra, dunque, in questo amore cristiano che rifiuta il male e lo corregge. Resiste al male in tutte le sue forme con metodi che entrano nella logica dell'amore e impegnano tutte le energie per realizzare la pace. Possiamo resistere attraverso la disobbedienza civile. Non resistiamo con la morte ma piuttosto attraverso il rispetto della vita. Rispettiamo e abbiamo una grande stima per tutti coloro che hanno dato la vita per la nostra nazione. E affermiamo che ogni cittadino deve essere pronto a difendere la propria vita, la propria libertà e la propria terra.

4.2.6 Le organizzazioni civili palestinesi, così come le organizzazioni internazionali, le ONG e alcune istituzioni religiose invitano gli individui, le aziende e gli stati a impegnarsi nel disinvestimento e nel boicottaggio economico e commerciale di tutto ciò che è prodotto dall'occupazione. Lo comprendiamo per integrare la logica della resistenza pacifica. Queste campagne di sensibilizzazione devono essere condotte con coraggio, proclamando apertamente e sinceramente che il loro obiettivo non è la vendetta ma piuttosto porre fine al male esistente, liberando sia i colpevoli che le vittime dell’ingiustizia. L'obiettivo è liberare entrambi i popoli dalle posizioni estremiste dei diversi governi israeliani, portando entrambi alla giustizia e alla riconciliazione. Con questo spirito e con questa dedizione raggiungeremo finalmente la tanto attesa soluzione dei nostri problemi, come è avvenuto in Sud Africa e con molti altri movimenti di liberazione nel mondo.

4.3 Attraverso il nostro amore supereremo le ingiustizie e creeremo le basi per una nuova società sia per noi che per i nostri avversari. Il nostro futuro e il loro futuro sono una cosa sola. O il ciclo di violenza che ci distrugge entrambi o la pace che andrà a beneficio di entrambi. Chiediamo a Israele di rinunciare all'ingiustizia nei nostri confronti e di non distorcere la realtà dell'occupazione fingendo che si tratti di una battaglia contro il terrorismo. Le radici del “terrorismo” affondano nell'ingiustizia umana commessa e nella malvagità dell'occupazione. Questi devono essere rimossi se vi è la sincera intenzione di eliminare il “terrorismo”. Chiediamo al popolo di Israele di essere nostro partner nella pace e non nel ciclo di violenza interminabile. Resistiamo insieme al male, al male dell’occupazione e al ciclo infernale della violenza.

5. La nostra parola ai nostri fratelli e sorelle

5.1 Tutti noi ci troviamo di fronte, oggi, a una strada bloccata e a un futuro che promette solo guai. La nostra parola a tutti i nostri fratelli e sorelle cristiani è una parola di speranza, pazienza, fermezza e azione nuova per un futuro migliore. La nostra parola è che noi, come cristiani, portiamo un messaggio, e continueremo a portarlo nonostante le spine, nonostante il sangue e le difficoltà quotidiane. Riponiamo la nostra speranza in Dio, che ci concederà sollievo a Suo tempo. Allo stesso tempo, continuiamo ad agire in armonia con Dio e con la Sua volontà, costruendo, resistendo al male e avvicinando il giorno della giustizia e della pace.

5.2 Diciamo ai nostri fratelli e sorelle cristiani: questo è il tempo del pentimento. Il pentimento ci riporta nella comunione d'amore con tutti coloro che soffrono, i prigionieri, i feriti, coloro che sono affetti da handicap temporanei o permanenti, i bambini che non possono vivere la loro infanzia e chiunque piange una persona cara. La comunione d'amore dice ad ogni credente in spirito e verità: se mio fratello è prigioniero, anch'io sono prigioniero; se la sua casa viene distrutta, la mia casa viene distrutta; quando mio fratello viene ucciso, anch'io vengo ucciso. Affrontiamo le stesse sfide e condividiamo tutto ciò che è accaduto e accadrà. Forse, come individui o come capi di Chiese, siamo rimasti in silenzio quando avremmo dovuto alzare la voce per condannare l’ingiustizia e condividere la sofferenza. Questo è un tempo di pentimento per il nostro silenzio, indifferenza, mancanza di comunione, sia perché non abbiamo perseverato nella nostra missione in questa terra e l'abbiamo abbandonata, sia perché non abbiamo pensato e fatto abbastanza per raggiungere una visione nuova e integrata e siamo rimasti divisi, contraddicendo la nostra testimonianza e indebolendo la nostra parola. Pentimento per la nostra preoccupazione per le nostre istituzioni, a volte a scapito della nostra missione, mettendo così a tacere la voce profetica data dallo Spirito alle Chiese.

5.3 Invitiamo i cristiani a rimanere saldi in questo tempo di prova, così come abbiamo fatto nel corso dei secoli, attraverso il mutevole succedersi degli stati e dei governi. Siate pazienti, costanti e pieni di speranza, affinché possiate riempire di speranza il cuore di ogni vostro fratello e sorella che condivide questa stessa prova. «santificate Cristo come Signore nei vostri cuori, sempre pronti a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domanda ragione della speranza che è in voi, ma con dolcezza e rispetto, avendo una buona coscienza» (1 Pietro 3:15). Siate attivi e, purché sia ​​conforme all'amore, partecipate ad ogni sacrificio che la resistenza vi chiederà per superare il travaglio presente.

5.4 I nostri numeri sono pochi ma il nostro messaggio è grande e importante. La nostra terra ha urgente bisogno di amore. Il nostro amore è un messaggio al musulmano e all'ebreo, così come al mondo.

5.4.1 Il nostro messaggio ai musulmani è un messaggio di amore e di convivenza e un appello a respingere il fanatismo e l'estremismo. È anche un messaggio al mondo che i musulmani non devono essere né stereotipati come nemici né caricaturati come terroristi, ma piuttosto devono essere vissuti in pace e impegnati nel dialogo.

5.4.2 Il nostro messaggio agli ebrei dice loro: anche se ci siamo combattuti nel recente passato e lottiamo ancora oggi, siamo capaci di amare e di vivere insieme. Possiamo organizzare la nostra vita politica, con tutta la sua complessità, secondo la logica di questo amore e del suo potere, dopo aver posto fine all’occupazione e stabilito la giustizia.

5.4.3 La parola della fede dice a chiunque sia impegnato in un'attività politica: l'essere umano non è fatto per l'odio. Non è lecito odiare, né è lecito uccidere o essere uccisi. La cultura dell’amore è la cultura dell’accettazione dell’altro. Attraverso di essa ci perfezioniamo e si stabiliscono le basi della società.

6. La nostra parola alle Chiese del mondo

6.1 La nostra parola alle Chiese del mondo è innanzitutto una parola di gratitudine per la solidarietà che ci avete dimostrato con le parole, i fatti e la presenza in mezzo a noi. È una parola di elogio per le tante Chiese e cristiani che sostengono il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione. È un messaggio di solidarietà con quei cristiani e quelle Chiese che hanno sofferto a causa della loro difesa del diritto e della giustizia. Ma è anche un appello al pentimento; rivisitare posizioni teologiche fondamentaliste che sostengono alcune opzioni politiche ingiuste nei confronti del popolo palestinese. È un appello a stare accanto agli oppressi e a preservare la parola di Dio come buona notizia per tutti, invece di trasformarla in un’arma con cui uccidere gli oppressi. La parola di Dio è una parola d'amore per tutta la Sua creazione. Dio non è l'alleato dell'uno contro l'altro, né l'avversario dell'uno di fronte all'altro. Dio è il Signore di tutti e ama tutti, esigendo giustizia da tutti e impartendo a tutti noi gli stessi comandamenti. Chiediamo alle nostre Chiese sorelle di non offrire una copertura teologica per l'ingiustizia che subiamo, per il peccato dell'occupazione che ci è stata imposta. La nostra domanda ai nostri fratelli e sorelle nelle Chiese oggi è: potete aiutarci a ritrovare la nostra libertà, perché solo così potete aiutare i due popoli a raggiungere la giustizia, la pace, la sicurezza e l'amore?

6.2 Per comprendere la nostra realtà diciamo alle Chiese: Venite e vedrete. Adempiremo al nostro ruolo di farvi conoscere la verità della nostra realtà, accogliendovi come pellegrini che vengono da noi per pregare, portando un messaggio di pace, amore e riconciliazione. Conoscerai i fatti e la gente di questa terra, sia palestinesi che israeliani.

6.3 Condanniamo ogni forma di razzismo, sia religioso che etnico, compresi l'antisemitismo e l'islamofobia, e vi invitiamo a condannarlo e ad opporvi in ​​tutte le sue manifestazioni. Allo stesso tempo vi invitiamo a dire una parola di verità e ad assumere una posizione di verità riguardo all'occupazione israeliana della terra palestinese. Come abbiamo già detto, consideriamo il boicottaggio e il disinvestimento come strumenti di non violenza per la giustizia, la pace e la sicurezza per tutti.

7. La nostra parola alla comunità internazionale

7. La nostra parola alla comunità internazionale è di porre fine al principio dei "doppi standard" e di insistere sulle risoluzioni internazionali riguardanti il ​​problema palestinese nei confronti di tutte le parti. L’applicazione selettiva del diritto internazionale minaccia di lasciarci vulnerabili alla legge della giungla. Legittima le pretese di alcuni gruppi armati e afferma che la comunità internazionale comprende solo la logica della forza. Chiediamo quindi una risposta a quanto proposto dalle istituzioni civili e religiose, come accennato in precedenza: l'avvio di un sistema di sanzioni economiche e di boicottaggio da applicare contro Israele. Ripetiamo ancora una volta che questa non è una vendetta ma piuttosto un'azione seria per raggiungere una pace giusta e definitiva che porrà fine all'occupazione israeliana dei territori palestinesi e degli altri territori arabi e garantirà sicurezza e pace per tutti.

8. Leader religiosi ebrei e musulmani

8. Rivolgiamo infine un appello ai leader religiosi e spirituali, ebrei e musulmani, con i quali condividiamo la stessa visione secondo cui ogni essere umano è creato da Dio e gli è stata data pari dignità. Da qui l'obbligo per ciascuno di noi di difendere gli oppressi e la dignità che Dio ha loro conferito. Cerchiamo insieme di superare le posizioni politiche che finora hanno fallito e che continuano a condurci sulla via del fallimento e della sofferenza.

9. Un appello al nostro popolo palestinese e agli israeliani

9.1 Questa è una chiamata a vedere il volto di Dio in ciascuna delle creature di Dio e a superare le barriere della paura o della razza per stabilire un dialogo costruttivo e non rimanere nel ciclo di manovre senza fine che mirano a mantenere la situazione come è. Il nostro appello è quello di raggiungere una visione comune, costruita sull’uguaglianza e sulla condivisione, non sulla superiorità, sulla negazione dell’altro o sull’aggressività, usando il pretesto della paura e della sicurezza. Diciamo che l'amore è possibile e la fiducia reciproca è possibile. Così la pace è possibile e anche la riconciliazione definitiva. In questo modo, giustizia e sicurezza saranno raggiunte per tutti.

9.2 L'istruzione è importante. I programmi educativi devono aiutarci a conoscere l’altro così com’è, anziché attraverso il prisma del conflitto, dell’ostilità o del fanatismo religioso. I programmi educativi oggi in atto sono infettati da questa ostilità. È giunto il momento di iniziare una nuova educazione che permetta di vedere il volto di Dio nell'altro e dichiari che siamo capaci di amarci gli uni gli altri e di costruire insieme il nostro futuro in pace e sicurezza.

9.3 Cercare di fare dello Stato uno Stato religioso, ebraico o islamico, soffoca lo Stato, lo confina entro limiti angusti e lo trasforma in uno Stato che pratica la discriminazione e l'esclusione, preferendo un cittadino rispetto a un altro. Facciamo appello sia agli ebrei religiosi che ai musulmani: lasciamo che lo Stato sia uno Stato per tutti i suoi cittadini, con una visione costruita sul rispetto della religione ma anche sull'uguaglianza, la giustizia, la libertà e il rispetto del pluralismo e non sul dominio di una religione o di una maggioranza numerica. .

9.4 Ai leader palestinesi diciamo che le attuali divisioni indeboliscono tutti noi e causano più sofferenze. Niente può giustificare queste divisioni. Per il bene della popolazione, che deve prevalere su quello dei partiti politici, è necessario porre fine alla divisione. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché dia il suo sostegno a questa unione e rispetti la volontà del popolo palestinese liberamente espressa.

9.5 Gerusalemme è il fondamento della nostra visione e di tutta la nostra vita. Ella è la città alla quale Dio ha dato un rilievo particolare nella storia dell'umanità. Lei è la città verso la quale tutti gli uomini sono in movimento e dove si incontreranno nell'amicizia e nell'amore al cospetto dell'Unico Dio, secondo la visione del profeta Isaia: "Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell'Eterno si ergerà sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso. Molti popoli vi accorreranno, e diranno: “Venite, saliamo al monte dell'Eterno, alla casa dell'Iddio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell'Eterno. Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli; essi, con le loro spade, costruiranno vomeri di aratro e, con le loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più la guerra. Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo alla luce dell'Eterno!”(Isaia 2:2-5). Oggi la città è abitata da due popoli di tre religioni; ed è su questa visione profetica e sulle risoluzioni internazionali riguardanti la totalità di Gerusalemme che deve basarsi ogni soluzione politica. Questa è la prima questione da negoziare perché il riconoscimento della santità di Gerusalemme e del suo messaggio sarà fonte di ispirazione per trovare una soluzione all’intero problema, che è in gran parte un problema di fiducia reciproca e di capacità di costruire una nuova terra. in questa terra di Dio.

10. Speranza e fede in Dio

10. In assenza di ogni speranza, lanciamo il nostro grido di speranza. Crediamo in Dio, buono e giusto. Crediamo che la bontà di Dio trionferà finalmente sul male dell'odio e della morte che ancora persistono nella nostra terra. Vedremo qui “una terra nuova” e “un nuovo essere umano”, capace di elevarsi nello spirito per amare ciascuno dei suoi fratelli. (2018)

 

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