Filosofia/Il Sensus Diviitatis: differenze tra le versioni
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Il ''sensus divinitatis'' è un'espressione latina derivante dal pensiero di Giovanni Calvino che definisce quella che la Scrittura indica con la consapevolezza naturale, innata, dell'esistenza di Dio che c'è nell'essere umano. | |||
''"poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili"'' (Romani 1:19-20). | ''"poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili"'' (Romani 1:19-20). |
Versione attuale delle 19:24, 29 dic 2022
Il Sensus divinitatis
Il sensus divinitatis è un'espressione latina derivante dal pensiero di Giovanni Calvino che definisce quella che la Scrittura indica con la consapevolezza naturale, innata, dell'esistenza di Dio che c'è nell'essere umano.
"poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili" (Romani 1:19-20).
Secondo Calvino, questa consapevolezza, sebbene prenda diverse forme, è del tutto universale. Il contesto di questa credenza distribuita universalmente è minimo: esiste un Dio, Egli è il Creatore, Gli si deve rendere culto.Cicerone, in "De Natura Deorum" afferma lo stesso punto.
"Consideriamo fuori dubbio che gli uomini abbiano in sé, per naturale sentimento, una percezione della divinità. Infatti, ad evitare che qualcuno potesse prevalersi dell’ignoranza come di una scusa, Dio ha impresso in tutti una conoscenza di se stesso, di cui rinnova il ricordo, quasi a goccia a goccia. Sappiamo dunque tutti, dal primo all’ultimo che c’è un Dio e che ci ha formati e siamo condannati dalla nostra stessa testimonianza se non lo onoriamo e non dedichiamo la nostra vita ad obbedirgli. Volessimo cercare esempi di ignoranza di Dio è probabile non ne troveremmo di più chiari che presso quei popoli decaduti che quasi non sanno cosa sia l’umanità. Ora, come dice il pagano Cicerone, non c’è nazione così barbara o popolo così brutale o selvaggio che non abbia radicata la convinzione dell’esistenza di un Dio. Anche quelli che non sembrano in tutto il resto differire dalle bestie brute, tuttavia conservano sempre in sé un qualche germe di religione. Da ciò si vede come questa convinzione domini il cuore degli uomini fino nel profondo e sia radicata nel loro animo. Poiché dunque fin dal principio del mondo non c’è stato paese né città né casa che abbia potuto far a meno della religione, dobbiamo concludere che tutto il genere umano ha riconosciuto che giaceva nel proprio cuore una qualche idea della divinità" (Istituzione, 1:3:1).
Il sensus divinitatis è spesso un'argomentazione usata per "provare" che gli atei non esistono. Chiunque affermi di essere ateo sta consapevolmente negando il Dio che sa bene esistere. Si può dire così che essi siano arrabbiati contro Dio o si ribellino a Lui.
Il concetto di sensus divinitatis è stato sviluppato da un gruppo di teologi e filosofi, fra i quali Alvin Plantinga, per elaborare quella che è stata chiamataepistemologia riformata.
A. Base per la tesi dei Sensus divinitatis
1. La semplice osservazione: la credenza in Dio sembra universale.
2. La diversità delle pratiche religiose e delle credenze presuppone una concezione di base della divinità o di una potenza suprema dell'universo.
3. Coloro che manifestano empietà e fanno obiezione all'esistenza di Dio, conservano nella loro mente, ciononostante, l'idea di un tale essere, così che anche loro sono consapevoli di Dio.
B. Funzione del Sensus divinitatis
La funzione di una tale consapevolezza di Dio rende le creature umane inescusabili di fronte a Dio. Portate a rendere conto della loro vita di fronte al giudizio di Dio non potranno accampare ignoranza. Di conseguenza, questa conoscenza di Dio posseduta per natura dalle creature umane è strettamente legata a questioni distintamente morali e teologiche.
C. Possibili obiezioni (anticipate da Calvino
1. Potrebbe essere obiettato che certuni abbiano inventato la religione al fine di esercitare un controllo sulle masse o sulla gente comune. Calvino ritiene che tali tentativi non sarebbero efficaci se già la gente non avesse una qualche consapevolezza di Dio. Come potrebbe altrimenti la religione avere un potere sulla gente? Se i leader o altri vogliono essere in grado di usarla per manipolare la gente, vi dev'essere già una simpatia o una propensione antecedente.
2. Si potrebbe pure obiettare come alcuni (ad esempio gli atei o gli agnostici) non credono ad alcun tip di Dio. La credenza in Dio, così non è universale. Calvino, a questa questione risponde con almeno tre punti:
(1) Forse esistono persone prive di credenze e di conoscenza al riguardo, ma forse questo esse stesse ne sono la causa e non rappresenta la loro condizione naturale. Calvino afferma essere possibile influire in modo avverso a questa conoscenza, forse non solo sulla sua intensità, ma anche sulla sua presenza stesa. Come? Atti peccaminosi, specialmente di grande malvagità, possono mortificare la coscienza e rimuovere Dio da tale consapevolezza. Tali individui, però, sarebbero ancora moralmente responsabili, perché pure tale conoscenza ce l'avevano, magari da bambini, ma è poi andata perdute a causa delle loro scelte.
(2) Un altro punto suggerito da Calvino e compatibile con il primo, è che la mancanza di fede in Dio può essere solo temporanea. Esiste una consapevolezza universale di Dio, anche se non tutti hanno sempre questa consapevolezza.
(3) In terzo luogo (anche se non espressamente menzionato da Calvino) c'è la possibilità che alcuni credano in Dio, ma o non credono di farlo o credono che essi non credano a Dio. Forse qui c'è un inganno di sé stessi. Questa risposta dipende, contro Cartesio, sulla mente che non è pienamente trasparente a sé stessa. Ci potrebbe essere un ambito subconscio dove risiede la fede religiosa del quale non siamo consapevoli. Vi è così chi conosce Dio anche senza sapere di conoscerlo. Questa osservazione e plausibile soprattutto dopo la nostra comprensione della psiche umana dal XIX secolo (ad esempio, il Freudismo). Si consideri anche il fatto che noi siamo normalmente consapevoli in un dato momento solo di un numero limitato delle nostre credenze. Il resto può e deve essere portato alla luce. Spesso, infatti, ci dimentichiamo delle cose o facciamo in modo di non ricordarle. La cosa può essere drastica nel caso dell'amnesia. Normalmente non si dice che coloro che si dimenticano di qualcosa per un certo tempo, non abbiano avuto questa credenza in periodi di inconsapevolezza.
II. La testimonianza esterna
Oltre al senso interiore della divinità (Istituzione, 1:3), Calvin riconosce come vi sia una testimonianza a Dio esterna nella creazione, nel mondo fisico visibile (Istituzione, 1:5).
A. La conoscenza di Dio naturale deduttiva
Una delle questioni principali che circondano questi brani è se Calvino presenti qualcosa di simile ad un'argomentazione in favore dell'esistenza di Dio. Più generalmente, forse che Calvino afferma che gli umani deducano l'idea dell'esistenza di Dio dalle loro osservazioni sul mondo fisico?
Chiaramente Calvino non presenta il tipo di ragionamenti sillogistici estesi che si trovano in Tommaso D'Aquino ed altri teologi medioevali. È certo, però, come egli pensi che alcuni fra gli attributi di Dio, come la sapienza e la potenza, sono "manifestati" o "rivelati" nel creato. Questo, però, presuppone il tipo di principio causale che troviamo in Aquino, cioè che gli effetti assomigliano alle cause. A causa dello stile dell'argomentazione calviniana, non possiamo attenderci che egli formuli argomentazioni formali come Aquino. Sembra, però,esservi almeno un accenno a qualche conoscenza deduttiva che, come le argomentazioni dell'Aquino, partono dall'osservazione del mondo fisico.
B. Obiezioni e risposta
Si potrebbe obiettare che la conoscenza dedotta di Dio sia superflua, perché già tutti credono a Dio sulla base del sensus divinitatis.
La conoscenza impartita dal sensus divinitatis ha un contenuto molto minimo. Calvino non dice che esso produca conoscenze sulla saggezza, bontà e potenza di Dio. Gli attributi di Dio sembrano essere ciò che viene scoperto dall'osservazione del mondo fisico, non dall'operare in sé stesso del sensus divinitatis. Il sensus divinitatis e la testimonianza esterna impartiscono ciascuna tipi diversi di credenza e sono intesi ad operare assieme per produrre una conoscenza più completa di Dio come creatore, con attributi di bontà e sapienza. Sono i teologi posteriori a Calvino che fanno tali distinzioni nella conoscenza di Dio attraverso la ragione.
Alvin Plantinga sostiene che il sensus divinitatis può essere interpretato come disposizione a formare certe credenze religiose ed è sollecitato dal tipo di circostanze menzionate da Calvino come parte della testimonianza esterna. Si tratta di una risposta cognitiva automatica all'esperienza, per esempio, di un cielo stellato, la complessità del corpo umano, ecc. Secondo Plantinga, il sensus divinitatis e la testimonianza esterna sono due aspetti dell'unico processo mediante il quale la ragione umana giunge a conoscere le verità su Dio come Creatore.
III. La conoscenza di Dio come Redentore
Calvino opera una distinzione fra conoscenza di Dio come Creatore e conoscenza di Dio come Redentore. La prima è accessibile alla ragione umana e costituisce la nostra conoscenza naturale di Dio; la seconda non è accessibile alla natura umana, ma dev'essere rivelata da Dio ed è creduta, non sulla base della ragione, ma in virtù di ciò che Calvino chiama la testimonianza interiore dello Spirito Santo.
La conoscenza di Dio come Redentore include le verità centrali sulla Persona e l'opera di Gesù Cristo. Dato che tali verità si trovano solo nella Bibbia, la testimonianza interiore dello Spirito Santo è connessa alla fede che la Bibbia sia Parola di Dio. La Parola di Dio, la Bibbia, sia corregge le credenze errate su Dio come Creatore e chiarifica la conoscenza di Dio come Creatore dedotta dalla ragione. Essa, inoltre, rivela nuove verità su Dio, specialmente nell'ambito della salvezza. Per Calvino, la Bibbia chiarifica, corregge ed aumenta la conoscenza naturale di Dio.
Calvino ritiene che la salvezza implichi che lo Spirito Santo venga a dimorare in una persona, il che le impartisce vista spirituale e la mette in grado di vedere la verità della fede cristiana, specialmente la verità che la Bibbia sia Parola di Dio. Calvino afferma che per i cristiani la Bibbia "autentica sé stessa" e respinge l'idea che essi debbano provare che la Bibbia si Parola di Dio, sebbene permetta ed utilizzi egli stesso l'uso delle argomentazioni ai fini di "utili conferme". Calvino è chiaro sul fatto che prima venga la fede e poi le argomentazione. La fede non si basa sull'argomentazione.
Bibliografia
- Michael C. Sudduth, John Calvin and the Knowledge of God, http://philofreligion.homestead.com/files/calvinepistemology.html
- Michael C. Sudduth, The Prospect of Mediate 'Natural Therology' in John Calvin, http://philofreligion.homestead.com/files/calvinpaper.htm