Predicazioni/Efesini/Vite in fase di effettiva trasformazione

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Vite in fase di effettiva trasformazione

La nostra vita come cristiani è in fase di effettiva trasformazione? Dice la lettera agli Efesini: “... avete imparato, per quanto concerne la vostra condotta di prima, a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici, a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l'uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Efesini 4:17-32). Abbiamo bisogno per questo di “impararlo”, di un vero e proprio “training”. Vediamo oggi perché e come!

Un uomo nuovo

Qualche tempo fa avevo visto un filmato di una sorta di “esperimento”. Erano andati a cercare un povero uomo, un “barbone”, un senza tetto, che viveva in strada nel degrado più totale e che si copriva con cartoni o una tenda - ora non ricordo bene. Sporco, puzzolente, vestito di abiti raffazzonati, con barba e capelli lunghi, si nutriva come poteva raccogliendo cibo gettato nella spazzatura. Un’immagine desolante, questa, sempre più frequente pure nelle città del cosiddetto “ricco Occidente”, sempre di più indifferente e spietato verso la condizione umana, verso chi “non conta”, verso chi non interessa a nessuno - insomma, quello che molti considererebbero uno “scarto umano”. Chi aveva prodotto questo filmato si era proposto di ricuperare quest’uomo, molto probabilmente non tanto per misericordia, ma magari solo per ricavarne qualche “merito cinematografico”... In ogni caso, sempre ripreso dalla telecamera, quest’uomo era stato spogliato dai suoi luridi abiti, ripulito completamente, portato da un barbiere che aveva messo a posto i suoi capelli e la sua barba, vestito di abiti adeguati, e rifocillato con cibo sano e nutriente. Risultato finale era un uomo totalmente irriconoscibile da come si presentava prima, indubbiamente ricuperato alla sua dignità. Le immagini mostravano “il prima” e “il dopo”. I proventi di quel filmato sarebbero poi serviti eventualmente per provvedergli un’abitazione, di essere curato e magari di avere un lavoro per mantenersi. Non so nulla di quel filmato o della sorte di quell’uomo, né ci interessa ora valutare il merito dell’operazione che esso si proponeva.

Questa mi sembra, però, una buona immagine della trasformazione che l’Evangelo di Gesù Cristo realizza quando viene annunciato e vissuto veracemente, cioè quello di ricreare, in Cristo, “un uomo nuovo”, ricuperato alla dignità di figlio di Dio dal punto di vista morale e spirituale. Al che, indubbiamente, va aggiunto anche il ricupero dal punto di vista fisico, allorché la comunità dei cristiani, con la sua opera diaconale, se ne prende debita cura.

Ci chiediamo, così, se la comunità cristiana oggi si prenda effettivamente cura del ricupero morale e spirituale delle persone che evangelizza e dei suoi membri. Essi, tutti noi, in effetti, abbiamo bisogno di un vero e proprio “training” da prendere molto seriamente, di un vero e proprio “addestramento” nelle vie di Dio, cioè nel modo di pensare e di vivere incarnato dal Cristo e che esprime la dignità dei figli di Dio. Troppo spesso oggi, temo, questo “training” lo si prende troppo alla leggera, lo si considera automatico nell’esperienza della fede in Cristo, e talvolta persino superfluo. Questo vale anche a livello nostro personale: ci dobbiamo chiedere, infatti, se e come ciascuno di noi prenda seriamente, come dovrebbe, l’impegno a trasformare il nostro modo di pensare, di parlare e di vivere affinché sia conforme alla verità che è in Cristo Gesù, cioè una vita vissuta con riconoscenza secondo i criteri della Legge di Dio. Essere cristiani, infatti, non è solo questione di astrattamente “salvare anime” o di “giungere alla salvezza”, come si dice, ma di imparare ad essere molto concretamente le persone che a Dio sono gradite - e questo in chiara e inequivocabile distinzione dall’ambiente a noi circostante. Se questo non c’è, e sottolineo, molto tangibilmente, la nostra professione di fede cristiana rischia di essere del tutto futile. Ascoltiamo quanto l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Efeso al capitolo 4 della sua lettera dal versetto 17 al 32.  

Rivestire l'uomo nuovo in Cristo

“Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri, con l'intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell'ignoranza che è in loro, a motivo dell'indurimento del loro cuore. Essi, avendo perduto ogni sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza fino a commettere ogni sorta d'impurità con insaziabile avidità. Ma, quanto a voi, non è così che avete imparato a conoscere Cristo. Se pure l'avete udito e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, avete imparato, per quanto concerne la vostra condotta di prima, a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici, a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l'uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità. Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira e non fate posto al diavolo. Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi ne ha bisogno. Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca, ma, se ne avete qualcuna buona che edifichi, secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l'ascolta. Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione. Sia tolta via da voi ogni amarezza, ogni cruccio, ira, clamore e parola offensiva con ogni sorta di malignità. Siate invece gli uni verso gli altri benevoli e misericordiosi, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:17-32).

Un comportamento “normale”?

Che cosa notiamo in questo testo? In primo luogo che essere cristiani è questione di comportamento (17). In quanto cristiani ci sono certo molte cose che dobbiamo imparare su Dio e su noi stessi. Non si tratta, però, di “lezioni teoriche” o solo intellettuali. Tutto è finalizzato alla trasformazione del nostro comportamento, del nostro carattere stesso. Vi sono comportamenti che dobbiamo smettere, cessare, e comportamenti che dobbiamo assumere tanto che diventino parte del nostro stesso carattere.  

Per fare questo dobbiamo essere consapevoli che il comportamento umano come lo riscontriamo normalmente in questo mondo (e non dovrebbe essere difficile riconoscerlo) è per Dio come “fumo nel naso, un fuoco che brucia da mattina a sera” (Isaia 65:5), miasni puzzolenti che escono da una discarica di rifiuti. Anche preghiere ed atti di culto, a certe condizioni, possono per Lui essere del tutto insopportabili. Questo è espresso dal profeta Isaia, quando scrive: “Quando venite a presentarvi davanti a me, chi vi ha chiesto di calpestare i miei cortili? Smettete di portare oblazioni inutili; l'incenso è un abominio per me; e quanto alle feste religiose, al convocare riunioni, io non posso sopportare l'iniquità unita all'assemblea solenne. (...) sono per me un peso che sono stanco di portare. (...) anche quando moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene, cercate la giustizia, rialzate l'oppresso!” (Isaia 1:12-17).

Dobbiamo consapevolmente e con decisione smettere, nel nostro comportamento, ciò che a Dio ripugna - e lo è gran parte di ciò che considereremmo “normale” in questo mondo. Proprio questo è spesso per noi “il problema”: guardiamo alla società intorno a noi e ai suoi comportamenti e non vediamo quanto essi siano insostenibili. A quelli spesso ci adattiamo, rimangono il nostro modello, ma come cristiani il nostro modello dev’essere Cristo e Lui soltanto!

In che modo l’Apostolo descrive i comportamenti di questo mondo, dai quali dobbiamo “svestirci”, che dobbiamo abbandonare? Sono quelli dei “pagani”, “le genti” (17), l’umanità decaduta, coloro che, respingendo il Dio vero e vivente, sono dio e legge a sé stessi, coloro rispetto ai quali dobbiamo distinguerci.

I loro pensieri, la loro mente, il loro modo di pensare, dal nostro testo è definito “vanità”, cioè è futile, inappropriato e privo di verità, perverso, moralmente depravato. La loro intelligenza è definita come ottenebrata (18), nell’oscurità causata da una cecità morale e spirituale.

Sono estranei o alieni dalla vita di Dio. Sebbene la loro vita stessa proceda e sia sostenuta da Dio, Egli per loro è un estraneo ed essi sono estranei a Dio. Non vivono in consapevole, fiduciosa ed ubbidiente comunione con Dio.

In loro c’è ignoranza, mancanza di conoscenza, nell’originale agnoia, la radice del nostro termine agnosticismo. Non è tanto che non sappiano, ma che rifiutano di sapere, non ne vogliono sapere, non desiderano questa conoscenza, la ritengono superflua e persino negativa. Questa "ignoranza" non ha a che fare con l'intelligenza in sé, come dimostra il secondo punto: l'incredulità non è fondamentalmente mentale, ma morale.

Il loro cuore è “indurito”, incallito. Un non credente vive una vita con un cuore indurito contro Dio. “Si è fatto il callo” e quindi non può capire ciò che Dio cerca di insegnargli, Gesù disse:  “Se uno vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio” (Giovanni 7:17).

Essi hanno “perduto ogni sentimento” (19), sono diventati insensibili al peccato. I non credenti possono fare ciò che è sbagliato e avere poca o nessuna convinzione di aver fatto qualcosa di sbagliato, anzi, se ne compiacciono.

Essi “si sono abbandonati alla dissolutezza fino a commettere ogni sorta d'impurità con insaziabile avidità”. I non credenti si sono sottoposti al controllo dei loro impulsi sessuali - impulsi che la cultura stessa con insistenza e fuori luogo sollecita. Questo riferimento all'immoralità sessuale è generale e potrebbe includere una varietà di pratiche. Paolo usa un termine greco che implica qualcuno consegnato al potere di un altro, catturato da esso. Il peccato, infatti, non è solo distruttivo, crea dipendenza. La cosa più triste di tutte è che la brutale oppressione del peccato è qualcosa che infliggiamo a noi stessi: ci "abbandoniamo" ad esso.

Sensibilizzazione

Il miracolo della rinascita spirituale in Cristo non solo ci riconnette con Dio, ma ci libera “dai calli” morali e spirituali che ci avevano resi ciechi e insensibili alla vita come Dio la intende, ci fa tornare ad essere sensibili al fatto che quello che era diventato la normalità, è anormale, al di sotto dello standard e delle potenzialità umane.

Questa sensibilizzazione non è, però, un processo immediato, ma Dio deve “lavorarci sopra” - e questo dura tutta la vita, e non senza il nostro attivo contributo! I “calli” del peccato sono spessi e duri da estirpare. Certo, lo Spirito Santo lo potrebbe fare immediatamente (e lo farà quando moriremo) ma, fintanto che siamo in questo mondo, ci deve essere un diligente impegno anche da parte nostra. Giungere alla fede in Cristo è, di fatto, solo cominciare ad “imparare a conoscere Cristo” (20) tanto che l’intera vita cristiana si rivela un processo costante di apprendimento su chi Lui è, su quello che Egli opera e in Lui e con Lui possiamo diventare.

Abbiamo “udito di Cristo”, l’abbiamo accolto con fede, siamo “stati istruiti secondo la verità che è in Gesù” (la catechesi). Egli ci ha ripuliti (e il Battesimo è segno esteriore di questo lavaggio), dichiarati giusti grazie alla Sua vita, sofferenza e morte in croce. Ora, però, come discepoli di Cristo, il Maestro, siamo alla Sua scuola e stiamo imparando. Imparando che cosa? Lo dice il nostro testo: “Per quanto concerne la nostra condotta di prima, a spogliarci del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici” (22).

“Imparare a spogliarci” non è ...un seducente striptease (scherzo), ma indubbiamente lo dobbiamo apprendere. E’ come svestirci, deporre la nostra “uniforme”, quella che ci rendeva simili a tutti gli altri che militano contro Dio facendogli guerra, e rivestirci degli “abiti civili”, puliti ed in ordine che ci permetteranno di stare alla presenza di Dio.

Dobbiamo “essere rinnovati nello spirito della nostra mente” (23). Qui l’Apostolo identifica il modo in cui un cristiano può separarsi dal peccato e dall'inganno della sua vita precedente, chiamata anche il suo “vecchio io". Questa trasformazione è possibile solo tramite Cristo, per coloro che sono giunti a conoscerLo come loro Salvatore - quando una persona vi dedica la propria mente e il proprio cuore. Paolo parla spesso dell'importanza di essere "rinnovati", in particolare nel proprio modo di pensare. Questo è un aspetto potente e continuo del nostro rapporto con Cristo, con il quale (così come Lo troviamo nella Sua Parola, la Sua Legge di giustizia) ci dobbiamo costantemente confrontare.

Il parallelo più vicino di Paolo a questo concetto si trova in Romani 8:5: "Quelli che sono secondo la carne hanno l'animo alle cose della carne, ma quelli che sono secondo lo Spirito hanno l'animo alle cose dello Spirito". Il credente è chiamato a vivere secondo lo Spirito concentrando la propria mente su ciò che è conforme a Dio ed alla Sua Legge. Ciò include i pensieri e le azioni del credente. Coloro che lo fanno sono "creati a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità" (24).

Le aree sulle quali dobbiamo lavorare

Le aree sulle quali dobbiamo lavorare, come comunità cristiana, in famiglia ed a livello individuale sono molteplici. Il nostro testo ne indica alcune e sono già abbastanza comprensive. Hanno a che fare con il management, la padronanza, il controllo su noi stessi: le nostre parole, le nostre emozioni e le nostre attività.

La prima area ha a che fare con l’essere persone veritiere, veraci, autentiche: “Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri” (25). Poiché i cristiani sono chiamati a vivere vite nettamente diverse da prima, il testo conclude che "il nuovo io" include l'eliminazione della menzogna. Ciò significa non essere auto-ingannevoli, disonesti o intriganti nelle nostra vita cristiana. In Gesù non c'è falsità. Praticare la menzogna fa parte della causa della condanna dei non credenti (Apocalisse 22:15) ed infatti simulazione ed inganno sono tipiche del comportamento mondano. L’amore autentico implica verità espressa verso il prossimo e soprattutto nell’ambito della comunità dei cristiani, membra di un unico corpo, quello di Cristo. Come formiamo un solo corpo nella famiglia, trasparenza e fiducia reciproca vi deve essere nella comunità cristiana. Lo riafferma il versetto 29: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca, ma, se ne avete qualcuna buona che edifichi, secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l'ascolta”. Siamo responsabili delle parole che usiamo. Come cristiani sono chiamati ad avere il massimo controllo su come ci esprimiamo - data la grande influenza esercitata dalla parola. Dobbiamo parlare in modo costruttivo e utile e in modi appropriati. L'obiettivo è mostrare grazia a coloro che ascoltano. La nostra intenzione deve essere sempre quella di edificare gli altri.

Le parole indubbiamente, poi, esprimono “quel che abbiamo dentro”. Il controllo delle proprie emozioni fa parte del carattere cristiano. Che fare quando in noi c’è rabbia per qualcosa o qualcuno? Il testo dice: “Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira e non fate posto al diavolo” (26-27). L’ira può essere giustificata, ma deve poter risolversi presto e “in giornata”, altrimenti può degenerare ed avere conseguenze anche disastrose. Per questo, dice pure il nostro testo: “Sia tolta via da voi ogni amarezza, ogni cruccio, ira, clamore e parola offensiva con ogni sorta di malignità” (31). Se questo non è un completo programma di vita che ci impegna costantemente, non vedo che altro potrebbe esserlo!

L’area delle nostre attività è pure essenziale: “Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani” (28a). Il lavoro diligente e onesto fa parte del carattere cristiano e non solo per sostenere noi stessi e la nostra famiglia, ma anche “affinché si abbia qualcosa da dare a chi ne ha bisogno” (28b). Il lavoro, infatti, è destinato a generare utili non solo per noi, ma anche per sostenere la necessaria opera assistenziale e diaconale della comunità cristiana. Condivisione e solidarietà con le persone svantaggiate hanno sempre fatto parte della testimonianza delle comunità cristiane antiche, ed oggi più che mai rimane valido. Non dobbiamo aspettarci che qualcun altro, magari lo Stato, ci pensi. Non lo dobbiamo delegare ad altri perché, ad imitazione di Cristo, è nostra responsabilità - e insieme come comunità lo possiamo fare in modo ottimale.

Conclusione

L’opera di Dio nel ricupero del peccatore al quale è stata fatta grazia in Cristo non è dunque “virtuale” ma implica necessariamente una trasformazione tangibile e sostanziale del credente, uno “svestirsi” da comportamenti comuni in questo mondo ed un “rivestirsi” di Cristo facendo effettiva differenza nel reale. Nel linguaggio informatico, per "virtuale", infatti, oggi generalmente ci si riferisce a qualcosa che esiste in forma simulata, non reale o solo creata digitalmente, come ad esempio in “realtà vituale” o nei videogiochi. C’è dunque il rischio concreto che la conversione a Cristo diventi oggi qualcosa di fittizio oppure qualcosa di pensato solo potenzialmente, in linea teorica o che avverrà “un giorno” nelle pie intenzioni, anche se non ancora manifestato concretamente. Non è però una trasformazione “virtuale” quella descritta dai vangeli e dagli scritti apostolici come effetto dell’opera di Dio in Gesù Cristo. Se non c’è una trasformazione concreta, per quanto graduale e talvolta contraddittoria possa essere, nella vita reale del cristiano, stiamo solo ingannando noi stessi. Anzi, potremmo, facendo così, solo “rattristare Dio” stesso, come dice il versetto 30, “Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione” (30). Vi sarà un giorno di completa redenzione, ma “il suggello” è costituito oggi da vite realmente “in fase di trasformazione”. Ricreare, in Cristo, “un uomo nuovo”, ricuperato alla dignità di figlio di Dio dal punto di vista morale, spirituale e materiale era, è e rimane il glorioso risultato dell’Evangelo quando è annunciato e vissuto fedelmente. Come Dio ci perdona in Cristo, così noi siamo chiamati a fare l’esperienza indicata dal nostro testo che dice: “Siate invece gli uni verso gli altri benevoli e misericordiosi, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (32). Stiamo “allenandoci” oggi in questo “training”?

Paolo Castellina, 6 Dicembre 2024